Guttuso, realismo inquieto e valori cristiani, al Quirinale

di Romano Maria Levante

Al Palazzo del Quirinale, nella Galleria di Alessandro VII, dal 10 settembre al 9 ottobre 2016 la mostra “Guttuso. Inquietudine di un realismo” espone una serie di opere collegate alla Crocifissione di Cristo, come gli studi preparatori e il celebre quadro, e  opere su temi evangelici e  cristologici; inoltre opere di riflessione sulla vita, come lo “Studio per la Fuga dall’Etna” e il grande dipinto “Spes contra Spem”.  E’ organizzata dagli “Archivi Guttuso”, in collaborazione con Civita”, curata da Fabio Carapezza Guttuso, presidente degli Archivi e da  Crispino Valenziano, insigne teologo e critico d’arte, tra i suoi numerosi ruoli e incarichi di prestigio in tali campi, presidente della Accademia Teologica ‘via pulchritudinis’; insieme  hanno curato anche il Catalogo di De Luca Editori d’Arte, pubblicato in contemporanea al libro di analisi e testimonianze di Crispino Valenziano, “Guttuso. Pathos dell’Uomo Patemi di Dio” , De Luca Editori d’Arte Libreria Editrice Vaticana.

E’  una mostra tematica molto significativa per il contenuto, le opere soprattutto di natura religiosa, e per l’eccezionale “location”, il  Quirinale. I due aspetti  concorrono al fascino dell’esposizione che viene incontro all’improvviso,  nel corso della visita guidata attraverso i vasti saloni del palazzo.

La “location” del Quirinale per una mostra “francescana”

Colpisce subito  il contrasto delle immagini  pittoriche all’insegna dell’umiltà e del sacrificio e  l’ambiente circostante invece all’insegna dell’opulenza nell’architettura e negli arredi, tra stucchi e vasi preziosi, e fa riflettere sul contrasto di fondo tra la povertà di Cristo e la vita nel palazzo che una volta era residenza dei Papi, tra  agi e ricchezze.  Oggi non vi risiedono più i papi e anche se i palazzi vaticani non sono da meno,  papa Francesco vive nei 50 metri quadrati di Santa Marta, un  esempio luminoso ma isolato, che purtroppo non è seguito dai cardinali con residenze di 400 metri quadrati.

Viene spontanea un’altra riflessione a livello laico, dato che il Quirinale, simbolo delle istituzioni repubblicane, è giustamente aperto sempre più al popolo nella sua trasformazione virtuale in museo  che la gente può visitare. Non era  a misura di Papa, e se era a misura di Re – nella visione aristocratica e nobiliare per di più arricchita, è il caso di dire, dal privilegio della posizione cui si attribuiva addirittura un’investitura divina –  forse non è a misura di Presidente nella concezione democratica e repubblicana che dovrebbe rifuggire da ostentazioni di ricchezza;  anche se è indubbio il  prestigio di una simile cornice in carattere con l’Italia fucina di arte, storia e cultura, che si vede così visivamente rappresentata e celebrata nella massima sede istituzionale.

Anche a questo fa pensare la mostra delle opere religiose di Guttuso, coerenti con la sua ispirazione popolare  sensibile ai sacrifici della povera gente, alle sue sofferenze, alle ingiustizie della società e agli abusi del potere. L’immagine di Cristo, nella natura umana fuori dalle attribuzioni divine, è di un rivoluzionario per  la giustizia e l’uguaglianza, i valori per i quali Guttuso si è sempre battuto ed ai quali ha informato il suo impegno civile e politico, oltre a trarne ispirazione per la sua arte.

Per essere vicino agli umili e agli oppressi  e impegnarsi per la loro causa ha militato nel partito che  poneva questi ideali alla base del proprio credo politico, sebbene le realizzazioni del “socialismo reale” si siano rivelate di tutt’altro segno.  Sul piano artistico, a questo corrispondeva il realismo sociale che non ha mai abbandonato respingendo le tentazioni dell’astrattismo come segno di modernità, fino a farne una battaglia ideale affiancata alla battaglia civile nella politica; ma non ha mai aderito minimamente al “realismo socialista” di impronta sovietica, che faceva dell’arte uno strumento di propaganda del regime con esaltazioni retoriche e trionfalistiche pur con  eccezioni di sincera fiducia  nei più autentici valori dell’umanità.

Nella sua incessante attività è stato in stretto collegamento con gli esponenti della cultura del suo tempo, il suo studio era diventato un cenacolo letterario oltre che artistico. Ripercorrere le principali fasi della sua vita civile ed artistica consente di inquadrare le opere esposte nella mostra, vicine ai momenti estremi dell’esistenza e perciò ancora più significative.


I valori civili e umani nel suo percorso di vita e di arte 

Vogliamo rievocare la sua umanità e la sua arte all’insegna dei valori che sono stati una vera ragione di vita per un artista così aperto e sensibile,  per collocare la mostra attuale nel più vasto scenario  umano e artistico presentato nella mostra antologica che tra il 2012 e il 2013  celebrò il centenario della nascita. Allora vedemmo esposte 100 opere e ne seguimmo la ricostruzione nella testimonianza appassionata del figlio adottivo   Fabio Carapezza Guttuso, che ne ha  riassunto la figura con le sue  parole  “Ho sentito il bisogno di dipingere il mio tempo”, e ha aggiunto questa osservazione: “E’ il pittore della narrazione, si avvicina agli scrittori, Moravia, Pasolini, Ungaretti, che hanno raccontato i grandi momenti collettivi”.

Con questi scrittori particolarmente sensibili e impegnati, come con Gatto, Quasimodo e Vittorini, è stato in stretto collegamento, così con gli altri artisti del suo tempo, da Birolli e Sassu,  a Manzù e  Cagli,  Afro e Savinio, fino a Trombadori, a  lui particolarmente vicino.

A Bagheria sin dall’infanzia lo colpiscono le storie popolari dipinte sui colorati carretti siciliani, di lì inizia il suo realismo sociale. A 19 anni partecipa a Roma alla prima “Quadriennale”, e stringe rapporti con la “Scuola romana” manifestando presto un impegno attivo;  non si rinchiude nella torre d’avorio dell’artista, tutt’altro, frequenta anche l’ambiente milanese negli anni trascorsi a Milano, e tenta una saldatura tra le scuole d’arte e di vita della capitale reale e di quella morale.    

Un’apertura  totale e un impegno anche a livello civile e politico. Dopo le leggi razziali del 1938 la galleria “La Cometa” che aveva ospitato la sua prima personale viene chiusa, Cagli e  i proprietari Pecci Blunt esuli negli Stati Uniti, per lui un ripiegamento su se stesso con nature morte, figure femminili  ed altri soggetti del suo studio,  unito alla partecipazione civile con “Fuga dall’Etna” e politica con “Fucilazione in campagna”  sull’uccisione di Garcia Lorca da parte dei franchisti.

La sua ribellione non si limita al piano artistico, entra nella lotta clandestina della Resistenza con il nome di “Giovanni”, è costretto a lasciare Roma per sfuggire alla polizia politica, caduto il fascismo fa parte del “Comitato per l’accoglienza degli antifascisti”,  con Trombadori e Colorni si unisce alla rivolta romana del 1943 a Porta San Paolo contro i tedeschi.

Nel 1940-41 ha dipinto la “Crocifissione” come simbolo della lotta alla violenza e all’ingiustizia fino al sacrificio supremo, dipinge in uno studio clandestino  le 24 tavole “Gott unt Mitt” sulla barbarie nazista contrapposta alla dignità delle vittime delle torture. Il  dopoguerra lo vede subito  impegnato a livello artistico, per lui l’esigenza di  edificare un nuovo mondo richiede un rinnovamento che però non può fare  ‘tabula rasa’” dell’esistente ma deve ripartire dalla realtà. Così,  nell’ottobre 1946 firma con Birolli, Cassinari e Carlo Levi, Morlotti e Pizzinato, Santomaso e Turcato, Vedova e Viani  il Manifesto della “Nuova Secessione Artistica Italiana”, che nel gennaio 1947  si chiamerà “Nuovo Fronte delle Arti” con gli artisti romani in maggioranza; era stato tra gli animatori di “Corrente”.

Conosce Picasso e sottoscrive il Manifesto del neocubismo, ma tale influenza  non lo allontana dal realismo, per lui “sentire qualche cosa è sempre stato nell’ordine di cercare la ‘realtà'”. Per questo si oppone all’astrattismo sempre più invadente, al punto che i suoi colleghi Ugo e Carla Accardi, Dorazio e Consagra, Guerrini e Perilli,Sanfilippo e Turcato,  fondano la rivista “Forma” mentre lui è assente per un viaggio a Parigi, proclamando che  i progressisti non dovevano “adagiarsi nell’equivoco di un realismo spento e conformista”, mentre loro si sentono “formalisti e marxisti”. Guttuso reagisce dicendo  “ho parlato sempre di realismo e di cubismo, sono antiastratto, antidecorativo, antiformalista”; lo stile cubista per lui andava considerato  “educazione che riconducesse all’oggetto, ne agevolasse la identificazione”. Ribadisce che “se sono caduto in errori di semplicismo è stato sempre in senso realistico mai in senso astrattista”. Improntato al realismo sociale, ma non socialista, il dipinto di questo periodo, “Ballo popolare”, l’opposto dell’astrattismo.

Il “Nuovo Fronte delle Arti” si spacca con critici schierati da una parte e dall’altra e scontri pubblici molto accesi, tanto che i due gruppi frequentano a Piazza del Popolo locali diversi, gli astrattisti il caffè Rosati, i realisti il caffè Canova. Togliatti alla Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea del 1948 a Bologna si schiera con i realisti, si infuoca ancora di più il dibattito finché il “Nuovo Fronte” viene chiuso.

In questo periodo all’impegno critico e dialettico Guttuso unisce quello artistico con opere di taglio narrativo, come “La pesca del pesce spada”,  e di impegno sociale come “L’occupazione delle terre incolte in Sicilia” e storico come il grande dipinto “Battaglia di ponte dell’Ammiraglio”.

Nel 1950 le nozze con Mimise, testimone Pablo Neruda  in difesa del quale con Trombadori, Moravia e la Morante accorre alla Stazione Termini per opporsi alla sua espulsione quando giunge a Roma esule dal Cile. Nel 1953 dipinge “La zolfara” sul lavoro disumano della miniera, e opere di un realismo quotidiano festoso come ““Boogie Woogie”, poi nel  1955 “La Spiaggia”, nel 1958 “La gita in Vespa”, dall’edificio di via Margutta dove aveva lo studio, lo stesso dal quale era partita la celebre scena in scooter del film “Vacanze romane”. Il realismo quotidiano è anche nei dipinti ispirati alla vista della città dai nuovi studi e abitazioni, “Tetti di via Leonina” e “Tetti di Roma”.

Insieme a questi dipinti disimpegnati, opere di ispirazione politica su eventi drammatici come i fatti d’Ungheria del 1956, che ferìrono i suoi ideali di libertà, ne nacquero i disegni dell’album “Erano veramente colpevoli? Restano solo i morti”; e opere sui fervidi dibattiti del 1960, come  “Discussione”, tra giornali e visi di militanti. L’illustrazione della “Divina Commedia” lo riporta su temi spirituali.

La definitiva abitazione nella storica residenza del monumentale Palazzo del Grillo  porta il suo realismo sempre più su una quotidianità ricca di spunti, come in  “Damigiane e bottaccino”, 1959, e “Natura morta con fornello elettrico”, 1961;  e anche sulle memorie familiari, come in “Autobiografia” e “Il Padre agrimensore”, e sui ricordi personali, come nel 1966  in  “Incendio alla cancelleria apostolica”, “Paracadutista”, e “Il trionfo della guerra”. 

Con gli anni ’70,  grandi opere emblematiche di forte ispirazione,  “Giornale Murale. Maggio 1968”  e “I funerali di Togliatti”, “Il Caffè Greco” – in cui ritrae anche De Chirico, che ne era abituale frequentatore, come lo era stato D’Annunzio, citati dall’artista in una intervista sul quadro –  e “La Vucciria”:in tutti spicca l’elemento umano,  dai personaggi celebri alla gente comune.

Nel  decennio, l’impegno politico diretto nelle istituzioni, viene eletto  consigliere comunale a Palermo e poi senatore per due legislature nel 1976 e 1979, nelle liste del Partito comunista: “Comizio di quartiere”, del 1975, si ispira alla campagna elettorale.

Ma ora la sua maggiore fonte di ispirazione artistica è la vita a Palazzo del Grillo, dove riceve gli amici, come Bufalini e Trombadori, i letterati come Sapegno e i politici, fino al vescovo Angelini. Ne nascono opere di intonazione oscura come “Allegorie” e “Il sonno”, del 1979-80,  opere intime e misteriose come “Tigre che entra nel mio giardino”, e accorate interpretazioni del tema dell’esistenza, come  “La visita della sera” e “Sera a Velate”, del 1980; e le nature morte allegoriche del 1984, come “Bucranio”,”Mandibola di pescecane”, “Drappo nero contro il cielo”.

Non riflette solo le meditazioni  la sua vena artistica in questa ultima fase, ci sono nudi di donna  come “Ginecei” e “Due donne sdraiate” e un’opera, “Angurie”,  di un rosso rutilante, dopo tanta oscurità, prorompente di vitalità dopo tanto ripiegamento interiore, quasi una ribellione a tale stato d’animo  che Fabio Carapezza Guttuso ricorda così: “L’ora della malinconia, la nera compagna con cui da tempo dialoga l’artista che proietta la sua ombra su luoghi familiari riempiendoli di oscuri presagi”.

E’ al termine della sua esistenza, muore il 18 gennaio 1987,  tre mesi dopo la scomparsa dell’amata Mimise. Alle sue esequie una grande folla, il popolo sempre in cima alla sua ispirazione, orazione funebre di Moravia e Carlo Bo, intervengono i massimi esponenti comunisti e anche il cardinale Angelini che nella cerimonia religiosa afferma “L’eternità della sua arte è anch’essa momento e segno dello spirito che accomuna tutti gli uomini e che li predispone al mistero”.

E’ un mistero che la mostra al Quirinale cerca di esplorare con opere, che tranne la “Crocifissione” non erano  presenti nella mostra del centenario, focalizzate sulla spiritualità legata ai temi religiosi.

Le prime risposte sulla religiosità nel suo impegno civile ed artistico

Ci poniamo una prima domanda, legata al realismo della sua arte. Possiamo riferire al realismo pure queste sue opere? “A me interessa trarre da ciò che vivo giornalmente – disse lui stesso – l’elemento per dire qualcosa sulla realtà nella quale vivo, che mi circonda”. E successivamente aggiunse:  “Dipingi quello che hai davanti, con cui sei in intimità, che conosci bene perché ci stai insieme. Negli oggetti, nelle persone, nelle cose, si riflette quello che è il movimento generale della realtà”.

Facevano parte della “realtà in cui viveva”, di ciò con cui era “in intimità”, che “conosceva bene”  perché ci stava “insieme”,  i momenti legati alla religione, non come generica spiritualità, ma come sequenza di simboli ed esempi supremi, da Cristo a San Paolo, con specifici episodi evangelici,  come la Fuga in Egitto e l’Ingresso in Gerusalemme, la Cena di Emmaus, fino al legno della Croce? 

Vedremo in  seguito le risposte  di mons. Crispino Valenziano, che  analizza le opere esposte nella mostra da grande esperto di arte cristiana, teologo e filosofo, e soprattutto testimone diretto di conversazioni con l’artista e delle confidenze su questi temi sentiti e vissuti intensamente.

Alcune  risposte più generali sui motivi ispiratori dell’intera vita artistica e dell’umanità di Guttuso le troviamo nelle considerazioni di Claudio Strinati, membro del Comitato scientifico della mostra, nello scritto “Ideale civile ed elemento religioso nella pittura di Renato Guttuso”.

Innanzi tutto osserva che il suo impegno politico “non è stato mai in contrasto con una dimensione religiosa intesa in primo luogo quale sacrale esercizio della professione di artista ma nel contempo intesa come ecumenismo intrinseco al suo stesso stile, realista”. Era il comunismo sovietico che definiva la religione “oppio dei popoli”, aggiungiamo noi, nel comunismo italiano c’erano anche cattolici dichiarati, per tutti citiamo Franco Rodano; poteva a maggior ragione esserci chi, come Guttuso, “credeva di non credere” nell’eloquente espressione usata a ragion veduta da Valenziano. Del resto, l’esposizione nella mostra dello “Studio per la Fuga dall’Etna”, 1938, si inserisce in questo suo ecumenismo sensibile alle sofferenze della gente che trovano la massima espressione nel sacrificio di Cristo, visto nella “Crocifissione” come simbolo dell’umanità sofferente, perseguitata e oppressa. E non è una visione religiosa il “Colosseo”, 1973, altra opera in mostra, “come braciere e come ossario”?

La differenza rispetto alla religiosità conclamata è nella incapacità di percezione del divino nella realtà, resa invece incrollabile” da quell’imponderabile virtù che il cristiano chiama Fede”,  mentre il non credente non ha alcuna certezza personale. Ma  la fede è un sentimento oltre che  personale comunitario, e Guttuso ha sempre considerato la sua arte “intrinsecamente collettiva” in quanto rivolta all’Umanità e non al singolo, perciò i suoi dipinti sono animati da  “presenze unite da un afflato comune, da una istanza di solidarietà, di sostegno, di dialogo, di conoscenza”.  Strinati ne trae  una prima conclusione: “E’ questa la porta di ingresso a una dimensione che può essere definita religiosa e che, anzi, è una chiave di lettura complessiva per tutta la sua opera”.

A questo  riguardo cita le parole testuali di Guttuso  nel 1982 dopo aver dipinto la “Fuga in Egitto”, di cui è esposto in mostra il bozzetto molto espressivo: “Anche se comunista… io ho un senso religioso della vita… ritengo di essere un pittore civile e l’aderire agli ideali civili contiene sempre un elemento religioso”, perché esprimono le aspirazioni più alte e nobili della società.  Ci sono  verità profonde radicate nelle nostre coscienze,  che il laico riconosce pur senza dargli il valore metafisico e trascendente che il credente trae dai  Vangeli.

L’arte di Guttuso è la narrazione, laica  e religiosa insieme, di queste verità scolpite nella storia dell’essere umano e nel suo destino, attraverso le tragedie reali delle tante vicende di ingiustizie e sopraffazioni da lui dipinte in un magma nel quale confluiscono gli influssi molteplici delle forma artistiche emergenti nel suo tempo, metabolizzate nel suo inconfondibile stile personalissimo. E la verità spesso deforma e rende grottesca l’evidenza, perché va oltre la superficie spesso artatamente edulcorata per nascondere la realtà vera, di qui certe asprezze del suo stile e la “deformitas”, componente del suo realismo. La verità  è nuda, come la donna protesa verso  Cristo in Croce nella “Crocifissione” che  suscitò scandalo quasi volesse offendere la sensibilità cristiana, come sono nudi i corpi dipinti da Michelangelo nel “Giudizio Universale” della Cappella Sistina a suo tempo contestati fino all’imposizione dei “braghettoni”; come la donna alla finestra in “Spes contra spem” .

Connesso con tali verità c’è un elemento che Guttuso dichiaratamente identificava non solo nella sua arte ma anche nel suo impegno politico, cosi definito da Strinati: “La responsabilità umana e civile è la religione artistica di Guttuso ed è strettamente interconnessa con la grande e autentica tradizione cristiana”. Un ulteriore passaggio dello storico e critico dell’arte porta ancora oltre: “La responsabilità, dunque. È il ‘Vero’, il realismo come lo intende Guttuso, e il Vero è l’afflato popolare, anzi, come dice il pittore, è la gente, che per lui è proprio il popolo siciliano, emblema universale di una stirpe in perenne combattimento contro i mali del mondo”. 

Sono mali provenienti dalla società e dalla natura – la “Fuga dall’Etna” è emblematica al riguardo – che configurano un caos da tradurre in ordine e armonia come conquista finale per la quale occorre impegnarsi senza risparmio; e lui lo fece anche con l’incessante attività di critico d’arte che ci ha lasciato un patrimonio di analisi approfondite e riflessioni profonde  alla ricerca della verità, un impegno critico a cui si accosta, pur se su contenuti molto diversi, forse solo quello di De Chirico.

In questa visione,  le opere di ispirazione sociale si affiancano a quelle di ispirazione religiosa come un tutto unico animato dal tormento dell’artista dinanzi ai tanti mali che affliggono la società costituita dal suo popolo sempre oppresso e sofferente, con pochi momenti di quiete nella quotidianità pur essa da lui rappresentata ma su cui incombono gli eventi drammatici.

Lo vedremo prossimamente, con riferimento alle singole opere esposte al Quirinale.  

Info

Palazzo del Quirinale, piazza del Quirinale, Roma, Galleria di Alessandro VII,  Martedì-mercoledì, da venerdì a domenica, chiuso lunedì e giovedì, ore 10-16, ultima entrata ore 15, ingresso gratuito su prenotazione al sito del Quirinale. Catalogo “Guttuso. Inquietudine di un realismo”, a cura di Fabio Carapezza Guttuso e Crispino Valenziano, De Luca Editori d’Arte, Roma, agosto 2016, pp. 72, formato 21 x 23, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Insieme è stato pubblicato il libro di  Crispino Valenziano, “Guttuso. Pathos dell’Uomo Patemi di Dio”, De Luca Editori d’Arte e Libreria Editrice Vaticana, Roma, agosto 2016, pp. 150.  In questo sito usciranno altri due nostri articoli sulla mostra il 2 e 4 ottobre 2016. Per la precedente mostra al Vittoriano nel centenario della nascita dell’artista cfr., in questo sito,  i nostri 2 articoli il 25 e 30 gennaio 2013. In merito alle correnti artistiche citate nel testo cfr., in questo sito, i nostri articoli sulle rispettive mostre: sul “campione” del  Realismo socialista, Deineka  24 novembre, 1° e 16 dicembre 2012,  e sui temi  del Realismo socialista  in “Russia on the Road”  18 e 26 novembre 2015;  per le mostre sugli astrattisti e gli altri gruppi in Italia  5 e 6 novembre 2012, sui cubisti 16 maggio 2013, sulla Secessione 12 e 21 gennaio 2015. Sui “Realismi socialisti”, inoltre, cfr. i nostri 3 articoli di fine dicembre 2011 in “cultura.inabruzzo.it”, non più raggiungibile, saranno inseriti, con gli altri 400 articoli ivi pubblicati, in apposito sito.  

Foto

Le immagini sono tratte dal Catalogo, tranne “David suona la cetra davanti a Saul”  preso dal libro di Valenziano,  testi fornitici cortesemente da Fabio Carapezza Guttuso che ringraziamo. In apertura, “L’Atelier“, 1975; seguono, “La creazione”, 1984, e “Adamo”, 1984; poi, “Caino e Abele”, 1939, e  “Saul e David”, 1963; quindi, “David suona la cetra davanti a Saul”, 1963, e “Conversione di San Paolo”, 1977; inoltre, “Particolare della conversione di Saulo”, 1984, e “Il legno della croce”, 1980; inchiusura, “Colosseo”, 1973.