di Romano Maria Levante
La mostra “Impressionisti e moderni”, al Palazzo Esposizioni dal 16 ottobre 2015 al 14 febbraio 2016, presenta i “Capolavori della Phillip Collection di Washington”. La collezione è una raccolta mirata di opere dell’800 e ‘900 che riunisce in una sequenza resa dalle sei sezioni della mostra le multiformi correnti artistiche rappresentate da 60 opere dal classicismo all’espressionismo astratto, selezionate tra le 3000 opere della collezione, di cui 2000 acquistate direttamente da Duncan Phillip, fondatore della Phillip Memorial Gallery di Washington. Organizzata dalla Phillip Collection con l’Azienda Speciale Palaexpo, a cura di Susan Behrends Frank, curatrice della Collezione di Washington, Catalogo Silvana Editoriale con Palazzo delle Esposizioni.
Si completa l’autentico “triplete”, nel gergo calcistico, realizzato dal commissario Innocenzo Cipolletta con le altre due grandi esposizioni aperte contemporaneamente il 16 ottobre 2015, “Russia on the Road”, con chiusura anticipata a dicembre per trasferirsi a Mosca, e “Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano”.
Questo risultato straordinario è tanto più rimarchevole dopo i timori insorti con le dimissioni del Consiglio di Amministrazione presieduto da Franco Bernabè per il mancato rispetto da parte delle istituzioni preposte degli impegni presi sui finanziamenti necessari alla gestione delle sedi espositive, dato che non sono sufficienti le pur consistenti risorse che l’Azienda speciale Palaexpo riesce ad acquisire autonomamente. Va dato merito al Commissario di essere riuscito a realizzare quanto programmato nonostante le difficoltà determinate da tale critica situazione, finora risultate superabili. Del resto è noto che in Italia nell’emergenza si riesce a compiere autentici miracoli.
L’importanza della mostra va oltre il valore intrinseco dei capolavori presentati, per il notevole valore educativo che assume con la presentazione di una “summa” così qualificata dell’arte pittorica nell’800 e ‘900. Ne danno testimonianza le scolaresche che la affollano con i professori ai quali riesce agevole raccontare la storia dell’arte con la parata spettacolare dei capolavori dei diversi movimenti artistici, e in più con l’esempio del giovane Phillip appassionato al punto di fondare un Museo e dedicarvi la propria vita con l’intento di avvicinare il pubblico facendo del bene alla comunità in cui viveva nella concezione che aveva della funzione sociale dell’arte.
La mostra si inserisce nel filone delle esposizioni legate alle collezioni, ricordiamo al Palazzo Esposizioni quella sull’arte americana del Guggenheim esui capolavori dello Stadel Museum, alle Scuderie del Quirinale sulla civiltà islamica nella collezione di Al-Sabah Kuwait, al Vittoriano sui capolavori del Museo d’Orsay, alla Fondazione Roma sulle collezioni Zeri e Santarelli. Viene aggiunta la personalizzazione sulla figura del collezionista e sulla sua attività pionieristica nell’avvicinare il pubblico all’arte europea e americana contemporanea, quando i musei americani erano rimasti legati al figurativo e all’arte accademica. E dovevano trascorrere dieci anni dopo la Phillip Memorial Gallery di Washington prima che si aprisse il Museum of Modern Art di New York.
E’ un merito notevole perché seguendo la propria ispirazione e sensibilità artistica è riuscito a precorrere i tempi aprendo il suo paese alle più avanzate forme d’arte europea e sostenendo i nuovi talenti dell’arte americana. In questo modo ha seguito la propria vocazione a creare, con il Museo, “una forza benefica” per la propria comunità ritenendo che “l’arte ha una funzione benefica nel mondo”. Dall’apertura nel 1921, alla sua scomparsa nel 1966, è passato dalle 300 opere iniziali a 2000 opere, in tutte l’impronta della sua scelta personale; oggi il Museo ha raggiunto le 3000 opere.
Phillip con la Memorial Gallery antesignano dei musei moderni
Questo personaggio è Duncan Phillip, nato a Pittsburgh da famiglia benestante, trasferito da ragazzo a Washington, giovanissimo fu attratto dall’arte, voleva diventare critico e frequentava i musei con il fratello più grande James facendo acquisti per uso personale e consigliando i genitori che raccoglievano opere di artisti americani. La morte ravvicinata del fratello e del padre segnò la svolta, nel mettere ordine alla raccolta familiare pensò di onorare la memoria dei suoi cari creando la Phillip Memorial Gallery, un “museo intimo e raccolto”, nelle sue parole, con l’arte eternatrice anche dei sentimenti strettamente personali.
Modificò l’impronta conservatrice iniziale dopo il matrimonio del 1921 con un pittrice e la lettura di testi avanzati dei critici Bell e Fry, i suoi nuovi orientamenti si rafforzarono dopo l’incontro con Stieglitz, il fotografo gallerista che lanciò Georgia O’ Keeffe, la grande artista, in un rapporto di vita tormentato.
Era molto personale il suo intento di promuovere confronti tra i diversi artisti e le correnti rappresentate, un modo innovativo di stimolare l’interesse del pubblico verso una visione approfondita dell’arte. Questo risultato veniva perseguito con l’allestimento del Museo basato, sono sempre sue parole, “sul contrasto e l’analogia, in modo da riunire gli spiriti congeniali di artisti provenienti da diverse parti del mondo e da epoche diverse, rintracciando la loro comune discendenza da antichi maestri che anticiparono le idee della modernità”. Un’impostazione lontana mille miglia da quella mercantile, legata alla sua vocazione iniziale di critico e alla sua innata passione per l’arte, che lo portava a “costruire” continui collegamenti e relazioni nel tempo e nello spazio e ad operare di conseguenza traducendo le intuizioni artistiche in acquisti mirati.
Oggi questa scelta sembra obbligata, dato che si trova nei musei attuali, ma Phillip fu innovatore e rivoluzionario allorché le esposizioni erano ordinate in base alla classificazione per autore, paese e cronologia , senza commistioni. Ecco la sua impostazione: “Epoche e nazionalità si mescolano nella nostra galleria in modo tale che i dipinti antichi e moderni acquistano rilevanza e significato grazie al loro accostamento in un contesto nuovo, in virtù di contrasti e analogie inedite”. Non è solo un aspetto classificatorio, mettendo insieme antichi e moderni, americani ed europei, ruppe le barriere che frenavano le opere contemporanee ponendole sullo stesso livello e valore delle altre rinomate.
Phillip non mirava a costruire raccolte il più possibile complete di stili e correnti, ma “fiumi di espressione artistica”, cioè opere con dei contenuti tali da diventare archetipi per i confronti. Cercava “i prodigi della personalità, non ciò che può essere contenuto in un quadro, ma ciò che non può essere lasciato fuori”, proprio per il suo valore paradigmatico e personale; si impegnava nella scoperta dell'”eccellenza individuale”, scegliendo artisti che non seguivano le correnti ma si esprimevano in modo personale. Metteva insieme, così, “una raccolta di immagini diverse che ci dà l’impressione di incontrare e conoscere gli artisti come persone, di fare nuovi amici”. A questo fine preferiva acquistare “numerosi esempi del lavoro di artisti che ammiro particolarmente e mi diletto a onorare, anziché un solo dipinto di una celebrità riconosciuta”. Ma la sua intuizione era tale che diventavano presto celebrità anche loro.
Da questa apertura personale nasce un altro aspetto della sua azione meritoria nel campo dell’arte. Oltre a raccogliere le opere delle avanguardie americane e ad avvicinarle a quelle dei maestri europei, sin dall’inizio si impegnò, anche queste sono sue parole, “a incoraggiare gli artisti contemporanei , stabilendo contatti personali e relazioni amichevoli, per conquistare la loro fiducia”.
Fu così che il Museo divenne sin dall’inizio un “centro di sperimentazione” , con la ricerca dei talenti che venivano formati nel confronto con i grandi artisti della collezione e valorizzati: “Un protettore delle arti, diceva, ha il dovere di essere vigile e aperto, e di incoraggiare l’avventura creativa attraverso n’utile collaborazione con i suoi artefici”. A questo fine svolgevano un ruolo importante le mostre.
Il percorso di Phillip nelle acquisizioni per il suo museo
Dalla scelte concrete nelle acquisizioni di opere emergono gli orientamenti maturati nel tempo. All’inizio Daumier con la sua “Rivolta” e le sue caricature, Puvis de Chavennet con la sua rivolta, Monet con il suo impressionismo lontano dai luoghi consueti erano tra quelli che riteneva le fonti dell’arte moderna. Seguono Courbet e Sisley, Manet e Morisot, poi le opere simboliste di Redon, Vuillard e Bonnard, da lui prediletto in modo particolare.
Le sue idee si evolvono, dopo la metà degli anni ’20 all’impressionismo segue il post impressionismo con gli antesignani della modernità iniziando da Cèzanne che si era distaccato dalla dipendenza sensoriale e Rousseau, poi Braque e Picasso; la strada è aperta, entrano nella collezione del Museo Ingres e Delacroix, Gris e Corot.
Ha cercato finora di mantenere l’equilibrio tra il classicismo della forma e il romanticismo del colore, ora si sposta verso il secondo: con il passar del tempo acquista Dufy e Rouault, poi Degas e Van Gogh, Kokoschka e Soutine, Klee e Kandinskij, Matisse e Morandi, De Stael e Modigliani.
Abbiamo citato finora artisti europei, e gli americani? Sono il cuore della raccolta, attraverso Stieglitz che nella sua “Intimate Gallery” promuoveva cinque artisti stabili, oltre se stesso, e un settimo che cambiava di volta in volta, entra in contatto con Dove, di cui in vent’anni acquisterà 60 dipinti sostenendolo e valorizzandone l’attività artistica; sempre attraverso Stiglitz, Marin, altro suo preferito, e Georgia O’ Keeffe. Con questi artisti, soprattutto Dove, si avvicina all’astrazione, che entrerà con prepotenza nella sua collezione. Definiva Marin, con Bonnard, “i due temperamenti più affascinanti dell’arte contemporanea”, le loro opere erano esposte vicine, insieme a Matisse e Utrillo nell’accostamento di temperamenti artistici che sentiva vicini superando tutte le barriere. Entrano poi altri americani tra cui Avery e Graham, Hartley e Lawson, Prendergast e Pollock.
Diebenkorn fu colpito nel Museo da un’opera di Matisse – oltre che da quelle di Bonnard, Vuillard e Dove – al punto di dire che gli era “rimasto in mente fin da quando lo vidi lì per la prima volta”, e se ne nota l’influsso nelle sue opere acquistate da Phillip, creando così un circuito virtuoso tra l’aspetto formativo e quello realizzativo del suo “centro di sperimentazione”. Mentre per Rotchko va fatto un discorso a parte, nella sua ricerca dell’astrazione attraverso forma e colore puro vedeva la sintesi tra l’estetica occidentale e orientale espressa con spiritualismo e trascendenza, il suo ideale. Gli dedicò una mostra nel 1960 e le sue opere le espose in modo permanente in uno spazio a lui dedicato, rinunciando per lui agli accostamenti e alle mescolanze ma dando corpo all’altra idea, di costituire sale riservate ai “geni” come momenti di approfondimento dei maggiori artisti.
La mostra del Palazzo Esposizioni presenta una selezione delle opere della Collezione Phillip, 60 capolavori nelle sei sale del principale percorso espositivo, quello intorno alla grande rotonda, ciascuna dedicata a specifiche correnti pittoriche: Classicismo, Romanticismo e Realismo;, Impressionismo e Postimpressionismo;Parigi e il cubismo; Intimismo e Modernismo; Espressionismo e la natura, Espressionismo astratto.
Nella visita si passano in rassegna le correnti pittoriche dell’800 e ‘900, una carrellata, anzi una cavalcata tra capolavori senza tempo visti nel percorso acquisitivo di Phillip, che accresce interesse a quello insito in una sintesi artistica di così alto livello. Un’occasione imperdibile.
Classicismo, romanticismo e realismo
Con la 1^ sezione si entra nel vivo dell’arte nell’800 tra “Classicismo, romanticismo e realismo”. La ricerca dell’ideale senza tempo dei classici era volta all’equilibrio e all’armonia, con la chiarezza compositiva data dallo stile accademico che conciliava gli opposti seguendo regole precise. Il romanticismo, invece, rompeva l’equilibrio con l’irruzione dei sentimenti e della fantasia, rifiutando le regole e le certezze per esplorare le novità, senza curare forma né rifiniture. Con il realismo una visione diversa dalle due ora riassunte, né l’equilibrio ideale dei classicisti né la trasgressione ostentata dei romantici, ma ancoraggio alla realtà naturale da non idealizzare né trasgredire.
La visione moderna della pittura superava queste antinomie per la compresenza dei diversi elementi, ed è la scoperta delle loro modulazioni uno dei motivi di interesse di questa sezione.
Significativo al riguardo il “San Pietro penitente”, 1820-24, di Francisco De Goya, non c’è classicismo ma forte realismo nella figura di contadino con una tensione emotiva di tipo romantico.
Lo troviamo accostato a un altro “San Pietro penitente”, 1605, quello di El Greco, di due secoli anteriore, nel segno della ricerca degli antichi maestri, anche qui realismo e drammaticità, Phillip lo considerava “il primo grande espressionista”.
Anche “La rivolta”, 1848, di Honoré Daumier, ha una forte tensione drammatica in un movimento popolare reso con realismo. Phillip lo poneva al livello di Michelangelo e considerava questo “il quadro più importante della collezione”; di Daumier vediamo anche “Tre avvocati”, in cui passa dal dramma alla satira restando nel realismo compositivo poco incline alle rifiniture.
La visione romantica in Eugéne Delacroix si discosta dal realismo, non temi di attualità o sacri, ma mitologici o letterari, quindi fuori del tempo; alla ricerca di equilibrio dei classici contrappone il movimento, non ci sono contorni ma pennellate dal forte cromatismo, lo vediamo nei “Cavalli che escono dal mare”, 1860 , tra loro un cavaliere dalla tunica rossa in posa quanto mai instabile.
Espressione massima della classicità “La piccola bagnante”, 1826, di Jean-Auguste-Dominique Ingres, un vero archetipo con la figura immobile e levigata da sembrare una statua di marmo del Canova, statica ed armoniosa: nulla di romantico, il realismo forse è nei contorni.
Altrettanta classicità in “La pigiatura dell’uva” di Pierre Puvis de Chavannes, 1865, in una composizione con realismo da vita quotidiana tuttavia ispirata a soggetti dell’antichità, l’artista si era formato sull’affresco classico, i corpi pur nella diversità richiamano l’incarnato di Ingres.
Il realismo prevale nel “Balletto spagnolo”, 1862, di Edouard Manet, i danzatori posarono nel suo studio, ci sono aspetti che lo collegano a stereotipi romantici nella sua personale modernità.
Gli altri dipinti della sezione sono nature morte e paesaggi, anche in questi si possono ricercare i segni delle tre espressioni artistiche cui è dedicata la sezione.
Nei paesaggi al classicismo dell’equilibrio ambientale si unisce il realismo della rappresentazione della natura com’è, al di là delle idealizzazioni. Lo vediamo nei paesaggi italiani di Jean.Baptiste-Camille Corot, “Veduta degli Orti Farnesiani, Roma”, 1826, e “Genzano”, 1843, l’artista si è formato sui classici e in questi piccoli quadri rende la natura con precisione come si presenta nei contorni e negli effetti luminosi dipingendo già allora all’aria aperta e non nel chiuso dell’atelier.
Invece Gustave Courbet dipinge “Rocce a Mouthier”, 1855, e “Il Mediterraneo”, 1857, senza la serenità aprica di Corot, la sua natura è aspra e tormentata, nelle rocce del primo dipinto come nelle onde del secondo, con colpi di spatola che accentuano drammaticamente i contrasti. Il suo realismo romantico piaceva molto a Phillip.
Di Antoine-Felix Boisselier “Veduta del lago di Nemi”, 1811, con l’equilibrio immobile dei classici e il realismo della visione diretta.
Accostiamo a Courbet “Sul fiume Stour”, 1834-37 dell’inglese John Constable, i colpi di spatola sono più accentuati, con macchie di bianco che accentuano i contrasti, nessuna idealizzazione bensì rappresentazione realistica della natura con gli agenti atmosferici, frutto dei suoi studi scientifici.
La sezione di chiude con “Pesche”, 1869, di Henri-Fantin Latour e “Vaso di fiori”. 1875, di Adolphe Monticelli, anche queste espressioni della natura viste con equilibrato realismo.
E’ solo l’inizio, le sezioni seguenti vanno dagli Impressionisti ai cubisti, dall’intimità dei modernisti fino agli espressionisti astratti, racconteremo la nostra visita prossimamente.
Info
Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale 194, Roma. tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Da martedì a domenica ore 10,00-20,00, chiusura prolungata alle ore 22,30 venerdì e sabato, lunedì chiuso. La biglietteria chiude 45 minuti prima della chiuusura serale. Ingresso intero euro 12,50, ridotto euro 10,00, che permette di visitare tutte le mostre in corso al Palazzo Esposizioni, in particolare oltre a “Impressionisti e moderni”, “La Dolce vita? Dal Liberty al design italiano 1900-1940”, fino al 15 dicembre è stato possibile vedere anche “Russia on the Road” (cfr. i nostri articoli, in questo sito, su “Una dolce vita?” 1°, 14 e 23 novembre, “Russia on the Road” 18 e 26 novembre 2015). Catalogo “Impressionisti e moderni. Capolavori dalla Phillip Collection di Washington”, Silvana Editoriale, 2015, pp. 166, formato 24,5 x 28,5, .dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Gli altri due articoli usciranno in questo sito il 18 e 27 gennaio 2016, con 12 immagini ciascuno. Per le collezioni e artisti citati nel testo, cfr. i nostri articoli, in questo sito: per i musei “Orsay”, 11 maggio 2014, “Guggenheim” 22 e 29 novembre 2012, eper “Al-Sabah Kuwait “ 3 e 10 agosto 2015, “Zevi-Santarelli” 15 ottobre 2012:in “cultura.inabruzzo.it” per “Stadel Museum” 3 articoli nel luglio 2011, inoltre per gli impressionisti “Da Corot a Monet, la sinfonia della natura” 27 e 29 giugno 2010 (il sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti in questo sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Palazzo Esposizioni alla presentazione della mostra, si ringrazia l’Azienda Speciale Palaexpo con i titolari dei diritti, la Phillip Collection e i singoli artisti, per l’opportunità offerta. Sono riportate le immagini della 1^ sezione della mostra, commentata in questo articolo, e quelle della 2^ sezione, commentata nell’articolo successivo. In apertura, Honoré Daumier, “La rivolta”, 1848; seguono, Pierre Puvis De Chavannes, “La pigiatura dell’uva”, 1865, e Gustave Courbet, “Rocce a Mouthier”; 1855, poi, Francisco José Goya, “San Pietro penitente”, 1820-24, ed Edouard Manet, “Balletto spagnolo”, 1862; quindi, Ferdinand-Victor-Eugène Delocroix, “Cavalli che escono dal mare”, 1860, e Claude Monet, “La strada per Vétheuil”, 1879; inoltre, Paul Cézanne, “Autoritratto”, 1878-80,e “La montagna Sainte Victoire”, 1886-87; infine, Hilaire-Germain-Edgar Degas, “Ballerine alla sbarra”, 1900, e Vincent Van Gogh, “Casa ad Auvers”, 1890; in chiusura, la presentazione delle tre mostre “2’015. Autunno al Palazzo delle Esposizioni”, al centro il Commissario Innocenzo Cipolletta e il Direttore generale Mario De Simoni.