Eco e Narciso, 1. La mostra nelle sale recuperate, le prime 7, a Palazzo Barberini

di Romano Maria Levante

L’apertura al pubblico di 11 sale recuperate con 750 metri di nuovi spazi espositivi, nel Palazzo Barberini viene celebrata con la mostra “Eco e Narciso. Ritratto e autoritratto nelle collezioni del MAXXI e nelle Gallerie Nazionali Barberini Corsini” Esposte, dal 18 maggio al 28 ottobre 2018: in tali sale,  e in altre 2 aggiunte per l’occasione,  più un “richiamo” al MAXXI, 37 opere, 17 di arte antica e 18 di arte contemporanea, con 25 artisti, tra cui Pietro da Corona, Caravaggio e Raffaello per gli antichi,  Ontani, Paolini e Serra tra i moderni. Curatori di eccezione la direttrice delle gallerie nazionali Flaminia Gennari Sartori e il direttore  del MAXXI Arte Bartolomeo Pietromarchi. 

La presentazione della mostra, al centro la direttrice delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica,  Flaminia Gennari Sartori, alla sua sin. Giovanna Melandri, presidente del MAXXI, alla sua dx Bartolomeo Pietromarchi, direttore del MAXXI Arte; alla parete “Giovanni XXII” e “Mao Tse Tung,”, tra i due dipinti  il busto di papa Urbano VIII di Lorenzo Bernini

Nella strategia della direzione della Gallerie Nazionali di Arte Antica la mostra si inserisce con una ulteriore carica evocativa, trattandosi di celebrare il recupero, per aprirle alla fruizione del pubblico, di 11 sale dello storico Palazzo Barberini,  cui se ne aggiungono 3, reintegrate negli spazi accessibili dal pubblico,  presentando in ciascuna sala una accoppiata di opere antiche e contemporanee che dialogano tra loro, facendosi reciprocamente eco e specchiandosi come Narciso.

Il tema è il Ritratto come assertore di identità fino all’autoritratto,  metafora  che la presentazione definisce “declinata nelle sue innumerevoli sfumature dal potere all’erotismo, dall’intimo all’esotico, dalla temporalità alla spiritualità, dal concettuale al grottesco”. Viene evocata la figura dell’artista “allo stesso tempo Narciso ed Eco, condannato  a inseguire un’immagine, un riflesso, un’illusione”. E quella del visitatore, nella “temporalità” in cui, per la Gennari Sartori,  il tempo ha “una durata reale, una fruizione dinamica” mentre, per Pietromarchi, “è movimento, unisce e divide”. La mostra” fa  reagire il tempo e lo spazio delle immagini con il tempo e lo spazio reali”.     

Luigi Ontani, “Le Ore”, 1975, particolare, 2 delle 24 gigantografie  

L’arte nelle sale  recuperate attraverso il  dialogo tra opere antiche e contemporanee

Parlando del tempo non possiamo non manifestare il più vivo stupore, per usare un eufemismo trattandosi di sconcerto, per i decenni nei quali le 11 sale sono state sottratte alla loro destinazione naturale di spazi espositivi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica particolarmente qualificati per il loro valore storico e per i pregi artistici e Ambientali;  stupore, sconcerto che diventano indignazione dinanzi a una sottrazione tanto più assurda se si pone a mente che fanno parte dell’edificio acquistato dallo Stato italiano nel 1949 e subito adibito a sede delle Gallerie Nazionali, a seguito della fondazione, che risale al 1895, del museo come Pinacoteca nazionale.  E allora perché questa mutilazione nell’impiego per la destinazione istituzionale?

La risposta è nota quanto insoddisfacente. All’atto dell’acquisto parte del palazzo era adibita a sede del  Circolo Ufficiali delle Forze Armate, quindi facente capo a un’altra amministrazione dello Stato;  ciononostante,  prima del recupero da una occupazione impropria pur se legittimata da un contratto di affitto, sono trascorsi 70 anni  nei quali le 11 sale sono state sottratte alla fruizione pubblica. Se oltre al danno erariale sanzionato dalle sentenze della Corte dei Conti  fosse possibile perseguire il danno culturale si dovrebbe solo identificare il responsabile, il danno è evidente. 

Pietro da Cortona, “Trionfo della Divina Provvidenza” , 1632-39, affresco del soffitto della sala

Proprio per questo ci è sembrata molto appropriata la celebrazione della loro riapertura al pubblico con una mostra tematica che segna un’altra apertura, questa volta culturale: l’apertura al dialogo tra arte antica e contemporanea, per di più con un confronto tematico stringente.  Un dialogo non solo virtuale, tra le opere esposte nelle sale che declinano il tema in chiave antica e moderna, ma effettivamente svolto tra la direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, la Gennari Sartori, e il Direttore Arte del Maxxi, il Museo nazionale d’arte del XXI secolo,  Pietromarchi, contenuto in una preziosa presentazione nella quale all’elevato livello culturale si aggiunge l’appassionata immedesimazione dei due alti esponenti nell’incontro tra Eco e Narciso.

Sala dopo sala si dispiega un racconto affascinante delle motivazioni che hanno portato agli accostamenti tra opere antiche e contemporanee e le rispettive sale di specifica esposizione, ciascuna con una peculiarità su cui si è soffermata l’attenzione per la collocazione  più appropriata..Si va dalla sale di rappresentanza, quali la sala del Trono e le due sale dell’Udienza del Cardinale, a quelle private quali la sala Cappellina e la sala Giapponese, o delle Cineserie, la sala dei Marmi o “Camerone delle Commedie”, la Residenza d’inverno  con la Camera da letto, e la Residenza d’estate, con la sala Ovale e la sala dei Paesaggi, fino alla scala elicoidale di Francesco Borromini che completerà il percorso di visita con inizio nello scalone di Gian Lorenzo Bernini.  

Giulio Paolini, “Eco nel vuoto”, 2018  

Le prime 4 sale, dalla Sala del Trono alla Sala delle cineserie

Si inizia con la  Sala 1, il Salone Pietro da Cortona  in cui la grande volta affrescale dall’artista cui è intitolato la vastissima stanza di rappresentanza, una esaltazione narcisistica quanto mai spettacolare dei Barberini, dialoga con un successione di gigantografie  di Luigi Ontani, un’eco ripetuta che è anche lo specchio moltiplicato in cui si riflette l’artista come se rimirasse di continuo la propria immagine. in modo altrettanto narcisistico.

Tra le due opere è una gara di grandiosità, anche se i 500 metri quadri dell’affresco “Trionfo della Divna Provvidenza”, di Pietro da Corona, 1632-39, sono incomparabili, ricordiamo che la parete di fondo ospitò l’immenso “Sipario” di Picasso “a latere” della mostra alle Scuderie del Quirinale, con ilo riflesso teatrale della volta affrescata.  A fronte di questa iperbolica estensione manca ogni ritratto del soggetto a cui l’intera rappresentazione è dedicata, con l’esaltazione delle virtù attraverso eventi del mito e della storia,  il pontefice Urbano VIII Barberini, evocato dalle tre enormi api della famiglia, le chiavi e la tiara papale. “In absentia del pontefice c’è tutto tranne la sua stessa immagine”, osserva la Gennari Sartori.

Apparentemente  abbiamo l’opposto in  “Le Ore” di Luigi Ontani, 1975,24 grandi ritratti  riferiti alle singole ore della giornata dell’autore che, ricorda Pietromarchi  “è per definizione il Narciso contemporaneo. In tutta la sua opera ha sempre interpretato e ritrovato se stesso nei temi e nelle figure storiche, mitologiche, simboliche della storia dell’arte”, e lo abbiamo visto nella mostra celebrativa all’Accademia di San Luca.  Di certo, oltre al tema dell’identità evoca il mascheramento, pur nell’auto rappresentazione, ma ci sembra che ciò si avverte anche nel grande affresco, nel “Trionfo della Divina Provvidenza” c’è,  mascherato ma non troppo, il trionfo della famiglia Barberini nel suo massimo esponente divenuto papa. 

Maria Lai, “Libri cuciti” 

Nella Sala 2, la Sala Ovale,  l’eco ideale è tra ii “Narciso” caravaggesco e un’installazione di Giulio Paolini che con il linguaggio dell’arte contemporanea ne evoca la vicenda. Questo avviene in un ambiente barocco dalla pianta ellittica, in cui la centralità è unita al movimento, dove si riunivano i letterati più vicini al cardinale Antonio Barberini, i cosiddetti “Purpurei Cygni”. Luogo, quindi, di riflessione, che è stato considerato dalla Gennari Sartori “spazio ideale per esporre il ‘Narciso’ di Caravaggio (o chi per lui), che della ‘riflessione’, fisica e psichica, è la perfetta icona cui fa eco, e propriamente, l’installazione di Giulio Paolini,Eco nel vuoto”, 2018.

Paolini ha sentito il tema dell’identità personale, e del rapporto tra chi guarda e chi è guardato, ricordiamo al riguardo una sua mostra al Palazzo Esposzioni, parallela alla mostra del 2010, “De Chirico e la natura”, in cui evidenziava in modo suggestivo il progressivo avvicinamento del pubblico all'”Autoritratto” di de Chirico seminudo.  La sua installazione, posta al centro della sala, viene così descritta da Pietromarchi: “La figura di narciso è presente solo attraverso frammenti dispersi, mentre Eco precipita dall’alto della roccia in cui è destinata a trasformarsi. Evanescente come il riflesso delle acque della fonte, l’eco si disperde in un gioco illusorio di rifrazioni”.  Evanescenza anche nel “Narciso” di Caravggio, precisa la Gennari Sartori, “il vuoto sta al centro del quadro, così Narciso si specchia nel nulla, nel nulla di sé stesso,, che è soltanto un’ombra, un abisso su cui sprofondare”.  

Luca Giordano, “Ritratto di filosofo”, 1660

Si passa alla  Sala 3, laSala dei Paesaggic, che nel 1859 era la sala da pranzo del piano nobile,  Enrico Barberini la fece decorare dal pittore Filippo Cretoni, “Bisbigli”, “Il viaggiatore astrale”, “Terra”,tra il 1984 e il 1996, colonne, festoni e immagini dei feudi di famiglia, tra cui quello di Palestrina che risaliva al 1600, memorie  di una passata potenza, ormai  in declino, quasi ad evocare una continuità ideale. Il fatto che non sia stata restaurata e gli affreschi sono sbiaditi, fa toccare con mano l’altalena della storia, dall’opulenza alla decadenza. “Qui il paesaggio, per la Gennari Sartori, non è spazio indeterminato, ma qualcosa di vissuto ne legato a un’identità storica e narrativa. Qualcosa che deve esse letto, raccontato e ricordato, nell’evocazione emotiva e pesino letteraria”, ed è la testimonianza dell'”antico” nell’eco e nel riflesso di narciso con la contemporaneità, nella prospettiva dell’identità..

Questa si manifesta nei “Libri cuciti” di Maria Lai, esposti nella sala, opere di un’artista di un piccolo paese della Sardegna, “una sorta di diario – secondo Pietromarchi – dove non ci sono parole, ma solo linee che rappresentano lo scorrere del tempo e insieme, di pagina in pagina, disegnano paesaggi. Paesaggi intimi e personali, che fanno da contraltare a quelli, più aulici e retorici, dipinti qui sulle pareti”, appena citati: gli uni e gli altri con “una spiccata dimensione autobiografica”, e la capacità di “costruire senso e identità”..  

Hans Holbein, “Enrico VIII“, 1540-46 

Una identità ben diversa nella Sala 4, la  Sala delle Cineserie  decorata nell’800 con motivi che richiamano il Japanismo, molto in voga in quegli anni. Identità esteriormente deforme, intimamente nobile, si tratta del “Ritratto di filosofo”, 1660,  di Luca Giordano, forse Cratete, del IV-III sec. a. C., che rinunciò  ai suoi beni per vivere come un mendicante, e trovò l’amore della giovane filosofa Ipparchia la quale abbandonò agi e mondanità per seguirlo. Come nelle opere di de Ribeira, nota la Gennari Sartori, “si scontrano spietato realismo e nobiltà intellettuale”,  e a livello artistico, tra “esasperazione ritrattistica e analisi psicologica”. In definitiva è “un’esplorazione impietosa della realtà, che mette in gioco la problematica connessione tra apparenza esteriore, corporeità, conformismo sociale, modelli e interiorità”. Vi erano molti pregiudizi sull’aspetto esteriore, al punto che Montaigne non si aveva pace per la bruttezza di Socrate e Della Porta scriveva nella “Fisionomia dell’Huomo” che era “un assioma vecchio e approvato” la convinzione che “chi è mostro nel corpo è ancor mostro nell’anima”. 

L’eco contemporaneo di questa problematica lo troviamo nei “Ritratto di Luisi”, 2018,  di Markus  Schinwald, che interviene su immagini esistenti modificandole con delle protesi, che le deformano trasformandone l’aspetto psicologico. Pietromarchi collega il tema delle bruttezza e deformità allo stesso Narciso  ricordando che “mentre cerca di  afferrare la propria immagine increspa l’acqua e rende così il riflesso immediatamente irriconoscibile”.. In questi ritratti, invece, “la deformazione ha una valenza esplicitamente psicologica e contamina gli aspetti sociali dell’autorappresentazione”. 

Richard Serra, “Melville”, 2009 

L’Appartamento d’estate

Dopo le prime 4 sale, le 2 sale successive, aperte verso il giardino,  costituiscono l”Appartamento d’estate,  nella prima il Cardinale Barberini teneva le  udienze estive sotto un baldacchino bordato d’oro, la seconda la utilizzava come  camera da letto. Quindi  avevano una doppia valenza, pubblica e privata e, per questo motivo nelle 2 sale sono esposti ritratti antichi e contemporanei che esprimono  la “proiezione” all’esterno della personalità di personaggi con ruoli pubblici, ufficiali. .

Nella Sala 5, la Sala delle Udienze, non potevano che andare i ritratti del potere, entrambi dipinti tra  il 1540 e il 1546: il potere sovrano con il ritratto di “Enrico VIII” di  Hans Holbein, che nel suo aspetto ieratico e severo diventa “un’icona politica  e quasi religiosa” essendo il re capo anche della chiesa d’Inghilterra; e il potere    militare con il ritratto di ” Stefano IV Colonna,”, 1546, del Bronzino,  Agnolo di Cosimo, condottiero che combatté per il papa e per i francesi, per i fiorentini e per gli Absburgo, la cui figura sembra proiettare in una dimensione storica, come lo furono le sue imprese. Esprimono con la massima evidenza il potere,  nel loro atteggiamento, nella positura e nelle uniformi indossate, da regnante l’uno, con gli ornamenti regali, da condottiero l’altro con l’armatura. I due artisti, hanno in comune,  nota la Gennari Sartori, “una straordinaria capacità di sintetizzare un’accuratezza fisognomica e caratteriale,  e una purezza compositiva essenziale”. E non si tratta  soltanto di aspetti strettamente personalii: “Nelle loro immagini vediamo l’uomo, ma vediamo anche, immediatamente, il personaggio storico, il sovrano, il condottiero”. E ancora più esplicitamente: “E’ il ritratto di stato, il ritratto dinastico, con le sue insegne, i suoi simboli, i  suoi titoli”. 


Carluccio Napoletano, “Battaglia di Costantino a Massenzio” 

L’eco della contemporaneità lo troviamo nella Sala 6‘, in cui il “privato” della Camera da letto fa da  contrappunto al  carattere pubblico della precedente sala delle udienze, anche perché vi venivano raccolti gli oggetti  cui si teneva in modo particolare. Per questo motivo sono esposte due opere dello scultore americano  Richard Serra ,  “Butor” e “Melville”, 2009, per la loro importanza nella formazione intellettuale dell’artista, come fossero libri degli autori preferiti sul comodino della camera da letto.  Ma non sono ritratti di tipo tradizionale, come i due precedenti, l’identificazione avviene solo nel titolo che si incorpora nell’opera al pari dei libri, così, precisa Pietromarchi, “il problema dell’identità diventa una questione di titoli, di nomi, di personalità dichiarate”,  peraltro presenti anche nei due ritratti cinquecenteschi pur nella loro evidenza figurativa. Che manca totalmente nelle due opere di Serra, un cerchio e un riquadro nero e, nelle parole di Pietromarchi, “una macchia nera , come l’inchiostro con cui lo scrittore ricopre scrivendo la carta  e che, come l’artista, confonde e cancella  senza sosta la propria stessa traccia”. Lo specchio di Narciso non riflette alcuna immagine, anzi la assorbe e la annulla, spegnendone anche ogni eco  intellegibile.

La Sala del Trono e la Cappella 

Anche qui  due valenze contrapposte, la vasta e lussuosa Sala del Trono, che divide l’Appartamento d’estate da quello  d’inverno, si apre sul “ponte  riunante” del Bernini, e l’intima e raccolta Cappella privata.  

Nella Sala 5, la Sala del Trono, con un monumentale lampadario e il “quadrone” , copia dell’affresco di Giulio Romano in Vaticano,  di Carluccio Napoletano“Battaglia di Costantino e Massenzio”,  ci sono  le grandi tele del XVI sec., di Giovanni Francesco Romanelli, “Nozze di Bacco e Arianna”, e dell’allievo Giuseppe Belloni, “Nozze di Peleo e Teti”,  commissionate dai Barberini, dove sono protagoniste mitiche figure di donne. 

 Shirin Neshat, “Illusions & Mirrrors”, 2013  

E’ l’ambiente adatto per esprimere il punto di vista femminile, attraverso l’opera contemporanea dell’artista iraniano Shirin Neshat, “Illusions & Mirrrors”, 2013:  un video di 12 minuta, che fa parte di una trilogia di tema analogo, proiettato su un grande schermo cinematografico, “sull’idea dell’emancipazione femminile”, afferma Pietromarchi, non solo rispetto alla cultura di origine, ma “in un senso più universale. La protagonista, interpretata da Natalie Portman, afferma Pietromarchi, si muove in una dimensione tra l’onirico e il surreale, tra illusioni e rispecchiamenti, e insegue i suoi fantasmi, fra uomini che fuggono e familiari che appaiono, fino alla scena finale in cui compare la figura della madre”.  

Nella Sala , 6  la Cappella, l’opera antica è di tutt’altro carattere, anche se è riferita alla ribellione femminile, che esalta e va oltre  l’emancipazione. Si tratta del “Ritratto di Beatrice Cenci”, 1599, definito nel 1835 dal giornalista americano Willis  “il più celebre capolavoro” di Palazzo Barberini,  che viene  attribuito a Guido Reni,  anzi secondo la romantica ricostruzione di autori ottocenteschi, da Shelley ad Hawthorne, da Dickens a Stendhal, la sua immagine sarebbe stata ripresa in carcere la notte prima del patibolo o addirittura mentre vi veniva portata.  Il quadro divenne un’icona  romantica, per la presa della tragica storia della giovane donna,  vittima di  abusi e violenze dal padre dispotico, che ebbe la forza di ribellarsi alle sopraffazioni fino all’uccisione del tiranno, con madre e fratello, e la sua decapitazione dopo la condanna a morte del tribunale pontificio. La Gennari Sartori, ricordando gli autori che l’hanno esaltata, dice che “in questa prospettiva ‘mitica’ Beatrice diventa l’ ‘angelo caduto, senza peccato’, come scrive Hawthorne, icona archetipa dell’innocenza morale sopraffatta dalla colpevolezza legale”.

E Pietromarchi collega la sua tragica sorte alle “punizioni sproporzionate che gli dei infliggono ai due personaggi e li condannano entrambi alla consunzione e alla perdita”, Eco e Narciso che diventano così “figure universali di un’ansia irrisolta”. L’ansia nella tragedia  di Beatrice e l’ansia nel surreale onirico della protagonista del video iraniano; un’ansia che tornerà in forme e contenuti diversi, nelle 8 sale successive. Ne parleremo prossimamente.  

Giovanni Francesco Romanelli, “Nozze di Bacco e Arianna” , 1640-60

Info

Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13, Da martedì a domenica ore 8,30-19,00, la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 6; biglietto valido per 10 giorni nelle due sedi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini; gratuito under 18 anni e particolari categorie.  www.barberinicorsini.org; comunicazione@barberinicorsini.org;; MAXXI, via Guido Reni, 4A. Da martedì a domenica ore 11-19, il sabato fino alle 22, la biglietteria chiude un’ora prima, Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 9  anni 14-25, gruppi e particolari categorie. www.maxxxi.art.it, tel. 06.83549019. Il secondo e ultimo articolo sulla mostra uscirà in questo sito il 30 settembre 2018.       

Foto

Le immagini sono state  riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra, si ringrazia la direzione , con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, La presentazione della mostra, al centro la direttrice delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica,  Flaminia Gennari Sartori, alla sua sin. Giovanna Melandri, presidente del MAXXI, alla sua dx Bartolomeo Pietromarchi, direttore del MAXXI Arte; alla parete “Giovanni XXII” e “Mao Tse Tung,”, tra i due dipinti  il busto di papa Urbano VIII di Lorenzo Bernini; seguono, Luigi Ontani, “Le Ore”, 1975, e Pietro da Cortona, “Trionfo della Divina Provvidenza” ,1632-39, affresco del soffitto della sala; poi, Giulio Paolini, “Eco nel vuoto”, 2018, e Maria Lai, “Libri cuciti”;  quindi,  Luca Giordano, “Ritratto di filosofo”, 1660, e Hans Holbein, “Enrico VIII“, 1540-46: inoltre, Richard Serra, “Melville”, 2009, e  Carluccio Napoletano, “Battaglia di Costantino e Massenzio”; infine,  Shirin Neshat, “Illusions & Mirrrors”, 2013, e Giovan Francesco Romanelli, “Nozze di Bacco e Arianna”,  1640-60; in chiusura,  Guido Reni, “Ritratto di Beatrice Cenci, 1599.

Guido Reni, “Ritratto di Beatrice Cenci”, 1599