Barocco, la “meraviglia delle arti”, alla Fondazione Roma

di Romano Maria Levante

Al Palazzo Cipolla al Corso, la mostra promossa dalla Fondazione Roma,  “Barocco a Roma. La meraviglia delle arti”, aperta dal 1°  aprile al 26 luglio 2015, presenta 200 opere, tra disegni e dipinti, sculture e oggetti  sull’ “universo barocco” , lo stile aulico e pervasivo nella vita del 1600. Attraverso progetti e studi, bozzetti e piante, vengono  ricostruite anche  le fasi preparatorie della trasformazione della città sotto il profilo urbanistico, nel versante sacro e profano, in una grandiosa scenografia teatrale. Per questo  sono collegati alla mostra tour tematici e percorsi barocchi, con 10 conferenze   tra il 9 aprile e il 10 giugno, due concerti in chiese suggestive, un “Officium Defunctorum” per Borromini  e una “Missa” in gregoriano; il tutto , in un sistema innovativo di diffusione nel territorio, del quale la mostra è il centro propulsore. E’  organizzata dalla Fondazione-Roma-Arte-Musei,   a cura di Maria Grazia Bernardini e Marco Bussagli come  il monumentale catalogo Skira, con  20 saggi sui diversi aspetti del Barocco.

La mostra è un’ulteriore tappa, particolarmente importante, dell’accurata ricostruzione storica e artistica incentrata sulla città eterna,  promossa dalla Fondazione Roma,  iniziata nel 2008 con “Il ‘400 a Roma. La rinascita delle arti da Donatello a Perugino”, sviluppatasi  nel 2010-11 con “Roma e l’Antico. Realtà e visione nel ‘700” e nel 2011-2012 con “Il Rinascimento a Roma. Nel segno di Michelangelo e Raffaello”; sempre a Roma, a Palazzo Venezia,  c’è stata nello stesso 2011-12  la mostra “Roma al tempo di Caravaggio”,  con i seguaci di Caravaggio e Carracci, un conftronto tra espressioni diverse come i grandi capostipiti.

Il presidente della Fondazione, Emmanuele F. M. Emanuele, lo sottolinea nel segno della continuità ponendo però l’accento sull’innovazione di quest’anno favorita dalla pervasività del Barocco: all’esposizione è collegata un’operazione culturale di ampio raggio che ne fa il centro dal quale si irradiano gli eventi satelliti, come dal sole vengono illuminati i pianeti che vi orbitano intorno. E sono, oltre alle manifestazioni culturali collegate alla mostra,  le altre “location” dove è possibile ammirare le realizzazioni barocche, la cui importanza è particolarmente rilevante essendo  la grande architettura scenografica, la caratteristica inconfondibile e il  pregio indiscusso del Barocco.

A tal fine sono state mobilitate le istituzioni culturali pubbliche e private, ecclesiastiche e laiche, tra Roma e il Vaticano, “facendo finalmente ‘sistema’ – afferma Emanuele –  destinato a fungere da modello strategico per la politica culturale, che non può fare a meno di riconoscere gli effetti positivi derivanti dalla lettura del patrimonio come risorsa indispensabile per la crescita economica del paese”. Con  il “duplice obiettivo: da un lato valorizzare la storia dell’arte a Roma; dall’altro mostrare l’influenza che questa ha esercitato nel mondo da cui, a sua volta, si è lasciata ispirare”.

Ciò premesso, passiamo ad inquadrare la mostra che Emanuele definisce “epocale”, iniziando con i veri artefici della  rivoluzione del barocco, gli artisti e i Pontefici che li hanno mobilitati in base a intenti ben precisi espressi  in una forma stilistica spettacolare manifestata nei vari generi artistici.

I grandi protagonisti del  Barocco: artisti e pontefici

Urbano VIII  Barberini ha dato  il massimo impulso,  ambizioso e pieno di iniziative, tra il 1623 e il 1644 con le sue committenze trasformò Roma nella “città delle meraviglie” del barocco,   basti  pensare alle opere commissionate a Bernini per la Basilica di San Pietro; Innocenzo X  Pamphili, dal 1644 al 1655,  in particolare affidò al Bernini la trasformazione di Piazza Navona con la sistemazione della Fontana dei Tre Fiumi, simbolo del barocco; Alessandro VII Chigi, dal 1655 al 1667  raggiunse il culmine con lo spettacolare colonnato di Piazza San Pietro opera del Bernini.  

L’urbanistica romana viene rinnovata  trasformando la città in un “vero e proprio teatro a cielo aperto, animato dalle chiese, dai palazzi aristocratici,  e dall’arredo urbano dove il bello fa tuttora meraviglia”, commenta Emanuele non riuscendo a trattenere la sua ben nota dedizione per Roma.

Anche sulla pittura il suo giudizio è encomiastico, parla di opere “tese a rapire l’osservatore in un vortice di luce e di meraviglia, che trova nel cielo e negli astri il trionfo festoso della vita”: sono parole riferite alle “acrobazie di Bacicco”,  ma  evocano anche il coinvolgimento che si prova dinanzi alle opere di Guido Reni e Domenichino, Rubens e Poussin, Guercino e Sacchi, nell’incontro tra lo stile che si ispira ai Carracci e quello ispirato a Caravaggio, la sintesi creativa dei  due opposti, per così dire, che determina “l’incredibile sviluppo della pittura”; senza dimenticare l’impronta di base dei due grandissimi, Michelangelo e Raffaello.

La meraviglia delle arti

Non finisce qui, il Barocco è pervasivo, va oltre le tre forme d’arte classiche, architettura, pittura, scultura, nelle grandi committenze pubbliche; investe anche l’arredo domestico nelle diverse forme, che attraverso il Barocco fa entrare l’arte nella vita quotidiana. Inoltre, per la trasformazione dell’urbanistica cittadina in un teatro a cielo aperto non poteva mancare l’interesse per l’astronomia e per il paesaggio naturale della campagna che ne sono il fondale incomparabile.

Il titolo della mostra intende riassumere tutto questo  aggiungendo al “Barocco a Roma”  la qualifica “la meraviglia delle arti”. I curatori Maria Grazia Benardini e Marco Bussagli ne spiegano il motivo: “Vuole porre l’accento sulla volontà di stupire che è propria del Barocco: il suscitare meraviglia, declinato tanto per argomenti profani, tanto per quelli religiosi e talora mistici è, dalla cultura barocca, considerato infatti un percorso di crescita e di didattica che ha come fine ultimo la conoscenza dell’Uomo, nel primo caso, o, nel secondo, di Dio”.

Con il termine “barocco”, in realtà, si comprendono una serie di movimenti e tendenze della prima parte del ‘600 anche con notevoli differenze, ma convergenti  nella visione d’insieme che si distacca del tutto da quella rinascimentale, di esaltazione della bellezza come mezzo per arrivare fino a Dio. “Ora nell’epoca Barocca – osserva la Bernardini – il fine era quello di dare espressione  al pathos, al sentimento, ai tormenti dell’anima, di suscitare l’emozione, di raffigurare il rapimento mistico”, e in proposito pone a confronto il David di Michelangelo, “assertivo e sicuro di sé, consapevole della superiorità dei valori civili e umani”, e il David di Bernini, “che traduce nell’espressione i sentimenti di fatica e di tensione che lo animano”. 

Il  dare rilievo a pathos e sentimenti aveva una motivazione profonda:  “L’elaborazione di un nuovo linguaggio artistico che doveva far presa sul pubblico, che lo coinvolgesse emotivamente, lo rapisse e lo immergesse nella scena raffigurata”; e questo anche  “per trasmettere quel generale sentimento di devozione, di anelito al divino, di accesa spiritualità, di esaltazione e ascesi mistica”. Così l’arte diventa “il mezzo più efficace per diffondere il messaggio cristiano, il credo cattolico”.

Le radici del Barocco

Il Barocco incarna la nuova posizione della Chiesa, non più arroccata all’insegna della semplicità di vita nella difesa contro le eresie ma proiettata verso la diffusione sempre più vasta  del credo religioso verso i cattolici e non solo. Viene utilizzata  a tale scopo l’arte e Roma è il centro privilegiato di tale strategia; protagonisti  gli artisti, dai Carracci a Guido Reni, che rendono l’atteggiamento devozionale e la ricerca del divino, con l’uomo proteso verso la dimensione  sacra.  

Nel presentare “le radici del Barocco”, la 1^sezione della mostra, la curatrice sottolinea il ruolo dell’arte classica, in particolare greco-romana, citando in particolare Bernini e Pietro da Cortona;  non crede all’antitesi tra la corrente barocca di Bernini, Borromini e Pietro da Cortona e quella classicista di Domenichino e Sacchi, Poussin e Algardi.  E attribuisce esplicitamente a Bernini “il ruolo di grande e principale protagonista dell’arte barocca, colui che è stato capace di realizzare capolavori assoluti, di interpretare in modo originale e geniale la nuova  sensibilità spirituale, di imprimere a tutta la città di Roma  il volto nuovo, di unificare il linguaggio”; anche nella pittura oltre all’architettura.

L’inizio del ‘600 è segnato dalla presenza dei due grandi, Caravaggio e Carracci, così diversi nel rappresentare il sacro, ma  in grado di colpire ed emozionare con il pathos delle rappresentazioni:  legate all’umanità povera e umile in Caravaggio, ad una profonda religiosità nel trionfo della fede in Aannibale Carracci, del quale è esposta “Santa Margherita”, 1599, che nell’ampio gesto, nella ricchezza dell’abito e del colore anticipa il Barocco.  

Il nuovo secolo è segnato anche dall’arrivo di  Paul Rubens, il grande artista  fiammingo  di cui così parla la Bernardini: “L’esuberanza delle forme, la pastosità e ricchezza del colore, la maestosità e gestualità delle figure, il senso di dinamismo , la grandiosità dell’insieme…  ne fanno un caposaldo della pittura barocca”; la curatrice si riferisce a tre pale d’altare, ma la sua definizione si attaglia a tutto il Barocco. Di lui è in mostra “San Sebastiano curato dagli angeli”, 1802-04, scultorea immagine michelangiolesca,  con la figura corporea dominante senza la drammaticità del martirio.

Altro importante arrivo a Roma quello di  Guido Reni,  mentre Caravaggio muore e Annibale Carracci sparisce dalla scena.   Reni  dipinge all’insegna della grazia e della bellezza facendo rivivere l’ideale classico; le sue opere riescono comunque a trasmettere ai fedeli il messaggio della Chiesa, e fanno sentire la presenza del divino, con un “linguaggio sentimentale, emozionante, coinvolgente”. Di Guido Reni sono esposte tre opere, “La Santissima Trinità”, 1605-07, dal tono particolarmente solenne; “Atalanta e Ippomene”, 1615-16,  una composizione in chiaroscuro dal grande dinamismo ; “Santa Maria Maddalena penitente”, 1627,  in una posa classica che dà risalto alla sua figura dominante.       

Tornato a Bologna Guido Reni, ecco sulla scena romana  Domenichino e Lanfranco. “Angelo custode”, 1615,  di Domenichino,  esprime il ritorno al culto degli angeli, e nello scudo che difende dal maligno richiama la lettera di san Paolo agli Efesini; “La Vergine con il Bambino appare a san  Lorenzo”, 1616-17, di Lanfranco, esprime la visione consolatoria della divinità, senza la drammaticità del sacrificio, tanto che della graticola spunta in basso solo un angolo appena visibile. Di Lanfranco è esposto anche “Madonna con il Bambino, sant’Antonio abate e san Giacomo Maggiore”, 1622-23,  in un “intenso e inedito triangolo comunicativo” con il santo proteso verso l’alto.  Vedendo queste opere si ha la stessa sensazione che la curatrice descrive rispetto alla   composizione di una cappella, con cupola e lunette, pala d’altare e laterali: “Un complesso unitario  che preannuncia, nei rapporti che l’artista stabilisce tra le varie opere attraverso gesti, sguardi, struttura compositiva, la spazialità barocca, l’annullamento dello spazio reale per entrare nello spazio illusionistico dell’arte, l’unità dell’insieme, il coinvolgimento affettivo della spettatore”.  

Altre opere pittoriche esposte in questa sezione  quelle di Agostino Ciampelli, “Pietà con  angeli”, 1612,  e Turchi, l’Orbetto, “Cristo morto tra Maddalena e angeli”, 1617, Simon Voouet, “San Sebastiano curato dalle due donne”, 1622, e Claude Vignon, “Salomè porge a Erode e Erodiade la testa di san Giovanni Battista”, ante 1623.

Il  Barocco  irrompe sulla scena con Gian Lorenzo Bernini, che  nel 1616-17 esprime la sua genialità in due sculture, “San Lorenzo” e “San Sebastiano”,   tanto che papa Paolo V, nel presentarlo al futuro Urbano VIII, si augurò “ch’ei sarebbe stato  il Michel ‘ Angelo del suo tempo”. interpretando lo spirito dell’epoca e nel contempo rinnovando i fasti rinascimentali.  In un crescendo di forma e contenuti,  impersona l’estetica barocca anche nella scultura,  “caratterizzata da una costante attenzione agli affetti, da una maggiore espressione”. In mostra in questa sezione sono esposte due primizie, “Autunno”,   1616, e “Nettuno”, post 1622: alla prima  ha collaborato Bernini, la seconda è stata ripresa da una sua opera dalla cerchia di  Francesco Susini.

In questo contesto, nella pittura emerge il Guercino, di cui è esposto “Santa Maria Maddalena penitente con due angeli”, 1622, le figure spiccano sul paesaggio di sfondo come un bassorilievo. “Crea il vero illusionismo spaziale, rimuove ogni delimitazione della scena, inserisce spunti paesaggistici per immergere lo spettatore all’interno dello spazio irreale della raffigurazione”.  Dell’artista ricordiamo la mostra che tra il  2011 e il 2012 ha esposto 40 opere a Palazzo Barberini.

L’estetica barocca con Urbano VIII

Dopo questa introduzione sulle  “radici del Barocco” , qualcosa va detto sui Pontefici-mecenati che lo hanno promosso con le loro committenze ai grandi Maestri, introducendo così la 2^ sezione, dedicata all’ “estetica barocca con Urbano VIII”.

Urbano VIII Barberini già nel nome scelto rivela il proprio programma, ispirarsi all’ideale romano, anzi ciceroniano, della “urbanitas”, lo farà  in un pontificato di 21 anni, tra i più lunghi.  Era giurista e diplomatico, ma soprattutto cultore di scienze, lettere ed arti, la sua biblioteca personale di 4000 volumi riguardava tutti i campi della cultura; mise in campo tutte queste doti e capacità per la  gloria e il potere, chiamando intorno a sé gli artisti più affermati, Bernini e Pietro da Cortona, Vouet e Valentin de Boulogne.  Con lui,  afferma Sebastian Schulze, “Roma diviene nuovamente teatro del mondo e riconquista un primato culturale e artistico di rinascimentale memoria”. Di Pietro da Cortona (al secolo Piero Berrettini), è esposto il “Primo progetto della chiesa dei santi Luca e Martina”, post 1636, con l’aggiunta del “Modello ricostruttivo” di tale progetto di Pastorio, Bergometti e Ferrario, in legno di balsa, l’accoppiata è spettacolare; di Simon Vouet,  “Il Tempo vinto dalla Speranza e dalla Bellezza”, 1627, la Speranza respinge il Tempo con un ampio gesto, spalleggiata dalla Bellezza, per il valore simbolico la sua figura è stata adottata come testimonial nella locandina della mostra; ci sono anche Nicolas Poussin, con “Il trionfo del poeta Ovidio”, 1624-25, e Van Dyck, con il “Ritratto di Virginio Cesarini”, 1622-23.

Tra le grandi committenze del periodo spiccano quelle per  la Basilica di San Pietro e per Palazzo Barberini.  Con la prima si concluse il ciclo secolare dei lavori avviati  nel 1506 da Giulio II sostituendo all’antichissima basilica costantiniana il tempio rinascimentale del Bramante del quale solo nel 1590 era stata completata la cupola; mancava la sistemazione dell’interno e del vasto spazio antistante la nuova basilica.

Il compito fu affidato a Gian Lorenzo Bernini, di soli 25 anni , che è stato definito “il Michel’ Angelo del suo secolo”; realizzò il grande Baldacchino bronzeo centrale, divenuto un simbolo  spirituale e del potere della chiesa e insieme “il monumento barocco per eccellenza”: con i dischi solari nella trabeazione e i rami di alloro con le api lungo le colonne tortili. Vediamo esposto il disegno della sua “Proposta alternativa per la facciata di san Pietro”, 1645,  e una serie di busti scultorei,   realizzati tra il 1632 e il 1644, del “Cardinale Scipione Borghese” e Costanza Bonarelli”, “Antonio Barberini il vecchio” e “Urbano VIII”, con un bozzetto della “Carità” per la tomba del Pontefice.

Palazzo Barberini,  con le sue logge sovrapposte e il suo orientamento,  sembra rispecchiare i palazzi vaticani,  e la grande scala a chiocciola del Bernini richiama la scala monumentale del Quirinale;. nel lato opposto l’altra grande scalinata fu  affidata al Borromini, del quale sono esposti diversi disegni: il “Progetto per campata del terzo piano del corpo centrale di Palazzo Barberini”, 1628-29, e il “Progetto per chiesa ovale con fronte di tempio”, 1640-50, il “Progetto per san Carlino alle Quattro Fontane”, 1634-38, e il “Progetto per sant’Ivo alla Sapienza”, 1642.

Le sale del palazzo furono decorate con copie di arazzi ed affreschi di Raffaello. Per il  grande affresco della volta del grande salone fu preferito Pietro da Cortona ai precedenti affrescatori, Lanfranco, Domenichino e Guercino, e l’artista inserì elementi come il sole nascente  e le api presenti nel Baldacchino di san Pietro. Schulze ricorda che il Papa paragonò la volta di Cortona alle Stanze di Raffaello “non certo perché fossero particolarmente simili, ma per esprimere la soddisfazione di aver uguagliato  il periodo aureo del Rinascimento”.

Vediamo esposti, di Pietro da Cortona, tre dipinti, due su temi sacri, “Madonna con il Bambino e i santi Giacomo, Giovanni Battista, Stefano papa, Francesco”, 1628, e“Anania guarisce san Paolo dalla cecità”, 1631, e uno su un tema mitologico, “Il trionfo di Bacco”, 1630. Tornano Guido Reni con “Sant’Andrea Corsini assistito da cherubini”, 1929, e   Lanfranco,con “Angeli musici”, 1928-30. Sono esposti anche, tra gli altri, tre dipinti di Giovanni Francesco Romanelli, due di Angelo Caroselli, tra cui “Madonna con il Bambino in trono e gli arcangeli Michele e Raffaele”, 1630-36,  e di Andrea Sacchi, del quale colpisce l’imponenza del “Ritratto di Taddeo Barberini  principe di Roma”,  1631-33, sembra un principe arabo come abiti e atteggiamento..

Allo stesso personaggio è dedicato lo spettacolare  dipinto di  Agostino Tassi, “Il corteo di Taddeo Barberini entra a Roma da Porta del Popolo”, 1633, che nella sua lunghezza di 4 metri e mezzo per un metro di altezza rende visivamente la moltitudine in più file che accompagna l’ingresso del nobile romano;  non è da meno come magnificenza l’arazzo della ma Manifattura dei Gobelins, di  Nicolas Poussin e Charles le Brun , “Mosè bambino calpesta la corona del Faraone”, 1680-85, matrone con pepli, dignitari, panneggi preziosi. Due acqueforti di Giovanni Battista Faida danno la  visione dall’alto della  “Pianta di Roma moderna con le sette chiese giubilari”, 1672, compresa l’immagine dell’apertura della porta santa,  e della  “Pianta del giardino del Quirinale”., ante 1683, con il giardino all’italiana in senso architettonico.

Tutto questo è già teatrale, ma della teatralità religiosa e civile del Barocco parleremo  in modo diffuso prossimamente, proseguendo nel resoconto della mostra.

Info

Fondazione Roma Museo, Palazzo Cipolla,  via del Corso 320. Lunedì ore 15,00-20,00, da martedì a giovedì e domenica ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-21,30, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso, intero  euro  12,00, ridotto euro 10,00 (fino a 26 anni e oltre 65, e per militari, studenti convenzionati,  e gruppi), scuole euro 5 ad alunno, altre riduzioni in giorni speciali e per famiglie. Tel. 06.22761260, http://www.mostrabaroccoroma.it/ e www.fondazioneromamuseo.it, . Catalogo “Barocco a Roma. La meraviglia delle arti”, a cura di Maria Grazia Bernardini e Marco Bussagli, Skira, marzo 2015, pp. 447, formato 24 x 28, dal quale sono tratte le citazioni del testo. Per la mostra attuale cfr. in questo sito i nostri due successivi articoli.  Per le precedenti mostre citate nel testo,   cfr. i nostri articoli:   in questo sito   su “Il Rinascimento a Roma. Nel segno di  Michelangelo e Raffaello” il   12, 14, 16 febbraio 2013, su “Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630”  il 5, 7, 9 febbraio 2013, sul “Guercino”  il 15 ottobre 2012;  in http://www.antika.it/  su “Roma e l’antico. Realtà e visione  nel ‘700”, il  3, 4, 5  marzo 2011;  in “cultura.inabruzzo.it” i due articoli  per la mostra sulla “Campagna romana” l’11 febbraio 2010, saranno trasferiti in questo sito dato che quello ora citato non è più raggiungibile.    

Foto

Le immagini in parte sono state fornite dalla Fondazione-Roma-Arte-Musei  che si ringrazia, e in parte riprese da Romano Maria Levante all’inaugurazione della mostra a Palazzo Cipolla.  In apertura, Guido Reni, “Atalanta e Ippomene”, 1615-1618; seguono Peter Paul Rubens, “San Sebastiano curato dagli angeli”, 1602-1604, e Guercino, “Santa Maria Maddalena penitente con due angeli”, 1622; poi, Simon Vouet, “Il Tempo vinto dalla Speranza e dalla Bellezza”, 1627, e Giovanni Lanfranco, “Angeli musici”, 1628-1630; quindi, Pietro da Cortona, “Trionfo di Bacco”, 1630 , e Giacinto Gimignani, “Ritrovamento di Mosè”, 1632-1634; inoltre,  Lorenzo Bernini, “Ritratto di Costantina Bonarelli”, 1636-1637, e Giovanni Francesco Romanelli, “Le quattro stagioni”, 1642-1646;  in chiusura, un angolo della mostra con Pietro da Cortona, “Madonna con il Bambino e i santi Giacomo, Giovanni Battista, Stefano papa, Francesco”, 1628 a sin, e Angelo Caroselli, “Madonna con il Bambino in trono e gli arcangeli Michele e Raffaele”, 1630-1635 a dx. 

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