Carbone. “The Dream”, il sogno dell’emigrante, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Al Vittoriano, lato Fori Imperiali, la mostra “The Dream – Omaggio all’emigrazione italiana negli Stati Uniti d’America nel XX secolo”, espone dall’8 al 24 novembre 2013 le opere di Meo Carbone sull’epopea dell’emigrazione italiana in America. E’ un prestigioso complemento artistico temporaneo del Museo Nazionale dell’Emigrazione permanente, collocato dalla parte opposta del complesso monumentale, nel lato dell’Ara Coeli. Inoltre si svolge in significativa coincidenza con la X edizione del Concorso Video Memorie Migranti, promosso dal Museo dell’Emigrazione Pietro Conti per recuperare la memoria storica dell’emigrazione italiana nel mondo e favorire un’attività di ricerca e di studio sugli aspetti sociali, storici ed economici legati al grande esodo; il concorso – e in questo c’è un nesso con la “rappresentazione” di Meo Carbone – prevede “l’ideazione e la produzione di un audiovisivo che tragga spunto dalla tematica migratoria italiana”.

La mostra del Vittoriano, realizzata da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, è curata da Pascale Carbone, responsabile è Cristina Bettini. Al motivo primario dell’emigrazione evocata in modo suggestivo unisce ulteriori contenuti che la collegano al senso di umanità, al rapporto dell’artista con l’atto creativo, fino all’incarnazione più profonda dell’identità nazionale.

Questi motivi e contenuti trovano espressione in una galleria di immagini intense che portano l’osservatore in un mondo lontano nel tempo e nello spazio ma vicino nella memoria di tanti italiani, considerando che il fenomeno dell’emigrazione tra l’800 e gli anni ’50 del ‘900  ha inciso in profondità in molte regioni del paese dal Nord al Sud.  All’Italia di 60 milioni di abitanti va aggiunta l’altra Italia, di entità analoga, considerando i primi emigrati e le loro discendenze approdate ai massimi livelli istituzionali: e non serve ricordare Fiorello la Guardia o il più vicino Mario Cuomo, c’è la fresca elezione di de Blasio a sindaco di New York a porre un nuovo sigillo.

L’onda di sentimenti

E’ un viaggio nella macchina del tempo sull’onda dei sentimenti quello che si compie circondati da immagini immediatamente familiari anche se si tratta di volti sconosciuti. Dalle pareti della sala ci si sente fissati da tanti occhi come in una visione dantesca, sembra invitino a fermarsi sulla loro storia personale che vorrebbero raccontare mentre si dipana una storia collettiva ricca di pathos e di umanità; la storia è così raccontata da una molteplicità di singoli – ciascuno espressione dalla propria individualità – che diventano folla, comunità, popolo. E’ anche la nostra storia nazionale, e in molti casi una storia familiare:  come per chi scrive il cui nonno materno partito da un piccolo paese dell’Appennino abruzzese, Pietracamela alle falde del gran Sasso, sbarcò a Ellis Island dalla “Sicilian Prince” con meta Newcastle-Pennsylvania il 25 giugno 1906, tre mesi prima della nascita della figlia avvenuta il 1° ottobre, date che sottolineano il sacrificio sin dal momento della partenza.

Il fatto personale può aver acuito in noi le sensazioni provate nel visitare la mostra, ma riteniamo che l’emozione prenda anche chi – e non sono molti – non ha ascendenti emigrati, perché questi sono ascendenti dell’intera nazione da cui nessuno può sentirsi estraneo; come quando si visita il Museo Nazionale dell’Emigrazione, dall’altra parte del Vittoriano, con la sua ricca  esposizione: dalle valigie di fibra e le carrette musicali alle fotografie, documenti e cimeli di ogni tipo in un clima evocativo fatto di suoni e luci, proiezioni e video, audizioni di canzoni sul tema, da quelle d’epoca come “Partono i bastimenti”  alle più vicine, compreso “Ciao amore ciao” di Luigi Tenco.

La galleria di immagini di Meo Carbone si apre nel largo ambulacro di ingresso, con due valigie artisticamente dipinte di figure dolenti e insieme determinate, il “sogno americano” comincia di lì.  Sulla sinistra una sequenza di pannelli distinti che insieme compongono – ce lo fa notare cortesemente la curatrice – lo skyline di Chicago. Le figure e i volti sono incorporati, per così dire, nei grattacieli e negli edifici cittadini in una compenetrazione simbolica che esprime il contributo determinante dato dagli emigrati alla fisionomia della città: sia per il duro lavoro alle altezze vertiginose dei grattacieli da loro costruiti sia per la stretta integrazione nel contesto cittadino.

I volti imprigionati nei grattacieli sembrano alla ricerca di un ascolto delle loro storie, mentre sulla parete opposta vediamo immagini del tutto diverse in alcuni pannelli di masonite da rappresentazione teatrale. I grattacieli ci sono sempre ma come sfondo, in primo piano le persone, i bambini e le famiglie, che non devono più affollarsi per farsi ascoltare, sono sul proscenio da protagonisti. E non si tratta degli emigrati di successo, è la gente comune che esce dall’anonimato.

La visione dantesca nella Sala Giubileo

Si entra nella Sala Giubileo, si sente l’effetto di una visione dantesca, le aerografie  accerchiano il visitatore proiettando su di lui l’intensità degli sguardi degli emigranti, ripresi soprattutto nei volti ma anche  nelle figure in piedi fino a qualche scorcio in bicicletta. Sono operai e minatori, forti del loro anonimato.  Che arriva ad incorporare anche personaggi divenuti famosi, perché vittime di una discriminazione xenofoba giunta all’epilogo tragico dell’esecuzione di innocenti, come Sacco e Vanzetti; o per la loro dedizione alla carità e all’assistenza degli emigranti bisognosi come Santa Francesca Cabrini. Sono rappresentati “tra gli operai italiani”, ai quali trasmettono la loro celebrità eroica ma dei quali acquisiscono l’anonimato altrettanto eroico nel segno della sofferenza  e della tensione per un ideale, il “sogno americano”. Sacco e Vanzetti lo videro infranto, ma il loro sacrificio supremo provocò un moto di reazione che nobilitò l’oscuro sacrificio di tanti. A Nicola Sacco e a Bartolomeo Vanzetti sono dedicati anche dei grandi primi piani con la  scritta “Dead!”, anatema verso i colpevoli dell’inaudito  crimine contro la verità e la giustizia che li ha uccisi.

Quelle appena indicate sono le poche personalizzazioni anche nei titoli degli aerogrammi esposti. Per il resto i titoli vanno da “Partenza” per le valige dipinte a “Partenza” e “Attesa” per le masoniti teatrali, da  “Emigranti a Chicago” per la spettacolare sequenza di ingresso a “Gruppo di emigranti” ciascuno nella propria casella, da “Operai nella dimensione architettonica” a “Minatori di Castle Gate, Utah”, da “Operai in pausa” a “Le madri”. Fino alle “Images” e “Immagini e sogni di libertà”, dietro le espressioni assorte e dolenti, ma determinate, spicca la Statua della Libertà che, in definitiva, impersonava il sogno americano. Fin dal momento in cui – come ricorda Alessandro Baricco in “Novecento” e ha mostrato Giuseppe Tornatore nella sequenza iniziale del  film “La leggenda del pianista sull’oceano” – risuonava il grido “L’America!”  lanciato dall’emigrante che per primo dalla tolda della nave vedeva come un miraggio l’alta figura turrita.

Dietro il sogno rappresentato non nel cassetto ma nella valigia c’è la sofferenza, abbiamo detto: traspare non solo dai volti dei singoli ma dalle immagini  di madri e figli, dei bambini, che danno una dimensione familiare dalla quale si assurge alla dimensione sociale. Il calvario diviene epopea collettiva in cui si incarna il sogno di intere generazioni fino a diventare sogno di una nazione. I bagliori che attraversano i volti dolenti sono insieme riflessi del dramma e lampi del sogno, da realizzare con il duro lavoro di operai, spesso alle altezze vertiginose dei grattacieli in costruzione, e il lavoro periglioso dei minatori immersi nelle viscere altrettanto vertiginose dei giacimenti minerari. Viene celebrato anche il lavoro  delle emigrate italiane sia in famiglia sia nei negozi di “Fruits & Vegetables”, le cui scritte spiccano in alcune aerografie.

L’arte di Meo Carbone, realtà e rappresentazione

Come vengono espressi sul piano artistico questi motivi che uniscono l’attenzione all’individuo alla dimensione collettiva che diventa denuncia sociale?  Claudio Crescentini parla di “ricostruzione della realtà”, cioè del sogno “analizzandolo e studiandolo con uno sguardo acuto, quasi da entomologo, partendo appunto dalla realtà riletta e ricostruita da Carbone, mediante le foto dei nostri parenti poveri”. Sono le fotografie esposte a Ellis Island presenti nella collezione di Dominic Candeloro, che colpirono l’artista nel 1995 allorché incontrò il docente della Loyola University di Chicago storico e collezionista di cimeli e documenti dell’emigrazione italiana in Nord America.

La curatrice Pascale Carbone ci parla con toni appassionati di questa svolta artistica del padre, avvenuta allorché fu “folgorato”  dalle fotografie degli emigranti raccolte da Candeloro ed esposte nella “Casa Italia”  di Chicago; l’artista le vide nel 1992 nella sua visita per i 500 anni dalla scoperta dell’America celebrata con la mostra “Deities”,  sue pitture e sculture come omaggio artistico alle divinità indiane autoctone, tradotta anche in un libro dello stesso titolo presentato da Paolo Portoghesi. E’ stata una scelta coraggiosa e controcorrente, considerando il trattamento oppressivo, per usare un eufemismo perché fu liquidatorio, riservato agli indiani autoctoni. Come è coraggioso e controcorrente aver dato un posto di riguardo nell’“Omaggio all’emigrazione italiana negli Stati Uniti d’America nel XX secolo”– dal sottotitolo della mostra –  a Sacco e Vanzetti,  la loro esecuzione è una macchia indelebile nella moderna democrazia americana come è stata una macchia lo sterminio degli indiani nell’epopea pur esaltante degli esploratori e dei pionieri.

Queste immagini fotografiche vere diventano le tessere del mosaico virtuale dell’aerografia che le compone e le scompone, le assembla e le divide su fondi scuri in qualche caso  percorsi da sciabolate di luce come fossero illuminate da un riflettore da controllo o da un occhio di bue da ribalta. L’aerografia le colloca in una visione geometrica mantenendone la fisionomia figurativa ma rendendo l’insieme un’astrazione virtuale quasi che la realtà sfumasse nell’onirico. Del resto è “il sogno”  il soggetto collettivo dietro le immagini individuali, una comunità dietro le singole persone.

Geometria, astrazione, figurativo si ritrovano convergenti nella sua rappresentazione, come una sintesi di periodi e forme stilistiche diverse che hanno segnato la vita artistica di Meo Carbone, nella descrizione che ce ne fa la curatrice. Con la particolarità che il figurativo non è stata la sua partenza, salvo le fasi iniziali, ma un suo approdo dopo l’astrazione, cosa inusuale dato che il normale percorso va nella direzione inversa, lo abbiamo visto nella mostra su Mondrian.

L’aerografia, in genere meccanica e fredda, in questo caso acquista calore e tale convergenza diviene  la formula ideale per dare corpo alla visione del “sogno”  attraverso immagini prese dalla realtà che devono trascenderla subliminandola con l’arte. I suoi “geometrismi illuministici”, scrive ancora Crescentini, “scompongono il passato fotografico con una forza espressiva che sospende e sorprende la cronaca per elevarla appunto al grado di Arte. E l’Arte riscuote nel tempo e scuote nella storia, ridando immagine e storia a quelle immagini di cronaca, a quelle cronache che sono diventate immagini storiche e oggi, tramite Meo Carbone, arte. Un’arte che tende al sociale per divenire politica, un’arte di denuncia sempre meno perseguita in questo nostro XXI secolo”.

Non si poteva riassumere meglio l’operazione di alto livello artistico e di forte contenuto sociale fino alla denuncia sul piano politico compiuta da Meo Carbone, ed è giusto che la sua mostra sia approdata al Vittoriano, che oltre ad ospitare il Museo Nazionale dell’Emigrazione,  riassume i valori dell’identità e dell’Unità nazionale celebrati anche dalla mostra “The Dream”.  Un approdo prestigioso lungo un cammino itinerante dal 1996 tra Italia e America: San Benedetto del Tronto e Perugia, Napoli e Casoli, Torricella Peligna e Frascati tra le precedenti tappe italiane oltre a Roma al Vicariato poi e all’Archivio di Stato; San Francisco, Pittsburgh, Washington le tappe americane.

Il percorso personale dell’artista è iniziato sin dal 1971 con la prima esposizione coincisa con l’Oscar dei Giovani per la scultura e la vittoria nel premio Tevere-Reno. Due anni dopo la partecipazione a una mostra internazionale di livello europeo a Graz, passano altri due anni e viene invitato alla 10^ Quadriennale “New Generation”; con la consacrazione nazionale prestigiosi riconoscimenti internazionali come l’invito all’esposizione al County Museum of Modern Arts di Los Angeles e la partecipazione alla 3^ Biennale di grafica d’arte europea a Baden Baden. 

Nel 1991 l’incontro con il capo indiano dei Lakota Sioux in occasione della mostra “Omaggio alle divinità indiane del Nord America” per le celebrazioni del 1992, presentata al Palazzo dei Congressi di Roma da Paolo Portoghesi, di cui abbiamo  parlato; in Italia si è tenuta anche a Spoleto e Pescara, in America itinerante a Miami e Orlando, poi a Chicago, Salt Lake City e San Francisco.

Con il 1995 il ciclo di mostre di “Dreams” come omaggio all’emigrazione italiana e a Chicago e Boston, nel 1999 il progetto “La Via Crucis nel Mondo”, dipinta per il Giubileo del 2000 e presentata anch’essa in diverse mostre. Considerandole insieme alle mostre sulle divinità indiane si compone un quadro edificante e coraggioso dell’impegno culturale e civile dell’artista.

Il sogno per l’artista e per l’emigrante, l’espressione dell’identità nazionale

Abbiamo detto che altri contenuti si possono rinvenire nella sua opera oltre ai motivi di particolare valore che abbiamo evocato. Il primo riguarda il significato del “sogno”, che non si limita al sogno americano pur se questo è il protagonista attraverso tanti volti che racchiudono, oltre a tante sofferenze, tante speranze quindi tanti sogni.

Il sogno è visto come metafora di liberazione per l’emigrante, perché gli consente di liberarsi dai vincoli geografici; ma per Meo Carbone anche nell’artista è liberazione dai vincoli concettuali ed espressivi. Ecco come ne parla: “Entrambi, artisti ed emigranti, hanno sogni. I sogni rincorrono la realtà e la realtà rincorre i sogni. Un progressione geometrica dove in ogni istante la fine del sogno è l’inizio della realtà e la fine della realtà è l’inizio del sogno”. La visione diviene filosofica: “Non sarebbe possibile per un uomo confrontarsi con la vita, affermare delle idee e poi difenderle, senza la capacità sognante che come d’incanto mette le ali alle nostre sensazioni e ci fa volare in mondi più giusti dove l’uomo e l’uomo riescono a tenersi per mano. Il sogno è movimento, è dinamismo. Il sogno è affrontare qualsiasi difficoltà: come le difficoltà degli emigranti”.

Poi c’è un contenuto ancora più alto, oltre la dimensione collettiva e sociale del sogno che già supera quella individuale. Si tratta della stessa identità nazionale che viene segnata profondamente e in positivo, e non solo sotto il profilo dell’emigrazione. La evoca con parole ispirate Gianni Letta, con la sua particolare sensibilità di uomo della istituzioni: “Questa mostra ha la potenza espressiva della verità. Dice chi siano le donne e gli uomini d’Italia. Non solo quelli partiti per l’America, ma per gli italiani tutti. Gli emigranti infatti sono gli italiani nella loro dimensione autentica”. Lo precisa così: “Viene da chiamarli per nome, viene da desiderare di sedere con loro al desco povero eppur familiare. Non sono gli emigranti in generale, quasi fossero una categoria sociologica o un tipo antropologico, ma ci imbattiamo in identità personali irriducibili”.

Queste identità personali hanno molto da dire: “Impressiona vedere come ciascun soggetto di queste opere, anche quando raffigurato in un gruppo, abbia il suo ‘sogno’ unico, irripetibile, che coincide con il suo nome, la sua anima”. Il sogno che illumina i loro volti è ben diverso dall’evasione onirica nell’immaginario: “Essi sono trasfigurati da un ‘desiderio sognante’, che non è fuga dalla realtà ma tensione a cambiarla, così da avere una vita buona e un desiderio lucente per sé, la propria famiglia e il mondo intero”. La luce negli sguardi non cancella l’amarezza: “Nei loro occhi si vede ancora il dolore dell’abbandono, ma insieme ecco ‘the dream’ , che non è mai compiuto totalmente, non è un film la cui storia scorre fino al ‘the end’, ma è un pungolo che sempre sospinge a crescere”.

La considerazione che ne trae Gianni Letta è identitaria per il nostro paese: “In questo senso gli italiani sono un popolo inconfondibile, eppure universale. La loro (la nostra…) natura ha un’eco dovunque ci siano figli di Adamo”. Una bella celebrazione, a commento delle intense immagini di Meo Carbone, dell’epopea della nostra emigrazione, tale da sublimarne il valore nazionale.

Concludiamo dicendo che forse non ha ragion d’essere, anche se era doveroso, il nostro avvertimento iniziale che i motivi personali di partecipazione alla storia dell’emigrazione per ragioni familiari possono aver acuito in noi la sensibilità verso le opere d’arte che la declinano in modo suggestivo. Infatti anche senza ascendenti emigrati, la sensibilità viene sollecitata dal senso di identità nazionale espresso da Gianni Letta come messaggio saliente delle storie di emigrazione.

E in questo tutti si possono riconoscere senza poter restare indifferenti.  Nel caso della mostra si aggiunge il fascino dell’arte che nell’evocare il tema colpisce con l’efficacia icastica delle sue immagini:  una visione dantesca l’abbiamo definita, un viaggio sconvolgente in un mondo  mitico.

Lo “sguardo dal ponte” di Meo Carbone

Un’ultima considerazione ci è suggerita dal nome dell’artista, Meo Carbone. Come è noto, il protagonista di “Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller, il dramma teatrale  divenuto un’icona della nostra emigrazione,  si chiama Eddie Carbone.

Viene da dire che l’artista si incarna con il suo nome nelle storie riflesse su quei volti scavati e assorti, percorsi da lampi di luce. Meo Carbone si immedesima così nei tanti Eddie Carbone affacciati nel proscenio della sua esaltante rappresentazione.

Info

Complesso del Vittoriano, via San Pietro in Carcere, lato Fori Imperiali, Sala Giubileo. Tutti i giorni, compresi domenica e lunedì, ore 9,30-19,30; ingresso gratuito, accesso  fino a 45 minuti prima dell’ora di chiusura. Tel. 06.6780664. meocarbone@gmail.com; www.meocarbone.com. Catalogo: Meo Carbone, “The Dream, omaggio all’emigrazione italiana negli Stati Uniti d’America nel XX secolo”, Tipografia artigiana, novembre 2013, pp. 80, formato 30×21. Sul X Concorso Video Memorie Migranti, citato all’inizio, si precisa che è aperto ai “giovani filmakers sia dall’Italia che dall’estero e i giornalisti e registi nella specifica categoria dedicata ai documentari già andati in onda”, il premio è “una somma complessiva di 1.500,00 euro e la proiezione dei video vincitori nella giornata conclusiva del concorso”; bando di concorso e scheda di partecipazione nel sito www.emigrazione.it, link “Concorso Video”, per informazioni 0759142445 e info@emigrazione.it. Sul tema dell’emigrazione cfr. i nostri articoli: in questo sito “Emigrazione, il suo ruolo, il museo al Vittoriano”, 27 luglio 2013; in “www.fotografarefacile.it”  “Emigrazione: la fotografia interprete e rivelatrice”, 20 aprile 2011; in “cultura.inabruzzo.it”  “Ellis Island, mostra multimediale a Roma”, 12 ottobre 2009. Inoltre il nostro romanzo ispirato  a una storia vera di emigrazione: Romano M. Levante, “Rolando e i suoi fratelli. L’America!”, Andromeda Editrice, 2006, pp.364 e, tra  gli articoli di commento, in particolare quelli su “L’oleandro”,  Rivista dell’omonima associazione culturale di Brescia, del dicembre 2006: Elena Ledda, “Rolando e i suoi fratelli. L’America!” a pg. 7; Alessandro Di Domenicantonio, “I piani interpretativi del romanzo”, alle pp. 8-12; Enrico De Nicola, “I principi della Costituzione, la giustizia”, alle pp. 13-14. Per la citazione di Mondrian cfr. in questo sito i nostri 2 articoli  sulla mostra romana al Vittoriano “Mondrian, il percorso d’arte e di vita”, e “Mondrian, l’approdo nell’armonia perfetta’”, il 13 e 18 novembre 2012.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano all’inaugurazione della mostra, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti, in particolare l’artista Meo Carbone, per l’opportunità offerta. In apertura, “Cristo  tra i condannati Sacco e Vanzetti”, 2005; seguono il particolare dei primi due pannelli dell’aerografia  “Emigranti a Chicago”, 2005, e “Attesa”, 1996, poi “Minatori di Salt Lake City, Utah”, e “Valigia”, emtrambi 1998; in chiusura l’intera aerografia di 8 pannelli  “Emigranti a  Chicago” , 2005.