Tinto Brass, il maestro dell’erotismo al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Si conclude il nostro racconto della mostra “Tinto Brass, uno sguardo libero”, aperta al Vittoriano, lato Fori Imperiali, dal 24 febnbraio al 23 marzo 2016, con la ricostruzione della carriera artistica del regista attraverso i manifesti dei 26 film lungo 46 anni nei quali è passsato dal cinema di denuncia e ribellione contro il potere dei primi vent’anni, al cinema erotico come forma di liberazione. Sono esposte anche le foto di scena, oltre a bozzetti di scenografie, filmati e altro materiale della sua attvità cinematografica. Realizzata da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, con il patrocinio di Roma Capitale e la collaborazione dell’Istituto Luce-Cinecittà, Rai Teche e Acea. A cura di Caterina Varzi che ha curato anche il Catalogo Gangemi insieme ad  Andrea De Stefani.

Abbiamo già ripercorso il periodo della formazione del regista sottolineando l’importanza di Venezia,  in particolare nella sua cifra stilistica, e l’incidenza dell’incomprensione dei genitori, soprattutto il padre, sulla sua insofferenza verso il potere espressa nei film del primo periodo quando la contestazione aveva creato anche in lui molte speranze.  Passiamo  ora alla seconda fase che lo ha fatto definire “maestro dell’erotismo”.

La svolta, diventa il “maestro dell’erotismo”

 La disillusione sulla possibilità di esprimere la sua denuncia libertaria e quanto già sperimentato nei suoi film lin mrito al sesso, lo porta alla svolta dell’erotismo negli anni ’80,  che sul piano formale ed estetico si manifesta con opere di alta qualità cinematografica: “Non considero affatto minori, rispetto alle opere del mio primo periodo, i miei film a carattere erotico. Su un piano diverso, questi sono espressione della stessa irrequieta e incessante ricerca della libertà, che per fortuna non si troverà mai, altrimenti si smetterebbe di cercarla”. 

Tutte le foto di scena dei film dell’erotismo sono a colori, opera di Gianfranco Salis, così ne ha parlato recentemente il regista: “La mia collaborazione con Gianfranco Salis è di lunga data, ultra trentennale; il che ha permesso il consolidamento di una sintonia d’intenti e intuizioni tale da favorire la nascita di immagini dall’inconfondibile e icastica cifra stilistica brassalissiana o salisbrassiana che dir si voglia. Non è poco nell’universo mediatico sempre più invaso dal pressapochismo e analfabetismo estetico”. Lo dice il regista che ha teorizzato la prevalenza sul contenente sul contenuto, della forma sulla sostanza, dell’immagine sulla storia narrata.

Per questo,  insieme ai film e relativi manifesti descriviamo anche le foto di scena, fanno parte del racconto;    precisiamo subito una volta per tutte che sono tutte di Salis, quindi non ne citeremo più l’autore.

Ma prima di questa carrellata sulla sua cinematografia di frontiera vanno riportate le sue affermazioni illuminanti per un’interpretazione che non si fermi alle apparenze, spesso scioccanti.  Ribadisce innanzitutto la continuità con il passato anche dopo la svolta erotica: “Il primato del Significante sul Significato è  una costante del mio cinema sia che mi occupi di temi politici e sociali, sia che mi dedichi alla sessualità e all’erotismo”. E ne spiega le conseguenze:  “Da essa discendono la centralità del montaggio, l’ossessione figurativa, i giochi di macchina e di parola, l’ironia e l’autoironia, la sensualità e lo sberleffo carnale, la cifra non di rado grottesca, paradossale, dark, trash, gore, slatter, hard, iperbolica e surreale del mio cinema, la rabbia spesso e volentieri beffarda, sulfurea e anarchica che lo percorre”. Sono parole che non vanno sottovalutate, dimostrano come siano stati azzardati certi giudizi superficiali che non hanno saputo cogliere gli intenti reali dell’autore. 

La prima trilogia erotica tra il 1983 e il 1987

Il film della svolta è “La chiave”, del 1983,  con Stefania Sandrelli, Frank Finley e Franco Branciaroli.  Di nuovo una famiglia borghese, stanca e disillusa, ma nessuna denuncia bensì il percorso trasgressivo verso il godimento sessuale con la lettura delle confidenze erotiche affidate a un diario nella sottile complicità dei coniugi alla ricerca di nuovi stimoli anche attraverso la gelosia.

Un “voyerismo” cinematografico, con la massima cura dell’atmosfera e  interpretazione che riflette un altro dei suoi principi: “Nei suoi film la forma primeggia sul contenuto, il significato si desume dal significante”, il suo impegno sulla qualità espressiva è massimo, fino  prevalere sulla storia raccontata, le inedite nudità della Sandrelli diventano un cult di alto livello, Venezia ne è lo sfondo suggestivo.  Nel manifesto la celebre fotografia alla Sandrelli con in vista la giarrettiera, che nel film prelude all’esplosione di sensualità disinibita.  Che appare nel primo piano con le giarrettiere della Sandrelli discinta seduta sul letto in una delle tre foto esposte; mentre nelle altre due l’attrice è ripresa con un suggestivo sfondo veneziano e mentre cammina sulla spiaggia insieme a  Branciaroli e al regista. 

Alla base di tutto la convinzione: “Le pulsioni sessuali non vanno trattenute ma lasciate libere di generare piacere ed esperienza. Non c’è colpa nel sesso ma gioia di vivere”. E affermazione di libertà nella società repressiva, quella libertà che neppure la contestazione  era riuscita a conquistare dopo i primi illusori successi.

“Tradito dagli echi del Sessantotto – così la Varzi –  Brass si muove nella direzione di un cambiamento che predilige il linguaggio erotico in quanto comprensibile per tutti. Da qui la necessità di misurarsi con ogni aspetto della sessualità senza imbarazzi, continuando a proclamare con il sesso un dissenso innato verso il potere”.  Ovviamente anche questo film è sotto la scure della censura ma ottiene grande successo.

A distanza di un biennio tra l’uno  e  l’altro  altri due film su questa linea, tanto da formare una trilogia. Nel 1985 dirige     “Miranda”,  con Serena Grandi nel personaggio della “Locandiera” di Goldoni nelle vesti di una procace camionista che incarna la gioia di vivere la propria sessualità, qui espressa in modo ancora più esplicito. Con lei  Franco Branciaroli della “Chiave”, ed Andy Forest. Nel manifesto un grande primo piano della protagonista  in posa provocante, come provocanti sono le due foto di scena, ripresa  accosciata con il cagnolino  e mentre balla con la gonna sollevata..

“Lettere da Capri” di Mario Soldati gli ispira “Capriccio” nel 1987,  esordio di Francesca Dellera, ancora Andy Forest con Nicola Warren, Soldati, letta la sceneggiatura,  non accettò che usasse il proprio titolo. Il manifesto mostra il viso della protagonista in una posa maliziosamente allusiva. Seducente  la Dellera nella foto di scena, distesa bocconi sul letto completamente nuda, mentre è statuaria la Warren ripresa nel suo elegante abbigliamento in gonna bianca  e top nero.

La nuova trilogia  nel quinquennio successivo 

Nel  quinquennio che segue altri tre film dello stesso genere, che possiamo considerare una nuova trilogia. Il primo,  “Snack Bar Budapest”,  è del 1988,  l’anno successivo a “Capriccio”,  con Giancarlo Giannini e Raffaella Baracchi. Anche  qui è la libera riduzione di un romanzo, questa volta gli autori Marco Lodoli e Silvia Bra non negano l’uso del titolo, è un film notturno e “noir”, una storia cupa di amore e morte. Il manifesto è criptico, dominato dal corpo femminile; tre le foto di scena esposte, una davanti all’insegna dello “Snack Bar Budapest”, la seconda presso un distributore di benzina con un sidecar, nella terza un primo piano di Giannini.   

Torna la liberazione gioiosa nel sesso e nell’amore senza ombre nel 1991 in “Paprika”,  con Debora Caprioglio che interpreterà a teatro nello stesso anno  “Lulù”, con l’ultima sua regia teatrale, dall’opera di Frank Wedekind, nudità e desiderio nello spirito della libertà sessuale e senza aggettivi. Tutto questo è anche in “Paprika”, ambientata in una casa di tolleranza istriana alla vigilia della chiusura, cosa che destò scandalo, d’altra parte il manifesto del film recava la grande scritta “Tinto Brass riapre le case chiuse” sopra alla scena della protagonista avanti agli specchi che moltiplicano l’immagine del suo lato B. Mentre le tre foto di scena esposte presentano immagini collettive, un ballo scatenato e altri atteggiamenti ancora più disinibiti.

Le femministe più oltranziste della “Città del Sole” arrivarono ad attaccarlo non solo verbalmente a Napoli al grido di “A morte Brass”, trovando nei suoi ultimi film un’espressione del maschilismo più becero. Quando invece, come sottolinea la Varzi, “a partire dal 1983 la sua filmografia si volge al topos della differenza sessuale. Ma in un’ottica femminile che rivendica il diritto della donna ad esprimere un piacere autonomo e indipendente dallo sguardo maschile”. Con questo intento: “Per raffigurarla come soggetto consapevole della propria sessualità, anziché vittima di un sistema simbolico fallocentrico”.  Un sistema che opponeva, allo slogan declamato nelle marce femministe “Col dito, col dito, l’orgasmo è garantito”, il fallico “Col c…., col c…., è tutto un altro andazzo”. In questa plateale contrapposizione Tinto Brass era con le femministe.

Il terzo film del quinquennio è “Così fan tutte”, del 1992, ancora la libertà sessuale della donna interpretata da Claudia Koll che impersona le evasioni di una moglie annoiata e insoddisfatta. Il manifesto riprende l’attrice da dietro, con il lato B esibito in modo vistoso e provocante, mentre le due foto di scena sono molto castigate.  L’attrice ha avuto poi una svolta religiosa con un impegno attivo nelle iniziative della chiesa, perciò abbiano chiesto al regista se ritiene ci siano collegamenti con il film da lui diretto. Ci ha risposto: “Allora era molto disponibile, in seguito mi ha detto che non avrebbe più fatto quelle cose. Io ne ho preso atto e le ho detto. Auguri!”.

Il quindicennio 1994-2009 

Passano due anni ed ecco nel 1994 “L’Uomo che guarda”,  con Katarina Vasilissa,  Cristina Garavaglia e Francesco Casale ritroviamo Franco Branciaroli. Torna l’ispirazione da celebri scrittori, questa volta è Moravia, ma  con toni più leggeri e senza la morbosità del suo romanzo. Il tema è il voyerismo, visto dall’autore “grazie al suo sguardo sugli spettatori attraverso un gioco ossessivo di rimandi e di eccessi”.  Il manifesto presenta il profilo della protagonista discinta in piedi in primo piano nell’ombra  di un profilo gigantesco del busto di un uomo col sigaro in bocca, senza dubbio il regista in una presenza da Hitchock.  La foto di scena esposta invece è liberatoria, altrettanto discinta e in piedi  sulla spiaggia assolata, nessuna ombra soltanto il mare. 

Nell’anno successivo, il 1995,  dirige il  suo primo film a episodi, l’unico con il proprio nome nel titolo,  “Fermo Posta Tinto Brass”, lanciato emulando Salvador Dalè con uno sbarco provocatorio a Venezia di otto attrici nude per protestare contro l’esclusione dalla Mostra internazionale del cinema, suscitando scandalo. Sono sei e non otto le attrici a seno nudo nella foto di scena intorno al regista in divisa e frustino da domatore del circo, lo vediamo anche in primo piano mentre stringe il piede di un’attrice dentro la scarpa rossa, un’altra foto coglie due di loro sempre nude nell’intimità del bagno. .

Ancora un biennio di attesa, poi un nuovo tema sempre nell’universo erotico, i desideri e i sentimenti delle giovani donne  insieme ai timori e alle paure, “Monella”, del 1997, interpretato da Anna Ammirati con lo slancio gioioso di “Miranda” e la freschezza espressa nel titolo e nel manifesto con la celebre immagine in bicicletta vista da dietro con la gonna sollevata. E’ esposta anche una fotografia di scena con una ripresa anteriore, sempre in bicicletta, di Monella con le gambe aperte vicino alla foto del regista in bicicletta che mima lui stesso quella posizione, c’è anche un’altra foto altrettanto gioiosa della ragazza che scherza con tre soldati e un’immagine del regista in casacca colorata che dirige le riprese come un domatore.

Sempre con  cadenza biennale nel 1999 dirige  “Tra(sgre)dire”,  con Yuliya Mayarchuk,  collegando la trasgressione libertaria al tradimento nell’amore rende ancora più esplicito “quell’ideale di donna brassiana consapevole del proprio diritto alla felicità sessuale”.  Il manifesto la evidenzia  nel titolo dove è visibile a grandi lettere “Tradire” e nell’immagine disinibita del lato B della protagonista  con la gonna sollevata che richiama l’immagine di “Monella”.  La foto di scena esposta mostra la protagonista in piedi nuda ripresa di profilo in controluce nella sua stanza. La Varzi ricorda che “filo conduttore del film è la bugia, a cui le donne ricorrono per prendersi quella libertà che non è più prerogativa esclusiva degli uomini”.  Chissà se le femministe questa volta lo hanno capito, in un paese in cui  nel dopoguerra c’era ancora la discriminante contro le donne sia rispetto all’adulterio sia rispetto al matrimonio riparatore e al delitto d’onore.

Il 1999 è l’anno in cui vengono distribuiti mensilmente nelle edicole i “Corti circuiti erotici”, cortometraggi con la sua supervisione, quasi uno sdoganamento delle sue visioni tanto temute e sempre ostacolate dalla censura. Del resto tre anni dopo, nel 2002, la Cinemathéque francaise promuove la rassegna di dieci suoi film  “Eloge de la chair”, “Elogio della carne”, titolo eloquente che ci fa pensare al Gabriele D’annunzio che scrive: “L’opera di carne è in me opera di spirito, e l’una e l’altra opera concordano nell’attingere  un asola unica bellezza. La più fertile creatrice di bellezza nel mondo è la sensualità rischiarata dalla divinazione”.

Il 2002 è l’anno di “Senso 45”, con Anna Galiena, Gabriel Garko e Antonio Salines, alla base il celebre racconto di Arrigo Boito che aveva ispirato il film cult di Visconti con Alida Valli, ma ambientato non a Verona sotto il dominio austriaco nel Risorgimento ma a Venezia sotto il dominio nazista e fascista ormai all’epilogo. Qui sesso e amore non sono più un’espressione gioiosa e libera ma oppressiva e distruttiva. Il manifesto con il viso allucinato di lei e lui in divisa nazista rende un’atmosfera  che ritroviamo nella foto di scena nel teatro addobbato di svastiche con Garko in divisa in primo piano, mentre la Galiena è ripresa in un’altra stupenda foto in sottoveste  e giarrettiere, immagine quanto mai intima e  riservata, moltiplicata però da un gioco di specchi.   

L’anno successivo, il 2003,  con “Fallo!” torna alla commedia sempre di tipo erotico, lo si vede nel manifesto corale e divertente, mentre la foto di  scena esposta mostra la protagonista, Maruska Albertazzi, distesa nuda a letto mentre si fa fotografare in un alone luminoso.

E non si ferma, nel 2005,  nella solita sequenza biennale, ecco “Monamour” dal romanzo  di Alina Rizzi, sul tradimento come elemento essenziale per mantenere vivo il rapporto di coppia, tema di vari film precedenti, come si è visto. Questa volta il manifesto è quanto mai esplicito e provocante, con la figura nuda della protagonista distesa vista dal di dietro; nella foto di scena è dominnate.

Dopo un’attesa di tre anni  il cortometraggio di un quarto d’ora “Kick the Cock”, siamo al 2008, un racconto senza dialoghi sulle musiche di Lou Reed e dei Doors per sperimentare il metalinguaggio musicale.  Siamo a  25 anni da “La Chiave” del  1983, ma non è finita qui.

Ancora un anno e nel 2009  abbiamo “Hotel Courbet”, con Caterina Varzi, Vincenzo Varzi e Alberto Pretolini,  la liberazione sessuale nel temperamento “intenso, vibrante, umorale  e mercuriale della protagonista”, “una dichiarazione di amore cinematografico” verso di lei”, confida il regista.  Che aggiunge di essersi ispirato a “L’origine del mondo” del  pittore Gustave Courbet, a “La camera blu” di George Simenon, e a Picasso secondo cui “L’arte non è mai casta… E se lo è non è arte”.  La Varzi la vediamo in due foto di scena, in una delle due in atteggiamento liberatorio.

Il canto del cigno

E’ il suo canto del cigno, l’ultimo film,  le  parole di Picasso sono  un sigillo alla sua filmografia.  Dà “forma  e contenuto ai propri progetti estetici”, definisce il film “apparentemente senza senso. In realtà è la cosa più sensata che potessi fare per uscire dal tunnel in cui ero precipitato dopo la morte di Tinta”, confida. Farà altri progetti ma non riuscirà a realizzarli, tra questi “Ziva”, in cui vede le donne come possibile salvezza con la loro capacità mediatrice e il loro amore per la pace contro la minaccia della guerra brutale e distruttiva. Passione civile anche nel libro “Madame Pipì”, scritto con Caterina Varzi, edito da Bompiani, questa volta  oltre ad amore ed erotismo l’ impegno è in difesa dei diversi e di coloro che come Charlotte, lievemente autistico, rifiuta le regole imposte da una società che tende ad  opprimerli. La libertà non solo per la donna!

Dopo questa carrellata, che si rivive nella sequenza spettacolare dei manifesti di tutti i suoi film che coprono una intera parete della mostra e nelle numerose fotografie di scena ancora più esplicite ed espressive, concludiamo con i riconoscimenti giunti dopo una vita di lotta contro gli ostacoli ai suoi film spesso bloccati o massacrati dalla censura e contro la sua demonizzazione, quasi fosse pornografia. Dopo la rassegna del 2002 della Cinetèque Francais, una rassegna della Mostra internazionale del cinema di Venezia nel 2009 in cui l’ultimo film “Hotel Courbet” presentato quell’anno veniva posto a raffronto con le sue opere sperimentali con le quali era alla ricerca di un nuovo linguaggio.  E nel 2013,  nella 70° edizione della  mostra veneziana,  venne presentato il film sulla sua arte cinematografica “IsTintoBrass”, di  Massimiliano Zanin, suo stretto collaboratore da dieci anni.

Se ripensiamo all’esclusione dalla mostra dell’unico film del 1995 con il suo nome nel titolo, “Fermo Posta Tinto Brass”, la celebrazione  nel 2013 con il film su di lui che reca di nuovo il suo nome appare un segno emblematico che i tempi sono cambiati, diciotto anni non sono trascorsi invano.  Lo vediamo negli estratti del documentario che scorrono nel video della mostra, con i giudiuzi su di lui dei premi Oscar Helen Miller e Ken Adam, degli attori Gigi Porietti, Franco Nero e Adriana Asti, che abbiamo visto protagonisti di vari suoi film, di Marco Muller, Marco Giusti e Gianni Canova, critici d’arte. 

Il merito del mutamento nel costume e nei rapporti con il potere va anche al  regista che con perseveranza non si è lasciato intimidire ed ha proseguito nella sua cinematografia passata dalla  ribellione verso il potere con la denuncia e la contestazione, alla scelta dell’erotismo come espressione in forme diverse della stessa ricerca di libertà.

E’ una consapevolezza che viene data dalla mostra e dal conseguente approfondimento sulla sua figura. Di questo non possiamo che essere  grati, per molti sarà certamente una rivelazione.

Info 

Complesso del Vittoriano,  Ala Brasini, lato Fori Imperiali, via San Pietro in carcere. Tutti i giorni,  9,30 – 19,30, ingresso gratuito, consentito fino a 45 minuti prima della chiusura.  Tel. 06.6780664,  www.comunicareorganizzando.it.  Catalogo “Tinto Brass. Uno sguardo libero”, a cura di Caterina Varzi con la collaborazione di Andrea De Stefani, Gangemi Editore, febbraio 2016, pp. 128, formato 22 x 24, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo è uscito in questo sito il  3 marzo 2016, con altre 14 immagini.  Per le mostre sugli enti e gli artisti citati cfr. in questo sito i nostri articoli sulla Rai  e  l’Istituto  Luce rispettivamente 3 marzo e 24 agosto 2014,  Dalì   28 novembre, 2 e 24 dicembre 2012..

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano alla presentazione della mostra, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti, in particolare Tinto Brass, anche per aver accettato di essere ripreso davanti ad alcuni manifesti dei suoi film, per l’opportunità offerta. In apertura, Tinto Brass in “Fermo Posta Tinto Brass“,  foto Salis;  seguono  due ricostruzioni di  suoi angoli di lavoro; poi, le locandine teatrali di “Nanà” e “Lulù” e una carrellata di foto di scena, di Salis, dei suoi film  “La chiave”, a sin., “Miranda”, a dx, “Action” in alto; quindi, i manifesti dei film  “L’uomo che guarda”, “Monella”,  “Fermo Posta Tinto Brass”, “Fallo”, e  quattro foto di scena, di Salis, di “Paprika” (a sin.) e “Così fan tutte” (a dx); inoltre. due foto di scena, di Salis,di “Monella”,  e una foto di scena, di Salis,di  “Senso 45”; infine un’altra carrellata di foto di scena, di Salis,di suoi film da “Monella” a “Senso 45”, da “Monamour”, a “Hotel Courbet“, e un primo piano di due foto di scena, di Salis, di “Hotel Courbet” con Caterina Varzi; in chiusura, Tinto Brass dopo la presentazione, con i manifesti dei film “La chiave”, “Snack Bar Budapest” ,”Così fan tutte”.