Barocco, la teatralità sacra e civile, alla Fondazione Roma

di Romano Maria Levante

Prosegue il nostro resoconto della mostra al Palazzo Cipolla al Corso, promossa dalla Fondazione Roma“Barocco a Roma. La meraviglia delle arti”, aperta dal 1°  aprile al 26 luglio 2015, con circa 200 opere, tra disegni e dipinti, sculture e oggetti, ed eventi e percorsi associati per completarne la visione nelle grandi realizzazioni architettoniche che ne sono l’aspetto dominante. Abbiamo già presentato la mostra con i protagonisti, artisti e Pontefici, i caratteri della “meraviglia delle arti” e le due prime sezioni, le radici del Barocco e l’estetica barocca sotto Urbano VIII; ora la grande teatralità religiosa e civile, in un momento successivo il paesaggio barocco e il barocco da casa fino alle feste barocche. La  mostra, organizzata dalla Fondazione-Roma-Arte-Musei,  è a cura di Maria Grazia Bernardini e Marco Bussagli come  il monumentale catalogo Skira con  20 saggi.

Fu un’azione mediatica quella volta  a trasformare i monumenti romani in “modelli universali”. Così Sebastian Schutze  parla delle “strategie mediali” con i loro effetti moltiplicativi:  “Una miriade di Apes Urbanae, artisti e artigiani, scienziati, antiquari e storiografi, musicisti, letterati e poeti raccolti alla corte di Roma, che vantavano le glorie del papa poeta e delle sue imprese artistiche” , produssero anche un ricco corredo di tavole “diffondendo non solo l’immagine della reggia  barberiniana nelle corti d’Europa, ma creando anche un modello di rappresentazione che venne presto imitato a Firenze e a Torino, così come a Parigi e a Vienna”.

La  visione teatraledei nuovi  complessi architettoniciaveva un fondale unico: i monumenti e i reperti della Roma antica che davano alla scenografia complessiva un fascino incomparabile.

La teatralità sacra e civile del Barocco

Due citazioni  di critici contemporanei  aprono il saggio di Marcello Fagiolo sul “‘Gran Teatro’ della Roma di Bernini”. Charpentrat nel 1964 ha definito il primo Barocco “l’arte di una Roma pacifica in mezzo a un’Europa sconvolta, in una Roma coscientemente legata alla sua storia”; nel 1985  Maravall:  “Il Barocco  è tragico… ma il Barocco è anche l’opera della festa e dello splendore. Il carattere di festa non elimina il fondo di acredine e di malinconia, di pessimismo e disinganno. Il Barocco  vive questa contraddizione, rapportandola alla non meno contraddittoria  sua esperienza del mondo sotto la forma di un’estrema polarizzazione di riso e pianto”.

Questa è la polarità della vita  e la peculiarità del teatro come “luogo d’incontro tra arte e vita”;  il teatro era una forma di spettacolo molto diffusa nelle città del  Barocco e soprattutto a Roma che, ha scritto Portoghesi, “era essa stessa un teatro vivente: “Una sorta di gigantesco spettacolo storico in cui una popolazione eterogenea recitava la sua commedia quotidiana”.

Di tale teatro  Gian Lorenzo Bernini fu la figura più rappresentativa:  uomo di spettacolo oltre che architetto, scultore, e pittore tanto che, ricorda  Fagiolo  con una citazione d’epoca, “intorno al 1644 rappresentò un’opera ‘in cui  dipinse le Scene,  scolpì le Statue, inventò le Macchine, compose la Musica, scrisse la Commedia e costruì il Teatro, tutto lui stesso”.

Il teatro incarna “il maraviglioso composto delle arti, la sua concezione incentrata sull’ ‘unità delle arti visive'”, e Bernini  diventa l’interprete ideale dell’arte  barocca che ne è il compendio, divenendo “il coordinatore e regista di vaste équipe di pittori, scultori, fonditori, stuccatori, scalpellini”: la basilica di San Pietro  viene allestita dal “dio del Barocco” come un Teatro sacro.

Ed  ecco le componenti della vasta rappresentazione teatrale del Barocco , identificate da Fagiolo nelle opere del Bernini. “L’arcoscenico, cioè la cornice architettonica che inquadra la scena teatrale è presente in filigrana in tanti ‘teatri’ sacri o civili: dalle cappelle berniniane fino agli  archi trionfali effimeri, attraversati dai cortei e dalle processioni”.   Mentre il “drappo”, da lui spesso inserito, rappresenta non solo un motivo celebrativo, ma anche un “sipario festoso”. Dalla sua concezione dello spazio al servizio della rappresentazione nasce un’altra componente: “La candida architettura marmorea è un palcoscenico votato alla valorizzazione delle tre arti. Gli accenti  più forti emergono nei risalti delle pareti, con funzione di quinte sceniche, e nell’intensa luminosità a effetto”.

 Bernini mette in scena quella che viene definita “una straordinaria fenomenologia della luce” plasmandola artificialmente:  nelle sue realizzazioni troviamo la “luce-riflettore”  e la “luce dall’alto”, la “luce laterale” e il “controluce”. “La luce, protagonista assoluta della recita divina, si manifesta in tutte le forme possibili”, arricchendo la rappresentazione teatrale di effetti suggestivi.

“La  chiesa diventa teatro”, dunque, “teatro totale”, e non manca il “teatro  nel teatro”; in questo contesto, nel suo culmine “la rappresentazione sacra è concepita come una ‘pala d’altare teatralizzata’”.

Alla “teatralità sacra e civile del Barocco”,  la mostra dedica la 3^ Sezione, ricca di opere che spaziano dall’architettura alla scultura alla stessa pittura, anche se questa forma d’arte appare quasi  sovrastata dalle imponenti  evidenze architettoniche e dalle sculture.

Vediamo raffigurati i vasti spazi scenografici della basilica i San Pietro, nel dipinto ad  olio  “Processione del Corpus Domini in Piazza San Pietro”, 1641-46, e nell’acquaforte “Cerimonia per la canonizzazione in San Pietro di san Francesco di Sales”, 1665, di Giovanni Battista Faida; il “Modello del terzo braccio del colonnato di San Pietro”, 1720, dell’architetto Specchi e del falegname Borioni è esposto nella sua consistenza lignea.  

Non solo San Pietro, sono esposte  anche due acqueforti del XVIII secolo altrettanto teatrali: “Piazza Santa Maria della Pace”, di Giuseppe Vasi, e “Santa Maria Maggiore”, di Filippo Vasconi;  la “Pianta del pavimento di Sant’Andrea al Quirinale” completa questa testimonianza artistica della teatralità nell’architettura religiosa.

C’è poi la teatralità civile, in parallelo con quella sacra.  E  qui entra in scena il “Gran Teatro della Roma di Alessandro VI” Chigi, 1635-67, descritto da Fagiolo con la stessa accuratezza partendo dalla sua “opera di ri-fondazione della città, nella continuità tra Roma antica e Roma moderna”, così vasta e profonda da farlo accostare al fondatore Romolo: “La ‘ri-fondazione’ della città si poneva nel segno di un autoritratto del pontefice edificatore: Roma, in omaggio al papa, diventava una novella ‘Alessandria’ città ecumenica e capitale di un mondo di cultura e di religione, superiore alla stessa Alessandria d’Egitto fondata da Alessandro Magno”.  In quest’opera il Pontefice era impegnato al punto di partecipare tutte le fasi, dalla progettazione, anche con propri disegni, alla realizzazione incontrando gli artisti e gli altri esecutori e verificando l’effetto complessivo sull'”imago urbis”  mediante un modello in legno  che teneva  addirittura in camera da letto.

Il suo pontificato veniva esaltato come “solare”: in questa visione, “il Papa, Sol Pacifer, avrebbe visto la congiunzione di Iustitia e Pietas”  Non era mera esaltazione di  cortigiani, lo stesso Bernini  lo  definì un “Principe assomigliato al Sole che con i raggi illumina e riscalda”. Con la sua opera Roma diveniva il “Gran Teatro dl mondo” con le qualificazioni encomiastiche di “Gran teatro delle meraviglie” e “favoloso Campidoglio del Teatro delli stupori”.  Ancora teatro, e non più sacro.

L’intento era di procedere alla “renovatio o instauratio Romae”, restaurando l'”imago urbis” in continuità con l’antico. In questo grande progetto rientra il rinnovamento di Piazza del Popolo terminale delle due vie consolari principali che portavano nella città, Flaminia e Cassia, mediante la realizzazione di due chiese gemelle, viste come “propilei” “ad ornato della città e della piazza”; la sistemazione dell’antico asse viario che vi si innesta  con il “Nuovo Corso alessandrino” , fino a Piazza Colonna divenuta “Foro chigiano” , “ippodromo cittadino nei giorni di festa”. Vediamo esposti un “Progetto per piazza del Popolo e le due chiese”, 1660-61 di Carlo Rinaldi,  e  “Piazza del Popolo verso il 1640“, di Johannes Lingelbach.  .

Si pensava di intervenire anche sui grandi monumenti antichi, addirittura si progettò di decorare l’interno della cupola del Pantheon con gli “elementi chigiani” inseriti nei cassettoni intorno all’oculo centrale visto come il sole, circondato di stelle;  e   Bernini progettò di portare la Colonna Traiana a Piazza Chigi  a fianco della Colonna Antonina  come due “colonne d’Ercole”, “e di farvi due fontane che avrebbero allagato tutta  la piazza che, in tal modo, sarebbe diventata la più bella di Roma”. Vediamo esposti, entrambi di Bernini intorno al 1648,  il “Primo disegno per la Fontana dei Quattro Fiumi”, con  il relativo “Modello ligneo”, e il “Disegno preparatorio per la volta della cappella Cornaro”. Progetti in parte non realizzati che provano il fervore creativo.

Fu realizzato, invece, il “teatro di tutti i teatri”, vero  e proprio “Theatrum mundi” perché concepito in funzione di una “conciliazione universale”, il Colonnato di Piazza San Pietro: un”Teatro del Sole” con la visione eliocentrica, che diventa cristocentrica, dell’obelisco solare al centro, un  “Theatrum Ecclesiae” con la processione  delle statue dei santi. 

Altra scena teatrale, ovviamente in tono minore, nelle Statue degli Angeli su ponte Sant’Angelo con i segni della passione di Cristo. Così ne parla Fagiolo: “La recita immobile del ‘coro della passione’ avvolge il viandante che passa sul ponte: nella passerella finale, come nelle commedie berniniane, attori e pubblico si trovano uniti, così come sono legati allo stesso filo il peccato e la salvezza”.

Bernini ebbe un ruolo dominante, si pensi al maestoso Colonnato opera sua, ma non fu l’unico,  Pietro da Cortona (al secolo Piero Berrettini) per la pittura e Francesco Borromini  (al secolo Francesco Castelli) per l’architettura, ebbero un ruolo fondamentale in questa straordinaria temperie artistica che fece di Roma il “Teatro del mondo”   con il Barocco sacro e il Barocco civile, tanto che sono definiti “i tre protagonisti”: il nuovo linguaggio in architettura  negli anni ’30 del 1600 nacque “grazie all’opera di Francesco Borromini e al suo intenso dialogo con Gian Lorenzo Bernini e Pietro da Cortona”, sottolinea “Christof Luitpold  Frommel.

Di Francesco Borromini  vediamo esposti  tre progetti dei  primi anni ‘60 del 1600, per il collegio di Propaganda Fide,  cioè la “Pianta per la cappella  dei Re Magi del collegio di Propaganda Fide”, e due studi, per l’ “Alzata della cappella”, e  per un “Camino”; inoltre un “Rilievo del perduto affresco con la finta galleria di Palazzo Spada”  e un “Progetto per la memoria di papa Alessandro III in San Giovanni in Laterano”, fino alla spettacolare “Versione idealizzata della facciata dell’oratorio dei Filippini dell’Opus architectonicum” , 1662;  è esposta anche un’ “Acquaforte del Collegio”  di Giovanni Battista Faida..

 Di Bernini, oltre ai progetti citati, è esposta una ricca galleria di bozzetti in terracotta alti poco meno di mezzo metro,  per statue e busti  che  nell’espressività e nel panneggio incarnano pienamente il Barocco nella scultura.  

In merito all’espressività di particolare interesse sono i bozzetti   per  “L’Estasi di santa Teresa”, 1647, una  composizione con una figura alata sulla sinistra e la santa sulla destra dal volto sognante rivolto in alto, e quello  per la “Beata Ludovica Albertoni”,  1674, qui la figura è distesa con le pieghe della veste accentuate e il volto intensamente proteso; mentre  “Abacuc e l’Angelo”, 1655,  mostra  un Mosè quasi michelangiolesco che guarda il piccolo angelo appoggiato alla  sua spalla. Invece  il bozzetto  per “Sant’Ambrogio  della Cattedra in San Pietro”  è una figura contorta dal volto sofferente, per questo la sua attribuzione è incerta; non è sofferente  il “Crocifisso morto per uno degli altari della basilica vaticana”, 1658, dal volto dolcemente reclinato,  senza corona di spine, per  l’assenza di drammaticità propria del barocco.

Riguardo al panneggio sono eloquenti i due bozzetti per “L’Angelo con il cartiglio”, il secondo acefalo, e i due per “L’Angelo con la corona di spine” e “L’Angelo con la Croce” tra il 1668 e il 1670, le pieghe sono avvolgenti e danno il senso del movimento alle figure alate. C’è anche il bozzetto per “Costantino il Grande a cavallo”, 1662, con un effetto analogo a quello delle pieghe,  mentre il   “Ritratto d papa Alessandro III” , 1667, è molto composto, senza pieghe nella mantella,   dal viso sorridente;  come è sorridente “Innocenzo X Pamphili”, 1650, nella terracotta di Alessandro Algardi, del quale sono esposte anche due fusioni, “San Michele sconfigge il demonio”,  1647, in bronzo,  e “Madonna con il Bambino (Vergine del Rosario)”, in  bronzo dorato e argento.

Citiamo infine gli ultimi due bozzetti in terracotta esposti, quello attribuito a Melchiorre Cafà, per la statua del “Beato Andrea Avellino”, 1663-64  nella facciata della chiesa romana di Sant’Andrea della Valle, dove verrà ambientata una scena della Tosca, e quello di Domenico Guidi, per “San Filippo Neri e l’Angelo”, 1691. Termina così la galleria della scultura e inizia quella della pittura.

Sono esposte 18 opere, tra loro le più rappresentative della teatralità del  Barocco ci sono sembrati  i due bozzetti, lunghi due metri per un metro in media, “Il Trionfo del Nome di Gesù”, 1678-79, del Bacicco (al secolo Giovan Battista Gaulli)  per l’affresco della chiesa romana del Gesù,  e “L’allegoria della Clemenza”, 1673-74, di Carlo Maratti, per l’affresco sulla volta della Sala dell’Udienza di palazzo Altieri, sempre  a Roma: il primo è il più scenografico, un’apoteosi corale  in una sorta di empireo culminante  nel sole che irraggia sugli angeli e i fedeli; nel  secondo con meno enfasi  un altro trionfo, questa volta di un valore laico. Anche  “Gli angeli segnano la fronte a coloro che devono essere difesi dai flagelli”, 1652, di Pietro da Cortona, ha una resa  spettacolare con un angelo luminoso come la croce che ha in mano al centro di una composizione molto mossa e animata   Di Baciccio è esposto pure “Giustizia, Pace e Verità”, 1667-72, modello per gli affreschi della chiesa romana di Sant’Agnese in Agone, rispetto ai quali il chiaroscuro è più contrastato e i colori sono più intensi.

Si alternano temi sacri, con alcune visioni bibliche,  a  temi mitologici. Tra i primi  “Morte di sant’Anna”, 1645, attribuito ad Andrea Sacchi, bozzetto per la pala della chiesa di San Carlo, con espressioni di mestizia e di devozione, in un clima assorto e rassegnato,  e “Incontro di Cristo con Veronica lungo la via del Calvario”, 1655-56, di Carlo Maratti,  con la Veronica ripresa di spalle mentre viene allontanata da un braccio proteso, con un notevole effetto dinamico;  “Madonna con il Bambino in gloria e i santi Tommaso da Villanova e Guglielmo d’Aquitania”,  tra il 1650 e il 1675, di Ciro Ferri, di cui viene colpisce la luminosità e la gamma cromatica, e “Gloria di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi”, 1669, di Lazzaro Baldi,  in una dimensione celeste, la santa è sorretta dagli angeli, lo stesso autore replicherà la visione in un successivo dipinto per Santa Rosa da Lima;  “Santa Maria Maddalena de’ Pazzi che libera dal demonio un sacerdote”, 1670, di Ludovico Gimignani, composizione molto dinamica con uno squarcio di azzurro e un paesaggio che spunta da sotto un’arcata e  i due dipinti di Guillaume Courtois, “Martirio di Sant’Andrea”, e “Sanguis Christi“, “da un’invenzione di Gian Lorenzo Bernini”, entrambi del 1670.

A quest’ultimo tema è dedicato il saggio di Irving Lavin, il quale ricorda la particolare sensibilità di Bernini  per il sangue che usciva dalle piaghe di Cristo sulla Croce, rappresentato circondato dagli angeli con la Vergine che lo raccoglie tra le mani per offrirlo all’Altissimo che domina la scena. 

In tre delle opere citate c’è la Croce, ma senza drammaticità; nelle altre, a parte la morte di Sant’Anna dove l’emozione prevale sul dramma, c’è soprattutto gloria e adorazione.

Di impostazione teatrale i dipinti con scene  bibliche e  mitologiche. Tra le prime vediamo esposti  “Incontro tra Giacobbe e Rachele”, 1659, di Pier Francesco Mola, con l’immagine di Rachele che ricorda quella di Erminia di altri dipinti, e “Lot e le figlie”, 1664-65, di Giacinto Brandi, di grande vigore plastico con le tre figure in primo piano e nessuno sfondo; tra le seconde  “Trionfo di Sileno”, 1637-40, di Mattia Preti,  olio di 3 metri per quasi 1,50,   una scena bacchica che si sviluppa in orizzontale,  con ninfe e satiri nel bosco, un cielo tempestoso come sfondo, ed  “Erminia e Vafrino curano le ferite di Tancredi dopo il combattimento con Argante”,  1660, ancora di Pier Francesco Mola,  con una composizione romantica  in  primo piano su uno sfondo paesaggistico elaborato, e l’immagine simbolica del cavallo bianco spunta dietro l’albero,.

“Apollo e la Sibilla”, 1662-65, di Salvator Rosa, esprime la predilezione dell’artista per pose monumentali auliche e classiciste, come sono quelle delle due figure in primo piano mentre il paesaggio è appena accennato,  e “Chronos”, 1675-80, di Giovanni Battista Bernaschi, mostra un potente vigore nell’anatomia in un’atmosfera tenebrosa.  

Le due opere di Mola ed altre  su tema mitologico, a parte quella di Salvator Rosa,  hanno in comune un  paesaggio con come sfondo ma parte integrante della scena.

Concludiamo con il “Disegno della volta della galleria di palazzo Pamphilj in piazza Navona a Roma”, 1661, di Ciro Ferri,  il discepolo più fedele di Pietro da Cortona,  in grafite, carboncino e inchiostro,: è composto da 63 fogli assemblati,  in un corpo unico, che riproducono ogni dettaglio della volta progettata da Borromini e affrescata da Pietro da Corona su incarico e supervisione di papa Innocenzo X, tra il 1651 e il 1664, con le storie di Enea celebrative della famiglia Pamphilj.

E’ una spettacolare visione d’insieme che riproduce minuziosamente le figure scultoree e michelangiolesche dell’affresco, e ci sembra la più adeguata  a concludere questa rassegna degli aspetti più eclatanti del Barocco. Seguiranno prossimamente le ultime manifestazioni, cioè il paesaggio barocco e il Barocco da casa con le Feste barocche come botto pirotecnico finale..

Info

Fondazione Roma Museo, Palazzo Cipolla,  via del Corso 320. Lunedì ore 15,00-20,00, da martedì a giovedì e domenica ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-21,30, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso, intero  euro  12,00, ridotto euro 10,00 (fino a 26 anni e oltre 65, e per militari, studenti convenzionati,  e gruppi), scuole euro 5 ad alunno, altre riduzioni in giorni speciali e per famiglie. Tel. 06.22761260, http://www.mostrabaroccoroma.it/ e www.fondazioneromamuseo.it, . Catalogo “Barocco a Roma. La meraviglia delle arti”, a cura di Maria Grazia Bernardini e Marco Bussagli, Skira, marzo 2015, pp. 447, formato 24 x 28, dal quale sono tratte le citazioni del testo. Per la mostra attuale cfr. in questo sito il primo articolo  il     e l’ultimo che uscirà prossimamente.  Per le precedenti mostre citate nel testo,  cfr. i nostri articoli:   in questo sito   su “Il Rinascimento a Roma. Nel segno di  Michelangelo e Raffaello” il   12, 14, 16 febbraio 2013, su “Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630”  il 5, 7, 9 febbraio 2013, sul “Guercino”  il 15 ottobre 2012;  in http://www.antika.it/  su “Roma e l’antico. Realtà e visione  nel ‘700”, il  3, 4, 5  marzo 2011;  in “cultura.inabruzzo.it” i due articoli  per la mostra sulla “Campagna romana” l’11 febbraio 2010.    

Foto

Le immagini sono state in parte riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nel Palazzo Cipolla, in parte fornite dalla Fondazione-Roma-Arte-Musei che si ringrazia.  .