Turner, 3. Il “turista annuale” fino all’epilogo, al Chiostro del Bramante

di Romano Maria Levante

Si conclude la nostra visita alla mostra “Turner – Opere della Tate”, che espone,  dal 22 marzo al 26 agosto 2018 al Chiostro del Bramante, 78 opere su carta, per lo più acquerelli, con qualche “goauche”, e 7 oli su tela, tratte dalla ricca collezione della Tate Britain cui fu assegnata come “patrimonio nazionale” da una Corte inglese. Promotori  Regione Lazio e Roma Capitale, Ambasciata Britannica di Roma e British Council, realizzata da DartChiostro del Bramante in associazione con Tate. Curatore di  mostra e Catalogo di Skira Editore, David Blayney Brown, Tate.

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Abbiamo dato conto della prima parte della nostra visita alla mostra, dopo aver delineato le peculiarità della visione paesaggistica di Turner espressa soprattutto nella forma insolita delle opere su carta, per lo più acquerelli, spesso incompiute o perché l’idea è stata abbandonata dall’artista oppure perché tradotte in opere a olio su tela.

Forse anche questa particolarità contribuisce alla suggestione che esercitano, nelle loro tonalità sfumate, in maggior parte senza forme delineate ma quasi evanescenti,  in una visione che è stata accostata da Valter Curzi a quella dell'”Infinito” di Giacomo Leopardi, parallelo intrigante.

Il cromatismo è altrettanto tenue e delicato in un’evoluzione che fa irrompere la luce e il colore, molte volte contenuto nel supporto cartaceo celeste su cui le pennellate dell’artista creano delle immagini in dissolvenza lasciano  emergere i colori del cielo e delle acque.

Nella rassegna delle opere esposte ci siamo fermati alla terza sezione, dopo aver dato conto della prima, “Dall’architettura al paesaggio: opere giovanili“,  e della seconda, “Natura e ideali: Inghilterra (1805-1815 circa)”. La terza sezione, “In patria e all’estero (1815-1830”, inizia con le opere legate al viaggio in Italia del 1819, le abbiamo commentate ricordando anche le circostanze del soggiorno a Roma, dopo la sosta a Venezia lungo l’itinerario e prima della visita a Napoli. Non abbiamo parlato invece dei successivi viaggi nel Sud dell’Inghilterra, e delle opere conseguenti, lo facciamo subito per poi passare alle altre 3 sezioni, “Luce e colore”,  “Turista annuale” e “Maestro e mago: le opere della maturità” completando una visita coinvolgente ed emozionante

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Le vedute dell’Inghilterra fino al 1830

La volontà di ricercare sempre nuovi paesaggi da reinterpretare nella trasposizione artistica per renderne fascino e atmosfera, al di là degli aspetti realistici, che lo ha portato anche in Italia, gli fa battere continuamente gli ambienti del suo paese  che lo attirano di più.

Ha avuto  molte commissioni, a partire dal 1811 con l’avvio del “Liber Studiorum”, di cui abbiamo parlato in precedenza, che gliene procurerà altre in seguito. Tra le prime le “Vedute pittoresche  lungo la costa meridionale dell’Inghilterra”, con la costa dal Kent al Somerset, seguite  dai “Fiumi del Devon”,e da “La storia del Richmondshire”, in mostra è esposto “Il castello di Arundel sul fiume Arun”, visione idilliaca con delle capre o simili sul costone prospiciente il castello delineato appena al centro dell’immagine.

I  toni sono sempre smorzati, ma irrompe il colore in altre opere,  come  “Relitto o relitti  sul fiume Tamar, Crepuscolo”, e “Kirkby Lonsdale” che abbiamo già citato nel commentare la seconda sezione della mostra, mentre “Studio per ‘Il naufragio di una East Indiaman'”, anch’esso già citato,  è una composizione di volumi preparatoria di un  acquerello realizzato per il grande collezionista e  mecenate Fawkes che seguirà da vicino il suo percorso artistico. ospitandolo a Farnley Hall.

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Turner realizzò per lui una serie di 20 acquerelli sull’interno e l’esterno della sua residenza e una serie di 50 vedute del Reno, sulla base degli schizzi a matita vergati sugli album che portava sempre con sé, replicandoli sull’apposita carta che poi colorava ad acquerello avendo a mente le tonalità ambientali che lo avevano colpito.

Fawkes fece addirittura una mostra nel 1819 nella propria abitazione londinese, dove espose gli acquerelli di Tuner insieme  ad opere di artisti contemporanei conosciuti,  riuscì ad attirare l’attenzione su di lui, furono apprezzate  le sue opere, molte delle quali preparatorie e incompiute, on particolare le “goauche” sulla residenza di Farnley delle quali fu scritto: “Gli schizzi di un maestro possiedono maggior fascino dell’elaborato finale; a qualsiasi persona dotata di gusto essi offrono la possibilità di dare sfogo alla propria immaginazione per riempire gli spazi lasciati vuoti e completare il tracciato solo abbozzato”.

Oltre alle opere sulla residenza di Fawkes, fece  quelle sulla dimora di campagna nel Sussex di  un altro importante suo protettore, Lord Egremont, di cui riprodusse gli interni e il parco di Perworth, in modo particolarmente sentito dato che non gli erano state commissionate, come quelle per Fawkes, ma le aveva realizzate spontaneamente sentendosi come a casa sua a Perworth. Sono in “goauche”, su fogli celesti che attirano un forte cromatismo, le vedute sono inondate di luce. Poiché non sono destinate al pubblico può sperimentare questa  forma espressiva più intensa rispetto a quella fatta di toni smorzati e velature, che abbiamo notato in particolare nell’acquerello veneziano.

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Vediamo “Tramonto sul parco dalla terrazza di Petworth house”  , suggestivi effetti di luce che si innalzano verso il cielo all’orizzonte su una campagna con alcuni alberi di un verde intenso; e “La Somerset room con vista della sala da pranzo quadrata e dello scalone al di là di essa”, la maestria topografica degli inizi in due interni contigui, le pareti come in una quadreria. L’interesse culturale è ancora più esplicito in “L’artista e i suoi ammiratori”, dove si raffigura in piedi mentre dipinge al cavalletto con delle modelle al centro di una stanza ariosa, e in “La North Gaillerydi notte: alcune figure contemplano la statua del ‘San Michele che sconfigge Satana’  di Flaxman”,  anchequi la topografia al servizio dell’arte, con la statua che spicca nell’oscurità.

Sono  opere realizzate nello stesso anno, il 1827. Degli anni immediatamente  precedenti vediamo .“Veduta di Folkestone dal mare” 1822-24, .“Scarborough” 1825, e “Aldborough nel Suffolk” 1826. deliziose immagini in un cromatismo pronunciato e al contempo discreto, in cui al centro della scena marina, con barche e velieri, c’è l’elemento umano  in simbiosi con l’ambiente naturale; mentre in “Il castello di Arundel sul fiume Arun”  1824, la simbiosi è con gli animali del piccolo gregge sul costone prospiciente il castello appena delineato al centro, quasi in dissolvenza. Né figure umane né animali in “Il faro di Shields”, 1826, una palla di luce proiettata nell’orizzonte diviso tra cielo e mare n presenta. L’artista fu impegnato nelle serie “I fiumi dell’Inghilterra” e “I porti dell’Inghilterra”– commissionategli da Cooke, un altro dei vari collezionisti-mecenati che ha avuto vicini – per cui acquistò molta dimestichezza in queste raffigurazioni.

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Molto diverse  “Le elezioni a Northampton 6 dicembre 1830” e “I funerali di Sir Thompson Lawrence; schizzo eseguito a memoria”, l’opera di maggiori dimensioni,  in entrambe  torna la maestria topografica nella prima imponenti edifici svettano come sfondi teatrali alla folla che si accalca con cartelli e un balcone anch’esso affollato in primo piano sulla sinistra dal  notevole effetto prospettico; nella seconda la topografia è nella prospettiva dello scalone sterminato con i dignitari e la gente, visione immaginata dall’artista  imponente come non mai per rendere omaggio al presidente della Royal Academy cui era legato da una amicizia consolidatasi negli anni tanto che fu tra quelli che portarono in spalla il feretro, quindi snche lo schizzo non è stato preso “in loco”..

Luce e colore

Alcune opere tra la fine degli  anni ’20 -e i primi anni ’30  forniscono lo spunto per un’ulteriore riflessione sulla “Luce e il colore” in Turner, questo, infatti, il titolo della 4^ sezione della mostra.

Lo stesso artista si esprimeva su questo tema, affermando che non seguiva “pedissequamente un procedimento prestabilito”, ma proseguiva nelle ricerche sul colore fino a quando “non erano in grado di esprimere l’idea che aveva in testa”. Non si trattava di affermazioni teoriche, per non dire astratte, le metteva in atto chiamando”Colour beginning” i suoi tentativi in questa direzione.

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Al riguardo dobbiamo ricordare che, a differenza degli impressionisti, non usava dipingere “en plein air”, quindi non registrava dal vivo le modulazioni cromatiche delle diverse ore del giorno nei più diversi scenari ambientali perché avrebbero preso troppo tempo, mentre lui prediligeva la rapidità. 

Perciò si limitava a disegnare “in loco” dei rapidi schizzi, mentre la traduzione di queste sensazioni visive in opere pittoriche avveniva successivamente in studio; a questo punto si trattava di  applicare  ai contorni schizzati sommariamente e rielaborati anch’essi, il colore che aveva sedimentato nella memoria con la sua straordinaria capacità di fissarlo nella mente con una particolarità: che in questo  modo interveniva anche l’immaginazione, che si aggiungeva alla memoria fotografica  nella definizione cromatica realizzata con una tecnica sopraffina.

I “Colour beginning” presentano, dunque, un notevole interesse in quanto consentono di penetrare nel processo formativo delle sue opere che, come abbiamo appena visto, era molto personale e ben diverso dagli altri cultori del paesaggio. un aspetto emerge sugli altri, il carattere assolutamente soggettivo  della colorazione, pur se riferita a paesaggi e qualche volta  anche a momenti della giornata ben identificati, in cui al realismo della memoria si aggiunge  la fantasia dell’immaginazione, ottenendo come  risultato  un’atmosfera di carattere onirico per le sfumature tonali accomunate a forme  spesso appena delineate con una suggestiva dissolvenza.

Del resto, il carattere di “incompiuto” è l’aspetto dominante non solo di queste opere e della maggior parte di quelle esposte in mostra, ma anche del modo con cui realizzava le opere a olio, per definizione definitive, al punto di completarle, in occasione delle mostre,  addirittura nelle sale della Royal Academy ‘; nei giorni precedenti l’apertura nei cosiddetti “varnishing days”.

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Moltissimi sono i “Colour beginning” che l’artista conservava nel suo studio, sebbene fossero incompiuti, spesso soltanto abbozzati, su cui non sarebbe tornato per tradurli nell’opera finita, e questo fa pensare che attribuisse loro notevole importanza ritenendoli giustamente innovativi, e ne  ricevesse una gratificazione di carattere estetico.

Come esempio di questi “Colour beginning”  vengono presentati in mostra 6 acquerelli, molto più indefiniti e in dissolvenza delle altre opere fin qui citate, tanto da sconfinare tutti nell’astrazione, ma non sarebbe questa l’interpretazione giusta, sono “iniziazioni” sul colore e sulla luce, con sfumati  addensamenti cromatici nei quali  le forme non contano, anche se non si può parlare di “informale”.

Sembrano gemelli per la loro composizione simmetrica i 3 “Colour beginning”  “Paesaggio italiano idealizzato con alberi  che dominano un lago o una baia, illuminato da un sole basso”, “Marrly-sur Seine”  e “Passo montano”,  del 1828-30,  a sinistra una forma scura a sinistra, nel primo un albero, nel terzo sembra un tunnel, chiara a destra con forme indistinte.

Una forma scura ancora meno decifrabile  nella coppia del 1834, “Lasand’s End, Cornovaglia” e “Un relitto, forse relativo a ‘Il faro di Longships, Land’s End'”, in composizioni dalle forme indistinte, che si riscontrano anche in “IL castello di Harlech”, stesso anno, peraltro più decifrabile  nel verde azzurro nel cielo, e nella massa gialla al centro che delinea la struttura del castello.

Il  “turista annuale”  negli anni ‘30

Cambia completamente la scena artistica quando si entra  nel campo dell’incisione di molte sue opere: gli incisori impegnati nella  trasposizione dell’opera  dell’artista talvolta inserivano dei particolari colmando vuoti ritenuti eccessivi, c’era la stessa collaborazione tra artista ed esecutori delle fasi successive che si aveva, “mutatis mutandis”, per l’Okiyo-e di Hokusai e di Hiroshige,.

Le opere di Turner con questa destinazione  sono notevolmente più definite di quelle appena descritte, pur mantenendo il loro carattere sfumato,  c’è una chiara riconoscibilità delle forme e una precisione di dettagli in un cromatismo molto più netto e intenso, lo vediamo nelle opere esposte.

A differenza dell’Okiyo-e, il cui procedimento distruggeva la matrice pittorica, dopo l’incisione i disegni originali venivano restituiti all’artista – come ha testimoniato Rogers del quale abbiamo visto l’illustrazione di “Italy”  – e venivano conservati, anche per le esposizioni che ci sono state  da parte degli editori e committenti, Cooke  ne espose un certo numero nella sua casa di Soho Sqare nel 1823, Heath una quarantina a Piccadilly nel 1829, Moon, Boys e Graves una settantina a Pal Mall nel 1833. 

Turner era molto richiesto come illustratore, oltre a “Italy” di Rogers, cui è seguito “Poems”, citiamo eccellenze come Byron e Milton. Il primo incarico venne da  Walter Scott nel 1818, ma è del 1835 la serie “Illustrazione per i racconti di Waverley” di cui fa parte “Il castello di Edimburgo: la marcia degli Highlander” 1834-35,  con due figure nitide in primo piano che sfumano poi nella massa ordinata in marcia verso il castello in dissolvenza, anche qui come un miraggio. Analoga forma compositiva nella visione dall’alto di “L’abbazia di Dryburg” 1832.

Ricordiamo anche gli incarichi dagli editori per dei libri paesaggistici riccamente illustrati. Citiamo tra questi i tre libri di viaggio “Turner’s Annual Tour”, pubblicati nel 1833-35, che hanno ispirato evidentemente il titolo della  4^ sezione della mostra, espressione dei  viaggi incessanti compiuti da Turner, anche negli anni ’30  in Europa, dopo  quelli degli anni ’20 in Francia lungo la Senna e in Belgio, in Lussemburgo e in Germania.

In mostra è esposto “Jumièges” 1832,tratto da questa serie, una barca ben nitida su uno sfondo invece in dissolvenza in cui si intravede un castello come un miraggio, sotto un cielo  che si schiarisce un po’ nell’opera analoga  dello stesso anno , “Honfleur, la Normandia vista da ovest”. Mentre in “Il Leyen Burg a Gonfort”  e “Dinant, Bouvignes e Crèvecoeur, tramonto” il cielo vira decisamente all’azzurro, come l’acqua marina in cui sembra specchiarsi, con i volumi ben delineati anche se sempre ne senza tratti decisi.  

Portava con sé gli acquerelli arrotolati insieme agli album degli schizzi, ma il colore continuava ad aggiungerlo successivamente sui contorni a matita, in qualche caso la sera stessa nella locanda, per il resto rientrato a Londra.Ci sono delle eccezioni rilevanti che ne farebbero un antesignano degli impressionisti, e la mostra fa uno “scoop” a presentarle, 2 acquerelli che, secondo la testimonianza di un compagno, sarebbero stati eseguiti completamente “en plein air”, quindi compresa anche la colorazione. Si tratta di due opere gemelle del 1836, di poco meno di 30 cm di lato, dalla diversa visione prospettica dello stesso paesaggio montuoso, con analoga definizione delle forme e dei volumi e cromatismo molto simile; “Veduta del Glacier du Bois da sopra Chamonix con le Aiguelels du Dru e l’Aiguelle Verte in alto: sera”, e “Veduta del monte Bianco e del Glacier des Bossons da sopra Chamonix: sera”.

Per concludere con il “turista annuale” due coppie di opere agli antipodi: da un lato 2 nitide visioni topografiche gemelle, “Louviers: la strada principale con una diligenza” 1827-29, e “Il Gros -Horloge a Rouen, Normandia”; dall’altro  2 visioni oniriche, “Il castello di Bamburgh, Northumberland” 1837, che nella prima emerge appena dal suolo, nella seconda si distingue appena dalle nuvole, sono studi preliminari per un’opera definita nel catalogo dello stesso anno, “Uno dei più splendidi acquerelli al mondo”. Ancora più indefinito,  l’olio su tela “Mare in tempesta con delfini” 1835-40, una delle opere di maggiori dimensioni esposte in mostra. di

L’ultima fase negli anni ’40 fino all’epilogo

Un artista con peculiarità molto evidenti e personali, al punto da riconoscere al volo una sua opera, e nel contempo in continua evoluzione sia nell’uso del colore che nella definizione della forma, ne abbiamo visto finora esempi molto significativi nelle opere esposte in mostra. Nell’ultimo periodo cui è dedicata la 6^ sezione conclusiva, “Maestro e mago: le ultime opere”,  si accentuano alcune sue peculiarità rendendolo ancora più moderno, anzi anticipatore delle avanguardie successive.

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Il terzo viaggio a Venezia nel 1840 lo mise di nuovo a contatto con un ambiente molto speciale, il cielo che si riflette sulla laguna con mutazioni continue, ne fu fortemente impressionato nelle numerose riprese che ne fece nelle diverse ore della giornata. di qui la dissoluzione delle forme architettoniche nel colore, già notata in precedenza, assume aspetti particolarmente lirici, al punto che fu definito “un mago con il controllo degli spiriti della terra, dell’Aria, del Fuoco e dell’Acqua”. Lo vediamo nelle 4 opere esposte, 3 acquerelli, “Venezia: veduta immaginaria dell’Arsenale”,  “Venezia : Veduta della laguna al tramonto” e “Rio Sal L:uca e Palazzo Grimani e la chiesa di San Luca”,  e un olio su tela, “Venezia, il molo e palazzo Ducale”, opere nelle quali con intensità diversa si verifica tale magia, senza mai perdere di vista le forme più evocative.

Anche in ambienti molto diversi, come quelli montuosi, esplorati nei suoi viaggi sulle Alpi  tra il 1841 e il 1844, coglie la magie dei riflessi del cielo sulle acque, qui si tratta dei laghi alpini e dell’atmosfera particolare che fa stemperare le forme nel colore soffuso., ricordiamo al riguardo l’azzurro ne i già citati “Leyen Burg” e “Dinant, Biuvignes e Crévecoeur”. Invece in  “Il lago di Lucerna con la Rigi” 1841-42 un biancore indistinto accomuna cielo e lago, in modo analogo, anche se con qualche rapida pennellata di azzurro nel cielo, “La costa” 1840-45..omologazione ripetuta nella “Veduta del lago di Ginevra e della Dent d’oche da sopra losanna” 1841però con una ben maggiore definizione  che rende l’acquerello quasi totalmente figurativo, come la calligrafica e insieme evanescente “Veduta di Passau di Ilzstadt” 1840, mentre “Reichenau e l’alto Reno” 1842-43 richiamano opere già citate dai volumi compositi, qui alquanto definiti.

“Mare e cielo” sono raffigurati, senza altre precisazioni, in 2 opere del 1845accomunate dalle intense striature giallo-arancio del cielo e il biancore del mare, mentre in “Pioggia sul mare nei pressi di Boulogne”  1845, ritroviamo i colori naturali,i nembi scaricano vistosamente acqua.

Una vera tempesta, marina come “Tempesta” 1843-46, anche qui un nembo nero incombe dall’alto, e “Tempesta sui monti” 1842-43, dove però non manca il laghetto con l’acqua celeste. Negli ultimi viaggi nel Nord della Francia studiava in modo particolare queste perturbazioni, e comunque, i mutamenti meteorologici lo interessavano sempre di più e li rendeva stemperando i colori e scomponendo le forme e i volumi rendendoli indistinti ma pur sempre evocativi.

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Dopo la tempesta i colori dell’iride nel cielo, “Ehrenbreinstein con arcobaleno” 1840 , con il semicerchio luminoso sopra all’abitato che si intravede appena al centro della scena, ci sembra la  migliore conclusione di questo viaggio paesistico senza fine, tra cielo e mare, monti e laghi. Come ci sembra la migliore conclusione in senso anche esistenziale l“Interno della chiesa di Notre- Dame et Saint-Laurent”.1845, siamo sull’orlo di una vita vissuta immedesimandosi nella natura, negli archi delineati vagamente dai colori non c’è nulla di topografico, ma di profondamente, intensamente spirituale.

Per il visitatore le emozioni non sono finite, già nel salire i 43 gradini che portano dal piano inferiore a quello superiore del Chiostro, si è sentito avvolto dalle deliziose volute floreali dell'”opera site specific” di Michael Lin  intitolata “Segui la scia dei fiori”.

Ora, al termine della visita, una sorpresa, l’immersione nella dissolvenza delle opere di Turner in una stanza che ne ripropone la magia attraverso le frequenze della luce che si tramutano in note fluttuando nello spazio e nel tempo  fino  a far perdere la percezione dei suoni mentre i colori si trasfigurano. E’ come trovarsi nel “castello di Bamburgh” nella magia di un’atmosfera  che ripropone la suggestione delle opere di Turner aggiungendo l’udito alla vista, Straordinario!

Info

Chiostro del Bramante, Via Arco della Pace 5, Roma. Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì ore 10,00-20,00; sabato e domenica  ore 10,00-21,00, la biglietteria chiude un’ora prima.  Ingresso,  intero euro 13, ridotto  euro 11  (aani 11-18 e oltre 65, studenti oltre 26 anni), euro 5 anni 4-11, e nei lunedì di “promo” per studenti universitari). Tel. 06.68809035, http://www.chiostrodelbramante.it   Catalogo: “Turner. Opere della Tate” , a cura di David Blayney Brown, , Skira, marzo 2018, pp. 150, formato 28,5 x 24,5, dal catalogo sono tratte le citazioni del testo. I due articoli precedenti sono usciti in questo sito il 17 giugno e 4 luglio  u.s. con altre 10 immagini ciascuno   Per gli autori citati, cfr.  i nostri articoli,  in questo sito, suHiroshige 14, 19 giugno 2018, 5 luglio 2018, su Hokusai il 2, 8, 27 dicembre 2017, su Monet 9 gennaio 2018. 

Foto

Le immagini sono state riprese nel Chiostro del Bramante, alla presentazione della mostra, si ringraziano la Dart con la Tate  c i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, “Venezia, il molo e Palazzo Ducale”  esposto nel 1844; seguono, “Il castello di Bamburgh, Northumberland” 1837, e altra immagine di “Il castello di Bamburgh, Northumberland” 1837;  poi, “La costa” 1830.45, e “Mare e cielo” 1845; quindi, “Reichenau e l’Alto Reno” 1842-43, e “Veduta del Glacier du Bois da sopra Chamonix  con le Aiguilles du Dru e l’Aiguille Verte in alto, sera” 1836; inoltre, “Veduta del lago di Ginevra e della Dent d’Oche da sopra Losanna” 1841; infine, “St Catherine’s Hill, Guildford” 1807 e, in chiusura,  la suggestiva ‘nstallazione del  “Castello di Bamburgh” all’interno della mostra in un’istantanea che fiisa un momento visivo e sonoro. 

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di Romano Maria Levante

Nella sede di Civita, a piazza Venezia a Roma, il 13 giugno 2018 è stato presentato l’“VIII Festival europeo Vie Francigene, Cammini, Ways, Chemins 2018”, promosso dall’Associazione Europea delle Vie Francigene con la collaborazione di Civita.  Il tema cui si riferiscono i 500 eventi del 2018 è “Cammino. Il cibo dell’anima”, e si inquadra nell’“Anno Europeo del patrimonio Culturale” e nell’“Anno del Cibo italiano”  del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, dopo l’ “Anno dei Borghi” del 2017 e l’ “Anno dei Cammini” del 2016, iniziative volte a valorizzare le straordinarie potenzialità del nostro territorio. Ha presentato  e moderato l’incontro Sandro Polci, Direttore del Festival, con interessanti siparietti esplicativi.

Una mattinata di discussioni all’ultimo piano di Palazzetto Venezia, così intensa che non c’è stato il tempo di godere della splendida vista sul Vittoriano dalla terrazza adiacente alla sala conferenze, come nelle precedenti occasioni nelle quali venivano presentati anche dei cibi tipici per la “bisaccia del pellegrino”.

Saluti e introduzioni: Maccanico, Costa e Tedeschi

Ha introdotto l’incontro il vice Presidente di Civita,  Nicola Maccanico,  sottolineando che “l’Europa non è soltanto economia, è anche cultura dalla quale nasce una condivisione che unisce”. Il turismo rischia di essere schiacciato nel dibattito sui beni culturali, ma “i percorsi dei Cammini, come le Vie Francigene, uniscono agricoltura, beni culturali e turismo”. Le Francigene con il Festival rappresentano “un interessante laboratorio per dare sostanza a un elemento fondamentale di unione dell’Europa nelle sue diversità”.

E’ seguito un video di saluto di Silvia Costa, della Commissione cultura del Parlamento Europeo, che ha inquadrato l’iniziativa nell’Anno europeo del patrimonio culturale.

Il presidente dell’Associazione Europea delle Vie Francigene, Mario Tedeschi, ha ricordato l’evoluzione dell’idea del percorso europeo dei Cammini, dal 2011 ad oggi, della quale il Festival è lo specchio, e ne ha indicato i fattori principali: il primo è l’elemento europeo, imprescindibile, si è partiti dall’Italia estendendosi via via a Svizzera, Francia, Regno Unito, con l’adesione all’associazione di Calais, nella sua posizione di frontiera, che ne testimonia il valore europeo; il secondo fattore è il  collegamento ad altri progetti, come la “via Germanica” nel versante orientale verso l’Est, e ad altre peculiarità come i “Borghi autentici”.

“Il progetto si basa su un asse ben preciso – ha affermato –  ma ciò che abbiamo percepito con piacere è che ha una forza espansiva, è diventato qualcosa che spinge a collaborazioni sempre più vaste, è l’elemento più importante. Il Festival lo rappresenta, non è più solo il Festival dei Cammini italiani della Via Francigena, ma delle vie  europee”.  

Pertanto si deve far leva sulla stretta connessione tra il nostro turismo e l’agricoltura, dato che gran parte dell’itinerario si sviluppa in zone agricole, montane e collinari; così vengono promossi i piccoli borghi, le aree interne e lo sviluppo rurale. “Emerge un progetto che diventa una filosofia e si traduce anche in una politica”.

Il direttore del Festival,  i presidenti di Federparchi e Legambiente.

L’incontro entra sempre più nel vivo con la presentazione del direttore del Festival Sandro Polci, che ha sottolineato come “i Cammini vengono considerati cibo dell’anima nell’anno del cibo. All’insegna del paesaggio, con la sua cultura e agricoltura,  cioè ‘cultura coltivata’. Borghi e cibo sono ‘cultura coltivata’”.   

Non sono mancate citazioni colte, sono stati evocati Pier Paolo Pasolini del film “La rabbia”, secondo il quale “con la fine di contadini e artigiani ci sarebbe stata la fine della storia”, e Sandro Petrini che sostiene l’importanza di “conoscere la storia di un alimento, da dove viene,  da quali mani è stato preparato, per gustarlo meglio”.

A questo punto vengono fornite delle cifre eloquenti: i borghi rappresentano il 70%  della superficie del paese con il 30% della popolazione, il 92%  dei prodotti DOP e il 79% dei vini pregiati proviene da comuni con meno di 5 mila abitanti; la loro superficie biologica è di 270 ettari rispetto a 67 ettari dei centri maggiori. Il 15% delle imprese agricole è gestito dai giovani, il 30% dalle donne, il 6,5% da stranieri.  

Dalle cifre ai messaggi sofisticati e intriganti,  si parla di “sensualità culinaria, di certezza qualitativa delle filiere enogastronomiche e di atteggiamenti proattivi rivolti a hearthcare e wellness”; poi alle iniziative, come le azioni di volontariato di Legambiente che vanno  dal ripristino dei sentieri alla pulizia delle spiagge, fino alla “citizen science”; e alle proposte di “Cammini italiani”, “Da Francesco a Francesco” da Assisi a Roma.  

Il presidente della Federparchi, Giampiero Sammuri, afferma che la superficie protetta va considerata “non come vincolo, ma come soggetto attivo.  Il cammino non è ‘slow’, lento, ma ha la velocità giusta che ti va vedere, ti fa parlare, ti fa riflettere, non è mera tranquillità ma rapporto con la  natura con ciò che suscita”.

Si parla ancora del modo di camminare, il camminare cadenzato e costante porta alla concentrazione, la padronanza di sé e del proprio corpo fa crescere l’autostima, nelle Ville venete il territorio è organizzato “a passo d’uomo”.

E poi una curiosità, il labirinto di mais più grande d’Europa  con i suoi 8 ettari di piante distribuite in modo labirintico; anche le nuove tecnologie producono “effetti speciali” sorprendenti, a riprova che è un settore vivo e dinamico, per nulla statico. Non ci sono limiti di età, viene ricordato il caso della signora ottantenne che ha percorso ben 7 mila dei 10 mila km della Via Romea Germanica.   

Inoltre si cita il programma “Guida con i piedi”, e l’accordo con la Società Autostrade per grandi cartelli nelle aree di servizio in prossimità dei Cammini della Via Francigena.  

Vengono proiettate alcune immagini: i 100 mq di tela con coloranti vegetali su cui 1300 persone hanno lasciato l’impronta dei piedi, è il manifesto dei Cammini, c’è il finale allegro dei bambini felici con i piedi nella vernice; e il cammino di 800 Km sulla sedia a rotelle spinto da un amico, “Ti porto io” è il toccante messaggio, perché “ti spingo io” con la mia amicizia.

C’è anche l’intermezzo poetico, con i versi di Ernst Junger:  “Quando tutto è silenzio, pietre, animali  e piante diventano fratelli e sorelle e comunicano ciò che è nascosto, Un arcobaleno invisibile circonda quello visibile”. E le cose cominciamo a parlare nella loro lingua universale.

Incalzano gli interventi, il presidente nazionale della Legambiente, Stefano Ciofani, osserva che il Festival ha il merito di far emergere il lavoro fatto per migliorare il principale Cammino. “Quando si parla di cultura, turismo, paesaggio, ambiente, la via Francigena è l’esempio classico della tessitura di questi aspetti. Si sono create strette relazioni tra amministrazioni, soggetti economici, associazioni, e cittadini, ed è stata costruita una rete nella quale ognuno ha un proprio ruolo. Il volontariato promosso da Legambiente ha consentito di recuperare sentieri e beni culturali, creando le migliori condizioni per usufruirne appieno”.

Per alcuni temi essenziali come lo sviluppo aree interne e la tutela dell’ambiente, il Festival giunge al momento giusto, l’inizio della nuova esperienza governativa in cui si parla di muri e di chiusure, mentre va portata avanti una linea alternativa di apertura dei confini. “E’ una lunga traversata, un cammino da proseguire con iniziative che contribuiscano a raccontare un altro paese che c’è ed è vivo, e crede nell’Europa dell’accoglienza e dello sviluppo alternativo”. 

Gli esponenti di associazioni interessate

Simonetta Giordani di “Atlanta” insiste su questo tema dicendo che è  stata già fatta molta strada, ma “è il momento di ricordare l’altra Europa e lo straordinario motore di coesione sociale sviluppo economico che è la cultura”. Fondamentale la valorizzazione del patrimonio storico e artistico, è importante che nell’azione di governo il turismo abbia un ruolo centrale,  come industria dell’ospitalità con eccellenze territoriali, sul piano ambientale ed enogastronomico, storico-artistico e religioso”.

Poiché il turismo così inteso incontra il patrimonio diffuso nel territorio, la Via Francigena coglie l’anima del nostro paese, percepito nel mondo come accogliente  e ben preservato nelle sue straordinarie eccellenze.

 Ma sono importanti anche le infrastrutture, per questo occorre alimentare un circuito virtuoso tra operatori pubblici e privati del settore al fine di attrarre sempre più i viaggiatori e visitatori.

Occorre fare sistema e realizzare una cabina di regia ai massimi livelli con i rappresentanti delle Regioni, le Camere di commercio e i Ministeri interessati, superando i problemi posti dalle competenze regionali sul turismo e dalle funzioni centrali prima unite ai beni culturali, ora alle risorse agricole. In questo quadro alquanto complesso, si deve lavorare sulle priorità, ottimizzando l’impiego dei consistenti fondi europei in modo coordinato.

Poi qualche notizia su “Atlanta”, con riferimento alle 100 aree di servizio in cui si propongono itinerari particolari, e ai concerti lirici a Santa Cecilia con repertorio di autori italiani.

E’ la volta di Alberto Renzi, vice presidente di “Movimento tellurico”, che parla di “un viaggio nelle terre mutate”, quelle colpite dal terremoto, citando l’esperienza vissuta a Campotosto, un antico borgo nella montagna abruzzese, con un lago artificiale che rifornisce una centrale idroelettrica, 300 abitanti sparsi costituiti in comunità.

Il Cammino da Fabriano all’Aquila è come un’infrastruttura immateriale, ma ne sono state realizzate anche di leggere per creare prospettive di rinascita e di sviluppo, “il progetto attuato è un’infrastruttura leggera che non crolla”, non si può permettere che scompaiano gli abitanti locali altrimenti finisce la storia, come ha detto Pasolini, “non si deve lasciare l’Appennino solo”.

Il presidente dell’Associazione Via Romea Germanica, Rodolfo Valentini, ricorda che è un percorso creato dal nulla, mentre ora è tutto segnato e riportato sul sito, sono tre tappe nelle quali si incontrano dei dislivelli, la più bella arriva a Ravenna; e parla dei canali di bonifica, lungo le valli di Comacchio nella bruma della Pianura padana come di un itinerario affascinante, per nulla noioso.

Segue la citazione gustosa dei “lama” allevati a Bolzano, portati a Roma con un cammino a piedi di 50 giorni, e mostrati  anche nelle scuole romane. Poi una critica: “Gli operatori economici non hanno capito l’importanza di promuovere il turismo dei Cammini che passa vicino, non ne parlano neppure”. Un’indifferenza che va superata.

La parola passa a Stefania Monteverde, assessore alla Cultura del Comune di Macerata.  Afferma che “i comuni  della marca sono uniti per creare un percorso condiviso, i Cammini passano anche attraverso le città fino al culmine nel capoluogo dove arte e architettura urbana sono integrate, così la collina”.

E qui la sorpresa, un tunnel per salire a piedi sulla collina è stato reso attraente con un anamorfismo artistico, mentre si procede nel cammino, ecco immagini virtuali e musica, perché Macerata è la città della musica.

L’intervento del presidente dell’Unione Monti Azzurri Giampiero Feliciotticita i 15 comuni terremotati, non tutti noti, dei quali si occupa l’Unione, nei quali occorre “ripartire dalle cose belle non toccate dal terremoto facendo leva su ciò che non è stato danneggiato, valorizzando ciò che la natura ci ha dato con una visione positiva e attiva. Parlare solo in negativo influisce ingiustamente su un territorio già colpito, va adottato un metodo adeguato in modo da far vivere tali comuni”.

E indica una pista ciclabile come corridoio ecologico che attraversa la vallata con un anello di crinali, borghi e colline, sono le “infrastrutture leggere”  per rivitalizzare vasti comprensori con oneri molto limitati. Insiste sulla ricerca di  nuove idee, per aprire le menti, lo fanno da tre anni, è necessario organizzare anche sistemi alternativi come il “taxi sociale” non potendo avere servizi pubblici tradizionali, non si deve abbandonare la popolazione ma aiutarla a superare l’isolamento.

Attraverso i Cammini si può far tornare la gente nei luoghi spopolati, dove ci sono i prodotti DOP, i vini, l’olio, anche la società Autostrade collabora, naturalmente non bisogna pensare ai grandi numeri. Grazie alla via Francigena è possibile valorizzare la natura e ciò che è integro, con i Cammini si può riportare economia e serenità anche nelle zone colpite dal terremoto promuovendo una “resilienza” dovuta all’amore per i luoghi e i borghi.

La voce dei rappresentanti del territorio

Stefania Monteverde, assessore alla Cultura del Comune di Macerata, afferma che “i comuni della marca sono uniti per creare un percorso condiviso, i Cammini passano anche attraverso le città fino al culmine nel capoluogo dove arte e architettura urbana sono integrate, così la collina”.

E qui la sorpresa, un tunnel per salire a piedi sulla collina è stato reso attraente con un anamorfismo artistico, mentre si procede nel cammino, ecco immagini virtuali e musica, perché Macerata è la città della musica.

Segue l’intervento non previsto di un esponente della Regione Puglia, che riferendosi al “Cammino come cibo dell’anima” elogia la caratteristica del Sud di trasformare le debolezze in opportunità: Napoli e Bari, capitali del Mezzogiorno,  non sono collegate dall’alta velocità, ma c’è un’infrastruttura immateriale intorno alla quale costruire una programma di rilancio. “Sembrava impossibile sviluppare un movimento di Cammini e camminatori, invece è divenuto realtà, vi è un sistema integrato oltre all’asse Francigena che costituisce la nervatura e l’infrastruttura immateriale su cui si inseriscono elementi artistici e religiosi  storici e tradizionali, in particolare la transumanza”.  Le regioni del Sud hanno costituito un percorso comune, un tratto importante del Cammino fino a Gerusalemme in un  sistema italiano ed europeo.

E prende la parola brevemente il rappresentante della Toscana, parla dei Cammini nella prospettiva della sua regione.

I due interventi finali, i presidenti delle Pro loco e dei Borghi autentici

L’ultimo intervento prima delle conclusioni è del presidente dell’Associazione Nazionale Pro Loco, che riunisce gli organismi presenti nei borghi sparsi sul territorio che con le loro iniziative  ne animano la vita creando le più diverse attrazioni turistiche.

Anche lui ricorda il grande lavoro svolto per intessere le relazioni necessarie come potente strumento in grado di  animare il mondo del Cammino in Italia, e definisce “eccezionale” il contributo dato dal Festival: “Il Cammino fa attraversare il territorio in modo consapevole, fa ammirare il paesaggio, fa entrare nei piccoli borghi, li fa crescere dando loro vitalità, non è solo cibo dell’anima ma animazione quotidiana da parte di ognuno a contatto con la natura e il territorio”.

 E aggiunge: “Le Pro loco fanno parte di questo mondo, fatto di volontari che lavorano per la promozione del territorio, e chiedono solo di avvalersi delle opportunità per far si che in questi piccoli borghi ogni luogo diventi un punto di riferimento per i Cammini e offra i propri beni, culturali e storico-artistici, ambientali e gastronomici, passando dal cibo dell’anima al cibo del corpo” per il benessere dei visitatori e dei residenti .

E siamo alle conclusioni di Ivan Stomeo, presidente dell’Associazione Borghi Autentici d’Italia, da non confondere con il Club dei Borghi più Belli d’Italia dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, lui stesso ci ha spiegato che la sua associazione guarda alle comunità residenti, mentre il Club alla bellezza esteriore.

Rivolge una critica alle politiche per il territorio, “poche hanno riguardato i piccoli comuni, sebbene rappresentino il 70% del territorio nazionale”.  E sui Cammini, e le vie Francigene: “Camminare vuol dire anche controllare il territorio, chi cammina non fa solo turismo ma anche protezione del territorio,  in quanto comunica le anomalie incontrate. Cosa questa molto importante per quello che era chiamato il giardino d’Europa, ma in cui ogni giorno aumenta il degrado, dalla cementificazione agli impianti dannosi per l’ambiente come le pale eoliche. Nelle innovazioni ci si dimentica del paesaggio, per questo occorre un  controllo collettivo, dobbiamo sentire il dovere di rispettare il territorio per le generazioni future. In questo si inserisce il cibo buono, che vuol dire tutelare anche l’agricoltura”.

A tal fine vanno salvaguardati i piccoli borghi nei quali “c’è bisogno di comunità sostenibili e anche responsabili per le quali accoglienza e solidarietà fanno parte della cultura e delle tradizioni”.  Ponendosi nell’ottica personale e individuale, sostiene che “è necessario un atteggiamento olistico, sistemico, che contemperi percezione sensoriale e azioni fisiche nelle azioni quotidiane, ‘mens sana in corpore sano'”.  

C’è da fare i conti con le innovazioni più invasive: “Va cercato l’equilibrio tra lo strumento digitale e la dimensione fisica e multisensoriale contro le patologie da ‘pigrizia telematica’ verso le quali per fortuna negli ultimi dieci anni è emersa una forte ‘resilienza’”.

La conclusione ci riporta alla visione complessiva dell’Italia che, nonostante le ingiurie subite per mano dell’uomo, mantiene un’immagine quanto mai positiva nel mondo, e al riguardo si citano i risultati di un’indagine del 2017: “L’Italia è sinonimo di ‘qualità della vita’ (concetto poliedrico   relativo ai luoghi, al cibo, alla cultura) di creatività, inventiva e atteggiamento inclusivo nel rispetto dell’altro, l’immagine percepita del Bel Paese è positiva per la cucina, il patrimonio artistico, la moda”.

Un commento finale

Il nostro commento finale è che se la percezione è quella molto positiva appena riportata, non resta che tradurla in flussi turistici all’altezza delle eccellenze di cui fanno parte i piccoli borghi distribuiti sul territorio con le loro attrattive incomparabili,  i quali rappresentano una filiera da promuovere con strumenti adeguati che si aggiunge a quelle delle città d’arte e delle riviere marittime.

L'”anno dei borghi” del 2017 non deve restare come segnale di attenzione isolato, ma rappresentare l’avvio di una politica attiva che si avvalga di tutti i mezzi, partcolarmente penetranti e innovativi,  e di risorse adeguate per rivitalizzarli e renderli attrattivi sui circuiti turistici nazionali e internazionali.

Tale politica deve mettere in atto anche adeguate contromisure per lo spopolamento che non significa abbandono – perché i “fuorusciti” per necessità  restano legati al “natio borgo selvaggio” – ma può privare i luoghi dei servizi necessari da garantire assolutamente per i visitatori, in modo che non si limitino a un turismo “mordi e fuggi”, ma tornino alle antiche e nobili abitudini della “villeggiatura”. 

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