Ceccotti, la “finestra sul cortile” e il “rebus” nella pittura, al Palazzo Esposizioni

di Romano Maria Levante 

La mostra “Sergio Ceccotti, Il romanzo della pittura 2958-2018” presenta dall’11 settembre al 14 ottobre 2018 al Palazzo Esposizioni un’antologica di mezzo secolo di pittura dell’artista romano accostato all’americano Hopper per il suo sguardo “dall’interno” e “nell’interno” delle abitazioni in una vita quotidiana  declinata in modo molto diverso. Sono oltre 40 dipinti n nei quali si sente l’influsso del cinema e del fumetto, della fotografia e perfino del rebus enigmistico, quindi intriganti sotto il profilo compositivo e inquietanti per come sollecitano l’inconscio con i loro effetti psicologici. Curata, come il catalogo  di Carlo Cambi Editore, da Cesare Biasini Selvaggi. 

“Le 4 età della vita” (polittico), 1969, con l’artista Sergio Ceccott

“Il romanzo della pittura” evoca  l’opera di un artista sulla scena da mezzo secolo con una impressionante continuità di stile e di contenuti. E’ una continuità arricchita da molte innovazioni tradotte nel suo stile personalissimo, perciò possono anche sfuggire, tanto sono metabolizzate. 

Si notano via via i segni delle tanti correnti, anche di avanguardia, che hanno movimentato la seconda metà del ‘900, anche perché la sua formazione artistica è stata rigorosa pur se da autodidatta che ha frequentato corsi prestigiosi: come quello del 1956 e 1957 a Salisburgo diretto da Oskar Kokoscha, e  i successivi a Roma all’Accademia di Francia,  con viaggi ripetuti in Austria e in Germania a contatto con i maestri dell’espressionismo, da Otto Dix a Ludwig Meidner. 

Scena notturna”,  1968 

Ricostruisce il suo percorso il curatore Cesare Biasini Selvaggi  iniziando con le suggestioni cubiste delle prime opere,  l’artista espone già nel 1955 alla I Mostra Nazionale d’Arte Giovanile tenuta al Palazzo delle Esposizioni di Roma,  la prima personale è del 1960 alla galleria romana “L’Albatro”.  Ma non solo influenza dei cubisti, viene vista anche quella degli oggettivisti americani  e italiani.

Fin dall’inizio emerge soprattutto un dato costante della sua visione, “la rappresentazione simultanea e bidimensionale di interni ed esterni, l’uso dei primi piani che rivelano i rapporti – per analogia e per contrasto – tra il circoscritto ambiente della vita individuale e  le forme oggettive della vita sociale”, così  Duilio Morosini citato dal  curatore che riporta anche il giudizio di Lorenza Trucchi: “L’uomo è sempre presente nei suoi quadri attraverso  un selezionato inventario di  oggetti semplici e familiari, a tal punto che le sue nature morte sono spesso dei gustosi autoritratti”. 

Da sin. in basso, “Le 4 stagioni”, autunno ed estate 1975, inverno 1976, primavera 1979

Questo per il contenuto, sugli influssi artistici che hanno alimentato il suo percorso cinquantennale vale il giudizio di Mino Maccari: “E’ facile identificare in questa pittura varie e quasi opposte influenze che senza comprimerlo aiutano il  Ceccotti nella vocazione del racconto”. E in modo più esplicito: “Non sono dunque subite passivamente: temperate da un’attenta facoltà critica, denunziate con lealtà e talvolta non senza ironia”.  Si va dalla Metafisica dechirichiana all’Espressionismo tedesco, dal  Simbolismo al Realismo magico, dall’Oggettivismo alla Pop Art  nella rappresentazione urbana.  

Ma non si è mai allontanato dal figurativo, o dalla figurazione, resistendo alle sirene delle avanguardie, come fece Renato Guttuso, e come lui ha visto  alcuni esponenti della Nuova scuola romana riavvicinarsi dopo tante polemiche nel loro “ritorno alla pittura”.  Il riferimento a Guttuso non deve essere, però, equivocato in quanto nel realismo di Ceccotti non c’è quella connotazione per così dire ideologica, che alimentò le accese polemiche  del tempo, in lui nessuna denuncia e nessun intento “politico”  ma uno sguardo curioso quanto neutrale e indifferente.    

Dall’alto, “Ricordo d’Olanda” 1959, con “Lettere e orologio” 1960 

Nel 1986 c’è stato addirittura un suo “sodalizio elettivo” con artisti di varie tendenze  accomunati dal “ritorno alla pittura”, e negli anni ’90 ebbe, ricorda il curatore, “il tardivo riconoscimento alla sua ricerca, che è additata come antesignana della vague pittorica corrente, sospesa tra contaminazioni linguistiche , in un rinnovato melting pot “, di tipo mediale, “fondato cioè su una trama fittissima  di riferimenti meticciati a tutti i principali campi dell’espressione visiva, immersa in un’atmosfera urbana noir dei nuovo domini, dei nuovi misteri dell’insolito contemporaneo”. 

Il processo creativo,  dagli stimoli all’espressione artistica  

Ma entriamo ancora di più nel suo processo creativo partendo dagli stimoli, premettendo che Maccari ha definito i suoi disegni  “testimonianze dirette e immediate d’intelligenza e di sensibilità”, fino ad invitarlo a esporre i taccuini che, precisa il curatore, sono  40 realizzati negli anni ’60.  Non sono stati esposti, ma il disegno è rimasto alla base  del processo pittorico che inizia con il tratto dei contorni e l’abbozzo a matita sulla tela, prima a matita poi ripassato in china.   

“Elegia”,  1974

Gli influssi metabolizzati da Ceccotti non sono soltanto quelli delle altre correnti pittoriche, come avviene di solito. Nella sua figurazione confluiscono, e sin dall’inizio, altri stimoli: gli strumenti tipici dei mass media, i fumetti e il cinema, inoltre la fotografia e perfino il “rebus”, il ben noto gioco enigmistico, e su questi vogliamo soffermarci in modo particolare.

Il Fumetto aveva già influenzato la Pop Art con  Roy  Lichtenstein , ma in quel caso si è trattato di gigantografie dei volti dei personaggi più in voga, e con le “icone” di Warhol,   Marylin Monroe ed Elizabeth Taylor  in primis, anche per lui volti in primo piano. Il nostro artista, invece, prende del fumetto la sequenza narrativa,  per cui le sue composizioni ne sembrano la trasposizione pittorica: “Nell’inquadratura del fumetto – ha detto lui stesso –  c’è sempre il massimo della concentrazione narrativa nel minimo spazio. Questo è avvenuto sia inconsciamente, sia coscientemente quando ho cominciato a fare dei quadri riferibili al fumetto”. 

Notturno, rio dei Mendicanti” , 1990 

Ma c’è ben altro, non soltanto la sinteticità,  secondo Di Genova l’atmosfera  del quadro  addirittura  “si sintonizza sullo  spirito giallo del fumetto cui si ispira…  nelle strade e negli appartamenti piccolo-borghesi ricrea, con un’ottica da realismo tedesco, un’atmosfera di suspense, intrisa contemporaneamente di romanticismo e di kitsch”.

Dal Cinema ha desunto le peculiari inquadrature, dall’illuminazione delle zone di maggiore interesse ai primi piani, agli sfondi e alle angolature da veri e propri movimenti della macchina per la ripresa cinematografica; nonché la tensione drammatica, il clima di attesa e di suspense  caratteristico dei film polizieschi. Anzi,  un film riflette fedelmente l’ottica peculiare di Ciccotti, cioè lo sguardo dall’esterno verso gli interni delle abitazioni, “La finestra sul cortile” di Alfred Hitchock  in cui addirittura dall’occhiata indiscreta nasce la scoperta di un delitto.  Ebbene, in  “Un delitto” 1967  di Ciccotti, esposto, si vede una piccola finestra illuminata con l’assassino mentre pugnala la vittima”, ricordiamo un’immagine dello stesso tipo in “Psyco” dello stesso regista.  

“Sera al Pigneto”,  2014

Le scene che si presentano nei dipinti dell’artista pongono degli interrogativi, tutto potrebbe essere avvenuto o potrebbe avvenire in quegli ambienti  raffigurati nei dettagli, non si sa quali sono decisivi e quali banali. Anche la  compresenza di momenti, importanti e vacui,  ha radici cinematografiche,

E la Fotografia? La tecnica fotografica entra in molte sue inquadrature pittoriche, tanto che organizzò nella galleria-Libreria Pan di Roma la mostra “24 fotografie di un pittore”,  quasi per documentarne l’importanza nella sua espressione artistica. Il curatore, nel sottolineare questo aspetto, cita la presentazione di Filiberto Menna a tale mostra come illuminante: “Il combattimento per un’immagine, che pittura e fotografia hanno ingaggiato  nell’opera di Ceccotti, si presenta come un serrato gioco dialettico in cui uno dei due termini assume, di volta in volta, il ruolo di fattore di profondità o di superficie”. 

“Solstizio d’estate”, 2017  

Biasini Selvaggi commenta a sua volta: “L’oggettività fotografica e l’oggettività pittorica procedono, pertanto, nell’artista  romano di pari passo. E si tratta di una oggettività immersa in una dimensione metafisica  tutt’altro che laica e caricata di simboli e suggestioni liriche”. In effetti, in molti suoi quadri l’angolo dal quale sono “riprese” le immagini non è quello normale ma assume posizioni inconsuete, o a livello del pavimento oppure dietro a un riparo, come se si trattasse di un “paparazzo” che cerca di carpire, stavamo per dire rubare, non visto,  immagini “private”.

Fagiolo dell’Arco vi trova “la convivenza tra vicino e lontano, guardato e immaginato, veduta e visione. Un accorto equilibrio tra la fotografia che diventa quadro e il quadro che diventa fotografia”.  Se tutto questo può sembrare aulico, un’altra contiguità ci riporta  con i piedi per terra, ed è ancora più inconsueta, quella con il rebus enigmistico. Riguarda le sue composizioni in cui spesso sono accomunati elementi eterogenei, la cui compresenza non ha giustificazioni razionali. 

Canzone notturna”, 2012 

Così l’artista  spiega gli  stimoli ricevuti dai Rebus con i loro disegni enigmistici: “Il mio interesse per questi disegni non nasceva da una grande passione per i rebus, anche se mi diverte risolverli, ma dal fascino che quelle scene emanavano … gli accostamenti di oggetti incongrui, ingrediente principale di ogni rebus, non producono qui un effetto disturbante di tipo surrealista, ma sono tranquillamente assorbiti dalla scena generale, come se in quel mondo fosse naturale che un ragazzo lotti con un serpente tra l’indifferenza  di altri personaggi che contemplano le barche sul fiume, mentre su una pietra in primo piano una teiera e una tazza attendono, accanto a due grossi coltelli”.

E dopo aver assorbito e metabolizzato stimoli così eterogenei, come scatta la scintilla creativa ?  “Io dipingo ciò che devo, non ciò che voglio -. rivela l’artista – Quando mi trovo davanti a una tela bianca l’opera comincia a delinearsi  come per induzione di una forza a me sconosciuta, inconoscibile tuttavia immanente”. Con questo risultato: “L’immagine è, pertanto, la traduzione  che deve confluire su un a superficie piana in un gioco di forme e di colori”. 

“Guardando le stelle”, 2005

Il curatore lo  raffronta a de Chirico, in cui “l’inquietudine metafisica è generata dall’accostamento a-logico di oggetti, talvolta comuni, spesso extra-ordinem ” e a Magritte  che “preferisce le cose normali della quotidianità borghese assurdamente sovrapposte o misteriosamente riprodotte” con spostamenti inspiegabili . “A ciò corrisponde, invece, la disarmante normalità delle immagini di Ceccotti, in cui nulla appare fuori posto, ma in cui di lì a poco tutto potrebbe accadere”.

Nasce, quindi, non un’inquietudine di tipo metafisico – l’alienazione di piccole figure in vasti spazi assolati – ma una “suspense” di tipo emotivo, proprio per la figurazione definita “controcorrente” che si apre dinanzi all’osservatore.  L’inquadratura fotografica di chi carpisce l’intimità si aggiunge alla compresenza di oggetti illogici, in un clima di attesa, così definito da Alberto Abate: “Il tempo rimane sospeso tra il ‘non avvenuto’ e la minaccia inesprimibile di qualcosa che deve ancora avvenire; il passato ha cessato di essere e il futuro ancora non esiste, rimane il presente eternamente immobile”.

“La signora X e l’uomo invisibile”, 1981 

Viene anche paragonato a un “voyeur ” che scruta  – e inquieta per la stessa azione dello spiare – ciò che avviene nelle strade e soprattutto nelle case con in sé qualcosa di maniacale: come lo è la certosina cura dei dettagli quasi si fosse sulla scena di un delitto in cui gli elementi più insignificanti possono assumere un’importanza impensabile. “Anche un insignificante utensile da cucina – osserva il curatore – può cominciare, allora a farci paura, assumendo una valenza che prima non aveva”. Sfugge, infatti, alla nostra illusoria comprensione”. Biasini Selvaggi ne fa discendere considerazioni di ordine psicologico che fanno entrare ancora di più nel clima creato dai dipinti di Ceccotti: “Non è questo, forse, che si chiede all’Arte?  Aiutarci a meditare sul mistero dell’esistenza? Aiutarci a cogliere i rapporti segreti e invisibili intessuti intorno a noi o dentro di noi?”

Come questo avvenga è ancora più intrigante: “Il metodo di Ceccotti rappresenta insomma l’alter ego pittorico delle macchie di Rorshach in psicologia: è un sofisticato strumento d’indagine della personalità, il cui scopo è quello di far affiorare nello spettatore emozioni inconsce, conflitti interiori attraverso la stimolazione visiva degli spazi (interni o esterni) inscenati sulla tela”. Verifichiamo ora nella pratica questo meccanismo psicanalitico  osservando le opere esposte nella mostra..

“Accanto al fuoco”, 2010 

Le opere in mostra, da intriganti a inquietanti

Raggruppiamo i dipinti per i due tipi di inquadrature e di contenuti, quelle in esterno e quelle in interno, a parte le composizioni che in varia misura con i loro elementi eterogenei ricordano i rebus enigmistici,  come “Al bar II” 1962 e “Avventura e mistero” 1966, “Scena notturna” 1968 e “Ricordo d’Olanda”  1959 con “Lettere e orologio” 1960;  fino ai due multipli, il polittico “Le 4 età della vita” (polittico) 1969, e il trittico “Megalopolis” 1972. 

Vediamo una diecina di quadri  in esterno, la maggior parte notturni, nei quali c’è una presenza umana che pone  intriganti interrogativi . Così Stazione di provincia XIII”  1981, non solo il viaggiatore in attesa mentre arriva (o parte?) il treno, ma una cabina telefonica sull’altro marciapiede con una giovane donna al telefono, avverte  che è arrivata, ma se è così il treno sul suo binario è già ripartito, o che altro?  E come mai in “Esterno notte” 1988 c’è una bella donna distesa nel giardino mentre in una finestra si accende una luce?  

“Sonata”, 1998

Le tre minuscole persone  di “Notturno, rio dei Mendicanti” 1990, che conversano nella solitudine più assoluta, cosa faranno tra poco?  Che dire poi delle due figure in primo piano di spalle in “Sera al Pigneto” 2014, dolcemente allacciate, entreranno nel locale di fronte per cenare come le tante persone nei tavolini del giardino o che altro?  E l’automobile che sfreccia a lato del treno davanti al manifesto in “Notturno con Diabolik”  2008, dove andrà nella notte buia mentre un lampione proietta a terra un fascio di luce gialla?  Alla luce diurna notiamo come in “Hiver a Montmartre” 1991  la stagione fredda si manifesta negli alberi spogli senza foglie e ancor più nella desolazione delle strade e nella solitudine della figura col bastone che si dirige verso qualcosa che non si vede, forse la sua abitazione, ma come sarà?

Tre  esterni, diversi tra loro,  suscitano altrettanti interrogativi: “Settembre a Piazza dei Quiriti” 2015 mostra una grande fontana con due edifici, un albero e una strada, ma l’attenzione, e la curiosità sono attirate dalla figura scura  sulla destra che avanza verso l’osservatore con un grosso cane al guinzaglio. In  “Estate a piazzale Flaminio” 2016, è una giovane donna in short a dirigersi verso l’osservatore, mentre ci sembra di sentire picchiare il sole di mezzogiorno, lo si vede dalle ombre corte.  Senso di frescura, invece, in “Solstizio d’estate” 2017, una fontana al centro di uno specchio d’acqua circolare , una donna sulla destra  a mezzo busto che guarda col binocolo verso l’alto l’aereo che sorvola la cortina di alberi di fronte.   

“Combattimento di Tancredi e Clorinda”,1980

Altri due esterni, che non riguardano piazze o giardini pubblici ma le facciate di due case nella notte, ci fanno avvicinare all’intimità degli interni di cui diremo fra poco. Nel primo, “Canzone nottuna” 2012, nel piccolo terrazzo una giovane donna in piedi in abito da sera verde con ampio “decolletè”  canta accompagnata da un chitarrista seduto, grandi pini svettano nel buio dietro l’edificio che ha due finestre illuminate in due piani diversi  Anche il secondo esterno, “Guardando le stelle”  2005, mostra uno scorcio del muro dell’edificio che si innalza su una distesa di acqua percorsa da barche, l’inquadratura è più ravvicinata della precedente, in primo piano una giovane donna nuda fuma una sigaretta, ripresa in piedi tra la persiana e un oblò con luce gialla, chi ci sarà?  

Non è l’unica donna nuda nei dipinti esposti, ce ne sono altre cinque che, ad eccezione del tondo “Estate”, 1975 – sul mare in un campo di nudisti – sono tutte in interni. In “Nudo con apparecchio radio” 1971, la parte superiore di un bel corpo femminile fino alle gambe visto da dietro,   con un rosso tramonto alla finestra;  “La signora X e l’uomo invisibile” 1981, presenta l’inquietante visita di un uomo dalla testa fasciata, lei sorpresa nuda in piedi mentre fuma, lui non si sa come sia entrato, inquietante oltre che intrigante, la più misteriosa. Infatti in “Nu descendant un escalier” 1982, la donna in uno splendido nudo frontale che ne mostra tutta l’avvenenza è giunta alla base di una stretta scala a chiocciola; e in “Plein air” 2001 non è in carne ed ossa ma dipinta nuda su una tela di ambiente marino con un uomo e due bambini. Clima di erotismo o piuttosto “atmosfera di tenero romanticismo”, come la definisce il curatore: “Il suo è, infatti, un erotismo intimo, in qualche modo direi pudico, che vuole cogliere nel rapporto con l’altra, l’armonia e la bellezza”. 

“La robe verte”,  1998 

E quando posa lo sguardo sugli interni delle abitazioni, in qualche caso “sembra quasi in imbarazzo per questa  invasione della privacy altrui”. In “Accanto al fuoco” 2010, la donna “spiata” è seduta sul divano e prende il caffè davanti alla televisione, sola ma con tre cannoli su un vassoio, attende qualcuno?  Anche nel più recente “Un après-midi-parisien” 2017,  è ripresa seduta davanti alla televisione, addirittura mentre aziona il telecomando. Mentre in “Sonata”, che risale al 1998, l’intimità è nel piatto con tazza di caffè e cornetto, oltre al fax, c’è una violinista che suona in piedi davanti al leggio e il pianista che l’accompagna, la scala che porta al piano superiore è l’elemento intrigante. Quasi sempre ci sono finestre quale elemento simbolico dell’apertura all’esterno anche se viste dall’interno in una corrispondenza biunivoca e reversibile.

Senza soggetti, ma quasi sempre con aperture verso l’esterno presentate in vari modi, gli altri interni esposti in mostra, in alcuni si “sente” la presenza che non si vede. In “Combattimento di Tancredi e Clorinda” 1980 sono la tazzina, la bottiglia e la torta sul tavolo dalla tovaglia rosa a far sentire questa presenza, qualcuno deve arrivare o c’è già stato? Sulla sedia lo spartito della musica di Monteverdi che dà il titolo al quadro. Mentre in “Le robe verte” 2008,  il vestito verde sul letto e la porta aperta sul bagno illuminato fanno pensare che c’è qualcuno dentro, la proprietaria del vestito,  sola o in compagnia?  E “Il bagno verde” 1989 è vuoto, ma l’asciugamano, le boccette e il phon sulla sedia indicano che sta per venire, chi? 

“Il tè del pomeriggio”,  1983 

Lo stesso in “Angolo di cucina”  e “Il te del pomeriggio”, entrambi del 1983,  “Musee immaginaire II” 1986 e “Il mare dipinto” 2018, l’ultimo, con il panino smozzicato e la bibita aperta davanti a un quadro sul cavalletto, due quadri a terra, si attende di certo  l’artista che ha smesso momentaneamente di dipingere. E’ come se dovesse arrivare da un momento all’altro per finire lo spuntino.

Con questa immagine di presenza-assenza concludiamo la nostra rassegna della galleria di opere in mostra, non prima di fare un’ultima considerazione che nasce dal fatto che le “incursioni” nel privato delle abitazioni  richiamano quelle di Edward Hopper – come si è accennato in apertura – le cui opere Ceccotti conobbe sin da 1952, a 17 anni. Il curatore vi trova “convergente divergenti” così spiegate: “Quadri, quelli di entrambi, accomunati da un’apparenza realistica, da un naturalismo di ritorno, tuttavia divergenti, inconciliabili nel merito”.  

“Plen air”,  2001  

Ed ecco perché: “Il maestro americano rappresenta sulle sue tele il dramma dell’incomunicabilità, dell’alienazione, della solitudine della società moderna tra assolati diurni urbani pervasi da silenzio. Silenzio che vuol dire assenza di comunicazione”.  Non solamente se la persona è sola,  quindi si collega alla solitudine, anche quando vi sono più persone non si guardano, si ignorano. “Ceccotti, dal canto suo, si limita, invece, a riprodurre pittoricamente ciò che ha visto, senza dare giudizi sul suo tempo”. In tal modo “scarta seccamente la dimensione epica come la dimensione lirica, per attestarsi su una linea impassibile di osservazione voyeristica, soprattutto in orario crepuscolare”. 

Con le “convergenze divergenti” artistiche tra i due pittori  – ossimoro che fa impallidire le “convergenze parallele” di lontana memoria –   termina il nostro racconto della mostra  di un pittore le cui opere  evocano scene viste al cinema o lette nelle storie poliziesche suscitando non solo interesse ma anche pulsioni che da intriganti diventano inquietanti quando sono sedimentate nell’inconscio. E’ questo  il “romanzo della pittura”, la pittura personalissima di Sergio Ceccotti.  

Megalopolis” (trittico), 2012 

Info

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Orari: da domenica a giovedì, tranne il lunedì chiuso, dalle 10,00 alle 20,00, venerdì e sabato dalle 10,00 alle 22,30. Ingresso intero euro 13,50, ridotto euro 10,00. Catalogo “Sergio Ceccotti. Il romanzo della pittura 1958-2008“, a cura di Cesare Biasini Selvaggi, Carlo Cambi Editore, settembre 2018, pp. 96, formato 21,5 x 28; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Per gli artisti e correnti citati nel testo, cfr. i nostri articoli: su  de Chirico: in questo sito, “arte e filosofia”  17, 21 dicembre 2016, “gioiosa metafisica” 16 marzo 2015, “ritratti” 20,  26 giugno, 1° luglio 2014; in cultura.inabruzzo.it,   “natura” 8, 10,11 luglio 2010, anche nei “Quaderni” della Fondazione, “Metafisica” e “Metaphysical Art” n. 11.13 del 2013,  “disegno”  27 agosto 2009; su  Hopper 12 e 13 giugno 2010. In questo sito, su Guttuso: “rivoluzionario”  14 luglio 2018, “innamorato 16 ottobre 2017, “religioso”  27 settembre, 2 e 4 ottobre 2016, “antologico”  25 e 30 gennaio 2013; su Warhol 15 e 27 settembre 2014; sulla Pop Art ecc. nel  Guggenheim, 23 e 27 novembre, 11 dicembre 2012 (il sito cultura.inabruzzo.it non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, comunque sono a disposizione). 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante al Palazzo Esposizioni, si ringrazia la direzione con i titolari dei diritti – in particolare l’artista, anche per aver accettato di essere ripreso davanti a una sua opera – per l’opportunità offerta; sono riportate non in ordine cronologico ma nell’ordine in cui sono citate nel testo (tranne le ultime due). In  apertura, “Le 4 età della vita” (polittico) 1969, con l’artista Sergio Ceccotti; seguono, “Scena notturna” 1968, e “Le 4 stagioni”, autunno ed estate 1975, inverno 1976, primavera 1979; poi, “Ricordo d’Olanda” 1959, con “Lettere e orologio” 1960; quindi, “Elegia” 1974, e “Notturno, rio dei Mendicanti” 1990; inoltre, “Sera al Pigneto” 2014, e “Solstizio d’estate” 2017; inoltre, Canzone notturna” 2012, e “Guardando le stelle”2005; ancora, “La signora X e l’uomo invisibile” 1981, e “Accanto al fuoco” 2010; continua, “Sonata” 1998, e “Combattimento di Tancredi e Clorinda” 1980; prosegue, “la robe verte” 1998, e “Il tè del pomeriggio” 1983; infine, “Plen air” 2001, e “Megalopolis” (trittico) 2012; in chiusura, “Hiver a Montmartre” 1991.

“Hiver a Montmartre”, 1991