Slovacchia e Moldova, l’Est europeo al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Al Complesso del Vittoriano, nel quadro del programma di presentazione dei paesi presenti all’Expo, le mostre in successione sulla Slovacchia, dal  17 al 30 giugno 2015 e sulla Moldova dal  10 al 22 settembre. Dopo l’Africa e l’America si torna in Europa, e c’è subito l’impronta dell’arte, entrambi i paesi espongono opere di artisti che utilizzano diversi materiali  e forme espressive. Piuttosto che sulle caratteristiche locali è su questi artisti che si incentrano le due mostre, pur richiamando le principali  peculiarità anche con riferimento ai rispettivi padiglioni all’Expo.

 Slovacchia , piccolo grande paese senza mare

“La Slovacchia si presenta artisticamente”, si intitola significativamente la mostra richiamando il significato simbolico del  Vittoriano che “per gli slovacchi è un ritorno alle origini della propria storia”.  Infatti sulle sue scalinate i rappresentanti del governo italiano nel 1918 consegnarono a Milan Rastislav Stefanik, diplomatico, soldato e statista slovacco, la bandiera con la quale la legione cecoslovacca combatté sul Piave; ne seguì, da parte dell’Italia, come primo paese, il riconoscimento del diritto di slovacchi e cechi all’indipendenza nazionale.

E’  “un paese senza mare”, ma  “ricco di energia positiva, un luogo dove poter ‘ricaricare le batterie’. Una natura incontaminata, una cultura poliedrica, tradizioni e innovazioni”.

“Top Slovacchia” descrive il “piccolo grande paese”, le sue cime maestose e le pianure fertili, i grandi fiumi  e i piccoli torrenti, con dighe  e bacini che costituiscono “il mare slovacco” nel paese al centro dell’Europa; il tour delle attrazioni va dalla capitale Bratislava alle fortezze e castelli, dalla catena montuosa  del Tatra ai massicci più piccoli e alle altre attrazioni della natura, dalla via Gotica alla via del vino, dai luoghi dell’oro e dell’argento ai musei e alle gallerie dell’arte moderna.

La mostra raffigura  natura, città, persone nelle forme artistiche della scultura, pittura e fotografia.

Dinanzi al meritorio impegno di presentare una nazione attraverso la visione che danno i propri artisti, qualcosa va premesso sull’arte in Slovacchia. Come per altri paesi – ricordiamo l’Estonia, l’unico finora tra quelli visti al Vittoriano che si è presentato solo con i propri artisti-  gli influssi artistici dall’esterno sono stati filtrati e rielaborati in contaminazioni frutto di incroci e di unioni tra stili diversi, anche perché sono stati percepiti in ritardo e non direttamente, ma con sovrapposizioni; pertanto gli artisti slovacchi non si sono trovati dinanzi a correnti da seguire, ma a stimoli eterogenei provenienti da contesti storici e geografici differenti e spesso contraddittori, recepiti singolarmente senza gruppi organizzati.

Tutto questo – afferma Katarina Bajcurovà, della Galleria Nazionale Slovacca curatrice della mostra – “ha provocato nell’arte figurativa slovacca degli slittamenti nell’accezione e nella forma di correnti, tendenze e programmi con un carattere originario definito, portando più volte a una ‘colorazione’  autoctona, a una variante’diversa’… talvolta giungendo persino  a una ‘riscrittura’ eretica dei modelli europei”.

Vengono sottolineati gli ingredienti di tutto questo, in un fecondo incrocio di aspetti contraddittori: l’empirismo del substrato arcaico slovacco, in un mondo contadino cristallizzato seppure geniale, incrocia la sensibilità bizantina e la spiritualità cristiana; la razionalità e il concettualismo incrociano la visionarietà e i sentimenti;  l’apertura mentale e la speculazione intellettuale incrociano la giocosità;  l’introversione incrocia l’estroversione. “E potremmo aggiungere, è sempre la Bajcurova, il senso dell’assurdo, dell’ironia e del  grottesco, peculiarità dello status spirituale dell’Europa centrale, della quale la Slovacchia fa naturalmente parte”.

Quanto si è sottolineato va considerato storicamente nelle due fasi, prima  e dopo il raggiungimento della vera indipendenza con la Rivoluzione di velluto del 1989 e anni seguenti. Prima anche l’arte era ingabbiata in uno spazio politico chiuso dominato da un’ideologia non certo aperta alla creatività, si pensi al “Realismo socialista”  come pensiero unico obbligato nell’arte in Unione Sovietica e non solo; i giovani si erano già ribellati, ma solo con l’affermarsi della libertà potevano conoscere appieno e seguire le nuove tendenze e gli stimoli provenienti dal mondo esterno.

A questa apertura sul piano politico si è aggiunta quella nelle comunicazioni: “Il mondo globale, collegato attraverso i computer in una rete autostradale di informazioni, ha generato il fenomeno di un’arte senza confini,  e insieme ha fatto vacillare, nelle società dell’Europa orientale e centrale, fino a poco tempo fa chiuse, i concetti di espressività figurativa ‘nazionale’ e ‘locale'”.

Risultato: un’arte che rinuncia all’impegno politico e anche alla celebrazione dei valori, ma si concentra sulla quotidianità, dai grandi temi alle piccole vicende personali. Le tre espressioni artistiche della scultura, pittura e fotografia non sono chiuse in se stesse e concorrono a questa nuova poetica del reale.

I tre artisti, poco più che trentenni, esprimono questa visione moderna con forti radici nel passato.

Il pittore Jurai Kollàr, con molte esperienze all’estero, in particolare  a Parigi, fa entrare direttamente la vita che lo circonda nelle sue opere. Afferma lui stesso: “La pittura, per sua natura, è uno strumento sostitutivo della realtà che evoca un’atmosfera viva, realmente vissuta… è come un reportage giornalistico, che deve rendere eccezionale la realtà quotidiana  conservandone al tempo stesso l’autenticità. Lo fa con una pittura gestuale, geometrica, astratta, figurativa e ‘realistica’”, che fa pensare a immagini fotografiche viste anche attraverso degli spessi vetri, quindi come sfuocate, frammentate in reticoli, “come se osservassimo il mondo a occhi socchiusi oppure come se  ci avvicinassimo troppo alla superficie dell’oggetto che stiamo guardando”.  Per questo il figurativo, pur con particolari e dettagli, confina talvolta  con l’astratto.

Abbiamo i tre temi. La  Natura con “Rosa blu”, 2014,  “Giardino d’inverno”, 2009  e  “Chioma d’albero”, 2003; poi “Danubio. Lungo fiume”, 2011, e “Paesaggio rosa”, 2006. Sono dipinti molto diversi, nei primi tre un reticolo, tipo vetrata,  è posto a mo’ di schermo; i due successivi sono sfumati ed evanescenti, sul bianco e sul rosa.

Alla Città sono dedicati “Bratislava., via Raiskaa”, 2014, e “Bratislava, Petrzalka”, 2012, qui il cromatismo è invece intenso in composizioni senza persone, dove aleggia la solitudine.

L’elemento Umano nel suggestivo “Pony”, 2014, con la bambina in blu, dal cromatismo insieme forte e sfumato,  che evoca altre immagini ma nell’autonomia dell’artista; ancora più sfumato “Cani”,  2014.

Dalla pittura alla scultura con Stefan Papco,  che trova motivi di ispirazione nella  sua grande passione, l’alpinismo considerato come metafora  per istanze umanistiche e sociali. E’ assolutamente unica la sua espressione creativa, con il progetto “Bivacco”:  dopo aver scolpito in legno con criteri tradizionali la statua di un alpino a grandezza naturale, l’ha portata in alta quota ed esposta per tre anni su un parete in Norvegia e sugli Alti Tatra in Slovacchia mantenendola in collegamento telematico; la montagna slovacca con le sue vette assume per lui un significato altamente simbolico e fonte di nuove forme espressive.   

Il suo ultimo progetto, “I Cittadini” –  titolo che sembra una citazione dei “Borghesi di Calais”  di Rodin –  riguarda un gruppo scultoreo dedicato ai cinque protagonisti dell’alpinismo ceco e slovacco, che negli anni del totalitarismo erano simbolo dell’autorealizzazione con conquista della libertà personale dalla gabbia della cortina di ferro; anche i loro originali in legno, dai quali vengono tratti calchi in bronzo, vengono trasferiti in un ambiente alpino per costituirvi dei monumenti permanenti. “Nell’opera di Papco – commenta  la Baikurova – si osserva una curiosa inversione: la natura, il paesaggio spesso inaccessibile per i mortali, diviene una scena artistica personale, una galleria”. Va considerato che usa portare nelle gallerie anche “composizioni spaziali e nuove creazioni di conglomerati alpini”.

Questa volta la galleria diventa il Vittoriale, dove sono  collocate alcune di queste sculture a grandezza naturale al centro di una sala in modo altamente  suggestivo, sembra una sacra rappresentazione.

L’artista fotografico Jàn Kekeli si dedica al paesaggio in modo innovativo, arricchendolo  di elementi concettuali  in diverse forme espressive. I dittici di grande formato della serie “Immagini di paesaggio” – pur se le riprese dei monti Tatra e delle pianure sottostanti possono sembrare tradizionali – hanno la particolarità della divisione in due come da una fessura che li trasforma in visioni cubistiche o varianti stroboscopiche per gli scarti nella ripresa fotografica.  L’artista afferma: “Traggo ispirazione dalla pittura di paesaggio classica del XIX secolo, ma anche dai pionieri della fotografia di paesaggio slovacchi, come Karol Divald e Jindrich Eckert”, e, per il ciclo citato, da Fridich.

Una fotografia pittorica, dunque, con la ricerca compositiva e la cura dei particolari in forma di dittico. Ma non è classicista anche nei contenuti, c’è un moderno senso documentario,”le sue fotografie sono uno specifico, benché impercettibile, rapporto sullo stato di un paesaggio che nella sua essenza non è più romantico, ma modificato e contaminato dagli interventi dell’uomo, che per loro natura lo danneggiano, lo trasformano a propria immagine non sempre positiva”, conclude la curatrice. Lo vediamo soprattutto in “Mulino”, 2011con dei detriti in primo piano tra il corso d’acqua e l’edificio, mentre in “Il nero fiume Vah” spicca la ringhiera che rompe un paesaggio altrimenti incontaminato tra i monti e il fiume. In “Lago di montagna verde”, 2012,  vediamo il dittico con significative varianti, mentre “Sopra la cava”, 2012, è una straordinaria visione compositiva lunga 4 metri, con delle persone riprese in bivacco al limiti del bosco e nello sfondo sottostante edifici industriali visti attraverso dei rami leggeri, in un pittoricismo che è vera arte.

Moldova,  agricoltura e arte  

Anche la Moldova mostra alcune opere d’arte di tre propri artisti, quasi in parallelo con la Slovacchia, in una presentazione volta a far conoscere un paese anch’esso affrancato dai vincoli della cortina di ferro.

Ha  3,6 milioni di abitanti,  confina con Romania  e Ucraina ed è associato all’Unione Europea, dei filmati proiettati nella mostra realizzati con il progetto “Il Cuore della Moldova” illustrano le bellezze del territorio e presentano la cultura e il popolo moldavo.

Ha il suolo fertile e il clima temperato, per questo fin dall’antichità è stato gran produttore agricolo e fornitore di prodotti per l”Europa meridionale e orientale. Eccelle nella produzione  di vino,  e figura al 7° posto nella produzione di noci e frutta secca, prodotti che figurano in bella vista nelle vetrine al Vittoriano ; inoltre produce grano e derivati, frutta e verdura e carne da allevamento.  

Il simbolo prescelto per l’Expo è la mela, come colore del Padiglione progettato dall’artista Pavel traila e con altri richiami a una mela affettata, dal colore verde mela alle travi colorate, all’intera struttura che ne ha la forma. Una “grande mela”, non quella di New York, per un “piccolo paese”.

Se il simbolo è la mela, il tema prescelto, nell’ambito della “mission” dell’Expo è il sole, che con il suo calore è fonte di luce e di energia e nutre corpo e anima. Al di là del sole, anche la produzione di energia e la sua utilizzazione devono seguire l’approccio ecologico, come tutte le attività umane.

 I tre artisti della mostra al Vittoriano sono molto diversi per estrazione e forma espressiva, e concorrono a fornire una visione variegata dell’arte moldava.

Il primo è Vasile Botnaru, giornalista che dirige il canale moldavo dal nome eloquente, “Radio Free Europe”, ha studiato a Mosca e si è impegnato nel rinnovamento  giornalistico e mediatico del paese.  Il motivo centrale cui si ispira è il “Villaggio moldavo” come fonte di energia vitale.   Le sue grafiche utilizzano una tecnica che lui stesso definisce “enografica”, perché utilizza il vino, sono vivaci ed espressive; i soggetti rimandano alla vita quotidiana dei contadini e alle  loro tradizioni pittoresche, vi sono paesaggi della campagna moldava e volti, con le emozioni che sottendono e che suscitano.

Gli altri due artisti hanno entrambi stretti rapporti con l’Italia. Venceslav Codreanu, nato in Moldova ma trasferitosi a Roma dove lavora, si è accostato all’arte non frequentando scuole artistiche ma spinto dalla  passione per il legno con il quale realizza veri e propri mosaici scolpiti. Vediamo una serie suggestiva di immagini sacre, come la figura di Dio in trionfo nei cieli e il volto dell Madonna, scolpiti nel legno, si ispira anche a San Francesco, del quale viene citata un’espressione che sintetizza la visione dell’artista: “Chi lavora con le mani è un operaio, chi lavora con le mani e la testa è un artigiano, chi lavora con le mani, la testa e il cuore è un artista”.  Un crescendo di coinvolgimento personale, nel rispetto di ogni lavoro.

Mihail Ungurenau è giovanissimo, nato in Moldova nel giugno 1991, che a differenza di Codreanu  ha frequentato l’Accademia Belle Arti di Venezia dal 2012 ad oggi, ma al pari di lui continua nel  percorso artistico in Italia. La sua pittura rappresenta gli elementi tradizionali in uno stile moderno molto personale con una tecnica innovativa. Vediamo una sua composizione in cui affianca alberi e spighe  ben armonizzata nei suoi contrasti cromatici che la rendono vivida e brillante.

In definitiva, anche per la Moldova l’arte è l’interprete della fisionomia e delle tradizioni di un paese mediate la creatività dei suoi artisti. Ci sentiamo ancora di più di magnificare il programma delle presentazioni al Vittoriano, non solo come vetrina dell’Expo milanese sull’alimentazione, ma anche come vetrina ben più vasta dei paesi nelle loro risorse e nella loro cultura.

Info23, bilinghe italiano-inglese.

Complesso del Vittoriano, Ala Brasini,  lato Fori Imperiali,via San Pietro in carcere. . Tutti i giorni, dal lunedì alla domenica compresa, ore 9,30-19,30. Ingresso gratuito fino a 45 minuti dalla chiusura.  Per la Slovacchia,  Catalogo “La Slovacchia si presnta. Roma verso Expo. Artisticamente…”, a cura di Katarina Bajcurovà, giugno 2015, pp 40, formato 23 x 23, dal catalogo sono tratte le citazioni dal testo. Per le mostre precedenti al Vittoriano del progetto “Roma verso Expo” cfr. , in questo sito, i nostri articoli:  nel 2015,  Mozambico e Sao Tomé7 luglio, Usa, Haiti e Cuba 3 luglio, Congo e Polonia 28 aprile, Tunisia e Dominicana  25 marzo, Grecia e Germania  22 febbraio,  Estonia  7 febbraio,  Vietnam  14 gennaio; nel 2014, Albania e Serbia  9 dicembre, Egitto e Slovenia 8 novembre.

Foto

Le immagini sono state riprese nel Vittoriano alla presentazione delle due  mostre da Romano Maria Levante, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti e le ambasciate dei due paesi, per l’opportunità offerta .Per la Slovacchia, in apertura, “Stefan Papko, “Bivacco”, 2008-11; seguono, Juraj Kollàr, “Chioma d’albero”, 2012, e “Pony”, 2014; poi, Papko, “Cittadini, Stanislav”, 2014, e Jàn Kekeli, “Lago di montagna verde”, 2012; inoltre, per la Moldova, la nostra galleria presenta in apertura e chiusura una serie di quadri del “Villaggio moldavo”  di Vasile Botnaru;  tra queste due visioni panoramiche,  opere di altri due autori, Venceslav Codreau,  e Mihail Ungurenau.

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