Baselitz, gli Eroi tra disperazione e speranza, al Palazzo Esposizioni

di Romano Maria Levante  

La mostra “Georg Baselitz. Gli Eroi”, espone, dal 4 marzo al 18 giugno 2017, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, 70 dipinti di grandi dimensioni, disegni e xilografie, per la maggior parte della serie “Eroi” o “Nuovi tipi”, del 1965-66, più una selezione di “Remix”, dipinti realizzati dopo il 2000 sugli stessi soggetti di 35 anni prima. La mostra, ideata e organizzata da Stadel Museum in collaborazione con Azienda Speciale Palaexpo-Palazzo delle Esposizioni, Muderna Museet, Guggenheim Bilbao,  è curata da Max Hollein, direttore del San Francisco Museum of Fine Arts e in precedenza direttore dello Stadel Museum di Francoforte, con Daniela Lancioni, curatore senior del Palazzo delle Esposizioni. Catalogo dell’editore Hirmer. 

Georg Baselitz, con il suo intervento alla presentazione della mostra, è stato un motivo aggiuntivo di interesse perché si è aperto alle confidenze. Ha ricordato che il successo non arrivò subito, il suo stile era molto diverso da quello dell’epoca, e suscitava forti contrasti, mentre adesso i suoi “Eroi” sono tornati ad essere attuali.  “E’ vero che continuiamo a non aver bisogno di eroi, ma i miei non sono veri eroi, tutt’altro, non sono figure mitiche e neppure protagonisti di favole”. 

Nessuna ideologia né linea politica dietro quelle figure, ma una visione molto personale, tuttavia afferma: “Ho avuto 50 anni di tempo per riflettere su cosa fossero questi quadri, mi sono accorto che i tedeschi si consideravano superuomini, cosa fatale che li portò alla guerra, come se qualcuno fosse il lato oscuro del mondo. I miei quadri sono nati da un male oscuro, in un mondo oscuro”. 

Ha detto molte altre cose, disponibile a rispondere, ha parlato anche della nuova serie “Remix”, nata in un periodo in cui si sentiva isolato e dimenticato: “Ma i giovani imitavano i miei quadri, allora mi sono fatto sentire non come amico ma come avversario, ho fatto uscire i miei ‘Eroi’ dall’oscurità e li ho ridipinti in modo forse ancora più efficace”.

E rispetto all’oggettività ha affermato che  lui ha cercato di esse oggettivo, anche se “gli ‘Eroi’ vanno visti come corrieri capaci di veicolare le idee, a prescindere da ciò che trasmettono”.

Cerchiamo dunque di sentire direttamente cosa trasmettono ripercorrendo anche la genesi della loro creazione. 

Il clima nel quale sono maturate le opere del ciclo degli Eroi

L’impatto visivo delle opere degli “Eroi” di Baselitz è notevole, colpisce la loro intensità espressiva e trasmettono un’inquietudine indefinibile insieme all’ansia di decifrare il perché  di tali sensazioni.

Prima di entrare nel vivo dell’opera dell’artista e rispondere a questi interrogativi, è bene inquadrarla nella particolare sua posizione, nel clima degli anni lontani in  cui è stata realizzata e nelle sue modalità, anch’esse peculiari.

Ci troviamo in quel tormentato crinale della storia dell’Europa, e del mondo  nel ‘900, che è stata  la Germania, a vent’anni dalle distruzioni fisiche e morali del secondo conflitto mondiale, divisa in due stati collocati nei versanti opposti sulle barricate della guerra fredda, trauma che si è aggiunto alla tragica sconfitta aggravata dai crimini contro l’umanità del regime nazista. Bisogna considerare che nel 1963 si era celebrato il primo processo su Auschwitz e si era acceso il dibattito sul prolungamento dei termini di prescrizione per i crimini di guerra. Il boom economico con la conseguente euforia collettiva portava a rimuovere il passato, anche perché molto scomodo per usare un eufemismo, e a guardare in avanti. Anche dal lato artistico forti contrasti, con gli strascichi del “Realismo socialista” che si scontravano con gli stimoli dell’astrattismo e di altre correnti di avanguardia emergenti a livello internazionale. Ne hanno dato conto la mostre a Roma sui “Realismi socialisti”, “Deineka” e il grande fotografo “Rodcenko”, fino a “Russia on the Road”, con le varie anime di un mondo imbevuto di ideologia nella spinta inarrestabile della modernità.

In questo contesto a dir poco tormentato, Hans-George Bruno Kern, il nome di Baselitz all’anagrafe, nato in Sassonia nel 1938, dopo essere stato espulso per “immaturità socio-politica” dall’Accademia delle Belle Arti di Berlino Est nella Repubblica democratica tedesca nel 1956,  si trasferisce nell’analoga accademia della Repubblica federale tedesca, quindi  la costruzione del muro nel 1961 lo trova a Berlino ovest  dove proprio in quell’anno adotta il nome d’arte in omaggio alla città natale Deutschbaselitz che non potrà più rivedere. Si sposa e ha un figlio, una vita del tutto normale per un giovane artista nella parte della Germania libera dall’oppressione sovietica anche se di frontiera com’era l’avamposto berlinese circondato dal muro.

E’ tuttavia irrequieto, firma i dissacranti “Manifesti Pandemonici” in coppia con il pittore Eugen Schonebeck, con i quali si richiama  ad Artaud e a Lautréamont,  espone a mostre a Berlino e a Monaco, alcune sue opere del 1962 e 1963 sono ritenute immorali, nel 1965 nel dibattito sulla censura cinematografica viene citato come esempio di “arte indecente”  da combattere per proteggere la popolazione; si discusse anche in tribunale se la presunta oscenità rientrasse nel diritto costituzionale alla libertà di espressione artistica. Siamo in Germania, pur se in un clima politico-ideologico opposto il pensiero torna all’epiteto di “arte degenerata” con cui il nazismo condannava  l’arte moderna fino a organizzare una mostra diffamatoria che ebbe un enorme successo di pubblico.

Con il giovane Baselitz  le accuse di “arte indecente” contro la morale pubblica portarono alla richiesta di revocargli la borsa di studio di una residenza artistica a Villa Romana a Firenze, ma l’associazione fondata da Max Klinger nel 1905 che l’aveva conferita respinse le  pressioni dei finanziatori,  perché i membri della giuria erano stati impressionati dai suoi lavori esposti  all’annuale mostra dell’associazione tedesca degli artisti.

Dopo queste premesse così movimentate, sia sul piano artistico che su quello esistenziale, a Firenze – come ricorda Eva Mongi-Vollmer  nella sua accurata ricostruzione della vita e dell’arte di Baselitz – entra in una comunità  in cui ogni artista doveva confrontarsi, come scrisse lo storico dell’arte tedesco Gustav René Hocke, sulla “domanda della capacità dell’arte di aiutare l’uomo a trovare una misura, un’armonia degli opposti”; era il caso del nostro artista, che per il percorso compiuto fino ad allora, pur nella sua giovane età,  di opposti ne aveva da gestire! 

Hocke aveva approfondito il significato del “manierismo”,  basandosi sul manierismo fiorentino, Baselitz lo conosceva e lo apprezzava al punto di avere una raccolta di stampe manieriste nel suo atelier a Firenze. Si può capire perché  ne fosse attratto dalla concezione dello stesso storico dell’arte  secondo cui il manierismo può diventare “un mezzo idoneo per definire un determinato rapporto ‘problematico’ con il mondo, per spiegare il relativo gesto espressivo di un ‘individuo problematico’, che è tale per vari  motivi psicologici e sociologici”.  E non si può dire che Baselitz non lo fosse, data la storia che stava vivendo.

Ebbene, il direttore di Villa Romana, Michael Siegel, nel suo rapporto alla direzione afferma: “Quel Baselitz sempre pensieroso non fa altro che dipingere senza sosta”;  forse “pensieroso” non è sinonimo di “problematico”, ma Siegel non si ferma qui, precisa che “Georg Baselitz ricevette il grande atelier che dà sul giardino, in modo che questo ‘pittore inarrestabile’ realmente ossessionato potesse rimanere veramente fedele ai suoi amati grandi formati”.  E aggiunge che “subito si svilupparono e proruppero sui tutte le pareti quadri rosso-brunastri, rosso ruggine, rosso sangue, rosso arancio, rosso mattone, rosso terra, rosso fucsia, rosso rosso, rosa e color carne, biancastri e giallognoli”. La Mongi-Voller ricorda che un’altra storica dell’arte, Antje Kosegarten,sottolineava “l’aspetto ‘fervidamente visionario’ dell’arte di Baselitz, che si sottraeva a qualsiasi inquadramento in ‘direzioni comuni’ e poteva essere catalogata come un’arte ‘dell’Est'”; e precisa: “I ‘Nuovi tipi’ e gli ‘Eroi’ avevano di fatto vista la loro nascita nell’intenso scenario fiorentino. Ritornato a Berlino Ovest,  Baselitz continuò a lavorare sul tema e lo fece in un brevissimo lasso di tempo.  Con un atto creativo impetuoso aveva preso posizione , in modo duro e consapevole”. La sua “arte dell’Est” era  contrapposta a quella del Realismo socialista, che aveva avuto i suoi eroi, ma quanto diversi!

Gli “Eroi” di Baselitz, un “unicum” nell’iconografia eroica   

Gli eroi socialisti si  inquadrano nell’immagine dell’eroe come si è determinata nella storia dell’uomo.  L’eroe del mito antico  esprime quei valori che elevano l’uomo e lo avvicinano alla divinità, si distingue dai comuni mortali che sovrasta nelle doti fisiche e nella forza psichica,  ed  è sostenuto da una visione superiore che lo porta  a battersi con coraggio e perseveranza senza risparmio, con sprezzo del pericolo e spirito di sacrificio fino a immolarsi. 

L’evoluzione di questa figura nel tempo fa irrompere nel Pantheon degli eroi quelli che si battono per la fede religiosa o  per una  spinta intellettuale, come i grandi pensatori e gli scienziati, gli artisti e i poeti, sono eroi del pensiero; e gli eroi che si battono per la libertà, personale e del popolo cui appartengono. Fino all’eroe borghese, di cui viene esaltato il sacrificio quotidiano, e alla società post eroica in cui l’individuo scompare rispetto alla maggioranza su cui si fonda la democrazia; mentre nei sistemi autoritari si ha bisogno dell’eroe per scopi propagandistici, soprattutto quando la mistica di regime innalza l’uomo nuovo a livelli mitici impersonati dall’eroe.  

E’ questo il caso dell’eroe nel Terzo Reich, identificato soprattutto nel soldato  invincibile come sublimazione del bellicismo sfrenato nazista, e anche il caso del Realismo socialista, l'”arte dell’Est” che  aveva mitizzato l’ “eroe del lavoro” con immagini di forza e vigore, perseveranza e fiducia, rivolto al futuro che stava costruendo  abbattendo ogni ostacolo, in una sorta di identificazione individuale dello sforzo collettivo delle masse operaie, considerate in una marcia trionfale inarrestabile; anche lo sport, nobilitando il fisico, era visto come virtù suprema che elevava l’uomo a eroe, pensiamo alle immagini celebrative di Aleksandr Deineka.

Invece l’eroe di Baselitz  ha connotati opposti,  per qualche verso fa pensare all’eroe romantico, che si sacrifica nella rinuncia e nel dolore, non nella lotta per un ideale superiore, ma se ne differenzia perché  non ne ha la nobiltà e la compostezza, tutt’altro. La sua figura è lacerata più che tormentata, distrutta più che desolata, si avvicina piuttosto all’eroe morente sul campo di battaglia o in contesti diversi altrettanto angosciosi. “Si tratta di uomini robusti, ma al contempo letargici, osserva il curatore Max Hollein, malinconici superstiti in un mondo distrutto e caotico, che dominano sulla scena in cui sono raffigurati dal basso tra vari elementi paesaggistici, con un  forte senso di pathos. Il tratto che li delinea è inquieto, volutamente incerto”.

E’ l “eroe post-eroico”, lo definisce  Uwe Fleckner – dopo un’ampia carrellata sulla figura dell’eroe nella storia umana – sottolineando che “i dipinti sono caratterizzati da una contraddizione di fondo per nulla eroica”. Come Hollein la trova  in una serie di elementi che ne  stravolgono la figura abbinando caratteristiche opposte, l’imponenza apparente abbinata ad una  goffa dissoluzione, la posa fintamente marziale insieme a una vistosa  impotenza, constatazioni che le fanno osservare: “Nei suoi ‘Eroi’ il pittore ricorre a una figura tabù, resasi colpevole per sempre a causa della guerra e della tirannia”. Ed ecco come lo presenta: “Ridotto in condizioni misere, l’eroe viene messo in scena  ancora una volta come un dubbio monumento di se stesso, ma questi quadri mostrano soprattutto che il suo eroismo è fallito “.

Un monumento, dunque, che ci fa pensare alla tristezza dei monumenti che vengono abbattuti quando cade un regime, quanto più ridondante era l’enfasi celebrativa, tanto più  appaiono miseramente decadenti; Baselitz ci presenta i suoi eroi come i tanti  monumenti che aveva visto celebrati nella sua giovane vita, ma quanto tormentata, e poi abbattuti.  

Ma la sua non è una visione solo negativa., e il riferimento al “manierismo” fiorentino cui  abbiamo accennato all’inizio lo fa capire, come afferma  Hollein: “Gli ‘Eroi’ non sono ‘manieristici’ soltanto nei loro aspetti formali – nella scelta e nella costellazione dei colori, nella distorsione delle proporzioni delle figure – bensì anche nel messaggio di fondo: smascherare il mondo con il suo ordine apparente, adottando una prospettiva inquietante e introspettiva, e farlo vacillare per necessità intrinseca, per poi lasciare spazio a una forza e a un eventuale modo di agire nuovi”.

Pr questo  in un solo anno, tra l’estate del 1965 e del 1966, creò l’intero ciclo degli “Eroi” , ben 60 dipinti, 130 disegni e 38 stampe, in quello che il curatore chiama “un vero furore creativo, un’esplosione artistica senza eguali,  un intenso dipingere contro il tempo, capace di dare vita nel giro di pochi mesi a una quantità di opere monumentali e impressionanti”.  E’ la sua ribellione verso la società del suo paese che ha rimosso il passato cullata dal consumismo, lungo una china rovinosa che rischia di esseresenza ritorno se non si fanno i conti con la propria storia per riacquistare l’identità perduta, quell’identità che lui stesso sentiva di avere smarrito e cercava di recuperare. 

Richard Shiff” ricorda un episodio della sua vita scolastica raccontato dallo stesso artista negli incontri a Monaco di Baviera del 1992, “Discorsi sulla Germania”:  “Nonostante fosse condizionato dalla sua educazione a riconoscere il primato tedesco, Baselitz giunse a una conclusione scioccante: ‘Eravamo noi gli stranieri in quel luogo’. Aveva così trovato la prova di non avere una patria. Da quel momento in poi non poté più affermare di avere un legame organico e storico con il territorio in cui viveva. Ora era perduto, senza più una storia, una terra e senza più le stesse mitologie”.

Il suo “furore creativo” non si può spiegare se non con l’impellente necessità di recuperare l’identità perduta attraverso una catarsi  che prende coscienza del passato senza le rimozioni interessate per costruire un nuovo futuro, una sorta di lavacro psicanalitico. Hollein la vede così: “Gli ‘Eroi’ risultano essere in parte anche autoritratti ovvero forme rappresentative della condizione e dell’impegno artistici in cui Georg Baselitz sentiva di trovarsi. le immagini rappresentano uno stato d’animo in cui l’artista può riconoscersi, individuano un tipo umano e un’esperienza con cui egli deve confrontarsi per creare qualcosa di nuovo”.

Il “qualcosa di nuovo” del 1965 può conservare  una qualche validità anche oggi, o risulta irrimediabilmente datato dopo oltre mezzo secolo in cui nel mondo tutto è cambiato? Forse una risposta positiva si può trarre già dalla circostanza che proprio nel momento attuale per la prima volta viene presentato l’intero “corpus” del ciclo “Gli Eroi”, e non solo in questa mostra al Palazzo Esposizioni, ma in altre tre primarie sedi espositive europee, allo Stadel Museum di Francoforte prima di Roma, e poi al Moderna Museet di Stoccolma e al Museo Guggenheim di Bilbao.

Il curatore  dà questa interpretazione che è anche una spiegazione della viva attualità dell’opera: “Allora gli ‘Eroi’ riflettevano soprattutto un’immagine di sé, la coscienza di sé del giovane artista; oggi essi risultano essere la rappresentazione di una condizione al di là della prospettiva storica , evocano l’immagine di un uomo sensibile in un mondo lacero”.  E del fatto che il mondo oggi sia lacero se ne ha conferma quotidianamente.

Non resta ora che raccontare la visita alla mostra descrivendo le opere di cui abbiamo cercato di delineare motivazioni e significati rievocando le tormentate vicende dell’artista nella patria divisa. Lo faremo prossimamente.

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Info

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Orari. da domenica a giovedì, tranne il lunedì chiuso, dalle 10,00 alle 20,00, venerdì e sabato dalle 10,00 alle 22,30. Ingresso intero euro 13,50, ridotto euro 10,00.  Catalogo “”Georg Baselitz. Gli Eroi“, Editore Hirmer, pp. 168. formato 24 x 30, dal catalogo sono tratte le citazioni del testo. L’articolo conclusivo sulla mostra uscirà in questo sito il 5 giugno p.v. Per le citazioni nel testo di correnti e artisti cfr. i nostri articoli: in questo sito, per “Russia on the Road”  18, 26 novembre 2015, e Deineka 26 novembre, 1 e 16 dicembre 2012; in cultura.inabruzzo. it,  per i “Realismi socialisti” 3 articoli il 31 dicembre 2011;  in fotografia.guidaconsumatore,  per Rodcenko 2 articoli il 27 dicembre 2011; cfr. inoltre, in cultura.inabruzzo.it, i nostri 3 articoli del 13 luglio 2010 sulla mostra “100 capolavori dello Stadel Museum”, dove si trovano le opere di Baselitz esposte nell’attuale mostra (gli ultimi due siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).   

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione nel Palazzo Esposizioni, si ringrazia l’Azienda Speciale Palaexpo, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Sono tutti dipinti di Baselitz del 1965-66. In apertura, “Uno verde”; seguono, “Un nuovo tipo” e “Il pastore”; poi, “Ribelle” ed “Eros diviso”; quindi, “Ralf” e “Fondo nero”; infine, “Uno rosso” e “Senza Titolo”; in chiusura, “Senza Titolo”.