Il “Soft Power” dell’Italia, come “reinventarlo” in una ricerca di Civita

di Romano Maria Levante”

Si conclude la nostra rassegna sul rapporto “Il Soft Power dell’Italia”,  di Giuliano da Empoli,  presentato all’Aula  Ottagona del Museo Nazionale Romano nelle Terme di  Diocleziano a Roma, il 23 novembre 2017 dall’Associazione Civita presieduta da Gianni Letta, presente alla manifestazione, che lo ha realizzato con il contributo della BNL. Al dibattito, moderato dal Vice Presidente  vicario dell’associazione Nicola Maccanico, hanno partecipato, oltre all’autore,  Luigi Abete, CEO dell’Italian Entertainmen Network, Nicola Trussardi presidente della Fondazione omonima, e Matteo Renzi, segretario del Partito Democratico.  Ci soffermeremo,  in particolare,  sulle componenti del “Soft Power” italiano, le  sue carenze e gli irventi per “reinventarlo” e migliorarlo, nel segno dell’antico splendore.

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 Nell’introdurre l’analisi del  “sistema italiano”   si conferma quanto affermato in generale che “un elevato grado di riconoscibilità non basta. Per trasformarsi in vero “Soft Power”, capace di generare un beneficio per il paese in termini di influenza e di ricadute economiche (export + investimenti dall’estero + turismo), il generico prestigio culturale deve trasformarsi in istituzioni e azioni precise”. Guardiamo allora queste istituzioni in Italia, nell’ottica del “Soft Power” ,dopo quanto detto sulla situazione negli altri paesi europei.

 Lei istituzioni italiane del “Soft Power”

Abbiamo visto in precedenza come nel “Soft Power” non basta il patrimonio accumulato nel passato e neppure l’inventiva e la capacità innovativa nel presente, sono cruciali le Istituzioni. E allora consideriamole alla luce della loro capacità di valorizzare tutto ciò come in altri paesi.

Troviamo al primo posto gli “Istituti Italiani di Cultura all’estero”, furono creati nel 1926 per diffondere la cultura italiana nel mondo, insieme agli Istituti per il Commercio Estero per l’esportazione.  All’inizio alcuni coincidevano con le Case d’Italia per l’assistenza agli emigrati, poi furono distinti,  Ai primi 12, in Europa, Buenos Aires e Tokyo,  negli anni ’50 se ne aggiungono 26, soprattutto in Europa, Mediterraneo e Sudamerica,  negli anni ’60 e ’70   altre sedi africane e asiatiche, nordamericane e canadesi, fino a due sedi  oceaniche, negli anni ’80  e ’90 nuove aperture  in Europa, Asia Nord  America. 

 Nel 1990 la legge di riforma, la prima dopo la creazione degli istituti nel regime fascista: si rivedono i criteri di reclutamento e inquadramento nel nuovo ruolo al Ministero degli esteri “Area di promozione culturale” che, pur migliorando  l’assetto precedente, li ha confinati in una specie di “diplomazia di serie B” poco qualificata.  A questa debolezza si aggiunge che le figure di prestigio scelte per la posizione di Direttore sono considerati “dilettanti di passaggio” avendo una durata di soli 4 anni, pur se  equiparati ai Consiglieri d’ambasciata. E, su un piano più generale, sono intervenuti i tagli di risorse, pari al 30% tra il 2007 e il 2014.

Attualmente gli “Istituti Italiani di Cultura all’estero” sono 83 in 58 paesi, di cui 33 in Unione Europea,  8 nei paesi extra UE, 9 nel Mediterraneo e Medio Oriente 12 in Asia e Oceania, 3 in Africa sub sahariana e 18 nelle  Americhe. 

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 Gli istituti americani li abbiamo citati alla fine per un’esperienza personale, allorché alcuni anni orsono abbiamo comunicato a tutti  loro, negli Stati Uniti e in Canada, la pubblicazione di un romanzo-verità su un’emigrazione di successo dalla montagna abruzzese in America alla metà degli anni ’50 chiedendo assistenza nel cercare di far sbarcare una storia positiva per l’immagine italiana all’estero, tanto che lo slogan di lancio era “la risposta al Padrino”: alla circostanziata e mail nostra  e dell’editore non è stato dato alcun riscontro, neppure interlocutorio, silenzio assoluto, il coordinatore di tali istituti incontrato qualche tempo dopo al Ministero dei Beni culturali e delle Attività Culturali, non ha neppure risposto dopo aver ricevuto il libro nella sua sede in America, un’inazione contagiosa! Eppure rientra nella loro funzione gestire eventi di questo tipo. 

Così li giudica l’autore della ricerca: “Nella realtà, la rete degli istituti è contraddistinta da una grande disomogeneità. Alcuni rappresentano modelli di eccellenza, veri  e propri punti di riferimento per le comunità all’interno delle quali sono inseriti, capaci, nonostante le ristrettezze finanziarie, di organizzare eventi culturali di qualità e di assicurare servizi di ottimo livello. Altri, al contrario, sono piccole succursali burocratiche, afflitte da tutti i mali tipici della pubblica amministrazione italiana”. Evidentemente la nostra esperienza sul campo ha riscontrato negli istituti statunitensi e canadesi tutte “piccole succursali”  senza qualità, quindi neppure burocratiche, perché almeno una risposta benché vuota la burocrazia non la nega a nessuno.

Troviamo una conferma nell’articolo sul “Sole 24 Ore” di alcuni anni fa, vicino al periodo della nostra esperienza, citato nel rapporto. Riccardo Chiaberge parla di “un oceano di mediocrità e di fannullaggine”, lamentando che “così, invece di esportare il Made in Italy artistico e letterario, diffondiamo nel mondo due prodotti tipicamente nostrani: la burocrazia e l’incultura”, nell’esperienza da noi citata solo l’incultura.  Quasi tutti i commenti  di persone con esperienza diretta degli Istituti “danno ragione all’autore dell’articolo”, a loro ci aggiungiamo anche noi, che in questa notazione abbiamo trovato un riscontro alla nostra esperienza.

Le altre componenti: scuole all’estero e media, cooperazione e turismo

Dolenti note anche per le Scuole italiane all’estero, che comprendono 8 istituti statali, 43 scuole paritarie in tutti i continenti, 84 sezioni presso scuole straniere europee, corsi di docenti inviati dall’Italia, 150 nel 2015.   Sono frequentate da 30 mila alunni, la maggior parte stranieri, nel 1910 erano oltre 80 mila, ma non sta qui il rilievo negativo bensì nel taglio dei contributi del  Ministero degli Esteri passati dai 4 milioni del 2008 a 645 mila euro nel 2015. Altrettanto negativo il quadro per i “lettori di italiano”, dimezzati tra il 2013 e il 2015 al numero di 108,  e le cattedre di italiano, 226 in 66 paesi nel 2015-16, ebbene anche i contributi del Ministero degli Esteri alle cattedre di italiano sono stati più che dimezzati,  da 2,1 milioni a 870 mila euro, tra il 2018 e il 2015. Neanche a dirlo,  nello stesso periodo, le borse di studio erogate dal ministero per studenti italiani all’estero e stranieri in Italia hanno subito la stessa sorte, ridotte da 7,2 a 4,3 milioni di euro.

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La consistenza delle componenti del nostro “Soft Power”  non migliora considerando gli strumenti di comunicazione.  Il Rapporto ricorda come l’Italia sia stata tra i primi paesi al mondo a introdurre un servizio radiofonico per i propri cittadini all’estero. “Purtroppo -commenta –  questa leadership del settore non si è conservata fino ai giorni nostri.  Al contrario, l’offerta radiotelevisiva italiana rivolta all’estero è oggi in forte ritardo rispetto a quella di altri paesi europei come il Regno Unito, la Germania e la Francia” che anche per questo sono ai primi posti nelle classifiche del “Soft Power” mentre l’Italia è all’11° posto. E’ stata smantellata Rai International nel 2011 per creare diversi canali con ambiti specifici, solo in italiano.

 L’ultima componente è la “Cooperazione allo sviluppo”, settore radicalmente riorganizzato nel 2014 con l’istituzione dell'”Agenzia Italiana per la  Cooperazione e lo Sviluppo” secondo i modelli della gran parte dei paesi europei. I fondi per la cooperazione hanno avuto un massimo nel 1989 con un’incidenza dello 0,49% sul PIL, per poi scendere al livello minimo dello 0,11%  nel 1997. Nel 2017 sono stati di 4  miliardi e 819 milioni di euro, ma la gran parte di questo stanziamento è stato destinato all’emergenza emigrazione. L’Agenzia è ancora in fase di avvio, sebbene creata da circa tre anni, e si fa molto affdamento sulla sua struttura agile e non burocratica perchè rilanci un’attività cruciale nei rapporti con tanti paesi.

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Nel  turismo queste carenze nel “Soft Power” si ripercuotono in modo negativo, l’Italia che venti anni fa era la prima o tutt’al più la terza meta turistica al mondo, ora è tra il quinto e settimo posto. Alla base degli insuccessi c’è anche l’inefficienza del sistema di promozione turistica  dovuta a sua volta alle competenze regionali che impediscono di svolgere un’azione efficace, coordinata a livello centrale,  con altre sorprese negative come l’attività dell’Enit e il sito internet www.italia.it

Ecco il giudizio del Rapporto: “Come risulta evidente da questa veloce rassegna, le principali istituzioni che dovrebbero promuovere il Soft Power dell’ Italia a livello internazionale soffrono tutte di una profonda crisi d’identità”.  E ciò perché “nessuna di loro è stata oggetto, nel corso degli ultimi anni, di un ripensamento. Il principale obiettivo sembra essere stato, nella maggioranza dei casi, la riduzione delle risorse, senza alcuna visione suscettibile di adattare questi enti  alle trasformazioni in corso a livello globale”.

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Le istituzioni e il “Soft Power”

 Il quadro tracciato porta il Rapporto a intitolare la sezione finale della ricerca “Reinventare il Soft Power dell’Italia” , e a riassumere ciò che c’è da fare con le parole “Portare la ricchezza nelle istituzioni” spiegandolo così: “Il Soft Power dell’Italia vive fuori dalle istituzioni. Sta nella ricchezza della sua storia e della sua cultura . Sta nel fascino del suo gusto e delle sue abitudini. Sta nel coraggio dei suoi emigranti e nel talento dei suoi artisti, professionisti e ricercatori che illuminano il mondo con la forza della loro competitività e della loro competenza. Sta nella qualità delle sue aziende che setacciano il pianeta alla ricerca di nuove occasioni e portano dappertutto lo stile unico del Made in Italy”. Mentre le istituzioni si sono rivelate all’altezza in poche circostanze.

Alcune di queste riguardano la promozione della lingua italiana, che tra le seconde lingue è la quarta più studiata nel mondo con 2 milioni e 200 mila studenti,  per il ruolo della società Dante Alighieri, gli accordi blaterali e apposite iniziative come la “settimana della lingua  italiana” in cui sono mobilitate ogni anno nel mese di ottobre tutte le istituzioni italiane all’estero. E poi l’Expo milanese, che con i suoi 21 milioni di visitatori tra cui 62 capi di Stato e di governo ha valorizzato la capacità attrattiva del nostro paese facendone il centro del dibattito internazionale  su una questione vitale come la sostenibilità alimentare nel pianeta.

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 Per motivi diversi,  è stata positiva la nomina di 20 nuovi direttori dei principali musei italiani, di cui 11 dall’estero, che hanno innovato profondamente nella gestione museale sull’esempio di altri paesi, ottenendo subito risultati di eccellenza dopo la gestione ottocentesca delle soprintendenze; immagine peraltro sciupata dalle impugnazioni dinanzi alla magistratura amministrativa fino alla recente pronuncia di sospensiva da parte del Consiglio di Stato.

Altrettanto rilevante l’iniziativa, anche qui del Ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, che ha portato a istituire i “caschi blu della cultura”, una task force per salvaguardare  il patrimonio culturale colpito da catastrofi e aggressioni distruttrici mettendo a disposizione una squadra altamente qualificata di cui fanno parte i carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale specializzata  in questo campo. 

Il Rapporto commenta: “La vocazione italiana a prendersi cura della bellezza e della storia dovunque esse siano ha finalmente trovato una cornice istituzionale coerente e prestigiosa”.  Ma non si ferma qui, dopo aver approfondito  il significato del “Soft Power” e averne tracciato il quadro a livello internazionale, con specifico riferimento all’Italia nelle sue ombre e nelle poche luci, ecco la parte finale propositiva, “Sei proposte per il Soft Power italiano”, che sono anche la nostra conclusione.

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Le proposte del Rapporto per migliorare il “Soft Power”  dell’Italia 

Si inizia con indicazioni nate dall’esigenza di razionalizzare le strutture esistenti e aggiornarle sotto il profilo tecnologico e organizzativo per accrescerne la funzionalità e la capacità di dare all’estero un’immagine attraente del nostro paese, in linea con il suo passato e le potenzialità ora inespresse. Queste indicazioni sono desunte dall’assetto dato a tali strutture, di cui dispone anche l’Italia,  dai paesi in testa alla classifica del “Soft Power”, precisamente Germania, Regno Unito e Francia.

Occorre una“Unica voce  per la cultura italiana all’estero” inquadrando sotto un’apposita Agenzia, come avviene in Francia, gli Istituti Italiani di Cultura all’Estero e quelli della Società Dante Alighieri, magari facendo restare questi ultimi autonomi ma con qualche forma di coordinamento, e l’ENIT. Potrebbe chiamarsi “Istituto Leonardo”  come proposto da un disegno di legge ma con maggiori competenze di quelle in esso previste. Tale istituto – che potrebbe essere una Fondazione di natura  pubblico-privata – dovrebbe “coinvolgere i soggetti associativi e privati che operano a livello internazionale” mobilitando le risorse e le capacità disponibili in modo coordinato. 

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Il  secondo suggerimento del Rapporto riguarda un “Programma per Young Leaders – sul quale potrebbe impegnarsi anche l’appena citato Istituto Leonardo –  desunto dall’esperienza di Stati Uniti e Germania, Regno Unito e Francia. Questi paesi selezionano decine e centinaia di giovani emergenti nei diversi settori e li invitano a un periodo limitato di permanenza nel nostro paese nel quale organizzano incontri con interlocutori qualificati, economici, politici e della società civile, in modo da creare un rapporto privilegiato che darà i suoi frutti quando questi giovani diventeranno classe dirigente nei loro paesi, lo ha fatto da decenni la Fondazione Enrico Mattei nell’ambito dell’ENI con i suoi corsi sull’economia petrolifera.

La “Diplomazia digitale” è il terzo suggerimento, riguarda la costituzione, seguendo la proposta di Antonio Deruda basata sull’esperienza inglese, di un “Digital Hub” nel Ministero degli Esteri in grado di tradurre i comunicati della diplomazia nella comunicazione più moderna ed efficace del “tweet”, come premessa al successivo trasferimento degli esperti così formati nelle sedi diplomatiche “con l’obiettivo finale di avere in ogni sede un ‘diplomatico digitale’ che sia in grado di interagire efficacemente con la comunità locale”.

Gli ultimi tre suggerimenti riguardano gli italiani all’estero in base alla considerazione che “la presenza fisica degli emigrati e dei loro discendenti resta un elemento fondamentale  del Soft Power italiano, della  proiezione della nostra identità nel mondo”. E’  questo un fattore di cui il nostro paese dispone in modo molto maggiore degli altri paesi per cui deve poterlo utilizzare al meglio.

Le due indicazioni specifiche riguardano “La Valorizzazione dei rappresentanti parlamentari” eletti  come terminali delle comunità italiane all’estero, ora degradati dagli abusi e dalle irregolarità, modificando i criteri di elezione riservando la rappresentanza solo a chi mantiene legami effettivi con la madrepatria; e “La rete degli innovatori italiani all’estero”, invece di lamentare la “fuga di cervelli”, peraltro fisiologica, “il problema vero è quello di metterli in rete per sfruttare fino in fondo il potenziale di un network di giovani sparsi nei migliori centri di ricerca e nei luoghi più innovativi del pianeta”, mediante un’agenzia collegata con associazioni come l’ISSNAF di cui fanno parte oltre 3000 ricercatori italiani negli Stati Uniti.

Un’indicazione più generale parte dai “Media”, per i quali si propone non di creare un canale “all-news”  in lingua inglese come fanno altre emittenti europee, ma un canale in inglese che non dia notizie o commenti, bensì abbia un forte contenuto culturale e di “lifestyle” e possa affermarsi come “il canale della cultura italiana”. Però “dovrebbe essere più largo, uscendo dai confini dell’arte e della cultura in senso stretto per occuparsi anche di tutto ciò che costituisce la forza del Soft Power  del nostro paese, dai piaceri dell’enogastronomia alle eccellenze della ricerca scientifica”.

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La conclusione possiamo dire che è esaltante, si fa appello al patrimonio straordinario costituito dagli “Italici”: oltre ai 60 milioni di italiani residenti in Italia e  5 milioni all’estero, ben 80 milioni di discendenti di emigrati italiani nei diversi continenti e tutti coloro che si riconoscono nel nostro stile di vita, Piero Bassetti che ha coniato questo termine conta 250 milioni di persone “unite da una comune identità italica”, intesa come comune sentire e stare al mondo. Nella “world community” ,la multi appartenenza a tante diverse nazionalità rende l’identità italica quanto mai forte e pervasiva.”Muoversi nel mondo ignorando il fatto che possiamo contare, da una parte sulla più consistente e diffusa diaspora mai prodotta da un paese europeo, e dall’altra su un capitale di simpatia e di attrazione che ha davvero pochi eguali, significa sprecare un potenziale enorme”,

Questo soprattutto pensando che la cultura diffusa nei secoli dal genio dei nostri artisti e letterati, mette al centro l’uomo. Che resta decisivo anche nell’innovazione, perché “è creatività e ha bisogno di conoscenze e fantasia”, per citare le parole usate da Gianni Letta nel presentare la terza ricerca della stessa Civita nella serie “L’arte di produrre Arte”  su “Competitività e innovazione”. Gli uomini chiamati a raccolta nel “Soft Power” sono questi”Italici” sparsi nel mondo,  mobilitazione ora possibile per le straordinarie opportunità offerte da una tecnologia al servizio dell’uomo.  

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Info 

Giuliano da Empoli, “Soft Power dell’Italia”, rcerca di Civita, Marsilio Editore, maggio 2017. pp. 112, formato 19 x 29; dal  libro sono state tratte le citazioni del testo. Il primo articolo è stato  pubblicato in questo sito l’11 febbraio u.s..Cfr. anche, in questo sito, i 2 articoli sulla ricerca di Civita  della serie “L’arte di produrre Arte”, “Competitività e innovazione nella Cultura e nel Turismo” a cura di Pietro Antonio Valentino, il primo è uscito  ieri 14 febbraio, il secondo uscirà il 18 febbraio p. v.    .

Foto

La prima immagine riproduce la copertna del libro. di Giuliano da Empoli sul “Soft Power”.  Mentre le altre immagini rappresentano alternativamente copertine di libri e avvisi vari sul “soft power” nel mondo: sono tratte da vari siti web, che si ringraziano per l’opportunità offerta. Precisiamo che sono state inserite  ritenendole di pubblico dominio, ma qualora fossero soggette a copyright e comunque i titolari dei siti ne chiedessero la rimozione,  saranno immediatamente eliminate trattandosi di mere illustrazioni senza valore di un resoconto che, come le immagini, non ha finalità nè risvolti di ordine economico, commerciale o pubblicitario.

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