Strazza. Ricercare tra “un gomitolo di segni”, alla Galleria Nazionale

di Romano Maria Levante

La mostra antologica  “Guido Strazza. Ricercare”,  aperta  dal 7 febbraio al 26 marzo 2017  alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea – ribattezzata sinteticamente dalla nuova direzione “La Galleria Nazionale” –  presenta 145 opere, di cui 56 dipinti, 42 disegni, 31 incisioni di due serie organiche ed  altre 13  legate ai dipinti e ai disegni,  di un artista che nella  sua lunga vita ha cercato di esprimere visivamente l’inesprimibile, di descrivere l’indescrivibile,  in un linguaggio personalissimo nel quale si è liberato della forma e in parte del colore come viene comunemente inteso e utilizzato,  per affidare la rappresentazione al solo segno, al tratto che smaterializza l’immagine rendendo un’idea embrionale che si modifica in itinere. Curatore della mostra e del Catalogo della Galleria Nazionale Giuseppe Appella..

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 Le parole “un gomitolo di segni” sono dello stesso Straffa e si riferiscono a tutto quanto ci circonda, o che ci è portato dalla memoria, per lui i segni sono l’elemento distintivo e costitutivo della realtà, prima della materia, del colore, anche della luce. E’ un mondo intrigante e misterioso quello aperto dalle sue parole, ma non indecifrabile. L’artista ce ne dà la chiave interpretativa  in modo esplicito e trasparente mediante due scritti quanto mai rivelatori: il libro “Il gesto e il segno”, frutto di una ricerca didattica sul campo nell’incisione, vera e propria teoria che parte dalla matrice geometrica per  raggiungere livelli filosofici pur nella impostazione di  manuale pratico; il  “Dizionario. Lessico del pittore. Pensieri minimi”  di 74 parole, di cui ben 60 spiegate con l’intervento dei segni che quindi si confermano come portanti e onnipresenti nella sua visione.

I segni diventano una sorta di elemento primordiale, di matrice prima,  la loro origine è indifferenziata, l’artista non ha nella mente la figurazione finale, ma soltanto il segno, sarà esso stesso a suggerire l’eventuale definizione in immagine per poi magari tornare ad essere segno. E’ fondamentale, come sottolinea il curatore  Giovanni Appella, “l’attenzione dedicata ai materiali sui quali dipingere o incidere, alla preparazione delle tele, dei fogli di carta o delle lastre, all’incisione diretta e indiretta, alle vernici, agli acidi, agli attrezzi, all’inchiostrazione, alla stampa, perfino alla disposizione di un tipo di atelier per incisore”.  Un aspetto pratico importante che si aggiunge alla elaborata costruzione teorica nella valutazione dell’opera dell’artista in tutta la sua complessità.

Per entrare  in questo mondo e poter così interpretare correttamente le opere dell’artista esposte nella mostra antologica è bene premettere ciò che emerge dai suoi scritti rivelatori e dalle valutazioni dei critici che in occasione della mostra ne hanno analizzato l’opera in profondità.

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I segni di Strazza nelle sue parole  

Il suo primo scritto è il libro “Il gesto e il segno”,  frutto di ricerche collettive nell’Istituto di calcografia nazionale tra il 1964 e il 1967 e il 1974-76,  trattato teorico e manuale pratico sul segno che parte  dalle figure geometriche più semplici fino alle composizioni più complesse con riferimento, sono sue parole, “alla loro posizione rispetto alle direttrici di riferimento verticale-orizzontale sulla quale si fonda in gran parte la variabilità del loro significato espressivo”. 

Ed ecco come ci fa entrare nel mondo dell’incisione, nella sua peculiare visione: “Se si sceglie il bianco e nero (segni e trame) è perché si intuisce e si cerca qualcosa che il colore non può dare: qualcosa che, all’inverso, inutilmente si cercherebbe di imitare col colore di cui i segni e tracce non sono in alcun modo surrogati, né hanno il nome”.   

In questa dialettica bianco-nero e colore domina la luce: mentre “la trama è la luce percepita come vibrazioni dal bianco e nero, alternanza ritmica tra presenza e assenza di luce e si dà come struttura dinamica con verso e direzioni di espansione”, a sua volta “il colore è luce percepita secondo le diverse collocazioni nello spettro visibile”.  In definitiva,  la luce, per l’artista non è un semplice “mezzo di rivelazione delle cose”, bensì  “l’evento primario come se tutto, ogni forma o colore o rapporto fossero un modo della luce”.

E il segno?  E’ l’idea iniziale, la base di tutto, può restare isolato o convergere, svilupparsi in trame, senza derivare da immagini riconoscibili, anzi sarà il segno stesso a suggerirle. Il nostro mondo “è pienezza di segni, in attesa di essere pensati, chiamati, formati, riconosciuti. Segnare è quel chiamare”, ma senza immagini precostituite da ricomporre assemblando segni:  “Nel progetto originario (il gesto e il segno per esercizio manuale)  erano nascosti a mia insaputa gli insetti. Me ne sono accorto e li ho inseguiti”. 

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Nel secondo scritto rivelatore, il “Dizionario. Lessico del pittore. Pensieri minimi”,  riassume il proprio lavoro in tre parole, tutte incentrate sui segni: “Andare… per il mondo vedendo segni che, riconosciuti, si fanno forma e misura nostre e del mondo”. Vedere….i segni delle ‘cose’ prima di vedere le stesse cose – nome che tutti vedono e i segni rappresentano, Tempo… Tempi del vedere,, del gestire, del segnare…”.

Ma spigoliamo tra le 60 parole riferite ai segni”. La Materia è “‘Segno primo’ dell’arte”, e lo Spazio è “Assoluto vuoto pieno di segni visti e non visti in attesa indifferente di essere riconosciuti per dargli forma, nome, dimensione”; la Forma è fatta di  “Segni organizzati per ordini e nomi” e al  Colore “Sono i segni di confine a dargli forma e nome con aggettivi di colore”. Soggetto, oggetto , condizione del segnare”.  Mentre per la Memoria  “Il segno è già in sé memoria/ progetto di memoria”  e, più in generale,  Segnare è “Dare forma e significato a segni visti, intravisti, pensati, immaginati”. Tutto questo nella Realtà così definita: “Tutti i segni del mondo che, insieme, chiamiamo realtà, ma uno per uno chiamiamo con altri nomi”, collegata con la Natura,  “‘Realtà ‘ non fatta da noi, che si sta sempre formando e trasformando e traduciamo in segni progetto di segni”. Il Progetto è fatto di “Segni organizzati  per un fine di logica e poetica utilità”, e anche il Ritratto riporta al segno: “Chiamo una figura per nome, col nome dei suoi segni”.

Diventa sempre più penetrante.  In Pensare: “Se penso un segno lo sto mentalmente disegnando. Disegnato, lo vedo senza averlo pensato”, e in Cercare: “I segni sono già tutti lì, sotto il foglio. L’artista non li cerca: li vede, li pensa, li riconosce e li fa”. In Riconoscere: “L’ avevo perso  di vista, quel segno,; l’ho ritrovato, riconosciuto, lo posso disegnare”, e in Disegnare: “Da segno a segno, uno dopo l’altro, sull’altro, con l’altro, un pensiero si sta facendo forma, nome, significato”. 

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Non c’è mera tecnica, tutt’altro,  in  Ripetere: “Segno ripetuto non è segno, fatto più volte, ma nuovo soggetto ‘tempo-spazio’ del segnare” e in  Ritoccare: “Tra il fare e disfare, segno su segno che non dimentica il vecchio”; in Distinguere: “La distinzione che conta è tra ciò che di un segno si vede e ciò che, non visto, è invece visto e si fa vedere”, e in Rappresentare: “Un segno in sé non rappresenta, si presenta rappresentando altro”.

Dal segno all’atto creativo  in Tradurre, “Al solo vederlo un segno è tradotto in un altro segno”, fino a  Opera, “Come un segno, un’opera non sarebbe mai  finita se appagamento o metafisica stanchezza non la facessero compiuta. ‘Opera finita’ è improvviso silenzio: non chiama altri segni”.

Abbiamo citato soltanto 20  delle  60 parole del Dizionario definite con i segni, e l’ultima parola ci riporta all’opera compiuta, al di là delle componenti fatte di segni; a questa si riferiscono i giudizi critici più recenti che hanno analizzato in profondità un’impostazione così personale e intrigante.

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L’opera di Strazza nei giudici della critica

Cominciamo dal curatore, Giuseppe Appella, che ne inquadra l’opera così: “L’idea costruttiva è la struttura più o meno libera, ma geometrica, di una composizione che nella libertà espressiva del segno, anche il più elementare, trova il primo approccio , la prima presa di posizione mentale,  rispetto a qualcosa che si realizzerà  in un fitto contraddittorio tra l’idea di partenza e le nuove idee che nascono dallo stesso lavoro”.  Ed ecco come si sviluppa il processo creativo: “Ogni prova di segni è fatta senza pensare ad altro che al modo di eseguirli, tanto da scoprire  che i segni tracciati sono anche ali e zampe di insetti, parti di cieli stellati, etichette occasionali di vino, e da accogliere il suggerimento dei segni di essere letti altresì come parti di un progetto, un nuovo progetto, di fare degli insetti”. L’immediatezza si unisce alla sistematicità: l’immediatezza è nei “ricordi, anche inconsci, impressioni, emozioni germinate spontaneamente nel momento in cui si trasformano in realtà di linee”; la sistematicità nel fatto che, “al tempo stesso sono il punto di arrivo di un lavoro lento e metodico la cui intenzione non è quella di organizzare segni per rappresentare qualcosa ma per farli essere qualcosa, carica espressiva e provocazione, eterna risposta a infinite provocazioni, alla ricerca continua di un centro, ovvero di un equilibrio”.

La visione di Antonio Pinelli  si collega a quella del curatore: “Strazza individua la genesi dell’atto creativo in quello che potremmo  definire un incessante percorso di andata e ritorno dal dominio dei segni e delle parole a quello delle immagini e delle cose; quel percorso che trasforma due punti in due virtuali pupille, due linee che s’intersecano in un potenziale orizzonte, una virgola in un’ipotetica zampa di formica. Ma si badi bene: pupille virtuali , orizzonti potenziali, zampe di formica ipotetiche, pronte a regredire di nuovo allo stadio precedente di segni o a procedere verso altre trasformazioni, altre nominazioni”.  Per concludere: “Strazza sa bene che l’atto creativo sta nel percorso, non nel punto di arrivo , che è di per sé provvisorio, instabile, inconcluso. E tale rimane anche quando l’opera è licenziata dall’artista, se non altro perché si offre disarmata e, per così dire, istituzionalmente disponibile, all’interazione con lo sguardo e la mente di ogni suo spettatore”.

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Penetra ulteriormente nella genesi dell’atto creativo Lorenza Trucchi: “Strazza dà ai propri strumenti linguistici – segno, colore, luce, materia, spazio – un carattere ed un valore di immediatezza, di fragranza. Una eredità che gli viene dall’informale e che fa sì che la sua pittura sia anche, hic et nunc, proiezione immediata dell’io. Se passato e presente, memoria  e realtà si alternano e fondono, ciò non avviene mai in forma iconica e narrativa”.  Si manifesta così: “Il suo ricordare non è fatto di citazioni, ma di essenze ed equivalenze; il suo diario, diretto, immediato, si realizza attraverso una criptoscrittura ad un tempo febbrile e lucida, penetrante e labile.  Un discorso fatto dunque di lontananze e presenza , di silenzi e confessioni, un dire che è anche un celebrarsi, un celarsi che è anche un dichiararsi “. E’ una compresenza di ossimori che viene spiegata: “Questa andatura, sebbene oscillante, non è però ambigua. Se Strazza appare talvolta misterioso, se non addirittura impenetrabile, è perché crede che la parte più alta, più lirica del vivere sia inesprimibile. Da qui la propensione intellettuale verso la sublimazione della propria tensione emotiva”.

Tensione che  paradossalmente, con un altro ossimoro virtuale, si esprime nella forma meno aulica, mediante semplici segni, in una realizzazione grafica essenziale , così commentata da  Tullio Gregory: “Sempre, perfino nei titoli, il segno, la trama, la partitura sono presenti come elementi caratterizzanti che intervengono ad interrompere l’omogeneità di un colore, di uno sfondo, di una prospettiva, la determinano e la definiscono in modo imprevisto: il segno, prepotente, è come la firma dell’Autore, non più marginale ma impetuosa e centrale”.  E ancora: “Quello che interessa Guido Strazza è sempre e solo la suggestione di un segno, assunto nel proprio itinerario creativo come tale, senza più alcun rapporto con la realtà che pur lo aveva evocato e suggerito”.  Infatti  “il segno si libera da ogni riferimento oggettivo o pretesa imitativa  e non rinvia ad altro che a se stesso, nella radicale libertà del gesto creatore; non lancia messaggi, non cerca dialoghi se non con altri segni, tutti gratuiti, senza altro senso che quello di essere segni”. In questo contesto, “il colore è sempre condizionato, imbrigliato da un tessuto, una trama di segni che costruiscono e condizionano lo spazio in cui si collocano i colori”.  E ricordiamo che per l’artista  a dare ad essi “forma e nome” sono proprio “i loro segni di confine” , la “trama di segni” di cui parla Gregory.

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Semplici segni, abbiamo detto, ma con le loro trame vengono accostati alla musica. Lo spiega così Giorgio Nottoli, che ha creato composizioni musicali ispirandosi alle due principali cartelle grafiche di Strazza, prendendo l’avvio dalla terza delle tre parole poste dall’artista alla base del proprio lavoro, il Tempo, insieme a Vedere ed Andare: “Il Tempo è quello del vedere e del segnare, è quello del gesto che produce il segno e che al segno è indissolubilmente legato. L’arte visiva, quindi, si sviluppa effettivamente nello spazio, ma lo fa con un tempo che noi percepiamo anche a ‘cose fatte’, come parte costituente dei segni e impronta dei gesti che li hanno generati. Ma anche gesto e suono sono indissolubilmente legati”.  Con queste diversità e assonanze: ” La differenza dovuta al momento in cui l’informazione temporale viene ceduta al segno, prima o durante la fruizione dell’opera, resta una distinzione importante fra le due arti, ma la presenza nel tempo, acclarata da Strazza come componente fondamentale anche della pittura, rende possibile una visione analitica capace di accomunare almeno alcuni  procedimenti applicabili alle due arti”.

E al termine di questa rassegna critica, ecco le parole di Massimo Maiorino che collegano direttamente le opere al loro creatore: “Sono occhi infinitamente desideranti quelli di Strazza che illuminano un nuovo ricercare che è ricerca di sé, dei propri segni, del proprio linguaggio. E sono nuove carte e tele, nuovi segni e colori, a caratterizzare un orizzonte mobile, in perenne mutamento”.  Per concludere: “Continua così l’arte di Strazza a crescere nel giardino fecondo in cui s’incrociano pittura e scrittura, a nutrirsi e soprattutto a nutrirci”.

Visitare la mostra è come entrare in questo giardino, nel quale l’opera, per ricordare le parole di Nottoli che abbiamo già citato, “si offre disarmata e, per così dire, istituzionalmente disponibile, all’interazione con lo sguardo e la mente di ogni suo spettatore”.  Lo faremo con il vivo interesse di vedere finalmente come si esprime nella realtà un’impostazione così particolare e sorprendente.

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I segni e le trame delle incisioni, pitture e grafiche di Strazza 

La mostra antologica, per sua stessa natura, crea un diretto collegamento delle opere con il percorso di vita dell’artista, cui faremo cenno nel passare in rassegna la galleria di incisioni e disegni, tempere e acqueforti, grafiche ed  alcuni oli.

Si inizia con 3 disegni su carta  del 1942, “Il decollo”, “Combattimento”e “Volo notturno”, sono del periodo iniziale in cui si avvicina ai Futuristi dopo l’incontro con Tommaso Marinetti, e  partecipa alle importanti mostre  di Aeropittura a Roma e a Venezia con i suoi “segni” aggrovigliati nei vortici dell’aeropittura. Ha soltanto 20 anni, quindi continua i suoi studi laureandosi in ingegneria civile nel 1946, poi si impiega presso la “Sogene”, ma vi resta poco, pur contro il volere dei genitori,  perché non riesce a conciliare pittura e lavoro; non solo lascia la società ma parte per il Perù dove percorre il paese come rilevatore topografico prima di aprire uno studio pittorico a tempo pieno e partecipare a stagioni espositive intense in Sudamerica dal 1948 al 1953. Vediamo esposte “Cantiere in via Bissolati” del 1948, prima di partire. che nella schematica struttura compositiva riecheggia i freschi studi ingegneristici, e una serie di opere degli anni sudamericani, dai 2 su carta in inchiostro e carboncino “Matador”, 1949, e “”Machu Pucchu”, 1952, ai dipinti ad  olio su tela a colori, uno del  1952, “Paesaggio-Aura” e 4  del 1953, “Paracas” e “Coda hano hay que ganarie  ala tierra”, “Si  el rio llega todo serà arruinado” e “y los perros ladran en las noches”.

L’anno dopo, nel 1954, rientra in Italia e risiede a Venezia fino al 1955, di tale anno l’olio su tela  “Racconto scenico” e la tempera “Senza titolo”, dalla pittura sudamericana con influssi precolombiani passa ai pittogrammi con immagini e segni, tratti grafici che diventeranno sempre più preminenti.

Dopo Venezia,  a Milano dal 1956 al 1963.  Nei primo quinquennio il segno si ispessisce, ci sono forti addensamenti materici nei 3 carboncini e pastello su carta “Balzi rossi”, che riflettono la sua  permanenza sulla costa omonima, tra Mentone e Ventimiglia,  dove si trovano le grotte che lo riportano sulla linea di “avanzare regredendo”  delle ultime opere sudamericane di influsso precolombiano,  tanto che al critico Marco Valsecchi ispirano “le apparizioni improvviso di un mondo nuovo e innocente agli occhi vergini dei preistorici abitatori di quelle piagge marine”. 

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Gli addensamenti proseguono nei 2 “Paesaggi olandesi”  del 1960, mentre in un terzo “Paesaggio olandese” e poi in 2 “Figure”, anch’esse del 1960, si sciolgono in tratti anche se ancora alquanto spessi. Riflettono il viaggio in Olanda di quell’anno per conoscere la terra della  compagna Ille che sposa nel gennaio del 1962 a Milano.  Saranno ben diversi gli “Orizzonti olandesi” di cui parleremo più avanti, come lo sono le ultime opere esposte del periodo milanese, l’olio su tela “Luce e immagini”, 1961, e le 2 tempere su tela del 1963, “Progetto di un viaggio”, e “Grande progetto per il viaggio alla ricerca di Atlantide”, ampie  superfici aperte percorse da pochi tratti.

E’ un’evoluzione che diviene ancora più marcata con il definitivo trasferimento a Romanel 1964,  frequenta fino al 1967 la  Calcografia Nazionale su invito del direttore Maurizio Calvesi per approfondisce il rapporto tra segno e colore con sperimentazioni su acqueforti presentate in mostre in Italia e all’estero.  Di questi anni sono esposte opere di varie tecniche,  “Segni e trame”, su vetro armato e tavola,  e la tempera su carta “Esperidi“, entrambe del 1966, le acquatinte su carta “Ritmato” e “Luce + Luce1”, del 1967,  con la progressiva apertura alla luce e a punti o linee di colore. L’attenzione alla luce è altrettanto esplicita nelle due grafite su carta “Riflessioni  e rifrazioni”, del 1970, in cui i raggi vengono solidificati in un intenso chiaroscuro. 

Nel 1971 riceve l’incarico di insegnamento di tecniche dell’incisione presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila diretta da Pietro Sadun, che svolge fino al 1975, e subito inizia il progetto “Ricercare”, con una prima tempera “Ricercare in rosa”, dello stesso anno, la grafite su carta  “Ricercare” e la tempera su tela “Ricercare Nocar”, entrambe del 1972, progetto che culmina nelle 11 litografie del 1973 della cartella “Ricercare”, tutte esposte in mostra: le litografie  presentano grandi campiture bianche con delle modulazioni molto delicate tanto da aver ispirato la composizione musicale di Nodoli che abbiamo ricordato. Dello stesso anno le 2 grafite su carta “Paesaggio olandese”, con il parallelismo dei tratti ad evocare l’orizzontalità dei Paesi Bassi.

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Anticipano  la cartella “Orizzonti olandesi”, del 1974, anno in cui torna nella Calcografia nazionale, questa volta su invito di Carlo Bertelli per la ricerca di gruppo che porterà al libro “Il gesto e il segno” di cui abbiamo parlato.  Sono  20 acqueforti con diverse varianti tecniche, in metà delle quali i segni molto sottili che riecheggiano i “Paesaggi” si presentano in varie modulazioni, nelle altre, invece, si addensano in macchie scure, due di esse sono definite “maniera nera”.

“Trama quadrangolare”, è un altro ciclo in cui si manifesta l’intenso impegno artistico e di sperimentazione di quegli anni. Vediamo 9 tempere e carboncino su tela del 1976 e 2 del 1979, con l’ulteriore evoluzione in riquadri chiari e scuri e altre figure in cui i tratti si  consolidano; mentre in 2 acqueforti datate 1978-83  tornano dominanti  grandi fasci di tratti rettilinei che si incrociano.  I riquadri prevalgono di nuovo  nelle tre tempere e carboncino su carta “Segno e trame”,  del 1978.

Siamo giunti così al  ciclo “Segni di Roma”, anche per quest’opera oltre che per la sua caratura ha avuto un prestigioso  riconoscimento  cittadino nel 2002, Vediamo esposte 15 tempere e grafiti su carta e su tela in cui dalla composizione dei tratti in riquadri, come quelli già commentati, nella tempera e carboncino con l’aggiunta significativa “Gesto e segno” del 1979, si va a composizioni in cui i tratti visualizzano chiaramente, oltre che  dichiaratamente nel titiolo, l’elemento ispiratore, 6  le colonne, di cui una “spezzata”, 5 i pavimenti di cui 4 cosmateschi, 3 gli archi,  una il muro. Il curatore Appella  afferma che “‘Segni di Roma’ (‘Colonne’, ‘Segni e trame’, ‘Cosmati’) rimane emblematico” come coronamento  “della lunga e complessa attività di Strazza, dall’esperienza  peruviana alla sosta veneziana, al momento milanese, al definitivo approdo romano”.  E lo spiega così: “In questo approdo, quasi a voler continuare il sogno di Piranesi, accampa il suo lavoro, non per animare le rovine  ma per estrarre i segni incancellabili, nonostante tutto, di quella Roma antica e moderna con la quale continua a fare i conti anche la nuova Europa”. Una Roma che resta “città dell’immaginazione, eternamente viva dentro di noi, il luogo di peregrinazioni fisiche e ideali, il suo eterno rinascere suggerito dai suoi minimi segni”.

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L’opera di Strazza prosegue nel terzo millennio, la mostra presenta 4 lavori di una nuova serie “Orizzonti”, di cui 2  del 2001 sono acqueforti  con tratti paralleli dominanti in orizzontale o verticale, 2 tempere del 2004-05 invece con grandi riquadri tendenti al blu.

Ancora più intenso il cromatismo di altre opere del periodo più recente, che richiama l’esplosione di colori del Guttuso  volitivo di “Angurie”, una delle ultime opere che segna il trionfo della vita in una fase dimessa, umbratile e malinconica. Vediamo le tempere su tela “Rosso,  segno azzurro”, 1999-2005, e le  “Partitura in due” una ” blu cornice verde”, l’altra ” giallo cornice blu”, colore che troviamo anche in “Blu, segni bianchi”, 2008, e in 2 “Senza titolo”, del 2006 e 2014. I caratteristici tratti su fondo grigio sono invece in “Segno bianco”, 2011 e “Segni”, due tempere  su tela del 2012 e 2014.  Fino alle due ultime opere, “Forte blu su  bianco”  la prima, “Senza titolo” la seconda con un motivo rosso su dominante nera.

Sono entrambe del 2016, la prima opera esposta risale al 1942, quindi la mostra antologica copre addirittura 74 anni di vita artistica nella quale ci sono stati altri prestigiosi riconoscimenti  oltre a quelli già citati. Aggiungiamo solo che nel 1985 è stato direttore dell’Accademia di Belle Arti fino al 1988, nel 1988 ha ricevuto il  Premio Antonio Feltrinelli, ripetuto per la grafica nel 2003, nel 1997 eletto  Accademico di San Luca, di cui diviene presidente nel 2011-2012.

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Tra  questi momenti, un gran numero di  importanti esposizioni in Italia e all’estero oltre ai tre anni di  docenza sul linguaggio dell’incisione alla Scuola di specializzazione in Archeologia e Storia dell’Arte  nel 1993-95.  Con il nuovo millennio  il premio “Cultori di Roma”  del corpo accademico dell’Istituto Nazionale di Studi Romani consegnatogli il 21 aprile del 2002 dal sindaco Veltroni per il suo contributo artistico e personale alla conoscenza della città, cui segue nel 2014 il Premio Vittorio De Sica a Palazzo Barberini;  insieme a  una nuova vasta serie di mostre  sulla sua intensa attività artistica lungo un percorso coerente e rigoroso che abbiamo cercato di raccontare.

Da tale percorso si può trarre più di un insegnamento, ci limitiamo a riportare quello da lui stesso indicato al termine di una conversazione-intervista  con Stefano Marson: “Spero che i miei studenti abbiano appreso dalla mia didattica questa libertà nel vedere i segni, perché quando noi guardiamo le cose, prima del loro nome e significato queste ci appaiono come segni specifici, Spero di averli educati a questa presa di possesso di sé e del mondo”.  Sostituendo alla parola “studenti” la parola “visitatori”  il messaggio della mostra ci sembra esplicito. Un messaggio formativo, anzi educativo.

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Info

Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, viale delle Belle Arti, 131, Roma,  tel. 06.32298221. Orari  di apertura, dal martedì alla domenica ore 8,30-19,30, lunedì chiuso, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso, intero euro 10,00, ridotto euro 5,00. Catalogo  “Guido Strazza. Ricercare”, a cura di Giuseppe Appella, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, 2017, pp. 152, formato 19,5 x 25, dal catalogo sono tratte le citazioni del testo. Per la citazione di Guttuso,  cfr., in questo sito, il secondo dei due articoli del 25 e 30 gennaio 2013.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Galleria Nazionale alla presentazione della mostra, si ringrazia la Direzione della Galleria, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, a sin. “Cosmate (tensione dell’ordine) 1984 e a dx “Partitura in quattro” 1989; seguono, “Luce e paesaggio” 1958, e “Ricercare in rosa” 1971; poi, “Ricercare un centro”  1973, e “La trama quadrangolare” 1975; quindi, “Trama quadrangolare” 1976, e “Segni di Roma” 1979; inoltre, “Trama quadrangolare” 1979, e “Gran cosmate” 1982; ancora, “Segni di Roma (colonna spezzata)” 1987, e “Grande aura” 1992; infine, “Rosso, segno azzurro”   1999-2005, e “Senza titolo” 2014, in chiusura, “Senza titolo” 2016.

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