Kerim Incedayi, 50 miraggi tra Roma e Istanbul, al Macro

di Romano Maria Levante

La mostra “Timiu Kerim Incedayi. Roma e Istanbul, sulle orme della storia”, espone al Macro di Via Nizza a Roma, dal 30 gennaio al 1° marzo, 50 dipinti  improntati  a una suggestiva classicità, un terzo dei quali con visioni, come miraggi, di Roma, un terzo di Istanbul insieme ad antiche  sculture romane,  reperti e  simboli islamici, in un sincretismo delle due civiltà all’insegna dell’arte, in un’atmosfera tra il sogno  e il ricordo. Promossa dall’Assessorato alla cultura di Roma Capitale e dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali, con il Ministero della cultura e del Turismo della Turchia e la collaborazione dell’Ambasciata turca a Roma. Catalogo  con note critiche di  Maurizio Calvesi e Maurizio Marini.

La mostra  è molto di più di un’esposizione di opere raffinate  e suggestive, è una dimostrazione, sul versante dell’arte, di come siano temerarie e lontane dalla realtà le concezioni sulla guerra di civiltà, che vorrebbero contrapporre, in un insanabile conflitto, la civiltà islamica a quella occidentale.

Il percorso artistico e di vita dell’autore

E’ una dimostrazione di come siano infondate  tali concezioni  anche la vita dell’autore, prima che le sue opere.  Nato nel 1942 a Istanbul, dove compie gli studi fino alle superiori,  per l’Università si iscrive a 19 anni a Milano alla facoltà di architettura, ma l’anno dopo sente l’attrazione irresistibile di Roma dove si iscrive all’Accademia delle Belle Arti, frequentata anche da turchi e iraniani, siamo nel 1962. Si  avvicina alla pittura, anche in contatto con Guttuso, Maccari e Montanarini. Il suo impegno è tale da meritare una medaglia d’oro nel 1966 al termine degli studi. Il matrimonio del 1968 lo lega definitivamente a Roma, dove si trasferisce stabilmente.

Vive la temperie artistica della città, tra pittura e cinema, letteratura e teatro, collabora con Zeffirelli per i costumi  e le scenografie dei “Pagliacci” e “Cavalleria Rusticana” al Metropolitan di New York e con i registi Agosti, Ponzi e Triana Arenas per la parte artistica dei loro film “N.P. Il segreto”, “Equinozio”, “Giovanna 7”. Partecipa a mostre collettive a Roma, Milano e Ginevra, in Turchia e negli Stati Uniti, è presente alle Quadriennali di Roma del 1965 e 1969, nel suo studio romano si incontrano artisti italiani e stranieri.  Tra il 1973 e il 1975 le prime mostre personali  a Milano, Roma e Bologna.  

I soggetti dei suoi quadri  in questo periodo si ispirano all’industrializzazione, operai e macchinari, telai e ingranaggi da “Tempi moderni”,  c’è il senso di oppressione dello sfruttamento del  lavoro e anche la grandiosità incombente della tecnologia e dell’industrialismo. 

Questa pittura, commenta Maurizio Calvesi, “già lasciava trasparire un desiderio di bellezza attraverso le maglie del ?mostruoso’ meccanico e soprattutto del fantastico”.  E cita l’interrogativo che si poneva  De Micheli : “Perché  non è possibile che una tale bellezza cessi di essere paurosa e una tale efficienza di essere oppressiva? E’ questa la domanda che sembra si debba intuire nelle forme urbane, nelle strutture, negli strumenti che Incedayi disegna e dipinge con tanta evidenza”.

 E’ l’evoluzione degli anni ’80, in cui cerca di realizzare l’ideale di bellezza, sono parole di Calvesi, “nella rivisitazione del  passato, invertendo la prospettiva già indirizzata verso il futuribile, ovvero proiettando nel futuro la necessità di un recupero umanistico e classico”.

Nel  1987 fonda il  movimento “Metropolismo”, con Paladini, Sciacca e Grippo,  sostenuto dal  critico Bonito Oliva, come anello di congiunzione tra la fase precedente  e quella successiva, “citazioni di quadri e di sculture del passato convivono con altre di griffe di prodotti correnti”, ha scritto Bonito Oliva. Ma  presto invece delle griffe prese dalla contemporaneità alle citazioni classiche occidentali affiancherà l’Oriente, “in un accostamento che elimina ogni contrasto  per suggerire, piuttosto, una magica simbiosi della memoria”, sospesa “tra sogno e ricordo”.

Sono parole di Calvesi  che descrive così la sua evoluzione artistica: “Allora l’incubo può serenamente rovesciarsi in sogno, sostituendo allo spasimo del presente la dimensione della nostalgia, del ricordo, della contemplazione; attivando la lontananza del tempo e dello spazio, ovvero delle proprie origini tanto storiche quanto geografiche, in una vicinanza di cui la pittura si fa tramite e strumento; contrapponendo all’Occidente l’Oriente ma anche fondendo Oriente ed Occidente in un  leggendario ideale di bellezza”.

Non ci può essere migliore descrizione di quanto emerge  dalla mostra, in cui circa 50 opere esprimono la fusione tra Oriente ed Occidente nel segno della bellezza. Una fusione che ha rappresentato anche la cifra della vita dell’artista, trapiantato a Roma ma con frequenti ritorni a Istanbul,  la città cerniera tra Oriente ed Occidente con il suo “Corno d’oro”. Per questo l’artista ha rappresentato un ponte tra Roma e Istanbul, tra Oriente e Occidente, come il Corno d’oro.

Le opere in mostra

Una visione d’insieme dà la sensazione che i monumenti di Roma e le moschee di Istanbul siano come dei miraggi galleggianti in una lontananza dai connotati del sogno e della memoria.  Non sono le uniche immagini nei dipinti  e neppure quelle in primo piano, anzi appaiono come in dissolvenza,  ma ciononostante acquistano un rilievo assoluto.

I primi piani sono statue classiche, capitelli e reperti di vario tipo, in grande evidenza, segni di una classicità in cui Oriente ed Occidente si uniscono e si fondono. L’artista riesce a creare un’atmosfera onirica e contemplativa, con le sue composizioni, dai cromatismi delicati imbevuti nel grigio degli sfondi.

Delle 50 opere esposte, tutte tra il 2013 e il 2014,  un terzo presenta  monumenti di Roma, un terzo moschee di Istanbul e l’altro terzo figurazioni senza richiami monumentali. Cominciamo da queste ultime, con figure orientali e della classicità romana.

Senza richiami monumentali

Tra le opere con figure orientali  “Solimano il Magnifico”, una sorta di polittico islamico con al centro la figura del profeta, e “Ermafrodito”, il nudo disteso  a terra è sovrastato da una forma orientale con al centro un’aquila.

La ritroviamo in “Il nido dell’aquila“, iscritto in un portale orientale.  In “Alessandro il grande”  un altro animale , una tigre appoggiata a un rudere con un bassorilievo; mentre “Alexander” presenta la testa scultorea dell’imperatore con un  ramoscello dalle bacche rosse su una sorta di capitello con iscrizioni orientali e rilievi occidentali.

Anche “Eros” è  una composizione in cui spicca il rilievo scultoreo, sopra al quale un ventaglio di ali, forse ancora l’aquila; e “L’approdo di Enea”,  con il vascello sballottato dal mare in tempesta e il busto scultoreo in primo piano quasi un nume protettivo; il busto, questa volta acefalo, non manca neppure in “L’Atelier”, quasi una composizione metafisica con “il quadro nel quadro”.; mentre “Melograno nel segno della continuità” colloca tre frutti  su una base scultorea a forma di cavallo tipicamente romano ma con un motivo orientale che spicca nel cromatismo celeste e blu.

Un cavallo, disteso, è la figura compresa in una sorta di teca in ” 1453 d. C. Bisanzio”.   Mentre “Uno sguardo nell’Harem” presenta sulla destra un nudo realistico, anche se atteggiato a scultura, vicino a una sorta di totem con iscrizioni orientali. “Ricordo di Efeso”  mostra una Madonna  con Bambino  inserita quasi fosse un ex voto, su una pietra che fa da piedistallo a un torso scultoreo. 

Descritte per sommi capi le opere senza le immagini in dissolvenza dei templi, passiamo a quelle con i monumenti dall’antica Roma, sempre con la caratteristica, che è un sigillo dell’artista,  delle sculture in grande evidenza.

Le opere con i monumenti di Roma

In “La prima Roma”, a sinistra del torso scultoreo ci sono i ruderi di un colonnato e dietro si intravedono edifici monumentali in dissolvenza , forse il Colosseo.”Il Grifo” e “Quo vadis” presentano le cupole di Roma sullo sfondo e le solite forme scultoree in primo piano, con l’animale alato  nel primo e la mano di Costantino con il dito indice verso l’alto nel secondo.

“Castel Sant’Angelo I e II” presentano l’edificio monumentale dalla forma circolare in uno sfondo corrusco e una scultura acefala sulla sinistra il primo, una composizione scultorea sulla destra con ampio basamento dalla superficie coperta da rilievi il secondo.  Lo stesso edificio in lontananza sullo sfondo di “Tauromachia”, in primo piano la scultura con la figura alata che agguanta il toro.

Lo ritroviamo in “Roma.Composizione I”, su due livelli, in quello inferiore l’edificio monumentale circolare sulla destra e la Basilica di San Pietro a sinistra, mentre nel livello superiore  una Madonna bizantina e una scultura con uno scorcio laterale appena riconoscibile del Colosseo. Quest’ultimo è invece in bell’evidenza in “Roma. Composizione II”,  sempre su due livelli, sopra due busti scultorei e un altro tempio.  

Una scultura dominante sulla sinistra anche in “Il discobolo”, infatti è la ben nota immagine dell’opera di Mirone, a destra c’è il Pantheon; “Pantheon” è una composizione molto particolare, il tempio è meno evidente che nell’opera precedente, a fianco una grande ciotola circolare rivestita di  piccole forme scultoree, sotto una tigre, tornano gli animali; mentre viè una base scultorea sulla destra di “Il tempio di Vesta”.

“Roma , l’Arco di Trionfo”, si differenzia dagli altri, in primo piano l’Arco, dal quale si vede in lontananza la cupola, sembra la visione di San Pietro che si ha da  un ben noto osservatorio della capitale. Con “Il Ponte rotto” l’artista ci presenta il tratto di ponte sullo sfondo con un rilievo scultoreo in primo piano e un capitello. In “La luna nascente”, addirittura, la piccola cupola si trova ai piedi della grande statua femminile acefala del tutto dominante.

Le opere con le moschee di Istanbul

E siamo giunti alla opere nelle quali sono inserite le moschee di Istanbul, che appaiono come in un miraggio in un clima onirico e trasognato,  quasi sempre in sfondi lontani.

“Dai tesori di Bisanzio”, inserisce l’immagine della moschea in un piccolo quadro appoggiato al piedistallo della testa scultorea di un cavallo. “Sulle rive del Corno d’oro” è una composizione in cui ai due lati di un capitello che si staglia in primo piano con ruderi e fiere, due moschee si intravvedono molto in lontananza quasi inghiottite dalla nebbia.

Anche in “Istanbul. Il Corno d’oro” e  “Istanbul. Sulle rive del Corno d’oro”, le cupole sono molto lontane, si distinguono appena, inserite in composizioni con capitelli e animali, la tigre nella prima, il cavallo nella seconda; così in “Civiltà sul Corno d’oro”, pur essendo la moschea ben visibile, è come se galleggi nella nebbia, mentre in primo piano il pesante capitello con antiche scritte in un mescolanza di simboli orientali e occidentali..

Lo stesso per “Torre di Galata” e “Moschea di Solimano”, anche queste ben visibili nello sfondo, sculture e capitelli in primo piano. In “Moschea Ortokoy” sopra al consueto capitello invece delle sculture  c’è del vasellame.

 “Uno sguardo dall’harem” ha una struttura analoga  a”Roma composizione”, nel livello inferiore ora ci sono le moschee ben visibili, sopra un capitello, una scritta orientale, e lo stesso nudo statuario di “Uno sguardo nell’harem”. ‘Anche in “Tramonto sul Corno d’oro”, al livello inferiore ci sono le moschee, sopra motivi orientali.

Nelle due composizioni “Istanbul nel mare della storia I e II”, sempre  capitelli e sculture in primo piano, qui anche una flottiglia di barche, le moschee sono ben visibili.

E siamo giunti alle ultime visioni delle moschee, sempre più vicine. “Istanbul XVII secolo” presenta la moschea incorniciata in una scritta orientale,  “Dal ponte di Galata”  sembra  una inquadratura presa sul posto. Ora  tutto è nitido e ben definito, scomparsi capitelli e sculture, ècome se dai ricordi si passasse alla realtà.

Alcuni giudizi

Dopo questa carrellata delle opere esposte qualche autorevole giudizio critico. Così Calvesi: “Nelle atmosfere venate di dissolvenze, ora nel grigio ora nell’oro i folgoranti tramonti, le forme delle statue, delle anfore e dei vasi, delle maioliche e dei vetri si calano come animate da un soffio di magia”.  Ed ecco perché: “La densità culturale dei riferimenti si scioglie morbidamente nella naturalezza di questo flusso di ricordi che affiorano dal sentimento.  Tutto rivive, con il mito, in quel soffio di  magia  che al mito è congeniale e che è anche un trasporto d’amore”.

E Maurizio Marini: “Scultura nella pittura, pittura nella pittura, astrazione di cose non dette, momento al limite dell’onirismo, che si scopre come iconologia della realtà  di un immaginario, tutto questo ed altro ancora; è il ?cantico visivo’, l’ ?ekphrasis’ che Timur dedica alle sue radici”. Per concludere: “La pittura odierna di Timur Incedayi è quindi preziosa e misteriosa, reale e metafisica, fissa e dinamica come le stelle, avendo egli riallacciato quella corda armonica che da sempre, senza dissolvenze,  unisce il vicino Oriente all’Europa più raffinata: Roma e Costantinopoli, Bisanzio e Istanbul”.

Ci sembra la migliore conclusione del viaggio ideale che ci ha portati dalle rive del Tevere al Bosforo,  da Roma a quella che fu chiamata “La nuova Roma”,  perché sottolinea l’aspetto che ci è sembrato più importante, con cui abbiamo iniziato questo resoconto. Il sincretismo delle civiltà, la loro compresenza resa con un’efficacia straordinaria dalle immagini oniriche dei monumenti i Roma e delle moschee di Istanbul compresenti nell’artista come dovrebbero esserlo in tutti coloro che sentono il portato della cultura, dove non vi sono steccati e tanto meno contrapposizioni.

Mai come in questa occasione abbiamo avuto modo di toccarlo con mano, anzi di vederlo con gli occhi, cosa ancora più importante nel momento che stiamo attraversando un periodo storico percorso da tensioni e anche da orrori con il rischio di una escalation per una visione falsa dal lato religioso, civile, umano, che va contrastata con decisione. E questa mostra lo fa con la voce dell’arte.

Info

Macro, Via Nizza 138, Roma. Da martedì a domenica, ore 11,00-19,00; sabato ore 11,00-22,00m(la biglietteria chiude un’ora prima), lunedì chiuso. Ingresso intero 14,50 non residenti e 13,50 residenti, ridotto 2 euro in meno. Tel. 06.671070400, http://www.museomacro.org/. Catalogo: Timur Kerim Incedayi, “Roma e Istanbul, sulle orme della storia”, Edizioni CieRre”, gennaio 2015, pp. 128, formato 28 x 24, bilingue italiano e inglese, tra gli altri testi di maurizio Calvesi. Dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo.  Cfr. in questo sito i nostri articoli sulle mostre di artisti turchi all’Ufficio culturale della Turchia in Piazza della Repubblica a Roma, in particolare: “Tulay Gurses  e la mistica di Rumi”   21 marzo  2013, “Ilkay Samli e i versetti del Corano” 2 ottobre 2013, “Permanenze. Ricordi di viaggio di nove artisti italiani”  9 novembre 2013,Yildiz Doyran e lo ‘slancio vitale di Bergson”‘  29 gennaio 2014, sul Festival  del film Turco a Roma 27 settembre 2013; inoltre i nostri articoli su “Istanbul, la nuova Roma, alla ricerca di Costantinopoli” 10,13, 15 marzo 2013. 

Foto

Le immagini sono state riprese nel Macro di via Nizza alla presentazione della mostra, si ringraziano gli organizzatori, in particolare il Macro, le organizzazioni capitoline e  l’Ambasciata turca, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta.   In aperura, “Melograno nel segno della continuità”, 2014; seguono 3 immagini con i monumenti di Roma, poi 3 immagini con le moschee di Istanbul; in chiusura, alcune opere in mostra lungo una parete..