Renzo Arbore, un nuovo futurismo al Macro Testaccio

di Romano Maria Levante.

Al Macro Testaccio, nel Centro di produzione culturale “La Pelanda”, la  mostra “Renzo Arbore. Videos, radios, cianfrusaglies. ‘Lasciate ogni tristezza voi ch’entrate’ ” celebra dal 19 dicembre 2015 al 3 aprile 2016, i suoi 50 anni di attività artistica con i 25 anni dell’Orchestra italiana, in un originale allestimento espositivo in cui le  espressioni del suo talento poliedrico sono rievocate da 50 monitor e grandi schermi, con immagini  e suoni, gigantografie e installazioni, presenze virtuali e oggetti reali che fanno rivivere le sue performance ed esprimono la sua originalità. Promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai beni Culturali,  prodotta da Civita con la Rai e il contributo di Rai Teche, allestita da Giovanni Licheri e Alida Cappellini. A latere, il libro illustrato “Renzo Arbore. E se la vita fosse una jam session?  Fatti e misfatti di quello della notte”, di Renzo Arbore e Lorenza Foschini, Editore Rizzoli, 2015, pp. 312, formato 24x 17. 

Televisione e musica della sua Orchestra italiana, cianfrusaglie raccolte con un collezionismo appassionato, capi di abbigliamento personale altrettanto ricercati, fino alla Radio, suo primo amore, sono altrettanti capitoli di una storia artistica  che evoca momenti rimasti nella memoria di tutti, specchio di un costume collettivo e di emozioni individuali. 

Abbiamo già sottolineato come questo happening coinvolgente  rifletta la creatività e l’inventiva di Arbore, sempre associata alla leggerezza e al buon gusto, all’eleganza e alla misura. E abbiamo definito la mostra un “inno alla gioia” perché tale è la sensazione che si prova nel visitarla: non solo si abbandona ogni tristezza, ma non si è assaliti da quella suscitata dalla nostalgia del tempo che fu, e si è contagiati dal clima festoso e dall’atmosfera colorata e colorita,  con la sua presenza accattivante resa attraverso gigantografie visive in cui sembra rivolgersi direttamente al singolo visitatore.

Nel raccontare la visita alla mostra, che è anche un excursus sulla storia artistica di Arbore,  abbiamo già rievocato le sue trasmissioni televisive divenute un cult,  soffermandoci particolarmente su “Quelli della notte” e “Indietro tutta”, che rivoluzionarono la nostra televisione e alle quali appartiene il maggior numero dei frammenti trasmessi ininterrottamente dai 30 monitor. Ora il nostro racconto si porta sugli altri capitoli della sua storia: la musica e, in conclusione, la Radio, e sulle sue  passioni di collezionista di oggetti di plastica quanto più inutili tanto più intriganti, e di utilizzatore e collezionista  di capi di abbigliamento fantasiosi in una forma di futurismo moderno altrettanto intrigante.

Il capitolo musicale con l’Orchestra italiana

Arbore ha cominciato in Rai come programmista musicale e la musica, lo confida lui stesso, è stata sempre al culmine dei suoi pensieri. Canta e suona chitarra. tastiere e non solo il prediletto clarino, immortalato nella canzone giunta a un soffio dalla vittoria nel Festival di San Remo del 1986 in cui si piazzò al secondo posto, con una musica swing e delle parole  garbatamente intrise di doppi sensi ammiccanti quanto mai godibili; del resto  erano insiti in canzoni d’epoca come “La pansè”, delle quali lui stesso in una trasmissione ebbe a segnalare in modo scherzoso ma penetrante il carattere allusivo.

La sua passione per il jazz e lo swing è ben nota, tradotta anche in canzoni proprie e in piccoli complessi, dice al riguardo “suonare il jazz è parlare con il cuore e non si può mentire”. E cita il suo idolo: “Louis Armstrong l’ho sempre amato in una maniera viscerale, come fosse uno di famiglia. Ancora oggi mi basta vedere una sua fotografia per emozionarmi”.

Nella mostra spiccano gigantografie di Armstrong con la celebre tromba, una statua e una colonna a più ripiani con una serie di statuette di musicisti neri e dei loro strumenti,  quasi un’icona religiosa. Tra i suoi idoli non solo i grandi del  jazz, ma anche Roberto Murolo, che in una trasmissione televisiva ebbe a paragonare per la sua voce profonda alla celebre “cassa armonica”  di un parco napoletano.  Ma c’è anche una piramide con le immagini di quelli che sente più vicini a lui, sono musicisti americani come Armstrong e Ray Charles,  Glenn Miller ed Elvis Priesley, Ella Fitzegerald e Frank Sinatra, Miles Davis e Bessie Smith; e italiani, Roberto Murolo, Renato Carosone e Domenico Modugno, al vertice Giuseppe Verdi, c’è anche Totò che fu pure musicista oltre a tutto il resto, abbiamo già ricordato che una sua trasmissione celebrativa era dominata da una grande statua di Totò come presenza viva.

La sua attività musicale di gran lunga prevalente ha avuto come  molla una forte motivazione personale: “Affascinato da un concerto di Enzo Jannacci, mi sono detto: ma io che ci sto  a fare seduto qui? Non sarebbe meglio stare seduto là sopra al palco? Così a 44 anni ho provato a fare l’artista”.  Non erano le sue prime esibizioni quelle del 1981, risale a 35 anni, nel 1972,  la creazione di un suo complesso musicale con cui incide anche un disco,  “N.U. Orleans Rubbish Band”, N.U. non è un refuso da New, ma sta per “Nettezza Urbana”,  con lui fedeli compagni che lo seguiranno in radio e poi in televisione.

Fino a che al richiamo della vocazione musicale sempre più irresistibile si è aggiunto un obiettivo preciso: “L’idea dell’Orchestra italiana nacque – sono ancora le sue parole –  perché temevo che molte canzoni bellissime, autentiche opere d’arte, scritte tra la fine dell’Ottocento e oltre la metà del Novecento, ma neglette e snobbate, venissero definitivamente dimenticate”. 

Per questo nel 1991 passa il Rubicone, crea un’orchestra di 15 componenti tra strumentisti  e cantanti,  che non solo ha operato per la salvezza di questo patrimonio musicale  ma lo ha portato trionfalmente in tutto il mondo. Si tratta delle più celebri canzoni napoletane, attraverso le quali si è proposto di raggiungere  un altro importante risultato: “Tutti noi, ‘bravi ragazzi’ dell’Orchestra italiana, cerchiamo di cancellare la Napoli ‘lazzara’ e ‘pulcinellesca’ e far riemergere quella ‘Napoli nobilissima’ , che si voglia o no, è il più grande focolaio di artisti, della musica e della parola, del nostro paese”. Una bella  dichiarazione d’amore per la sua terra di adozione, accompagnata dai fatti:  l’Orchestra italiana diffonde questo messaggio in tutti i continenti.

La sala dedicata alla sua musica – con l’albero dei 20 monitor che trasmettono immagini delle tournè  dell’Orchestra italiana di Renzo Arbore”, dopo un positivo esperimento con la “Barilla Boogie Band” reso possibile dal geniale inserimento del nome dello sponsor nello stesso nome – ci porta l’entusiasmo delle platee  osannanti nel segno della canzone napoletana. Non solo musica, sempre per spezzoni e frammenti che compongono un happening su scala mondiale, ma anche immagini divertenti  colte nei viaggi con i fondali più diversi e sorprendenti.

L’entusiasmo  delle platee è altrettanto contagioso di quello dei musicisti in fila con lui dinanzi alle cupole di San Basilio a Mosca, in atteggiamento scherzoso, eppure sono protagonisti di un grande evento:  “La prima orchestra a far ballare con le melodie tricolore e partenopee, diecimila moscoviti infreddoliti e non curanti della pioggia che cadeva incessante sulla Piazza Rossa”.

Come scherzano nei contrafforti della Grande muraglia cinese, anche qui un evento straordinario: “Il pubblico cinese, notoriamente molto riverente e composto, si è lasciato andare con cori e danze, lasciandoci di stucco, e l’orchestra ha contraccambiato con una popolarissima canzone cinese cantata da Barbara Bonaiuto, in cinese”.

E poi l’America, con i grattacieli di New York e  immagini altrettanto scherzose con  richiami appassionati: “Noi che amiamo New Orleans siamo una setta di privilegiati… città del jazz, del cibo, delle avventure… Una città piena di contaminazioni non solo musicali. Accanto ai francesi e ai canadesi, vi erano anche italiani calabresi, bergamaschi, siciliani. Nick La Rocca è stato il primo ad incidere un disco jazz ‘Jass’ nel 1916″.

Queste sono solo tre delle tante immagini evocative  delle tourné mondiali, mai sussiegose e paludate, sempre leggere e scherzose, irridenti e dissacranti: oltre alle gigantografie,  un grande schermo diffonde queste immagini  tra un aereo e l’altro, un fondale panoramico e l’altro, mentre nei 20 video  scorrono le riprese dei concerti

Venticinque anni di viaggi e di successi, dal primo del 1991,  che continuano senza segni di stanchezza. Anche per merito della sua “Orchestra italiana”  la grande canzone napoletana è tutt’altro che a rischio dimenticanza, per di più diventa un appuntamento gioioso in ogni latitudine.

Si entra maggiormente  nella sfera personale di Arbore, perché – come  i componenti la sua orchestra – è visto nei momenti di relax, in atteggiamenti confidenziali con il suo abbigliamento molto particolare.

L’abbigliamento futurista

L’abbigliamento è stato sempre un aspetto caratteristico del suo modo di presentarsi in pubblico,  all’insegna di un anticonformismo fantasioso e divertente manifestato dallo schermo televisivo  come dalla ribalta della sua  orchestra. Tutti  ricordano le sue camicie e i suoi gilet, appariscenti e colorati come non mai,  sebbene Arbore non sia mai venuto meno alla leggerezza e signorilità di comportamento. Vogliamo dire che non vi è traccia della sguaiatezza di certa modernità anche nei vestiti, anzi una compostezza esemplare espressa in modo libero e creativo, e questo spiega la particolarità del suo abbigliamento.  Non c’è trasgressione incontrollata né volgare trascuratezza, ma eccentricità ricercata, anzi colta, che trova  prestigiosi riferimenti nel Futurismo del primo ‘900.

Il Futurismo fu una ventata di modernità e di anticonformismo,  legata alla visione creativa e rinnovatrice che scuoteva una società statica e stantia, una ventata che dalle arti invadeva la vita quotidiana, sia negli arredi e nell’abbigliamento, sia nei comportamenti: le “serate futuriste” erano momenti di abbandono alla creatività, come lo erano le “parolibere” e altre manifestazioni di questo movimento.  Arbore non direbbe che “la guerra è l’igiene del mondo” – fu l’abbaglio iniziale dei  futuristi spazzato via dall’esperienza in trincea – ma sottoscriverebbe molti dei loro atteggiamenti ai quali sembra ispirarsi.

Possiamo dire che i suoi Giletnascono di lì, ne vediamo qualche diecina allineati alla parete con i luccichii quando sono cosparsi di strass, con la durezza delle applicazioni incastonate come nei mosaici – bottoni,  conchiglie e altro – con tante varianti sul tema dell’insolito e del sorprendente. Tra loro, manca il gilet raffigurato nel quadro del 1923 di Fortunato Depero, “Panciotto futurista”,  sostituito da una fotografia perché l’originale è esposto nella mostra “Dolce vita? Dal liberty al design 1900-1940”  al Palazzo Esposizioni, coincidente per circa un mese, dal 19 dicembre 2015 al 17 gennaio 2016 con la mostra di Arbore. Quindi pensare ad Arbore futurista moderno non è avventato,  va ricordato e sottolineato che ha acquisito il quadro del celebre pittore futurista con il gilet, oltre a indossarne e collezionarne dei più fantasiosi e colorati.

Dai gilet alle Camicie, che occupano un’intera parete,  quasi un centinaio nei più diversi colori e conformazioni, e alle Cravatte, ne abbiamo contate un’ottantina in gruppi di 5, sono ancora più fantasiose e incredibili per le fogge e raffigurazioni, alcune sembrano strumenti musicali o altri oggetti  appesi al collo:  strabiliante!

E non basta, la sequenza di suoi Cappelli – e neppure tutti, non vi abbiamo trovato quello scozzese – completa questa carrellata  fantasmagorica, mentre un Divano  insolito con 100 cilindri verticali di gomma si aggiunge a un’eccentricità  meno superficiale di come sembri.

Le “piccole cose di pessimo gusto” in plastica,  inutili e preziose

Non finisce qui l’esplorazione nel privato di Arbore, la mostra ci rivela aspetti già conosciuti  per averne lui parlato con la solita arguzia, che non mancano di sorprendere alla visione diretta.  “Quando ho cominciato a lavorare, nel 1965, con i primi guadagni ho iniziato a dare sfogo al mio desiderio di fare acquisti – ha confidato – quasi forma di compensazione per tutti i giocattoli che non avevo posseduto da bambino a causa della guerra. Giravo per mercatini a caccia degli oggetti più disparati”. Ed ecco quali tipi di oggetti: “Si sa, io sono innamorato del disutile, dell’oggetto falso che, sostengo, è meglio del vero perché non appassisce, come i meravigliosi fiori di plastica”.

Guardiamo le diverse  vetrine dove sono esposti gli Oggetti curiosi per lo più di plastica colorata, che ha raccolto nei suoi viaggi in lungo  e in largo per il mondo con la curiosità dell’esploratore e la passione del collezionista in uno spirito antico volto al presente. Le “piccole cose  di pessimo gusto” della signora Felicita di Gozzano portate nella modernità, anzi nel “modernariato” cui si richiama Arbore, diventano da oggetti decadenti a prodotti della  fantasia tanto più preziosi quanto più inutili, tanto più ricercati quanto più kitch, tanto più considerati quanto più insignificanti. Ha detto Luigi Abete, presidente di Civita Cultura cui si deve la mostra: “Questi oggetti  sono la nostra identità collettiva, italiana ed europea”.   

Si resta a lungo dinanzi alle  vetrine dove sono allineati, vale la pena di osservarli ad uno ad uno, e sono tantissimi. Alle borsette di plastica e bachelite  sono dedicate due vetrine,  tante sono le forme e le fogge, il materiale  non è certo elegante ma proprio per questa anomalia hanno il pregio della  ricercatezza.

E poi gli Occhiali, prima di vedere quelli esposti  non si può immaginare come la fantasia si possa sbizzarriresu un oggetto per la vista dalla  forma obbligata,  invece ecco  prolunghe incredibili, come quelle che raffigurano palme su spiagge esotiche; e Pupazzetti di ogni tipo e foggia, a centinaia, non mancano  figurine irridenti anche con  nudi  ostentati,   sembra impossibile che siano stati prodotti e poi raccolti se non ci si lascia andare sulle ali della curiosità e della fantasia. E  allora si apprezza la creatività di chi li ha ideati e fabbricati e di chi li ha individuati e acquistati per farne una collezione.

Un collezionismo insolito, del quale ha spiegato l’origine, che sembrerebbe stravagante se non fosse coerente con i gilet e le camicie, con le cravatte e gli altri oggetti di vita quotidiana anch’essi raccolti con cura;  in definitiva con la sua natura leggera ma mai banale, trasgressiva ma mai volgare. Questa collezione di plastica dagli anni ’60 che vediamo nella mostra, è perennemente esposta in bella vista nella sua abitazione in appositi scomparti in muratura alle pareti, quasi  volesse esserne fasciato a mo’ di rivestimento protettivo. L’abbiamo collegata ai quadratini di Pablo Echaurren della serie “Volevo fare l’entomologo”, un modo di sezionare la realtà con lo spirito del ricercatore, Arbore ha sezionato così a modo suo il costume.

La radio, il primo amore

Un  posto a parte, tra gli oggetti raccolti, spetta alle Radio,  modelli inconsueti di ogni tipo e misura, a partire dalle mitiche “radio a galena”, ci sono anche grandi apparecchi di riproduzione  stereo con uno splendido Juke box originale.

La radio è fondamentale nella vita di Arbore,  rappresenta la prima parte della sua carriera artistica, e in lui è rimasta la predilezione anche dopo i successi televisivi: “Adoro la radio – sono parole –  è uno strumento fantastico. Mi ha insegnato a vincere la timidezza. La amo perché avendo solo la voce  è il mezzo che, più della televisione, scatena la fantasia”.

Nella mostra c’è  un angolo raccolto come uno studio di registrazione, dove vengono evocate le sue celebri trasmissioni radiofoniche, che ci consentono  di risalire nel tempo,  all’inizio del cinquantennio di vita  artistica, quando entrato in Rai come programmista musicale, incontra Gianni Boncompagni, aretino che colpì lui, foggiano ma napoletano d’adozione con la sua “totale, scanzonata disinvoltura”.  Dice lui stesso: “Io, che da mio padre avevo ricevuto un’educazione imperniata sul principio che bisogna lavorare, sgobbare, prepararsi, ho dovuto imparare la personalissima ‘teoria della relatività’ di Boncompagni: ottenere gli stessi risultati, ma con il minimo impegno”. Per ottenere questi risultati, però, occorre  creatività e prontezza, inventiva e capacità di improvvisare, doti messe in campo nelle sue trasmissioni radiofoniche  che ebbero subito un grande successo nelle giovani generazioni..

Con “Per voi giovani”, da lui ideato e condotto agli inizi,  e con “Bandiera  Gialla”, dal 1965 al 1970, appuntamento imperdibile per i giovani, venivano “lanciati in orbita” dalla radio, prima paludata e preconfezionata, dischi con  musiche e canzoni senza il pedigree nazionale, sull’onda delle tendenze all’estero, in particolare in America, con scelte assolutamente personali senza influenze di case discografiche o altri. Inoltre con la particolarità, anch’essa inedita, anzi fino ad allora vietata, che gli “improvvisatori” parlavano anche sovrapponendosi al disco;  pur nell’happening era  un “format” con tanto di votazioni, il titolo si riferiva proprio alla quarantena cui erano soggette le canzoni  straniere. Poi tra un  gruppo e l’altro di dischi si introdusse la lettura di massime di scrittori e poeti, un modo di avvicinare i giovani alla cultura. Il pubblico di giovanissimi in studio non era passivo pur non essendo visibile, faceva sentire la sua presenza con canti, grida, altra trasgressione ai composti modelli di allora.

I giovani in studio divennero ancora più attivi con la sua trasmissione nella televisione in bianco e nero, “Speciale per voi”, alla fine degli anni ’60 per due anni:  Arbore interpretò il clima diffuso dalla contestazione sessantottina  infrangendo il conformismo e la separazione dei due mondi, i cantanti e i giovani, con discussioni anche aspre perché i giovanissimi superarono ogni timore reverenziale e criticavano in diretta i cantanti mentre lui  era impegnato a far comunicare senza filtri  i due mondi di cui uno prima era solo ricettore passivo. Non solo mostri sacri ma ritenuti superati come Claudio Villa, ma idoli dei giovani come Caterina Caselli  e Don Backy subirono in diretta l’urto del nuovo protagonismo giovanile, fece scalpore quando la  Caselli lasciò una trasmissione in lacrime.

Tornando alla radio, “Alto gradimento”, un programma quasi giornaliero trasmesso per tutti gli anni ’70, sia pure con alcune interruzioni, era all’insegna dell’illogicità surreale e demenziale, sul filo dell’improvvisazione e della sorpresa, tali erano le interruzioni improvvise dei brani musicali con gag irresistibili di personaggi strampalati  ricorrenti  nei loro tormentoni esilaranti, in un clima goliardico e festoso, ricordiamo tra tutte le autentiche maschere comiche di Bracardi e Marenco, poi approdati in televisione.  Si possono immaginare le difficoltà da superare in una Rai diffidente e conservatrice. “Alto gradimento è stato l’antesignano del cazzeggio”, dice Arbore oggi, ma di qualità insuperata. 

Sempre, però, ci teniamo a ribadirlo, con il senso della misura e del buon gusto, con la  stessa leggerezza che gli fa indossare  gli improbabili  gilet, cravatte e  camicie e raccogliere le ancora più improbabili “piccole cose di pessimo gusto” che nella sua vastissima collezione diventano  un’immersione nella fantasia e nella creatività senza uno scopo preciso, come espressione di libertà.

Educato sempre, disciplinato mai, l’arrivederci ad “Arbore Channel”

Non termina qui l’universo delle sue multiformi attività, c’è anche il Cinema, irridente e scanzonato, disinibito e provocatore, dal “Pap’occhio”  che ha portato l’ironia sul sacro soglio ben prima di Nanni Moretti, a “FFSS… Cioè che mi hai portato a fare sopra Posillipo se non mi vuoi più bene?”. Siamo nel 1986,  l’anno del secondo posto del “Clarinetto” a Sanremo.

Tutto questo si coniuga con un’attenzione ad aspetti della realtà che richiedono una solidarietà attiva, e la sua generosa attività di testimonial della “Lega del Filo d’oro” ne è la dimostrazione concreta. E’ altamente significativo che la mostra si concluda con questo spazio, l’inno alla gioia di un futurista moderno termina con la vicinanza ai più sfortunati affinché la gioia possa coinvolgere anche loro.   

“Educato sempre, disciplinato mai”,  si definisce.  E aggiunge: “L’improvvisazione ha scandito una vita intera, la mia,  tutta trascorsa a tempo di jazz”. Un autoritratto al quale ci permettiamo di aggiungere che  la sua vita a tempo di jazz ha avuto come colonna sonora la melodia napoletana, e come visione la sua sfolgorante televisione, così il cerchio si chiude.  Ed è  bello che lui stesso possa dire, a 50 anni dall’inizio della sua attività artistica: “Come Armstrong anche io posso affermare di avere avuto una bella vita e tutto ciò che desideravo… perché ci ho lavorato”. Pensiamo che lo abbia fatto con il massimo impegno, al di là della “personalissima teoria della relatività” di Boncompagni.

Ci piace concludere riportando la sua risposta alla domanda che gli abbiamo rivolto nel corso della presentazione della mostra, chiedendogli come si sentiva a non poter esprimere  le proprie reazioni ai molteplici stimoli offerti dalla realtà odierna così in movimento, data la sua assenza dalla televisione. Ci ha detto con prontezza: “Esprimo, esprimo, basta guardare su Arbore Channel“.

Ebbene, non poteva esserci notizia più positiva e rassicurante, sapere che Arbore “esprime”  e  venire a conoscenza del sito su cui trovarlo consente di continuare a ricevere i frutti della sua fantasia e della sua creatività in un mondo che tende all’omologazione. Contro l’appiattimento in atto, grigio e noioso oltre che deleterio, ciò che Arbore continua ad esprimere è un “tetrafarmaco” provvidenziale in grado di creare anticorpi efficaci e, quel che più conta, quanto mai gradevoli.

Info

Macro Testaccio, La Pelanda, Centro di produzione culturale, Piazza Orazio Giustiniani. 4.  Dal martedì al venerdì, ore 14.00-20.00, sabato e domenica ore  10.00-20.00, la biglietteria  chiude un’ora prima. Ingresso,  intero euro 12,00, ridotto  euro  10,00 per giovani tra 18 e 25 anni e over 65 anni, nonché  gruppi oltre 15 persone; ridotto speciale euro 4,00  per i minori di 18 anni; gratuito per i  minori di 6 anni, un accompagnatore per gruppo di adulti, diversamente abili e un accompagnatore, due insegnanti per scolaresca e per le altre categorie legittimate. Tel 06.06.08 e 199.15.11.21 macro@comune.roma.it. Il primo articolo  è uscito il 9 marzo 2016 con altre 15 immagini sulla sua  televisione e la sua musica. Cfr. in questo sito i nostri articoli, per la mostra sulla Rai  13 marzo 2014, su “Dolce vita? Dal Liberty al design 1900-1940” con il futurismo e  il quadro di Depero “Panciotto futurista” 14 novembre 2015;  sul “Futurismo” in “Secessione”  21 gennaio 2015, sui futuristi Tato 19 febbraio 2015, Dottori 2 marzo 2014, Marinetti 3 marzo 2013;  su Echaurren  20, 27 febbraio, 4 marzo 2016,  23, 30  novembre, 14 dicembre 2012; in “cultura.inabruzzo.it” sul “Futurismo” 30 aprile e 1° settembre 2009 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti in questo sito). 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Macro Testaccio, La Pelanda, alla presentazione della mostra, si ringrazia l’organizzazione e Civita, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta, in particolare Renzo Arbore anche per aver accettato di farsi riprendere. Sono riportate immagini degli oggetti da lui collezionati e del suo  abbigliamento futurista. In apertura, Renzo Arbore seduto davanti a una delle vetrine con la collezione di oggetti in plastica; seguono, uno scorcio di due vetrine con altri oggetti, e una vetrina con oggetti di bachelite; poi, una vetrina con borsette e occhiali in plastica, e la parete con le sue pittoresche camicie; quindi, l’albero delle sue stravaganti cravatte e un primo piano di cravatte con raffigurati strumenti musicali; inoltre, la parete con i suoi speciali gilet, al centro la foto del “Panciotto futurista” di Depero e un gilet dai colori brillanti con impresse immagini marine; ancora, un gilet con le applicazioni più eterogenee, e un divano molto particolare; infine, due vetrine con diversi tipi di radio d’epoca da lui collezionate; in chiusura, una tavola imbandita con cibi di plastica e, al termine, lo schermo con lui a grandezza naturale che parla dalla propria casa seduto davanti agli scomparti con gli oggetti collezionati, sulla sinistra si riconosce la piramide dei suoi miti musicali, al centro l’albero con i monitor che trasmettono video dei concerti della sua Orchestra italiana