Tacchi, una retrospettiva intrigante, al Palazzo Esposizioni

di Romano Maria Levante

Oltre 100 opere esposte nelle mostra “Cesare Tacchi. Una retrospettiva”, aperta al Palazzo Esposizioni dal 7 febbraio all’8 maggio 2018, a cura di Daniela Lancioni e Ilaria Bernardi che hanno compiuto un’accurata ricostruzione del suo percorso artistico riportata nel ponderoso catalogo da loro curato; la ricerca si è svolta in 35 archivi, e  ha visto la collaborazione a vario titolo di 200 persone, 25  i prestatori dichiarati pubblici  e privati. La mostra, promossa da Roma Capitale,  è  ideata, prodotta, organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo con la collaborazione dell’Archivio Cesare Tacchi. Catalogo dell’Azienda Palaexpo curato dalle due curatrici della mostra.

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La mostra “Cesare Tacchi. Una retrospettiva”, che si svolge nelle 7 gallerie intorno alla rotonda centrale,   è intitolata così perché si basa sull’accurata ricostruzione di un percorso che prende l’avvio all’inizio degli  anni ’60,  quando aveva 18 anni essendo nato il 18 agosto 1940, e si protrae fino al primo quindicennio degli anni ‘2000: l’artista muore a Roma il 14 marzo 2014, a 73 anni, lasciando incompiuto nello  studio il dipinto a olio su tela “Com’è liscia la tua pelle”, chiudendo con il ritorno alla pittura un cerchio vasto e multiforme di esperienze artistiche molto particolari.

Abbiamo contato 44 mostre personali e 171 mostre collettive di cui 19 dopo la sua morte e notato che la mostra attuale è la ricostruzione più completa della sua arte fuori da ogni convenzione, in quanto sfugge ad ogni riferimento a correnti artistiche, movimenti, avanguardie: non solo per il suo carattere molto personale, ma anche  e sopratutto per  le continue virate in una ricerca inesausta e appassionata dei modi in cui manifestare, anche nella forma più pirotecnica e inusuale, la spinta alla creazione artistica che sentiva premere dentro di sé  quale espressione di ciò che si muoveva in lui e nella società non come mero riflesso condizionato, bensì come reazione del tutto anticonformista.

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Il percorso artistico movimentato di un artista inquieto

Il  carattere di artista inquieto e tormentato era così genuino da arrivare perfino alla “Cancellazione d’artista”, al proprio annullamento allorché ha sentito esaurita la spinta creativa che si era esercitata in modalità innovative come concezione e come realizzazione, ma non dava più le risposte attese al proprio bisogno irrefrenabile di esprimere ciò che provava in modo autentico senza i vincoli e i limiti della creazione artistica anche se espressa nell’avanguardia delle forme  e dei  contenuti.

Una cancellazione non per finire ma per ricominciare da zero, dalla “tabula rasa” di sé e di quanto aveva concepito, elaborato  e prodotto fino ad allora, e non a caso l’anno della cesura è stato il 1968, non poteva non incidere su un artista inquieto e sensibile lo sconvolgimento avvenuto nel corpo sociale con la contestazione studentesca e le nuove istanze che ribaltavano gli assetti costituiti.

 Le due fasi del proprio percorso artistico sono distinte tanto nettamente che hanno costituito oggetto di specifici approfondimenti da parte delle due curatrici della mostra, Daniela Lancioni  per la prima fase, dagli esordi alla “cancellazione d’artista” del 18 maggio 1968, Ilaria Bernardi per la seconda fase dopo il 1968 con la ripresa prima lenta e faticosa poi sempre più prorompente e impetuosa verso sempre nuovi lidi. Sono state, le curatrici,  le guide nella visita alla opere esposte in mostra in una cronologia che ne marca la diversa sostanza artistica, passandosi il testimone nella staffetta delle due fasi come fanno nel ponderoso catalogo con due saggi introduttivi nettamente distinti e un approfondimento del doppio percorso artistico quanto mai dettagliato e documentato.

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Abbiamo detto che Tacchi è sempre rimasto al di fuori delle correnti ed espressioni artistiche anche d’avanguardia occupando un posto del tutto personale e non omologabile; tuttavia la ricostruzione del suo percorso viene inquadrata nelle tendenze in atto nelle varie fasi  in cui si è manifestato anche per il suo continuo collegamento personale con gli artisti che animavano la scena romana, quindi è occasione  per riportarsi ai loro fermenti in una stagione così ricca di  stimoli creativi.

Sono tante  e tali le opere esposte che vale la pena di partire dalle singole manifestazioni artistiche per poi inquadrarle nel contesto socio-economico e culturale oltre che nella personalità dell’artista.Le prime opere, fino all’automobile e ai richiami consumistici

L’accurata ricostruzione di Daniela Lancioni  ci fa collocare  “Figura”, 1959, che vediamo esposta, tra le prime opere, considerando che nel 1958, a 18 anni, aveva esposto alla “Rassegna di arti figurative di Roma e del Lazio” due opere con il titolo evocante la figura; ma quella che vediamo nonostante il titolo non è figurativa ma materica, con uno strato nero – li chiamavano “catrumi” e si ispiravano al Burri prima dei “sacchi” –  su una campitura bianca che richiama Franz Kline. E’ un esordio in cui lo affascina Mondrian, con le sue geometrie particolari, che aveva visto nella mostra del 1956, e anche in onore del teorico del neoplasticismo definisce “neoplastici” i suoi primi lavori.  

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Il contrasto tra titolo e contenuto deriva dalla crisi dell’informale al quale  si cercava di rispondere in qualche modo contrapponendo  la “figura”,  intanto in  senso nominalistico,  e contrastando il “caos”  attraverso l’evidenza degli elementi essenziali,  come colore e superficie, rilievo e brillantezza. “Giallo cromo” e “Senza titolo”, 1961, vanno oltre, con l’assemblaggio di elementi come lastre e listelli e una lamiera metallica perforata, verniciati di un giallo molto vivo,  nel secondo c’e anche  un  interruttore che accende la luce.  Non sono opere estemporanee, ci sono disegni preparatori anch’essi in giallo, “In salita” e “In discesa” con abbozzo di scalini, e per elementi musicali come “Stereofonia” e “Suono rosso”, pure le perforazioni nella lamiera del “Giallo cromo”  richiamano gli “stereo” diffusi in quegli anni di boom anche musicale.

Presto la reazione all’informale si sostanzia in tematiche figurative sempre più evidenti ma estremamente originali  come il ciclo legato alle automobili, una passione di famiglia dato che il fratello Claudio acquista prototipi, su uno dei quali vediamo Cesare fotografato. Anche qui c’è la preparazione con il disegno, “Curva a 200 all’ora” mostra una serie di schizzi.  Tre opere esposte del 1962  sono intitolate “Super” #. 3, 6, 8, il nero fa pensare alla ruota, il rosso granata incurvato in modo sinuoso oppure posto in orizzontale alla carrozzeria, va sottolineato che sono smalti su carta incollati nella tela per dare la sensazione metallica di maggiore brillantezza senza asperità; si tratta per lo più di particolari, anche Mario Schifano, Tano  Festa e Renato Mambor lavorano così.

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Nello stesso 1962, “Struttura bianca su nero” presenta il profilo dell’auto, ruota e finestrino, e “Prova”, 1963, il retro del veicolo con ben chiari sedili e poggiatesta. . Tra il 1963 e il 1964, con “Circolare rossa” e “Piazza Navona dall’automobile”,  si passa ai trasporti pubblici romani, identificati dal verde della carrozzeria con il bordo giallo e rosso:  nel primo si intravedono delle sagome, passeggeri all’interno del veicolo oppure pedoni dall’altra parte, nel secondo appena qualche elemento della piazza.  “Al milite  ignoto” rende ancora più evidente l’antropizzazione, una testa nera con dietro la sagoma evanescente appena percepibile del Vittoriano. Il particolare  di “Piazza Navona”  con la figura statuaria in giallo e rosso completa la marcia di avvicinamento alla figura umana. C’è una fotografia di Plinio De Martiis che ritrae Tacchi al volante di un’automobile mentre dal vetro anteriore  si vedono le forme  gialle e rosse delle statue della Fontana dei 4 Fiumi.

E’ una marcia che si conclude nello stesso 1964 allorché irrompe una nuova visione della realtà e un modo nuovo di rappresentarla, con la figura umana che  marca la sua presenza reale o virtuale. 

Va ricordato che siamo nel pieno del “boom ” – il “miracolo economico” degli anni ’60 – e gli artisti si sentono coinvolti e stimolati dal nuovo clima, Tacchi  ha incollato  buste della Standa e di Upim “come ultima negazione, come ultimi non rapporti con la realtà”, una sua opera su carta del 1962 si intitola “Magazzini Upim”.  Fervono dibattiti  sul  rapporto tra il lavoro degli artisti e il potere condizionante  dell’industria, Giulio Carlo Argan mette in guardia dalla contaminazione e subordinazione degli artisti al potere dominante, se Tacchi aveva presentato Upim e Standa e auto senza nome,  Schifano il marchio della Esso, Cibrario quello della Martini e Testa il Punt e Mes.

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Il disimpegno, tra il relax delle poltrone e l’intimismo delle tappezzerie.

Le altre opere del 1964 che vediamo non esprimono direttamente questo rapporto con il consumismo che avanza, ma lo fanno indirettamente evidenziando un richiamo agli agi che ne derivano. Mentre il “boom” evoca  la corsa alla produzione, competitività ed efficienza, lavoro e produttività, l’artista ne descrive gli effetti di benessere e, in un certo senso, la presa di distanza:  non la rincorsa ma il relax, non la frenesia ma la tranquillità. La Lancioni cita una serie di riferimenti colti di “borghesi nauseati e annoiati, paralizzati nell’azione”, oltre alla nobiltà feudale di  Oblomov, come Roquetin di “La nausea” di Sartre, “L’uomo che dorme” di Perec, il “Giovane Holden” di Salinger  e “tutti i personaggi autobiografici della Beat generation”. Anche Jaques Tati viene ricordato  per la sua ironia che “fa da antidoto a questa paradossale frenesia del riposo” e perfino l’Ebdòmero di Giorgio de Chirico che rema sulla barchetta nella propria stanza. 

“I personaggi di Tacchi – osserva la Lancioni – mentre tutto intorno è vortice, se ne stanno seduti in poltrona, si riposano, conversano. Non partecipano all’affanno generale”. Lo vediamo in  “Paola e  poltrona”   con una sagoma femminile nera in perfetto figurativo; mentre “Poltrona gialla” e “Poltrona rossa”, sempre del 1964,  mostrano le imbottiture senza figura umana, nel secondo c’è una mano nera che sembra inviti a sedersi. Le due poltrone sono invitanti, realizzate mediante un lavoro di tappezzeria con i punti dell’imbottitura messi con maestria per dare veridicità all’arredo.

“Sul divano a fiori” e “Renato e poltrona”, 1965,  un ulteriore passo avanti, le figure umane, contornate  con precisione e per lo più nere, spiccano su una tappezzeria fiorata  non soltanto nel divano ma anche nella parete. “Sono i giovani che in una società ormai discretamente lontana dai conflitti bellici e in uno stato di relativo e diffuso benessere, si distraggono, si predispongono al dono, misurano la possibilità della dépense, la perdita improduttiva dalla quale derivano nobiltà e onore”, secondo la teoria di Georges Bataille citato dalla Lancioni.  Il pensiero va alla “decrescita felice”, teoria coniata per il tempo presente,  la storia che si ripete, con quel che segue. 

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In questo ostentato distacco rispetto all’esaltazione del “boom” economico, la Lancioni vede addirittura dei prodromi della contestazione del 1968 dei giovani contro l’assetto costituito: “Saranno loro gli artefici di quei cambiamenti destinati a rimanere l’eredità più preziosa del Novecento e se per ottenerli sono dovuti poi salire sulle barricate del maggio, per immaginarli hanno oziato”.

Il rassicurante ambito privato e familiare e la contaminazione storico-artistica

Ma in queste opere di apparente disimpegno  non c’è solo la dimensione domestica nella rassicurante cornice della tappezzeria,  le figure sono prese dalla pubblicità, quasi a voler sottolineare la sua penetrazione pervasiva anche nell’ambito più privato e familiare nel quale interviene anche la corda sentimentale; non guardano mai verso l’osservatore. 

Lo vediamo nelle opere dello stesso 1965, “Quadro per una coppia felice”, “Amore” e “I fidanzati”, nelle quali c’è sempre la tappezzeria ma le figure sono prevalenti, spicca quella femminile, sono ricavate da pubblicità ritagliate dai giornali. Nessuna enfatizzazione dei ruoli, c’è un vero trasporto nell’abbraccio della “Coppia felice” e una  visione romantica dell’ “Amore”  consumato con l’uomo che si solleva dal letto soddisfatto mentre la donna dorme appagata.  Altrettanto intimiste le due opere  “La mano nei capelli” del 1966 e 1967, non esposte,  il primo piano della carezza esprime tanta dolcezza.  

Torna sullo stesso tema con due nuove versioni di “Coppia felice”, 1966, in cui alternativamente è più in rilievo la donna o l’uomo con una sagoma a pieno colore rosso o nero, l’altra delineata nella tappezzeria che resta anche se con minore evidenza. Sembra una lancia spezzata a favore dell’uguaglianza dei sessi nel rapporto tra uomo e donna, anche questa è stata una conquista dell’emancipazione femminile che ha trovato nel ’68 una forte spinta.

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Così nei volti incorporati nella tappezzeria, il “Ritratto su tessuto stampato # 1”, 1965, è  un bel viso femminile sorridente, la stampa è a fiori,  “Ritratto”, 1966,  un profilo maschile, il tessuto è con delle stelle, mentre in “L’uomo che guarda”, ancora 1966, torna la distinzione netta tra il volto nero e il tessuto che fa parte della composizione ma non invade la figura.Non c’è soltanto l’attualità in questo ciclo di opere. Le tappezzerie sono protagoniste anche nelle citazioni storiche come  nell’opera non esposta su Corradino di Svevia in cui è riprodotta una miniatura sulle “Nuova Cronica” di Giovanni Villani. E sono presenti nella contaminazione con opere d’arte celebri come “Primavera allegra” , 1965: “Tra i quadri imbottiti  il suo più impegnativo per grandezza e complessità delle figure  – commenta la Lancioni – nel gioioso corteo della Primavera di Botticelli, innesta le immagini incongrue prelevate dalla pubblicità della mano nei capelli e di una figura femminile sdraiata”. E come “Cleopaolina”, 1967, non esposto,  il volto di Paolina Borghese è sostituito da quello di Elizabeth Taylor allora in voga per il film Cleopatra.

Oltre a questa attrice, in altre opere sui miti del momento compare la donna ricoperta d’oro di “Missione Goldfinger”, il film in voga su James Bond ed, esposto in mostra, “Per i Beatles” , in cui sono presenti tutti gli elementi, tappezzeria, cromatismo multiplo quanto discreto, figurativo chiaro.

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Completiamo la rassegna delle opere di questa serie con “Il letto pensando a un prato”, 1966, divisa in tre piani, più in alto la testata di un letto imbottito con dietro piccoli squarci di tappezzeria, sotto due figure femminili sdraiate, quella al centro con uno sfondo di tappezzeria a righe rosse su giallo, quella in basso su uno sfondo a fiori che evoca i suoi pensieri e figura nel fumetto che esce dalla bocca della figura posta al centro. Quest’opera appare in una fotografia di Ugo Mulas che nel 1967 ritrae “Cesare Tacchi nel suo studio”  ripreso di spalle a lato del trittico di cui il lato inferiore è sul pavimento, i due lati superiori sono appoggiati alla parete.

L’ultima, “Ninfea maggiore, 1966, nello studio di James Kounellis, in bianco e nero, mostra la metà di un viso femminile che occupa l’intero lato destro della composizione, spuntando dietro lo stipite di una porta, l’altra metà a sinistra appena delineata. La Lancioni la associa al già citato “L’uomo che guarda”: “L’immagine è rarefatta, l’ardimento della decorazione a stampa della stoffa  cede campo al silenzio della tinta unita. Il volto dolcissimo della donna è separato in due metà che non coincidono, e l’uomo che guarda, il cui profilo  è tratto dalla campagna pubblicitaria delle lamette Gillette, va a implementare l’iconografia del pensatore (moderna declinazione della malinconia). Un sentimento di incomunicabilità vela le figure”.

L’inutilità degli oggetti domestici divenuti ostili fino all’autocancellazione 

Ci siamo allontanati dalla “poltrona” che ha aperto la serie delle tappezzerie rilassanti. Ma Tacchi ci torna l’anno dopo, nel 1967, e non più con le imbottiture di rilievi di radice pittorica; bensì con gli oggetti di arredamento nella loro effettiva consistenza,  quindi di radice scultorea, e lo fa dando con l’attribuzione di un significato e di un contenuto opposti.

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Il  richiamo rilassante per sfuggire all’affanno dell’impegno produttivo rifugiandosi nella dimensione domestica della poltrona nella tappezzeria non c’è più: “Poltrona inutile”  è una sfida o una provocazione,  perché i debordanti braccioli o altri ostacoli impediscono di sedersi, e così “Poltrona bianca con impronte di personaggio romantico sul tappeto” che prefigura sviluppi successivi della creatività dell’artista in senso performativo.  Sulla “Poltrona chiusa” così  scrisse a Maurizio Calvesi il 20 giugno 1967: “Mentre alcuni oggetti appartengono ad una visione e concezione spaziale schiacciata o di superficie in un certo senso ancora nel racconto del quadro, la poltrona chiusa ne viene fuori e crea un rapporto con l’ambiente che la circonda ed è mobile ed ha due elementi articolati che creano altre possibilità di spazi plastici. La percezione è intimamente di carattere eretico e fruibile sia visivamente che tattilmente. Lo spettatore si troverà quindi a percepire questi oggetto-quadri, sensitivamente, e dovrà più  avvertire che guardare, provare cioè sensazioni”.

Tacchi non è l’unico in quegli anni a togliere all’abitazione la caratteristica di rifugio rassicurante e protettivo, anzi potrebbe essersi ispirato a Claes Oldenburg di cui visitò a New York lo studio, agli oggetti consueti di arredamento viene conferita un’aggressività ben più minacciosa dell’innocua “Poltrona inutile”  Si pensi alla progettazione dell’artista di un “Prototipo di sedia per sedute critiche, conferenze e premi letterari”addirittura con due lame d’acciaio oltre a una molla. Vediamo le immagini di una “Sedia bucata” e di una “Sedia coll’acqua”, 1967,  rispetto alle quali scrive nella stessa lettera a Calvesi: “I miei oggetti-quadro sono delle idee e sono distruttivi  e si autodistruggono perché impossibili, ma concretizzano una nuova esistenza in se stessi”.  E, in termini più precisi: “Per il letto ad acqua mossa vorrei ottenere  il leggero sommovimento di tutto l’oggetto, poggiante su molle d’acciaio, tramite un motorino elettrico a rotazione eccentrica. Il braccio oscillante creerà una vibrazione che si comunicherà all’oggetto e di conseguenza all’acqua. Questo perché mi interessa creare un ritmo con un liquido, in un oggetto di forma rigida costruita, e dare così altri significati oltre quelli di sola percezione visiva”.

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Il tutto lo vedeva inserito in una stanza capace di stimolare le percezioni e le sensazioni indicate, “con una grande cornice di quadro su ogni parete. Le cornici sono di tipo modulare, realizzate in gommapiuma e foderate di tessuti”.  Ne vediamo esposte due, del 1968, con un “Segmento modulare blu”, 1967, una scura con riquadro piccolo, l’altra dorata intitolata “Cornice”, 1968, molto grande, manca del dipinto perchè destinata ad inquadrare gli amici, come Paola Pitagora, e i visitatori divenuti quadri tra le rovine di pezzi di cornici a terra per evocare i frammenti di colonne dei ruderi romani.

Non è nichilismo questo, ma fa pensare a un momento distruttivo se non autodistruttivo. Sembra logica conseguenza la “Cancellazione d’artista”, avvenuta nella prediletta Galleria Tartaruga il 18 marzo 1968, ben diversa dalle cancellazioni grafiche di Emilio Isgrò. Ci sono le fotografie di Plinio De Martiis che ritraggono Tacchi in questa azione creativa, ma in senso iconoclasta,  che vuole evocare i tempi teatrali su provocazione lanciata dallo stesso fotografo  con il “Teatro delle mostre”: dipinge una lastra trasparente rendendola opaca in modo da scomparire alla vista. E’ proprio la fine, se seguono nel novembre 1968 soltanto 16  progetti, disegni di improbabili  sistemazioni dello spazio che mostra al pubblico in Via d’Alimbert, nei pressi di Piazza di Spagna; e delle azioni performative come Colorare gomitoli di lana”  o “Appendere un artista”, naturalmente in modo simbolico, con i piedi poggiati a terra .

Ma c’è stato da poco il maggio 1968, tutto è da ricostruire. Vedremo prossimamente come questo avverrà nel secondo tempo del suo percorso artistico, ancora più sorprendente.

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Info

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Orari: da domenica a giovedì, tranne il lunedì chiuso, dalle 10,00 alle 20,00, venerdì e sabato dalle 10,00 alle 22,30. Ingresso intero euro 13,50, ridotto euro 10,00.  Catalogo  “Cesare Tacchi. Una retrospettiva”, a cura di Daniela Lancioni e Ilaria Berardi, Azienda Speciale Palaexpo, gennaio 2018, pp.480, formato 16,5 x 23, dal Catalogo sono state tratte le citazioni del testo. Il secondo e ultimo articolo uscirà in questo sito il 22 marzo p. v. con altre 13 immagini. Per gli artisti citati, cfr., i nostri articoli: in questo sito,  sulle mostre di De Chirico 11 marzo 2015, 20, 26 giugno, 1° luglio 2013,  Isgrò 16 settembre 2013,Mondrian 13, 18 novembre 2012; in cultura.inabruzzo.it  De Chirico 8, 10, 11 luglio 2010, 27 agosto,  23 settembre, 22 dicembre 2009; in fotografia.guidaconsumatore.it Schifano 15 maggio 2011 (gli ultimi due siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito); a stampa in “Metafisica” e “Metaphysical Art”  De Chirico n. 11/13 del 2013.. 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione nel Palazzo Esposizioni, si ringrazia l’Azienda Speciale Palaexpo, con i titolari dei diritti, in particolare l’Archivio Cesare Tacchi, per l’opportunità offerta. Somo immagini delle opere del periodo delle “tappezzerie”, tranne l’ultima che è una delle prime opere; le altre opere che precedono quelle con le “tappezzerie”, commentate nella prima parte di questo articolo, sono la 2^, 3^ e 4^ immagine del secondo articolo seguite da quelle successive alla “cancellazione d’artista”. In apertura,  “Uomo che guarda”  1966; seguono, del 1964, “Poltrona rossa” e “Paola e poltrona”, poi, “Poltrona gialla” e, del 1965, “Sul divano a fiori”; quindi, “Renato e poltrona”  e “Quadro per una coppia felice”; inoltre, “Ritratto su tessuto stampato # 1” e “Per i Beatles”; infine, del 1966, “Coppis felice”, “Il letto (pensando a un prato…!)”, e del 1965 “La primavera allegra”; in chiusura, del 1961, “Giallo cromo n. 4”, apre la galleria delle prime opere che prosegue nelle citate 3 immagini iniziali del secondo articolo.

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