Bergamini, il digitale pittorico, al Museo Crocetti

di Romano Maria Levante

Le grandi  fotografie di Riccardo Bergamini alla Fondazione Crocetti,  dal  18 novembre 2013, nell’esposizione “EsseRI Contemporanei” promossa da “Ademus” e curata da Luigina Rossi, attraverso immagini di imponenti strutture edili in costruzione o demolizione, mostrano un’utilizzazione del mezzo fotografico con la tecnica digitale per interventi quasi pittorici che danno il senso del cambiamento e della trasformazione imprimendovi il dinamismo della vita. Un’impostazione ben diversa dal pittoricismo dei fotografi che cercavano giochi di luce o scorci consueti ai pittori, qui nessuna concessione alla pittura ma ricerca di qualcosa che non si può rendere con l’istantanea tradizionale ma si deve costruire pur mantenendo l’aderenza alla realtà che solo la fotografia assicura.

Le “architetture metafisiche” 

 “Architetture metafisiche/ e colori senza definizione, né patria/ non tutti hanno chiuso per inventario;/c’è chi cataloga, con scatti perfetti/ il respiro e il sospiro, i segni della libertà,/l’odoroso bacio della persona amata/il grido della rosa che muore/ e il chiacchiericcio dell’acciaio brunito”.  Questa volta la definizione dell’opera di un artista, oltre che dalla curatrice della mostra Luigina Rossi,  viene anche da un poeta, Antonio Veneziano, che ha scritto una poesia a presentazione della mostra, dove  Bergamini riesce a far parlare proprio l’ “acciaio brunito” delle “architetture metafisiche”. Il poeta conclude, dopo un excursus sui sentimenti: “Un sole sbiadito, per fortuna,/ insinua domande, tra frammenti di realtà,/  dall’anima di ferro e vetro,/ dove l’impronta digitale,/ di uno scatto fotografico,/ si fa appunto del cuore e del cervello”.

Abbiamo incontrato l’artista che ci ha spiegato come questo avviene, rivelando il suo  modo innovativo di utilizzare il mezzo fotografico nella creazione artistica. Non gioca sui chiaroscuri e sull’intensità dei colori nelle riprese naturali;: né sul taglio delle immagini come nelle riprese oblique di Rodcenko; e in quelle frutto di attesa prolungata o basate sull’immediatezza della ripresa  e, per converso, sulle pose da studio fino alle tante modalità offerte dalla versatilità degli obiettivi. Le accostiamo alle pur diversissime riprese alla ricerca di angoli remoti della natura da celebrare nella loro ignota grandiosità, lo stesso fa Bergamini che trova la grandiosità a portata di mano ma inserita in contesti che la nascondono e la umiliano, mentre l’artista riesce a rivelarla e nobilitarla.

Con lui la tecnica digitale viene utilizzata in forma pittorica in modo creativo: l’artista parte dalla ripresa reale a luce radente, poi elimina l’illuminazione naturale per sostituirla con “pennellate” di  luce digitale che dà i contorni a immagini immerse nel buio, laddove quelle di partenza erano nella luce. Anche le nuvole vengono “pennellate” al posto di quelle catturate dall’obiettivo, e lo stesso avviene per la luce dei lampioni, per citare un particolare. Si tratta, ci ha detto direttamente l’artista, di una luce autentica anche se non quella originaria, “pennellata” nell’elaborazione digitale.

Non c’è manipolazione ma reinterpretazione della realtà per restituire ad essa la vera essenza che va oltre l’impressione di un momento. Tanto più che nella serie di immagini esposte, la realtà è in evidente trasformazione, quindi non può essere quella che appare nell’istantanea, deve essere resa con un procedimento che renda tale processo dinamico.

E’ questa la contemporaneità che interessa l’artista, una realtà “in fieri” di cui riesce a dare l’instabilità con un’atmosfera di sospensione che prende il visitatore, immergendolo in una nuova metafisica urbana, fatta non di piazze  abbacinate dal sole con le ombre lunghe dei colonnati ma di palazzi immersi nel buio contornati da sciabolate di luce.

Così la curatrice della mostra Luigina Rossi: “Ogni elemento architettonico si fa ammirare per essere altro da sé, la luce argentea lo accarezza, lo rende vivo, crea un ponte intellettivo, produce intensi attimi di piacere per la nostra anima; essi prendono vita come fossero una melodia nella ricerca degli accordi di luce”.

L’altro da sé non riguarda soltanto la diversità  rispetto allo scatto primario, l'”altro” è  costruito dall’elaborazione digitale; riguarda anche il fatto che per i palazzi in costruzione l’immagine  provvisoriamente fissata sull’obiettivo non rispetta più la loro realtà dato che nelle successive fasi sono diversi da prima. Ma c’è di più, è un modo di inserire la variabile tempo nella creazione artistica mutandone la percezione; ed è anche un modo di consentire la rielaborazione personale dell’artista rispetto alla percezione immediata della realtà, che il mezzo fotografico fissa con l’obiettivo lasciando poi pochi margini di intervento, aperti invece dalla tecnica digitale che così utilizzata diventa una tavolozza tecnologica che libera la creatività del fotografo divenuto artista.

Guardiamo le 17 tavole fotografiche, molte 70×100,  dei giganti urbani frutto della forte impressione che Bergamini ne ha ricevuto nei suoi viaggi immaginandoli protagonisti assoluti  nella notte che lui stesso ha costruito “come esseri viventi nel divenire del contemporaneo”, per usare le parole della curatrice; e come esseri viventi dialogano con il visitatore, quasi volessero raccontare la propria storia. C’è la struttura avveniristica di Desideri della nuova Stazione Tiburtina, destinata a un futuro senza fine, come quella imponente di un palazzo milanese destinato invece alla demolizione; tra questi destini opposti altre costruzioni che segnano il paesaggio urbano, fino a una ardita ripresa dal  basso del “Fungo” romano, che ricorda la figura turrita della Statua della Libertà , l’unica immagine chiara, anzi abbacinata dalla luce quando tutte le altre sono immerse nel buio fasciate dai riflessi di luce.Ferro, acciaio e vetro pennellati dalla luce, qualche riflesso sul rosso in alcune strutture orizzontali, per lo più è una verticalità vertiginosa che prende l’osservatore portandolo in alto in una proiezione che non è soltanto visiva ma anche spirituale. L’architettura ha di per sé una carica coinvolgente, che nelle immagini viene sublimata dal fatto che gli arditi scorci fotografici, che corrispondono alla visione dal basso, sono sublimati dalle sciabolate di luce dei contorni nell’oscurità degli sfondi. “In esse – scrive ancora la curatrice – dobbiamo scorgere tutto il suo impeto compositivo che significa passione, passione ma anche emozione per chi voglia silenziosamente unirsi a quelle presenze e leggerne ogni linea e sentirne ogni vibrazione nella prorompente rielaborazione della luce con l’uso del digitale”.

Le sculture fotografiche della figura femminile 

Oltre a queste immagini di giganti urbani ne sono esposte 6 che ci portano nell’universo femminile di Bergamini, cui si è dedicato in passato con mostre fotografiche in cui la donna è stata sempre presentata nella sua  dignità personale unita a una carica tale da farne musa ispiratrice. C’è stato impegno sociale e civile come nelle fotografie del campo Rom in Romania,con i bambini protagonisti, premiate in due categorie all’International Photografy Awards per il 2013. In mostra presenta sei immagini oniriche, volti e corpi di donna che come i giganti urbani si stagliano nel buio, le sciabolate di luce li scolpiscono, danno alla loro fisicità segnata da ombre e colori forti contenuti emotivi di sogno e desiderio, di abbandono e ripiegamento interiore.

E’ un filone da perseguire nel quale la fotografia di base diviene “altro” ad elevato contenuto artistico perché muove la mente nella ricerca dei contenuti più profondi e l’anima nella condivisione degli stati d’animo percepiti; come diviene “altro” nei giganti urbani dinanzi ai quali ci sentiamo piccoli come i lillipuziani di Gulliver e come loro rei di averli imprigionati; Bergamini li libera dai lacci delle loro destinazioni pratiche nobilitandone l’imponenza che sfida il tempo e lo spazio.

Per concludere non si può non richiamare la particolarità della sede espositiva, la grande sala della Fondazione, che vuol dire visione contigua dello studio del  grande Venanzo Crocetti  e delle sale in cui c’è l’esposizione permanente delle sue straordinarie opere.  Dove l’universo femminile è rappresentato dalle sculture  di modelle e  ballerine, eleganti e  serene, ma anche di figure tormentate come “Maria di Magdala”, “L’incendio” e “Il ratto”, rispetto alle quali si può trovare un nesso delle donne altrettanto tormentate di cui Bergamini ci offre intense sculture fotografiche; una nostra associazione di idee spontanea dopo l’emozionante visione parallela.

E’ un abbinamento forse inusitato ma intrigante tra la mostra temporanea di Bergamini e l’esposizione permanente di Crocetti che giustifica ancora di più  la “gita fuori porta”, come si dice a Roma, sulla via Cassia numero 492 nella casa museo del grande scultore.

Info

Fondazione e  Museo Crocetti, Via Cassia 492. Orari: lunedì, giovedì, venerdì ore 11-13, 15-19; sabato e domenica 11-18, martedì e mercoledì chiuso. Tel. 06.33711460; http://www.fondazionecrocetti.it/ Catalogo: Riccardo Bergamini, “EsseRI Contemporanei”, novembre 2013, pp. 30, formato 21,5×21,5. Per le opere di Venanzo Crocetti citate, cfr. i nostri articoli: in questo sito l’8 ottobre 2013 “Crocetti, il ‘900 e il senso dell’antico”, in “cultura.inabruzzo.it” il 1° febbraio 2009 “Il mondo di Venanzo Crocetti”. Per le diverse modalità  fotografiche citate nel testo cfr. in http://www.fotografarefacile.it/ i  nostri servizi sui grandi fotografi, 90 dal 2011..

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Fondazione Crocetti all’inaugurazione della mostra, si ringrazia la Fondazione con i titolari dei diritti, in particolare l’artista Bergamini, per l’opportunità offerta; l’artista si ringrazia inoltre per aver acconsentito ad essere ritratto da noi davanti a due sue opere. In apertura, l”artista tra la sua interpretazione del  “Fungo” dell’Eur di Roma e la ripresa digitale di un’intelaiatura in fase di costruzione; seguono altre due immagini di strutture costruttive, poi due immagini con scorci di abitazioni; in chiusura un’intenso viso di donna.