Cartier Bresson, 350 foto del ‘900, all’Ara Pacis

di Romano Maria Levante

Nel Museo dell’Ara Pacis, dal 26 settembre 2014 al 25 gennaio 2015 la mostra “Henri Cartier Bresson” presenta 500 documenti della vita e dell’arte del celebre fotografo parigino, di cui 350 immagini scattate nei suoi viaggi per il mondo a testimonianza di eventi epocali del ‘900, come di scene di vita quotidiana. Prodotta dal Centre Pompidou che ha già presentato l’esposizione a Parigi, e curata dallo storico della fotografia Clément Chéroux, è organizzatacon la Fondazione Henri Cartier Bresson da Zetema e da Contrasto,  editore del  Catalogo..  

Nel decennale della morte di Henry Cartier Bresson, è prodotta dal Centre Pompidou di Parigi e curata dallo storico della fotografia Clément Chéroux, segue molto in grande la piccola ma significativa mostra a lui dedicata, tenuta al Palazzo Incontro  nel 2010, con 60 immagini. Coincide con il decennale della morte di Helmut Newton al quale il Palazzo Esposizioni ha già dedicato una grande mostra lo scorso anno con le sue immagini soprattutto sull’universo femminile. , .

Sembra di tornare indietro nel tempo, tanto questa mostra è diversa dalle altre sui maggiori fotografi, da Steve Mc Curry a Helmut Newton, da  Doisneau a Salgado, dove venivano presentati ingrandimenti spettacolari. Qui le immagini sono di piccola dimensione, quasi si trattasse di un album di famiglia esposto al pubblico. E sono ben 350 oltre a 150 tra disegni  e dipinti, manoscritti e altro materiale prezioso di documentazione del ‘900, il “secolo breve” così denso di avvenimenti.

Sono pochissime le fotografie  a colori, che  non amava anche perché quando il colore fu introdotto non consentiva una gradazione cromatica ricca come quella dei  grigi e richiedeva tempi di esposizione più lunghi quindi inadatti alla sua visione di foto istantanea, inoltre  appariva troppo vicina alla pittura con il particolare che  per lui era un “mezzo di documentazione non di espressione artistica” . Però dal 1946 agli anni ’70 ha fotografato anche a colori ritenendola “una necessità professionale, non un compromesso ma una concessione”.

Caratteristiche  della mostra

 Le altre mostre hanno celebrato in Bresson “l’occhio del secolo” mettendo in evidenza la sua capacità di fermare l’attimo in istantanee eloquenti con il sottinteso dell’unitarietà della sua opera con questo denominatore comune. Invece “all’opposto degli approcci unificatori – si afferma nella presentazione – questa esposizione vuol dimostrare che non c’è stato un solo Cartier-Bresson, ma tanti”. Anche per questo motivo perché le immagini riflettano  al meglio i momenti in cui sono state scattate, nel lungo periodo dagli anni ’20 al 2000,  sono nel formato delle varie epoche che ne esalta le differenze anche stilistiche rispetto ad una uniformità fittizia e forzata

Il percorso espositivo si articola in 9 sezioni, e una introduttiva, e si snoda come un labirinto senza fine negli ampi spazi del Museo dell’Ara Pacis. Visitare la mostra è come fare un viaggio nel secolo scorso sulla macchina del tempo. Ad ogni sezione corrisponde una fase di attività professionale e un periodo storico, gli eventi che sono rimasti nella memoria di tutti scolpiti nell’immediatezza del loro verificarsi: vediamo immagini o alla guerra civile spagnola e alla seconda guerra mondiale, alla decolonizzazione e alla  guerra freddai e di dittatori, in una successione incalzante sala per sala.

Si inizia dalle fotografie negli anni della formazione, con le influenze degli amici americani a Parigi,  il primo viaggio che fece in Africa e quelli successivi in tutto il mondo, America e Messico,  Spagna e Italia, Germania e  Polonia.  e Messico; i reportage di guerra, dalla guerra civile spagnola alla seconda guerra mondiale;  è documentato il suo impegno politico a: New York con Paul Strand e il Nykino group, a Parigi con Jean Renoir e l’Associazione degli artisti e scrittori rivoluzionari (Aear); la collaborazione alla  stampa comunista con Robert Capa e Louis Aragon; le guerre, da quella civile spagnola resa in un film alla seconda guerra mondiale, ai documenti sulla resistenza e sul ritorno dei prigionieri come prigionieri, il lavoro per l’Agenzia Magnum, con i reportage in Cina e in India, con la morte di Gandhi, in Urss dopo la morte di Stalin, a Cuba nella crisi dei missili .  

Le sezioni, oltre a seguire la cronologia degli eventi, isolano aspetti peculiari della sua arte fotografica, come scelta dei soggetti e modalità espressive, citiamo  i temi “L’uomo e la macchina” e la serie “Vive la France”, fino alla “Fotografia contemplativa”..Raccontiamo la mostra ripercorrendo la sua vita e soffermandoci su questi aspetti: ogni fase da noi rievocata è documentata da un ricco campionario di immagini, che non possiamo citare dato il gran numero, oltre 350,  ma basta evocare gli eventi per immaginare la puntuale documentazione  nell’immediatezza del “momento decisivo”. C’è anche una galleria di grandi personaggi,  a livello politico come Gandhi e Nixon, letterario come William Faulkner e Truman Capote, Jean Paul Sartre ed Ezra Pound, artistico come Marcel Duchamp e Henry Matisse, John Huston e Marilyn Monroe, Igor Stravinsky,  mondano come Coco Chanel, fino allo scienziato dell’atomica Robert Oppenheimer..

Sono stati previsti anche dei percorsi storico-iconografici nel periodo della mostra, sulla fotografia come racconto del quotidiano e la fotografia di guerra, la fotografia e il ritartto, la fotografia del viaggio. , 

 Il percorso di vita e  l’arte fotografica nella prima fase 

Nato in Francia e fotografo francese a tutti gli effetti, è diventato “cittadino del mondo”, antesignano del  foto-giornalismo, testimone e interprete del novecento, tanto da essere chiamato “l’occhio del secolo”. Usava una Leica, leggera e maneggevole, per mescolarsi tra la gente e poter cogliere l‘”istante decisivo”, l’attimo fuggente da fissare sulla pellicola, si trattasse di un evento o di un fatto senza alcun valore in sé ma che lo acquista con lo scatto creativo del fotografo. Per questo viene ritenuto il precursore della “street photography” con una tecnica definita “snap shooting”, la spontaneità prevale sulla tecnica.. Non si esaurì in questa caratteristica, sarà suo anche un tipo di fotografia detto “contemplativo”; inoltre anche negli scatti “casuali”  la sua non era improvvisazione, lo vedremo ripercorrendo la sua formazione e la sua tecnica fotografica.

Nel rievocare i  principali momenti della sua lunga attività  ad altissimo livello va considerando che in aggiunta a quella professionale imperniata su reportage, ritratti e servizi su commissione, vi è quella che viene chiamata “antropologia visiva”, fatta di “combinazione di reportage, filosofia e analisi (sociale, psicologica e altro)”: un’attività personale, a latere di quella ufficiale,  che nasce dagli stimoli ricevuti nel corso del suo lavoro a   fotografare soggetti particolari fino a compiere vere e proprie inchieste suggeritegli dalle circostanze, quale che fosse il suo impegno del momento. “Sono visivo – diceva –  Osservo, osservo, osservo. E’ con gli occhi che capisco”. ,

In tal modo la galleria di immagini esposte, in una cronologia ricca  e stimolante  che si associa alla organizzazione tematica, nel fare la storia del grande fotografo fa anche la storia del secolo che ha rappresentato e documentato in modo così penetrante.

“L’opera fotografica di Cartier-Bressom – così viene presentata la mostra – è il prodotto di un insieme di fattori combinati: una certa inclinazione artistica, un assiduo apprendistato, un po’ di atmosfera del periodo, aspirazioni personali, molti incontri”. Ne daremo  qualche indicazione, dopo aver precisato che nella sua attività si possono evidenziare tre periodi fondamentali: il primo, negli anni della formazione, tra il 1926  e il 1935,  con l’influenza dei surrealisti francesi, l’inizio dell’attività fotografica e i primi grandi viaggi; il secondo negli  anni intorno alla seconda guerra mondiale, dal 1936 al 1946 con il suo impegno politgico, anche con la stampa comunista,  el’esperienza del cinema; il terzo, dal 1947 al 1970 con la creazione dell’Agenzia Magnum fino al termine dell’attività.

Ha iniziato con la pittura per la quale ha sempre avuto una vera passione; “Da bambino. Ha scritto, la facevo il giovedì e la domenica, ma la sognavo tutti gli altri giorni”. Adornava le sue lettere con disegni e si dilettava a fare schizzi fino a riempirne interi album. I più vecchi suoi dipinti sono del 1924, a 16 anni – era nato nel 1908 – lo stile si ispira a Cèzanne. Dipinge presso Jacque-Emile Blanche, poi entra nell’Accademia di Andrè  Lhote,  la geometria è al centro dei suoi  insegnamenti e lo affascina; i suoi dipinti del 1926 e 1928 ne sono influenzati. Applica i principi del “numero d’oro” nel 1931 legge il libro di Matila Ghyka diviene molto attento alla composizione.

Quindi grande amore per l’arte e amici artisti, anche americani, Julien Levy lo interessa alla composizione, con Caresse e Crosby, Gretchen e Powel scopre  la Nuova visione e le fotografie di Eugene Atget, pubblicate sulla rivista dei surrealisti, che erano colpiti daL loro carattere enigmatico, l’intera collezione fu acquistata da Levy alla morte di Atget nel . 1927. Le prime foto di Cartier Bresson si ispirano ai soggetti di Atget, come  manichini, vetrine, insegne, mucchi di merci.

E’ il 1930, ha terminato il servizio militare, va in nave in Africa, prima in Costa d’Avorio ma ancora non è attratto dalla fotografia pur se è fornito di  macchina fotografica; al ritorno da quel viaggio scatta l’attrazione fatale dopo aver visto una fotografia di Martin Munkacsi che gli fece “venir voglia – sono le sue parole – di guardare la realtà attraverso l’obiettivo”.. Visita anche  Cameron, Togo e Sudan, va lungo il Niger. Scatta molte immagini senza indulgere all’esotismo  che disprezza come “detestabile colore locale”, riprende i bambini che giocano e gli uomini che lavorano, remando o scaricando le navi, vuole rappresentare la vita quotidiana e va a caccia, raccoglie maschere e feticci, legge libri sull’Africa, vuole vivere la vita del continente.

L’esperienza è stata determinante per  farlo dedicare alla fotografia, nell’estate del 1931 raccoglie le immagini scattate in Africa con  le migliori  degli anni ’20 in un raccoglitore rudimentale, il “First album”. Poi con un amico si mette in viaggio per l’Europa, Germania, Polonia, Ungheria, quindi  Francia meridionale, Italia, Spagna.

La sua prima macchina fotografica impegnativa è  una Leica 35 mm con lente di 50 mm che manterrà a lungo, preferirà sempre la leggerezza e la maneggevolezza rispetto alle macchine più ingombranti per mescolarsi tra la gente

Ha anche un’importante esperienza  nel cinema,  assistente del celebre regista francese Jean Renoir in due film nel 1936 (“La vie est à nous” e “Una partie de campagne”), dopo i quali nel 1937 è lui stesso regista del film “Return to life”; tornerà nel 1939 ad assistere Renoir in “La régle du Jeu”. Anche qui il suo impegno nella rappresentazione della realtà con forte sensibilità politica.  .

Ha conosciuto nel 1934 un intellettuale polacco, fotografo anch’egli, David Szmin che cambierà il nome in Sevmour, con cui ha una forte sintonia culturale, l’amico gli presenterà Robert Capa, un fotografo ungherese allora sconosciuto il cui nome era Endré Friedmann.

Fotografa ispirandosi alla “Nuova visione” , sorta con il costruttivismo russo, con attenzione alle inquadrature dall’alto o dal basso . Spesso individuava lo sfondo più adatto sulla base  della sua struttura geometrica, e di quanto lo rendeva già interessante, ciò che Lhote  chiamava “schermo”,  a volte un semplice muro, e attendeva  che  la scena si animasse con  persone interessanti in modo che si formasse quella che chiamava “coalizione istantanea”,  da lui ripresa prontamente:  ne derivava una composizione in parte casuale ma in parte attentamente studiata secondo leggi geometriche e sceniche ben precise.

E’ un periodo, fino al 1935, in cui frequenta i surrealisti, tra cui l’amico  Max Ernst e realizza collage. Viene affascinato da Bréton, che suggeriva di chiudersi  alle sollecitazioni esterne in modo da poter  far emergere l’inconscio, il “modello interiore”. Per questo nelle sue fotografie di allora i soggetti hanno sempre gli occhio chiusi, secondo l’iconografia surrealista che voleva le palpebre abbassate, visi dormienti e sognanti, c’è una sua immagine del 1926 molto significativa. Aggiungeva elementi contestuali che proiettassero all’esterno i moti interiori dei soggetti.

I surrealisti facevano ben altro nella pittura, sfiguravano  le sembianze umane con deformazioni esasperate, distorsioni, frantumazioni, raddoppi. Lo fa anche lui con la fotografia  mediante  deformazioni prospettiche dall’alto o dal basso, appiattimenti, e altri accorgimenti;  su ogni soggetto, anche negli autoritratti, come visti attraverso uno specchio deformante.

Vedremo prossimamente come da questo inizio prende avvio una vita professionale che ne farà l'”occhio del secolo”  per la sua capacità di rendere i “momenti decisivi”, si tratti di eventi di portata storica come di momenti semplici ma non per questo banali, con l’immediatezza di uno scatto fotografico tale da fissare la realtà nel momento in cui avviene ma non senza una visione di natura compositiva e contenutistica che la mostra cerca di rendere con un’attenta ricostruzione.  

Info

Museo dell’Ara Pacis, Nuovo spazio espositivo Ara Pacis, Via Ripetta, Roma.    Da martedì a domenica ore  9.00-19.00, lunedì chiuso; la biglietteria chiude un’ora prima; il venerdì e sabato per l’intera durata della mostra, prolungamento dell’orario di apertura, del solo spazio espositivo (Via di Ripetta), fino alle 22.00 (ultimo ingresso ore 21.00). Ingresso  solo mostra “Henri Cartier-Bresson” (ingresso da Via di Ripetta)  Intero € 11,00, ridotto € 9,00 (meno di 26 anni e oltre 65 anni e particolari categorie).  Il secondo articolo sarà pubblicato in questo sito prossimamente. Per le mostre dei grandi fotografi citati, Rodcenko e McCurry, Salgado e Doisneau, cfr. i nostri articoli in www.visualia.it., dove abbiamo pubblicato anche un articolo sulla precedente mostra di Cartier Bresson al Palazzo Incontro, con un gruppo di  circa 50 fotografie accompagnate dal commento dell’autore.   

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante all’Ara Pacis all’inaugurazione della mostra, si ringraziano gli organizzatori con il Center Pompidou e  i titolari dei diritti, in particolare la Fondazione Henri Cartier Bresson per l’opportunità offerta. Le immagini sono riportate in ordine alterno tra eventi, come la pira con il corpo di Gandhi, le grandi sfilate, e i personaggi, come Giacometti e  Sartre; e le scene di vita quotidiana con persone sconosciute colte sul momento.