Galleria Nazionale, l’intervallo e la durata apre la nuova stagione

di Romano Maria Levante

 La mostra “The  Lasting. L’intervallo e la durata”, espone, dal 22 giugno 2016 al 29 gennaio 2017,  30 opere di arte contemporanea – pitture e sculture, fotografie, video e installazioni –  di 15 artisti italiani e stranieri di diverse generazioni, compresi giovani già affermati, insieme ad opere di Alexander Calder, Lucio Fontana e Medardo Rosso presenti nel Museo. Così si valorizzano le opere della Collezione permanente e si nobilita l’esposizione di artisti contemporanei. Curata da Saretto Cincinelli, la mostra inaugura la stagione espositiva nella nuova direzione di Cristiana Collu.http://blognew.aruba.it/blog.arteculturaoggi.com/gallery//uid_16356b039b7.jpg

La nuova direzione di Cristiana Collu,  le prime due innovazioni  

Prima di parlare delle opere esposte, è d’obbligo soffermarsi sull’avvio della nuova direzione di Cristina Collu, selezionata con il concorso internazionale voluto opportunamente dal Ministro dei Bini e le Attività Culturali e il Turismo Dario Franceschini. Lei stessa divide il suo “percorso da novembre 2015 a giugno 2016” in quattro fasi: “i primi due mesi di  auscultazione del respiro, del battito e del polso, non solo delle persone che abitano questa Galleria, ma anche dell’edificio, della sua architettura e del suo rapporto con la città, con il territorio, con il nostro paese e con le altre istituzioni internazionali”; i successivi tre mesi “di rodaggio e messa a punto delle possibilità di cambiamento e di consolidamento delle buone pratiche; la terza fase, conclusa con la “parziale riapertura della Galleria nella sua nuova veste”, tra aprile e giugno ha visto interventi di trasformazione pur lasciando aperte le sale del Novecento ai visitatori che hanno risposto positivamente, per cui non si sono verificate flessioni nelle presenze; la quarta fase, iniziata con questa riapertura, comporta la chiusura di tutte le sale, escluse quelle della mostra, per i lavori di riordino fino alla  completa riapertura della Galleria il 10 ottobre. 

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Degli interventi di trasformazione per ora  ne conosciamo due che riguardano l’immagine e l’aspetto esteriore.

Il nome è stato semplificato in “La Galleria Nazionale”, evidentemente superando la difficoltà data dall’esistenza della Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini; e Palazzo Corsini; l’abbreviazione  in La Galleria con la sottolineatura dell’articolo, marca la sua unicità, in modo da avere il rilievo che merita nel contesto internazionale. Un mutamento
c’era già stato, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna era stato aggiunto  “e Contemporanea”, ma ha continuato a persistere l’imbarazzante abbreviazione “Gnam” , da esclamazione fumettistica, di certo la nuova abbreviazione “La Galleria”  esprime di per sé il  maggior prestigio dovuto allo storico museo.

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Se su questa innovazione il nostro giudizio è totalmente positivo, non lo è invece sull’altro vistoso intervento, quello sull’ingresso dei visitatori.  Finora, superata la biglietteria, si attraversava un vasto salone dal pavimento a specchi spezzati, allestimento dell’artista Pirri, con delle piccole statue, per entrare in un altro salone nel quale erano esposte a terra e alle pareti opere famose di celebri artisti moderni e contemporanei. Con circospezione attenta e ammirata si camminava sugli specchi quasi temendo di spezzarli ancora, poi la bellezza delle celebri opere  esposte creava stupore ed emozione. Andando ancora avanti per raggiungere la mostra temporanea aperta pro-tempore si attraversavano delle sale che portavano al diapason stupore ed emozione. La sindrome di Stendhal diventava una realtà, tale era l’impatto emotivo.

Il nuovo assetto ci ha sconvolto in senso opposto, si tratta della normalizzazione di una eccezionalità che ha cancellato il
fascino e la magia di un’iniziazione emozionante della visita per creare una sorta di sala d’aspetto con dei divani e quant’altro di accogliente ci possa essere per una sosta che, peraltro, può essere gradita lungo il percorso espositivo piuttosto che all’inizio.

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Ecco come viene motivato: “Si è trattato di un intervento che ha messo al centro l’idea di ospitalità e di accglienza e ha creato uno spazio dedicato alle persone. Chi oggi entra in Galleria non deve necessariamente entrare in mostra, può anche passare il tempo nella Sala delle Colonne, nelle due corti laterali interne, può prendere un caffè, leggere, curiosare, fare acquisti al bookshop, ricaricare il telefono, utilizzare il  wi-fi. La sala espositiva è separata da un filtro leggero che fa intravedere la mostra”. 

Non siamo d’accordo, perché non si interrompe un’emozione, anzi non si cancella quando si è riusciti a crearla con l'”ouverture”  unica al mondo dell’ingresso magico nella Gnam. Soprattutto con una motivazione che sa di sala d’aspetto ferroviaria o da centro commerciale; ma la Galleria non si trova lungo gli itinerari dello shopping o del passeggio, si deve raggiungere appositamente nell’ambiente ameno ma molto isolato di Valle Giulia, e non lo si fa per “prendere un caffè, leggere, curiosare” e tanto meno per “ricaricare il telefono, utilizzare il wi-fi”, mentre gli “acquisti al book shop” vengono dopo la visita alla mostra. Nessuno si sobbarcherebbe al viaggio per raggiungere la Galleria solo per passare il tempo in anticamera.

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E anche se “l’operazione di riallestimento dell’ingresso e della Sala delle Colonne è firmata da uno dei più geniali rappresentativi designer contemporanei, Martì Guixé”,  non ci sentiamo di condividere che “è in questo senso esemplare”,  come non abbiamo condiviso la Teca innovativa con cui l’archistar Mayer ha modernizzato la protezione dell’Ara Pacis.

Neppure ci convince la motivazione architettonica: “E’ stato un lavoro quasi archeologico, che ha cercato di riportare in luce una sorta di splendore originario, quello dell’esordio di un secolo fa… nulla è stato aggiunto, a tutto è stata tolta una patina opaca”.  Naturalmente si riferisce ad altro, e non all’ingresso dove non è stata tolta una patina ma tutto,  e il tutto creava emozione.  E sembra non considerare che si tratta di una Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea dove l’esigenza di riportarsi a un secolo fa non può ritenersi primaria rispetto alla valorizzazione di quanto creato dalla modernità. 

Sono queste valutazioni personali, nate d’impulso, che non potevamo non premettere al racconto della mostra, nella quale ci si trova immersi subito, senza l’emozionante carrellata che accompagnava i visitatori nell’assetto precedente. 

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La mostra, “manifesto” della nuova direzione, all’insegna del tempo

Il  titolo della mostra, “The Lasting. L’intervallo e la durata”,  sembra alludere  all’attuale fase di attesa e rilancio della
Galleria Nazionale,  come viene sottolineato nella presentazione: “La mostra che abbiamo immaginato per questo esordio è una sorta di ‘manifesto’, indica una direzione, riporta alcentro dell’edificio le mostre temporanee, ne riduce l’estensione privilegiando temi e senso”.  Il ministro Franceschini saluta “l’inizio di una fase in cui il contemporaneo ritorna con forza nel museo, in un dialogo che deve essere di nuovo continuo e costante con le realtà alle quali si deve parte della collezione permanente a cintervallo , mostre , gnamominciare dalla Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma”.

Intervallo e durata scandiscono il tempo in modo apparentemente opposto, sono compresenti e inscindibili nei processi di
trasformazione in cui l’attesa rappresentata dall’intervallo si coniuga con la resistenza di ciò che va superato e il consolidamento dei cambiamenti scanditi dalla durata.

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Questo assume un rilievo e una connotazione particolare nel  nostro tempo in cui, lo ha sottolineato Franceschini, “la tecnologia e la rete sembrano dilatare il tempo e lo spazio in un continuum infinito, regalando illusioni di ubiquità e
di eternità al prezzo di una sottrazione crescente di attenzione al contesto che ci circonda. Lo sguardo profondo e il pensiero lungo di chi riesce a restituire al tempo la dimensione che gli è propria permette allo spettatore di recuperarne, attraverso l’opera d’arte, il senso più autentico”.

Le opere degli artisti sull’intervallo e la durata

La mostra presenta 30 opere   di dimensioni notevoli, realizzate da 15 artisti nei più diversi generi cercando di evocare questi temi sfuggenti  che esprimono l’intervallo e la durata, con l’imprevedibilità e l’espressione spesso criptica dell’arte contemporanea.

Hiroshi Sugimoto lo fa con le sequenze fotografiche della serie “Theatres” , che diventano cinematografiche ma sfumano nella pura luminosità  mediante un tempo di esposizione dilatato per coniugare intervallo e durata; sono esposti “Cinema Odeon, Firenze”, “Cinema Teatro Nuovo, San Gimignano”, e “Salle 37, Palais de Tokyo, Paris“, tutti del 2013.

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Un’operazione speculare e contraria rispetto alla dissolvenza la vediamo in “The Raid (101 Minutes)“, 2015,  di Elisabeth
McAlpine,
  che  torna  addirittura alla materialità della pellicola di 35 mm con una scultura fatta di 150 mila fotogrammi sovrapposti del  film da cui deriva il titolo dell’installazione. 

Franco Vimercati in  “Senza Titolo (Brocca)”, 1980-81, reitera i soggetti, presi dalla vita quotidiana, non in modo estemporaneo, ma a seguito di una ricerca durata anni.

Mentre Barbara Probst  in “Exposure # 104; N.Y.C. , Vanderbilt & Lafayette Avenues 01, 13, 13, 9:50 a. m. 2013”, 2013.  riesce a trasformare  il singolo istante, l’intervallo,  in un tempo immobile, quindi di durata interminabile.

Dalla fotografia alla pittura, ovviamente in chiave contemporanea, con Antonio Catelani, che declina il confronto tra attualità e virtualità mimando l’arte astratta con tre opere intitolate “Concordia”, 1899, “Limen” e “Turnturm”, 2010 .

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Marie Lund in “Stills”, 2015, utilizza tende stinte dal sole intelaiate per evocare visivamente sulla parete l’azione erosiva del tempo nella sua durata.

A sua volta  Alessandro Piangiamore  nelle cere di “Le XXX sorelle (se Roma non brucia)” cerca  di rendere la dimensione temporale con un materiale che deperisce, ad alto valore simbolico: le candele votive.

Emanuele Becheri utilizza le lumache per delle “tracciature cieche” della loro bava lasciate nel passaggio lento e incerto su
cartoni neri,  le due opere (n. 7 e 13) della serie intitolata “Shining”  sono definite “una sorta di elogio della durata, o della lentezza”. 

Un elemento simbolico è impiegato da Giorgio Andreotta Calò nelle sculture della serie “Clessidra”, 2012, strumento 
che marca il passaggio del tempo congelandone la durata e la relativa corrosione in un processo a ritroso che riporta alla causa prima.

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Antonio Fiorentino nelle sculture mutanti  “Dominium Melancholiae” , 2014, procede anch’egli nella trasformazione della materia verso una vegetazione chimica sempre più ramificata, in una metamorfosi invasiva che investe tutta la superficie fino a ricoprirla. 

Sculture sui generis anche le scarpe femminili appese al muro di Tatiana Trovè, esprimono  ciò che resta di un fatto
svoltosi nel passato recente mantenendone la presenza, quindi la durata; così i materiali usati per imballare i propri lavori e ormai inutilizzati, sono consolidati nel bronzo mediante fusioni e calchi: i titoli, “Untitled”, 2009, e “Refolding”, 2011.

Di nuovo un processo speculare, l’erosione rispetto al consolidamento, lo troviamo nelle 5 sculture di Giulia Cenci con detriti che rappresentano i resti di una vita precedente, il  passato pur sempre  parte del presente e proiettato nel futuro.
Sono del 2014 le 3 intitolate “Almost invisible”, n. 6,7, 8 e “Profilo di Clio (terra-terra)”, del 2016  le 3 “Senza Titolo”.

E’ il passato che resta, e torna, anche nelle sculture di due artisti con grandi installazioni  da ritenersi complementari, che occupano vasti spazi della sala espositiva.

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Daniela De Lorenzo interpreta il senso del tempo con il movimento della caduta  in verticale, vediamo esposti “L’identico e il differente”, 2003, e “Contrattempi”, 2014.

Invece Andrea Santarlasci punta sugli sdoppiamenti nell’altro di se stesso per evocare trasformazione e mobilità, come segni del tempo che passa, come si vede dalla sua opera intitolata significativamente “Casa difesa (gemmazioni)”, 1992. 

Siamo passati da fotografia e cinema alla pittura,  poi alla scultura in varie declinazioni, ora ecco il  video della serie intitolata “Railings”, 2004, realizzato da  Francis Alys, in collaborazione con Daniel Ortega, nel quale l’artista percuote con la bacchetta del batterista in modo ritmico i cancelli delle ville londinesi di Fitzroy Square dove passeggia, è anche questo un modo di marcare il tempo.

Le opere dei tre grandi artisti presenti nel Museo esposte insieme a quelle dei contemporanei sono anch’esse inerenti al tema
dell’intervallo e della durata, cioè al tempo, espresso secondo i rispettivi canoni stilistici e di contenuto.

Vediamo la caratteristica forma aerea sospesa di Alexander Calder, “Mobile”,  1958,  la cui leggerezza le fa evolvere in
composizioni volubili nel rapporto tempo-movimento in continua evoluzione.

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E invece delle ben note incisioni su tela vediamo la scultura “Concetto spaziale. Natura”, 1959-60,  di Lucio Fontana,  espressione di un percorso interiore  che diventa esplosione di energia:  dal pensiero attraverso un travaglio mentale nasce l’atto, la spinta intellettuale da virtuale diventa reale materializzandosi nell’opera, l’insieme rende il concetto di intervallo, come attesa, e durata come persistenza.

Infine Medardo Rosso fissa il tempo nell’attimo con delle sculture che evocano le sensazioni suscitate dalla realtà, le quali possono distaccarsene anche di molto,  la metafora di intervallo e durata vista nella forma di apparenza e verità; così in “Impression de boulevard: La femme à la voilette”, 1893, e il suggestivo “Ecce puer”, 1905,  che doveva essere un ritratto di un determinato bambino, ed è diventato archetipo dell’infanzia colta nell’attimo fuggente.

Il rilancio della Galleria Nazionale

Con queste celebri opere della Collezione permanente,  presentate insieme a quelle degli artisti contemporanei esposte nella mostra temporanea,  si chiude il nostro racconto dell’apertura della nuova stagione nella Galleria Nazionale impegnata in un rilancio a livello della  straordinaria ricchezza di capolavori presenti nelle sue sale. 

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Le iniziative in corso lasciano ben sperare. Si lavora sulla definizione di una immagine maggiormente competitiva  con il logo più efficace citato all’inizio e la creazione di un  sito web strutturato in modo semplice e ben accessibile. Viene potenziata la presenza sui social network per renderla più ampia e continuativa in modo da attivare l’ascolto e la condivisione,  già oggi la galleria figura al primo posto tra i musei italiani per soddisfazione dei visitatori, come rilevato dal MiBACT. Sarà ultimata la digitalizzazione degli Archivi – storico,  iconografico e  fotografico – in modo da poter accedere on line a questo vasto patrimonio. Inoltre si procede a collaborazioni con soggetti pubblici e privati, in particolare il Maxxi,  Museo nazionale delle arti del XXI secolo, e a partnership con diverse aziende fornitrici.

Riteniamo si debba affrontare anche il problema dell’isolamento della Galleria lontana dal centro storico, che la rende meno
accessibile ai turisti rispetto ai principali musei romani;  il potenziamento delle linee di trasporto urbane che passano per il Viale delle Belle Arti, in particolare come frequenza delle corse, sembra indispensabile,  in assenza di una linea apposita.

Tanto si sta facendo e tanto c’è da fare, dunque. Usciamo dalla mostra con questi pensieri, ed è un bene perché mentre attraversiamo il nuovo ingresso dimentichiamo che dove  c’è ora una sorta di sala d’aspetto a noi apparsa anonima per usare un eufemismo, prima c’era un percorso esaltante sul pavimento di specchi spezzati tra i capolavori.  Forse c’è un vantaggio, non si rischia più la sindrome di Stendhal.   Ma si è interrotta un’emozione forte e ricorrente, ne valeva la pena?

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 Info

Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, viale delle Belle Arti, 131, Roma,  tel. 06.32298221. Orari  di apertura, dal martedì alla domenica ore 8,30-19,30, lunedì chiuso, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso, intero euro 10,00, ridotto euro 5,00.

Foto

Poichè si sono rese indisponibili per un incomveniente le foto scattate come di consueto dall’autore, le immagini sono state tratte dai siti sotto indicati, che si ringraziano,  ritenendole di pubblico dominio;  siamo pronti a eliminare quelle che i siti interessati non volessero vedere riprodotte a semplice richiesta, trattandosi di mere illustrazioni di un articolo giornalstico senza alcuno scopo di lucro: i siti sono, in particolare, roma2oggi e domusweb, artribune e armaproma, rainews e magazzinoartemoderna. In apertura, Antonio Catelani, una delle 3 opere esposte, “Concordia” 1999, “Limen” e “Turnturm” 2010; seguono, una panoramica della mostra, e  Hiroshi Sigimoto, “Theatres”  2013; poi, Franco Vimercati, “Senza Titolo (Brocca)” 1980-81, e Barbara Probst, “Exposeures” 2013; quindi, Marie Lund, “Stills” 2014,e Alexander Calder, Mobile”, 1958; inoltre,  Alessandro Piangiamore, 2 coppie di opere della serie “Cere di Roma – Roma non brucia”, la prima è la XXVII, la seconda la XXX  2016; ancora, Antonio Fiorentino, 2 opere della serie “Dominium Melancholiae”  2014; infine, Lucio Fontana, “Concetto spaziale. Natura”  1959-60, e Medardo Rosso, “Ecce puer” 1906; conclude la nostra galleria un’altra panoramica della mostra; in chiusura, la direttrice Cristiana Collu presenta la mostra con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo Dario Franceschini.

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