Renzo Arbore, un inno alla gioia la mostra al Macro Testaccio

di Romano Maria Levante.

Al Testaccio,  nell’antico mattatoio romano divenuto spazio espositivo del Macro,  precisamente a “La Pelanda”, Centro di produzione culturale,  dal 19 dicembre 2015 al 3 aprile 2016,  la  mostra “Renzo Arbore. Videos, radios, cianfrusaglies. ‘Lasciate ogni tristezza voi ch’entrate'” celebra i 50 anni di attività del noto personaggio presentandone le molteplici espressioni, in particolare attraverso la  radio, la  televisione  e la musica della sua Orchestra Italiana, che compie 25 anni,  e la sua passione di collezionista di “cianfrusaglie”,  ricercati oggetti inutili,  e capi di abbigliamento insoliti. La mostra è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai beni Culturali,  prodotta da Civita  con la Rai e il contributo di Rai Teche, allestimento a cura di Giovanni Licheri e Alida Cappellini. .A latere della mostra il libro illustrato sulla sua attività artistica, “Renzo Arbore. E se la vita fosse una jam session?  Fatti e misfatti di quello della notte”, di Renzo Arbore e Lorenza Foschini, Editore Rizzoli, 2015, pp. 312, formato 24 x 17.  

La direttrice del Macro, Federica Pirani, nel presentare la mostra insieme al Presidente di Civita Cultura Luigi Abete, ha definito Arbore il Warhol italiano, mentre Abete ha detto che “con Arbore la cultura è comunità”: l’artista si è schermito citando i propri versi della sigla di “Quelli della notte” , “Lo diceva Neruda che di giorno si suda…, rispondeva Picasso io di giorno mi scasso” espressivi di una leggerezza irridente e scanzonata, senza pretese,  ma all’insegna dell’originalità: “Questa mostra fa vedere cos’è l’originalità, ha detto Arbore, ciò che è fuori dal banale, tutto quello che è ‘altro’. Altra radio, altro cinema, altra TV, altra musica”. Il tutto con l’apporto “dei personaggi che ho incontrato e della loro bizzarra fantasia”. 

Lo si vede nei vasti saloni  della “Pelanda”, nulla di pedante e sussiegoso,  c’è un grande spiegamento di audiovisivi, oltre 50 monitor in continuo funzionamento, più diversi grandi schermi con proiezioni ininterrotte,  pareti, installazioni  e vetrine con  le sue singolari predilezioni  nell’abbigliamento personale e negli oggetti curiosi raccolti.

Tutto è scintillante e coinvolgente,  nel segno dell’originalità, della creatività e dell’inventiva  di Renzo Arbore. Perciò ci piace definire la mostra un “inno alla gioia”, è questa la sensazione che si prova nella visita ai saloni della “Pelanda” in una sinfonia esaltante di suoni e luci, colori e visioni che dà appunto gioia. La scritta che accoglie in questo paradiso dello spettacolo, speculare all’inferno dantesco, “lasciate ogni tristezza voi ch’entrate”, è addirittura riduttiva: non c’è solo questo, ci si abbandona alla gioia, e il richiamo all’inno dell’Unione europea  esprime anche il cosmopolitismo entrato nell’attività del  personaggio con i viaggi per il mondo della sua orchestra.  

Si è immersi in una dimensione festosa, dalla figura affabulante del padrone di casa che  invita al sorriso con il suo abbigliamento colorato, il suo fare colorito e le sue parole accattivanti, all’allestimento volto a colpire l’immaginazione nell’immediato con rimandi nostalgici continui anch’essi volti al sorriso. Le stesse immagini di personaggi dello spettacolo scomparsi non portano alla malinconia della perdita ma alla gioia di averli ritrovati nel pieno della loro attività artistica e della vitalità umana. Vi abbiamo visto un vero paradiso dello spettacolo  perché è naturale la resurrezione senza che resti traccia della triste vicenda umana, ogni tristezza viene lasciata fuori dall’ingresso invitante della mostra.  I personaggi sono resi eterni dalla loro presenza viva, come nel mito di Eos e Titone,  però Titone ebbe da Giove solo la vita eterna per l’amore di Eos,  la dea dell’Aurora, non l’eterna giovinezza di Troisi e Bramieri, Murolo e  Iannacci e degli altri che qui rivivono.

Un paese dei balocchi per adulti, il Lucignolo Arbore accompagna con la sua presenza nei grandi schermi di benvenuto a grandezza naturale e nei monitor che inondano delle sue immagini la scena.

Si può parlare di scena nella quale si recita a soggetto, questo è l’effetto che si prova assistendo alla trasmissione ininterrotta su tanti schermi di frammenti di programmi come se si improvvisassero gag e sketch esilaranti, frammenti che ripercorrono la sua vita artistica e insieme ci fanno ripercorrere la nostra vita di spettatori. E’ l’itinerario della mostra, e sarà questo il nostro racconto nel quale oltre alle immagini che scorrono davanti ai nostri occhi di visitatori daremo conto dei momenti topici della carriera dell’artista, nella festosa condivisione di sensazioni e di emozioni per la magia della mostra.

Oltre ai tanti video le gigantografie, soprattutto dei suoi viaggi, mentre  all’ingresso si passa tra due ali di copertine di periodici a lui dedicate,  almeno una sessantina, in due tabelloni; e dinanzi all’esposizione delle copertine dei molti dischi. In una parete i diplomi, le cittadinanze onorarie e gli incontri più prestigiosi, si tratta della consacrazione del suo successo.

La prima televisione di Arbore

Si provano emozioni e si è portati anche alla meditazione (“meditate, gente, meditate…”) perché la televisione di Arbore anticipa  l’evoluzione del  costume nazionale con l’affrancamento da conformismi paralizzanti per il gioioso manifestarsi di impulsi creativi e liberatori. innovazione e trasgressione nel buon gusto e nella leggerezza, una sorta di marchio di fabbrica.

Comincia nel 1976 con “L’altra domenica”,  rivoluziona gli schemi del pomeriggio festivo, prima nazional-popolare,  con una sperimentazione d’avanguardia nei toni, nei contenuti e nei personaggi, il clima creativo li metteva in condizione di esprimersi in assoluta libertà. Si contrapponeva alla  “Domenica In” di Pippo Baudo, in un duello alla Coppi e Bartali.

“L’altra domenica” è un caleidoscopio di macchiette e di sketch esilaranti con il lancio di talenti che si affermano subito, basta ricordare Benigni e Milly Carlucci, Nichetti e Mirabella, con Isabella Rossellini in collegamento da New York, il cugino americano Andy Luotto e le ineffabili  Sorelle Bandiera, altri esploderanno in seguito.  Così ha formato una squadra, che lo ha accompagnato nelle creazioni successive, e ha portato alla ribalta personaggi che sarebbero cresciuti a dismisura.

Lancia maliziosamente con ardite inquadrature che ne valorizzano la procacità Lory Del Santo all’inizio degli anni ’80  in “Tagli, ritagli e frattaglie” insieme a Luciano De Crescenzio, partner arguto dalla filosofia accattivante,  seguito da “Telepatria Internazional”.  Nel1984 celebra il 60° anniversario della radio con lo spettacolo televisivo, “Cari amici, vicini e lontani”, ispirato al saluto del “mitico” Nunzio Filogamo, primo conduttore del Festival di San Remo che peraltro poi aggiungerà “ovunque voi siate”  per sottolineare  la penetrazione delle trasmissioni della Rai.  E’ la televisione che celebra la radio, un  binomio che è stata una parte importante della sua vita artistica. Inutile dire che le cinque trasmissioni furono una sfilata di tutti i volti e le voci divenute familiari per gli italiani, come in una festa di compleanno alla quale si invitano parenti e amici in un abbraccio affettuoso.  Nulla di trasgressivo nè stravagante, alternava la giacca del presentatore alla camicia del musicista nel complesso che completava magnificamente l’allestimento festaiolo della ricorrenza celebrata.

Irrompe “Quelli della notte”

La grande innovazione irrompe nel 1985 con “Quelli della notte” , un successo straordinario in seconda serata che ha rivoluzionato la scala dei valori degli spettacoli serali dove prima contava soltanto il “prime time”. Ma questo è quasi un accessorio rispetto all’altra novità rivoluzionaria per la televisione: l’improvvisazione che era stata la sua carta vincente alla radio portata sulla  scena visiva. Un’improvvisazione, per di più, unita allo stesso carattere surreale e stravagante già da lui sperimentato con “Alto gradimento”, ma che ora deve misurarsi con le immagini. Di qui il salotto notturno  con improbabili discussioni, recite a soggetto su un  tema spesso banale o strampalato, la commedia dell’arte in video in contenuti bislacchi e toni irridenti: farlo a ruota libera e nel più esilarante non sense è un salto mortale senza rete.

Una satira non plateale ma percepibile, al primo diffondersi dei talk show con improbabili partecipanti sui temi più svariati nei quali non avevano vera competenze ma presenziavano per la loro notorietà, fenomeno  destinato a moltiplicarsi che fu colto da Arbore nelle manifestazioni iniziali. Il suo salotto era improvvisato e così sconclusionato da risultare  ancora più esilarante delle gag costruite ad arte, l’ascolto arrivò a superare il 50% degli spettatori notturni. Si affermarono personaggi ineffabili e provocatori, come fra Antonino da Scasazza, il finto frate di Nino Frassica che storpiava le parole e prendeva fischi per fiaschi;  il comunista romagnolo di Maurizio Ferrini, tra il tormentone dei pedalò e gli improbabili segreti della Russia sovietica; l’intellettuale  del “brodo primordiale” di Riccardo Pazzaglia i cui maldestri tentativi di elevare il livello del dibattito venivano resi vani dal becero andamento della discussione; che veniva riportata all’ovvietà lapalissiana dagli interventi di Massimo Catalano, del tipo “meglio essere ricchi e in salute che poveri e malati” spacciati come scoperte brillanti; non mancavano le citazioni colte divenute tormentone, “l’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera rientrava nelle ossessioni dell’edonista reaganiano Roberto d’Agostino, e neppure il cosmopolitismo con Andy Luotto che da arabo fu così dissacrante da suscitare proteste di ambasciate e minacce di fanatici al punto da dover mutare caricatura, non più verso gli arabi ma verso i ricchi italo-americani di Brooklin: fino a Simona Marchini, la segretaria svampita del “Signor Arbore” e la giovanissima Marisa Laurito.

Non solo gag ma musiche con altrettanti personaggi, e due sigle altrettanto irridenti e stravaganti, come  quella di apertura  che alludeva maliziosamente “s’ammoscia, s’ammoscia, s’ammoscia di giorno, ma la notte no”, e  quella di chiusura che cantava “ma il materasso è il massimo che c’è”, perché “il materasso è la felicità”.

La trasmissione non fu soltanto un evento televisivo per il successo folgorante quanto inatteso, fece superare il clima di angoscia diffuso dagli “anni di piombo”. “‘Quelli della notte’ – ricorda Arbore – segnò il cambiamento. Si tornava a ridere, a fare tardi, a bere birra e a dire stupidaggini”. la sua citazione della birra ci fa ripensare a lui come testimonial  con il motto di “chi beve birra campa cent’anni”. E dire che l’idea gli venne dopo una riunione di condominio a Foggia, quelle che tutti conoscono, sconclusionate e inconcludenti.

Avanti con “Indietro tutta”

Quando nel dicembre 1987  si trattò di tentare di nuovo il successo, con “Indietro tutta” pur con l’handicap del raffronto con un risultato che sembrava ineguagliabile, fu estratto dal cilindro un altro coniglio come ha rivelato  nella presentazione della mostra Arbore stesso. Fu anticipato l’inizio  alle 22,30 rispetto alle 23,10 di “Quelli della notte”, con relativo accorciamento del TG 2, sacrificio che il direttore Alberto La Volpe accettò perché c’era un altro inedito, frutto anch’esso della fantasiosa genialità di Arbore:  la sigla di chiusura  “Vengo dopo il ti gi”, un inno al telegiornale che non era stato mai neppure concepito, tanto appariva surreale. Lui  si rivolge a lei mentre va e letto dopo la trasmissione dicendole che l’avrebbe raggiunta “dopo il ti gi”, con parole assimilabili a  maliziosi doppi sensi, da “vengo” a “tosto dopo il ti gi”. Anche se meno evidenti della sigla di successo della precedente trasmissione “Ma la notte no” e del  “clarinetto”.

Di nuovo la seconda serata invece del “prime time”, a cadenza quotidiana, con relative canzoni ammiccanti, “Indietro tutto” invece di “Avanti tutta” con l’esaltazione del TG,  anche qui ammiccando, ma questa volta invece dell’happening permanente, una finta struttura di gioco a premi con vincite milionarie in una contrapposizione tra Nord e Sud con tifoserie scatenate come nelle curve degli stadi, il pubblico in studio che diventa protagonista, Miss Nord e Miss Sud, le due “guardiane”, una delle quali diventerà attrice famosa, Maria Grazia Cucinotta,  costumi esageratamente opulenti. Non era una satira organizzata e coerente, presto il filo conduttore veniva dimenticato nell’improvvisazione che riproduceva l’happening  incontrollabile, e per questo  irresistibile e coinvolgente.

Anche qui personaggi scolpiti nella storia della televisione, Arbore in divisa bianca di ammiraglio con megafono sulla tolda della nave immaginaria che naviga all’indietro, con Nino Frassica, trasformato dal frate sconclusionato di “Quelli della notte”  in  “bravo presentatore” che entrava in scena in pompa magna e lustrini con mosse maldestre tra carri addobbati a mo’ di  portantine, e dialogava in modo surreale con l'”ammiraglio”;  e i tormentoni: “Volante uno, volante due”,  “Chiamo io, chiama lei”, con Alfredo Cerruti il coautore. Poi l’ingresso improvviso del “Pensatore”,  del quale si dovevano indovinare i pensieri sotto il casco di capelli riccioluti, il “non sense”  portato al parossismo.

Finché non irrompeva con la sua travolgente carica di festosa sensualità il balletto musicale del “Cacao meravigliao”, un prodotto fittizio che divenne  tanto popolare da far gola a un produttore il cui intento di metterlo in commercio suscitò una mobilitazione contro la minaccia di registrarne il marchio  che avrebbe scippato e calpestato la fantasia e la creatività: il prodotto di Arbore era stato adottato da  tutti.

Il passaggio dall’evocazione fantastica e satirica alla realtà è congeniale alle creazioni di Arbore, per il suo carattere anticipatore dei movimenti profondi nel costume della società. Lo vediamo con le “ragazze coccodè”, ebbene le “veline”, le “letterine” e quant’altro connesso al corpo femminile come richiamo,  hanno superato lo stesso spirito satirico messo in campo da Arbore in “Quelli della notte” con le 13 fanciulle discinte . Ma nel mettere in berlina il degrado, purtroppo moltiplicatosi in seguito, nel modo di concepire la presenza femminile in televisione, ha portato per primo le donne alla ribalta come protagoniste: le sue “le chiamavano ‘Donne parlanti’ perché erano le prime a parlare in video”, ne vediamo le sagome disegnate a grandezza naturale con la testa parlante per mezzo di un video.

Sono tessere di un mosaico la cui successione incessante e incalzante nella mostra non lascia spazio a tristi  abbandoni, del resto si è lasciata ogni tristezza all’ingresso, né rattristano le  rimembranze del tempo che fu, le situazioni surreali  e parossistiche trascinano nella loro esilarante vacuità.

Così  per “la vita è tutto un quiz”, perché “è col  quiz che ti danno i milioni”,  da cui segue l’esclamazione grata “evviva le televisioni!”. Oggi “i milioni” non si vincono con i quiz che comunque richiedevano  almeno un certo impegno, bastano le scatole nei “Fatti vostri” e gli equivalenti nelle altre occasioni lasciate alla pura fortuna, “e noi giochiamo e rigiochiamo”, perché “aspetta e spera, che poi s’avvera”. Con l’associazione, nella televisione odierna,  dell’azzardo portato al diapason  a una perfida  dose di sadismo nel voler  evidenziare  l’errore del concorrente nella scelta pur se casuale fino a metterne a rischio l’equilibrio pichico. “Siamo un popolo di concorrenti”, cantava Arbore, si è avverato in termini ben più deteriori.

Un “come eravamo”  festoso e coinvolgente

Ma ci sono anche immagini di trasmissioni, come la striscia musicale di “D.O.C.” del 1987,  con il fido Gegè Telesforo tra i tanti,  jazz, blues e rock  molto curati, a “Denominazione di Origine Controllata”. I monitor presentano  sequenze di “Il Caso Sanremo”,  del 1990, dove è un giudice semiserio in toga nel processo al  Festival con  avvocati stravaganti come Michele Mirabella e Lino Banfi e gag esilaranti; e brani  dell’omaggio  televisivo  “Caro Totò… ti voglio presentare”, del 1992, con la grande statua portata in scena come presenza viva del  re della comicità. Non manca nulla,  anche  l’esperienza di direttore artistico e testimonial di Rai International, la Tv per i connazionali all’estero,  nel 1996  22 ore di conduzione ininterrotta di “La Giostra”; fu un’esperienza  breve, non consona alle sue improvvisazioni. Dopo cinque anni, nel  2001 lo ritroviamo  sul satellite di Rai-Sat con l’Altra domenica e tre nuovi suoi Speciali sul Giappone. Altre  presenze nel 2002 con “Do Re Mi Fa Sol La Si” e singole apparizioni.

Non mancano le immagini di  “Speciale per Me”, il suo ritorno nel gennaio 2005 con un  motto in controtendenza rispetto all’Auditel televisivo, “Meno siamo meglio stiamo”.  Una collocazione ancora più notturna, ambientazione da night club dove alla musica si alternano le gag imperdibili di presenze stabili  e di ospiti coinvolti anch’essi nel clima goliardico e dissacrante di notti gioiose tutte  da vivere; è rimasta impressa  Mariangela Melato con “sola me ne vo per la città”.

Le immagini dei video, familiari per tutti e scolpite nella memoria collettiva,  riportano a quei tempi e alle continue scoperte che si facevano  nelle sue trasmissioni,  un vero  laboratorio di creatività intelligente e stimolante. E’ un  “come eravamo”  coinvolgente in cui la componente nostalgica che porterebbe sentimenti di malinconia e rimpianto viene sopraffatta dalla componente ludica, come se si fosse saliti sulla macchina del tempo e si rivivessero quelle emozioni direttamente e non in un ricordo lontano, in una sorta di elisir di giovinezza.

“Quelli della notte” e “Indietro tutta” sono prevalenti, in un caleidoscopio di immagini esilaranti con  un continuo riconoscere e riconoscersi in quei momenti  che tornano con la freschezza di allora.

 “Ho cercato di mettere sale  e pepe nella televisione razzolando nell’inconsueto – sono le sue parole – Tutto quello che ‘non andava’, che non si poteva fare, a me al contrario interessava moltissimo. Diciamo che ho sempre inseguito il successo di ‘risonanza’ rispetto a quello dell’Auditel”. Che comunque è giunto anch’esso con i grandi numero degli ascolti anche nella tarda serata.

Non ci si alzerebbe mai dalla fila di sedie predisposte per far gustare comodamente al visitatore l’esaltante cavalcata negli spettacoli televisivi di una vita attraverso i 30 monitor in funzione, sedie eleganti e particolari, di un modernariato ricercato, anch’esse in carattere con l’insieme.

Ma c’è un altro importante capitolo della sua creatività che merita di essere esplorato, quello musicale, Ci attende in una sala apposita,  prima degli altri capitoli ancora più personali, sul suo abbigliamento eccentrico e fantasioso, fino al primo amore che non scorda mai, la radio, che chiude la colorita rassegna della sua vita artistica rivissuta attraverso immagini  e suoni,  oggetti e presenze virtuali.  Ne parleremo prossimamente.

Info

Macro Testaccio, La Pelanda, Centro di produzione culturale, Piazza Orazio Giustiniani. 4.  Dal martedì al venerdì, ore 14.00-20.00, sabato e domenica ore  10.00-20.00, lunedì chiuso; la biglietteria  chiude un’ora prima. Ingresso,  intero euro 12,00, ridotto  euro  10,00 per giovani tra 18 e 25 anni e over 65 anni, nonché  gruppi oltre 15 persone; ridotto speciale euro 4,00  per i minori di 18 anni; gratuito per i  minori di 6 anni, un accompagnatore per gruppo di adulti, diversamente abili e un accompagnatore, due insegnanti per scolaresca e per le altre categorie legittimate. Tel 06.06.08 e 199.15.11.21 macro@comune.roma.it. Il secondo e ultimo articolo, che tratterà anche della sua musica,  uscirà in questo sito il 16 marzo p.v. con altre 15 immagini, sugli oggetti da lui collezionati e sul suo speciale abbigliamento. Cfr. in questo sito i nostri articoli, per la mostra su Warhol 15 e 22 settembre 2014, sulla Rai  13 marzo 2014; in “cultura.inabruzzo.it” su Eos e Titone due articoli il 23 novembre 2014  (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti in questo sito). 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Macro Testaccio, La Pelanda, alla presentazione della mostra, si ringrazia l’organizzazione e Civita, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta, in particolare Renzo Arbore che abbiamo ripreso nella conferenza stampa.  Sono riportate immagini della sua televisione, della sua musica, e di due grandi apparecchi radio-dischi e juke box. In apertura, Renzo Arbore tra Federica Pirani, direttrice del Macro, e Luigi Abete, presidente di Civita Cultura; seguono, uno scorcio da destra di parte dei 30 monitor con i video e il grande schermo che trasmettono frammenti delle sue trasmissioni televisive,  e alcune sagome con le sue “donne parlanti”; poi, la “piramide”  dei suoi idoli musicali con al culmine Verdi, e una colonna con miniature di strumenti e suonatori jazz; quindi, il suo idolo Armstrong e un primo piano della sua statua a grandezza naturale; inoltre, una serie di immagini di viaggio in Oriente con la sua orchestra, e i 15 elementi dell’Orchestra Italiana con lui al centro in fila nella Piazza Rossa di Mosca; ancora, una serie di immagini di viaggio in USA con la sua orchestra, e l’albero dei monitor con i video di frammenti dei concerti dell’Orchestra italiana in tutto il mondo; infine, uno speciale apparecchio radio con giradischi e un juke box originale; in chiusura, uno scorcio da sinistra di parte dei 30 monitor con i video e il grande schermo che trasmettono frammenti delle sue trasmissioni televisive e, al termine, uno dei pannelli che espongono le copertine di riviste a lui dedicate