San Gennaro, Tesoro e storia, alla Fondazione Roma

di Romano Maria Levante

“Il Tesoro di Napoli. I Capolavori del Museo di San Gennaro” nella mostra della Fondazione Roma aperta al Palazzo Sciarra dal 30 ottobre 2013 al 16 febbraio 2014. Esposti per la prima volta fuori Napoli 70 pezzi pregiati della collezione di arte orafa più importante al mondo con dipinti, arredi e la documentazione della storia di devozione nata dal popolo e tramessa anche ai regnanti europei, tradotta nello straordinario coinvolgimento di arte e artigianato artistico. Curatori di mostra e Catalogo Skirail direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro, Paolo Jorio e Ciro Paolillo;  consulente Franco Recanatesi.  

L’esposizione del Tesoro di Napoli, con i capolavori del Museo di San Gennaro, è un’altra delle intuizioni, anzi delle invenzioni del presidente della Fondazione Roma Emmanuele F. M. Emanuele, dopo quella primaria di aver indirizzato una parte rilevante delle iniziative della Fondazione della Cassa di Risparmio di Roma verso l’arte creando la Fondazione Roma-Arte-Museo, senza tralasciare le attività assistenziali e del terzo settore. Il risultato tangibile sono le due prestigiose sedi espositive romane al Corso, Palazzo Cipolla per il contemporaneo e Palazzo Sciarra per l’antico e il “racconto” di Roma nell’arte, oltre alle meritorie iniziative sugli attori detenuti che uniscono arte con assistenza, e agli interventi assistenziali in senso stretto nel ruolo istituzionale della Fondazione.

L’eccezionalità dell’esposizione del Tesoro a Roma  

Questa volta viene “raccontata” la Napoli popolare e devota attraverso il Tesoro di San Gennaro, una straordinaria collezione di ori, argenti e pietre preziose in calici e pissidi, in busti di profeti e complessi statuari, una Collana, una Mitria e un Busto reliquario del santo, tutti di valore incalcolabile: per la preziosità e per l’arte come per la devozione, tanto che il Busto non si è potuto spostare e viene presentata una copia appositamente realizzata. Tutto il resto non aveva mai lasciato Napoli, a parte il temporaneo spostamento del Tesoro di San Gennaro al Monastero di Montecassino per dargli un riparo sicuro dalla guerra distruttrice, seguito dal miracoloso – è il caso di dire – salvataggio dalla distruzione del monastero nel bombardamento del febbraio 1943 con la preventiva evacuazione della Biblioteca e dei tesori tra cui questo, da parte dei tedeschi con la vigilanza dei frati.

Quella attuale,  invece, è una “trasferta”  non di necessità e in situazioni drammatiche, ma trionfale ed emblematica: il Tesoro è stato trasferito con una scorta di protezione e celebrato in tutta la sua magnificenza negli storici ambienti del palazzo Sciarra, una successione di sale che segna un percorso emozionante: l’emozione è data dalla devozione che si sente esserci dietro le opere esposte, dall’arte che le nobilita, dal valore insito nella loro preziosità. 

Abbiamo sentito il contrasto con la schiva sobrietà di Papa Francesco che ha tutti i segni della povertà, ma nel contempo vi abbiamo visto  una testimonianza potente della devozione ad ogni livello, dal popolo ai regnanti, che nelle varie epoche si esprimeva nella forma dell’arte  e dei materiali preziosi  come  modo di elevare lo slancio umano e terreno verso l’irraggiungibile santità.

E’ una santità che viene da lontano nel tempo, San Gennaro è un martire cristiano del terzo secolo ed è considerato non solo il patrono della città ma il suo speciale protettore.  La città nel corso dei secoli si è stretta intorno alle sue reliquie e ai suoi simboli  portando in processione le ampolle del suo sangue e il suo Busto reliquario e con manifestazioni molto particolari. Così il presidente Emanuele F. M. Emmanuele le vede nel presentare i doni preziosi del Tesoro per la prima volta fuori Napoli: “La vicenda di san Gennaro è spesso in bilico tra devozione e pregiudizio, fede e incredulità, passione e scettcismo”, e aggiunge: “Le sorti del santo e del suo Tesoro sono legate a doppio filo alla storia della città di Napoli, che chiede da sempre la sua protezione contro le pestilenze, le carestie, le catastrofi naturali e le guerre, in un reciproco processo di reciproca identificazione”. 

L’inizio della storia: il martirio di “Ianuarius”  

La storia che si è sviluppata va quindi considerata nei suoi aspetti molto peculiari, ma c’è un dato di fatto ineludibile: un culto popolare così radicato che lega la gente di Napoli sparsa per il mondo al suo santo protettore in modo indissolubile. E’ una storia movimentata,  forse le sue vicende tormentate hanno fatto considerare una conquista la vicinanza del santo, poi l’attribuzione di prodigi ha fatto il resto. Vale la pena di raccontarla per comprendere meglio perché è  nato il Tesoro.

Nel 305  il vescovo di Benevento, Ianuarius, si mette in viaggio con un diacono e un altro confratello, per una visita pastorale a Miseno dove si trova il diacono amico Sossio; all’a’rrivo vengono a sapere che Sossio con tre fedeli è stato arrestato dai soldati del governatore della Campania Dracozio, per effetto delle persecuzioni di Diocleziano contro i cristiani. Invece di tornare indietro Ianuarius cerca di entrare in contatto con le autorità per intercedere e con Sossio per confortarlo, ma viene arrestato anche lui con i due che lo accompagnano. Avrebbero salva la vita se abiurassero alla fede cristiana, ma rifiutano e vengono portati al martirio, con Sossio e i suoi tre fedeli. Erano destinati ad essere sacrificati nell’arena,  poi lo spettacolo fu sospeso, secondo una tradizione per il prodigio dei leoni divenuti mansueti, secondo un’altra per l’improvviso richiamo a Roma di Draconzio. Ma l’esecuzione non fu annullata, bensì spostata nella solfatara di Pozzuoli dove avvenne la decapitazione, raffigurata in uno stupendo acquerello del 1630 del Domenichino, esposto in mostra.  Eusebia, una  nutrice, raccolse in due ampolle il sangue che sgorgava dalla testa recisa di Ianuarius, è quello portato in processione in attesa dello scioglimento in senso augurale.

E’ una storia con molte lacune e incertezze, iniziando dal nome, oltre al cognome Ianuarius doveva avere il nome di battesimo Procopius ma non è sicuro, l’anno di nascita sembra fosse il 272, quando fu giustiziato aveva circa 35 anni ed era molto alto, sembra un metro e novanta, fu sepolto vicino al luogo dell’esecuzione nell’agro Marciano, tra la Solfatara di Pozzuoli e la conca di Agnano, dove sono stati trovati nel 1973 i resti di una cripta a lui dedicata con intorno a raggiera altre sepolture.

Le tormentate vicende delle spoglie mortali 

Tutto qui? No, la storia della devozione inizia con le vicende che tormentarono le sue spoglie mortali. Tra il 413 e il 431 furono traslate a Napoli, nelle catacombe di Capodimonte, da Giovanni I, vescovo e duca della città, che morì dopo un malore mentre pronunciava l’orazione funebre  per il martire e fu tumulato  in una cripta vicina alla sua. Intorno è nato il più grande complesso cimiteriale  paleocristiano, che prese il nome del martire, le Catacombe di san Gennaro, quindi addirittura una basilica sotterranea scavata nel tufo: Il culto, con i relativi pellegrinaggi, sarebbe stato alimentato da un prodigio avvenuto durante la traslazione della salma, dal finale movimentato.

Passano quattro secoli e nell’832 a seguito di un assedio di Napoli il principe longobardo di Benevento, Sicone I, si impadronì dei resti del santo e li portò nella  cattedrale di Benevento, dove restarono per ben due secoli, finché nel 1154 Guglielmo I “il Malo”, re Normanno di Sicilia che governava su Napoli, li portò a Montevergine, luogo più sicuro di Benevento esposta ai saccheggi. Ma il santo del luogo era san Guglielmo, mentre a Napoli cresceva il mito di san Gennaro per la presenza di altre sue reliquie. Fu Carlo d’Angiò a compiere la consacrazione definitiva paradossalmente con un atto profano: commissionò a degli orafi provenzali un Busto-reliquario in oro e argento, nel capo venivano custodite alcune ossa; si era nel 1315, quattro anni dopo Roberto d’Angiò  ordinò una teca d’argento con le ampolle del sangue perché i fedeli le vedessero insieme alle reliquie. Le spoglie mortali restarono a Montevergine, sotto l’altare maggiore, fino al 1497, allorché furono portati nel Duomo di Napoli dal vescovo Alessandro Carafa, 17 anni dopo il ritrovamento avvenuto nel 1480, a causa della resistenza opposta dai monaci del santuario.

Espressioni e motivazioni della devozione popolare

Già dal 1337 ci fu la processione, per volontà dell’arcivescovo Giovanni Orsini, prima soltanto con il Busto reliquario del santo donato da Carlo d’Angiò, poi anche con la teca recante le ampolle del sangue donata da Roberto d’Angiò.

Al 1389 risale la prima liquefazione accertata del sangue, era la festa dell’Assunta e il prodigio avvenne durante una cerimonia indetta contro la grave carestia che imperversava: secondo la tradizione la  carestia cessò e guarirono gli ammalati per gli stenti. La pestilenza del 1526-29 offrì il motivo per dedicargli una Cappella nel Duomo di Napoli appena la calamità fosse cessata: l’opera, finanziata con una vasta  sottoscrizione popolare, ebbe una lunga gestazione, i lavori iniziarono nel 1608 ma solo nel 1646 la Cappella poté essere consacrata: in splendido barocco, con statue di argento, sculture e dipinti.

Una Deputazione, istituita per realizzare la Cappella fin dal secolo XVI, ne ha la gestione, con la caratteristica che è un’istituzione laica e non ecclesiastica in quanto rappresenta il popolo napoletano; non è stata soltanto custode del prezioso Tesoro, lo ha anche arricchito nel tempo promuovendo o indirizzando le espressioni artistiche più raffinate dedicate al culto del Santo.

Il popolo napoletano ha chiesto protezione al santo in tutte le vicende e le calamità capitategli: il terremoto del 1536, l’eruzione dei campi Flegrei nel 1538, l’eruzione del Vesuvio del 1631.

Così Franco Recanatesi, consulente della mostra,  definisce il rapporto che si è venuto a creare tra il santo e i napoletani: “San Gennaro era (è) il baluardo, la speranza, il santo cui chiedere protezione. O l’amico? O il parente? E’ difficile trovare un rapporto tanto confidenziale fiduciario tra un santo e i suoi devoti”. E conclude: che tutto questo spiega perché sta il santo più venerato al mondo con 25 milioni di devoti, perché gli emigranti alla partenza e al ritorno hanno sempre salutato la sua statua nel porto, perché  la sua festa il 19 settembre è celebrata in tutto il mondo e a New York Little Italy lo festeggia per dieci giorni. Infine “perché da secoli governanti, papi, nobili e popolani lo abbiano ricoperto di doni preziosissimi fino a formare un tesoro di inestimabile valore”.

E’ il Tesoro che la mostra ci presenta e che non forse non verrebbe compreso pienamente senza ripercorrere sommariamente la storia del santo nei suoi rapporti con la città di Napoli.

La  devozione è espressa in forma tangibile attraverso “ex voto” per pericoli scampati e grazie ricevute e soprattutto, sul versante della’arte, mediante  opere preziose fatte realizzare e donate in particolare dai  sovrani, a partire dai già citati  Carlo II d’Angiò che, come si è detto,  nel 1300, mille anni dopo la morte, donò a Napoli il Busto reliquario del santo in argento dorato; e Roberto d’Angiò che commissionò la teca d’argento per le due ampolle del sangue del santo. 

Le opere sono state esposte al pubblico soltanto da dieci anni nel Museo del Tesoro di San Gennaro dove torneranno dopo la mostra romana con maggiori possibilità espositive data la realizzazione di teche blindate che  renderanno visibili nella Cappella del santo le più preziose. Sono le meritevoli iniziative legate alle mostre temporanee che migliorano la fruibilità nel tempo dei capolavori esposti: ora le teche di protezione, per lo più  i restauri per preservarli e recuperarne la bellezza.

Il Tesoro, testimonianza preziosa di arte e di devozione 

Per  avere un’idea della vastità e del valore inestimabile del Tesoro si consideri che si contano oltre 21 mila pezzi raccolti in 700 anni, quindi espressivi di un arco storico altrettanto  vasto; e che il suo valore è superiore a quello dei Gioielli della Corona d’Inghilterra e dello Zar di Russia, secondo una ricerca condotta proprio dal curatore della mostra Ciro Paolillo con una squadra di gemmologi. A differenza delle altre ricchezze che le civiltà hanno prodotto si è sempre accresciuto senza che nulla sia stato mai sottratto o venduto, come avveniva per le razzie o il finanziamento delle guerre, la sua sacralità lo ha sempre preservato mentre nell’ultima guerra ha rischiato nel trasferimento precauzionale a Montecassino ma si è salvato con la provvidenziale evacuazione che si è ricordata.

L’uscita del Tesoro di San Gennaro da Napoli non è soltanto un evento espositivo di elevato valore artistico. Il  santo, con il prodigio della liquefazione del sangue in momenti predeterminati, viene visto con un atteggiamento tra devozione e pregiudizio, fede e incredulità, passione e scetticismo, come ha detto il presidente Emmanuele. La mostra romana, quindi, scrivono i curatori Jorio e Paolillo, “è anche un modo per sdoganare, una volta per tutte, il culto di san Gennaro, relegato sino a oggi esclusivamente a leggende pittoresche e a manifestazioni di colore locale, dimenticando o non sapendo che, attorno a questa millenaria devozione, si è sviluppato uno straordinario movimento artistico e culturale, testimonianza della capacità, della fantasia, delle eccellenze che Napoli ha saputo esprimere nel corso dei secoli grazie  a uomini di cultura, artisti e artigiani invidiati in tutto il mondo”.  Alla devozione per san Gennaro si deve la nascita del Borgo degli Orefici a Napoli,  una delle più celebri tradizioni di oreficeria in Italia dove sono state realizzate alcune delle opere di maggior valore esposte in mostra.

Della sterminata collezione di oggetti  preziosi e opere d’arte  l’esposizione romana presenta una parte selezionata con i pezzi più preziosi e rappresentativi.

Attraverso le 70 opere esposte si può seguire la formazione nel tempo del Tesoro e sentirne l’importanza sul piano artistico e storico ma anche sul piano devozionale per il popolo di Napoli;

San Gennaro viene venerato nella Cappella del Duomo, e le processioni si snodano nelle vie e nei vicoli con un rituale  immutato da secoli, con  la banda musicale, le insegne delle comunità, comune di Napoli e Regione in primo luogo, gli stendardi delle congregazioni religiose, e le autorità religiose e civili. Le statue dei compatroni sono portate a spalle dai fedeli, poi segue il Busto del Santo con le ossa della testa, quindi il Reliquiario con le ampolle del venerato sangue. L’itinerario va dalla  Cappella del Tesoro al Duomo alla chiesa di Santa Chiara in piazza del Gesù, mentre inizialmente cambiava ogni volta approdando alternativamente a una delle sette maggiori basiliche di Napoli, finché la popolazione volle che terminasse all’aperto di una piazza e non all’interno di una chiesa per potersi stringere maggiormente al santo protettore così amato e venerato.

Una storia così affascinante non si può rendere a parole, del resto il curatore Paolo Jorio che dirige il Museo del Tesoro di San Gennaro ha scritto: “Definire i volti di San Gennaro e di Napoli è come asserire di essere riusciti a contare tutte le stelle dell’universo”. Nessuna pretesa, dunque, ma averne ricordato alcuni momenti fa immedesimare nel coinvolgimento che ha unito popolo e regnanti e prepara alla visita a una mostra in cui l’arte si mescola alla devozione. La visita – che racconteremo prossimamente –  oltre a una rassegna di opere d’arte e di elevato artigianato artistico, è una ricognizione su cosa può muovere una spinta così forte, nutrita da aspettative salvifiche con la ricerca di una protezione soprannaturale, originata comunque da un moto spirituale che deve far riflettere sulle pulsioni di un popolo il quale ha saputo trovare un aiuto consolatorio nelle avversità.

Sarà come attraversare i vicoli di Napoli con la processione del santo allorché le miserie della vita, non solo in  termini materiali, vengono per qualche ora dimenticate dinanzi alla ricchezza dei doni ricevuti nei secoli dal santo, i più preziosi, Mitria e Collana, ne adornano il prezioso Busto reliquario. Li vedremo nelle teche blindate che saranno donate a fine mostra per l’esposizione permanente nella Cappella, in modo che a Napoli in futuro tutti potranno ammirarne sempre la magnificenza.

Info

Museo Fondazione Roma, Palazzo Sciarra, Roma, via Marco Minghetti 22, traversa del Corso, aperto tutti i giorni:  Lunedì ore 15,00-20,00, dal martedì al giovedì e domenica 10,00-20,00, venerdì e sabato 10,00-21,00; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso:  intero 10 euro, ridotto 8 euro (fino a 26 anni e oltre 65 anni, più universitari e docenti facoltà artistiche, dipendenti MiBAC, adulto con minore, gruppi e convenzioni), scuole 5 euro ad alunno, omaggi particolari per categorie e giorni determinati. Catalogo: “Il Tesoro di Napoli. I Capolavori del Museo di San Gennaro”, a cura di Paolo Jorio e Ciro Paolillo, Skira Editore, ottobre 2013, pp. 232, formato  24×28.  Per l’evacuazione del Tesoro di San Gennaro dall’abbazia di Montecassino nel 1943 cfr. il nostro articolo in “cultura.inabruzzo.it” del 16 febbraio 2009, “Il bombardamento di Montecassino”. Per la visita alla mostra cfr. il nostro articolo dal titolo “San Gennaro, la mostra del Tesoro alla Fondazione Roma”,in questo sito il 20 gennaio 2014.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra al Palazzo Sciarra, si ringrazia la Fondazione Roma con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura la “Collana gemmata di San Gennaro”, 1679, seguono la copia del  “Busto reliquario” e “Sant’Attanasio vescovo”, 1672, di Treglia argentiere, Falcone e Fanzago scultori;  poi due busti e un’altra opera di alto artigianato artistico; in chiusura “San Michele Arcangelo”, 1691, di Vinaccia argentiere, Vaccaro scultore.