Ovidio, 1. Il Bimillenario celebrato con l’arte, alle Scuderie del Quirinale

di Romano Maria Levante

“Ovidio, amori, miti e altre storie” si intitola la mostra aperta alle Scuderie del Quirinale, dal 17 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019,  celebrativa del Bimillenario della morte del poeta. Una grande mostra con 250 opere d’arte per far rivivere l’influenza nel tempo della sua poesia dell’amore con straordinarie figure mitiche. Ben 85 prestatori, 40 collaboratori alla mostra organizzata da Ales S.p.A., la società “in house” del MiBAC che gestisce le Scuderie del Quirinale, presidente e A.D. Mario De Simoni, a cura di Francesca Ghedini che ha curato, con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zagabra anche il monumentale Catalogo, con 20 saggi e altrettanti autori di 200 schede, edito da Arte,m-L’ERMA. Nel periodo della mostra, 11 incontri con studiosi,  7 in luoghi evocativi di Roma e 4 nella Sala didattica e nelle sale espositive, più 2 visite guidate nel Parco archeologico del Colosseo; fino al progetto “Disegna gli amori, i miti e le altre storie di Ovidio” con laboratori per le scuole e un concorso rivolto ai giovani dai 15 anni ai 25 anni per un fumetto in prosecuzione di una” storyboard” già  disegnata sulle “Metamorfosi”.    

“Statua di Afrodite pudica’“, II sec. d. C, al centro, dietro, a sin, “Affresco con Marte e Venere”62-79 d. C., a dx  Giovanni Battista Carlone, “Marte e Venere sorpresi da Vulcano” 1650

Il valore della mostra

La mostra su Ovidio è il coronamento di una serie di iniziative celebrative svoltesi nel Bimillenario della morte, avvenuta intorno al 18 d. C. a Tomi,  remota località sul Mar Nero dove era stato “relegato” da dieci anni per ordine dell’imperatore Augusto, mentre le sue opere venivano fatte oggetto di ostracismo.  L’esposizione  non solo è all’altezza dell’importanza dell’evento, ma riesce a celebrarlo in un modo inaspettato.  

Dopo convegni e seminari, incontri e letture, ora i fuochi d’artificio finali della grande festa con una mostra d’arte spettacolare, ricca di affreschi  e sculture antiche, dipinti rinascimentali e documenti preziosi. E’ inaspettata perché si pensa che un famoso poeta dell’antichità possa essere ricordato solo commentando i suoi poemi e gli altri componimenti in versi, e ciò è avvenuto nel 2018 ad opera di illustri letterati;  ma la caratura di Ovidio è tale che ha reso possibile organizzare l’attuale mostra nella quale  invece sono presentate  250 opere d’arte, tra affreschi e codici miniati, sculture e dipinti. 

Ciò perchè l’eco dei suoi versi è stata tale nei secoli, anzi nei due millenni trascorsi, da ispirare artisti di ogni tempo per opere d’arte dai più diversi soggetti, sempre riferiti alle sue creazioni poetiche che hanno dato vita o celebrato figure mitiche indimenticabili.    Queste opere accompagnano il visitatore negli spazi espositivi delle Scuderie del Quirinale, in una cavalcata nel tempo nel corso della quale si può misurare  la persistenza delle creazioni di  Ovidio e la loro incidenza nelle varie epoche attraversate come un fluido magico. Incidenza che arriva ai tempi nostri, come osserva il realizzatore della mostra come presidente di Ales e delle Scuderie, Mario Di Simoni, affermando che “perdura l’influenza ovidiana in odierni testi letterari, come nelle opere di Ted  Hughes, Yoko Tawada, Jane Alison, Edward Hirsch, Lucien d’Azay e molti altri”.  

Affresco con Meleagro e Atalanta”, fine I sec. a. C.- 1^ metà I sec. d. C.  

Mentre il ministro per i Beni  e le Attività Culturali Alberto Bonisoli, nel sottolineare che senza l’ispirazione di Ovidio non esisterebbero capolavori come il Narciso di Caravaggio e la Dafne del Bernini, nonché il ciclo della Farnesina e i manoscritti illustrati, cita le sue creazioni poetiche che non solo hanno dato vita a personaggi mitici inconfondibili, ma sono entrate nel linguaggio comune per definire figure e caratteri di ogni tempo: é chiamato Narciso il vanitoso ed egoista, Pigmalione lo scopritore di talenti, Adone il giovane bello e affascinante, sono di oggi, ma nati con Ovidio. 

Non basta, De Simoni lo rende ancora più attuale, dopo duemila anni,  affermando, rispetto ai moderni testi letterari da lui influenzati, che “gli scrittori moderni sembrano rivolgersi agli antichi quando sentono qualche analogia con le loro esperienze. Ad esempio, in periodi di stabilità e ordine pare prevalere l’attenzione verso autori come Virgilio e Orazio, ma Ovidio  trionfa più facilmente in periodi  che apprezzano e ricercano i mutamenti, il cambiamento”. E conclude: “Celebriamo dunque Ovidio, il maestro del cambiamento. ‘Tempora mutantur et nos mutamur in illis’“.  

A questo punto l’interesse si acuisce, non si tratta soltanto di  ammirare le opere d’arte a lui ispirate  che fanno rievocare le sue creazioni poetiche, si pensi alle “Metamorfosi” oltre che alla epopea dell’amore popolata di  straordinari protagonisti; ma di approfondirne la modernità nella spinta al cambiamento impressa alla sua epoca e poi proseguita.  

 “Rilievo con Apollo e Marsia”, età adrianea

Una spinta in primo luogo sul piano poetico con le nuove forme letterarie cui ha dato vita anche nella maturità trattando temi epici, cosmologici e religiosi. Poi sul piano del  costume,  con l'”ars amatoria” a dispetto della severità augustea imposta, fino al piano ancora più ampio della libertà e autonomia rispetto al potere con l’esaltazione di figure ribelli, affrontando le conseguenze delle sue posizioni espresse in versi immortali che alla bellezza poetica uniscono coraggio e ispirazione ideale. 

Le trasgressioni del poeta fino all’esilio

Le notizie sulla vita di Ovidio aiutano a comprenderne la visione poetica e l’incidenza sul costume dell’epoca, protrattasi poi nel tempo. Il fatto che le notizie provengano da lui stesso e non siano riportate da storici o cronisti,  come per altri grandi esponenti della latinità, le rende ancora più significative perché sono quelle che ha voluto tramandare dando loro particolare rilievo; altrettanto significativo che le ha fornite nelle opere scritte nei dieci anni finali della sua vita, e in particolare nella decima elegia del quarto libro “Tristia”, il cui il titolo la dice tutta sul suo stato d’animo nell’esilio sul Mar Nero.   

Dall’accurata ricostruzione di Gianluigi Baldo ricaviamo, al di là della semplice biografia,  quanto ci sembra più interessante per conoscere l’uomo e il poeta. I primi elementi che vogliamo sottolineare riguardano  l’appartenenza all’ordine equestre e l’accesso, attraverso uno dei suoi tre matrimoni, ad una famiglia di grande prestigio che lo fece inserire nell’ambiente augusteo; poi la sua iniziale formazione giuridica e retorica, e il fatto che intraprese la carriera di magistrato nel collegio dei “tresviri capitales”, sotto la spinta del padre che ottenne per lui la dignità del laticlavio. Fece viaggi di formazione ad Atene, in Asia minore ad Alessandria, e in Sicilia. Sembrava dunque avviato alla brillante carriera cui il padre teneva molto. 

“Affresco con Polifemo e Galatean”,  60-79 d. C.

Ecco, però,  cosa avveniva in lui mentre cercava di assecondarlo, pur con sofferenza: “Io prediligevo, fin da ragazzo, il sublime culto dell’arte e la musa in segreto mi traeva alle sue opere. Spesso mio padre mi disse: ‘Perché ti dedichi a uno studio inutile? Perfino il Meonide non ha lasciato alcuna ricchezza’. Queste parole mi avevano convinto e, abbandonato completamente l’Elicona, mi cimentavo a scrivere in prosa; ma la poesia veniva da sé al suo ritmo appropriato, e quel che mi provavo a scrivere risultava essere in versi”.  Per questo abbandonò la carriera forense per dedicarsi completamente alla poesia, mentre la  formazione giuridica e la pur breve esperienza maturata in quel campo  lasciarono dei segni positivi in qualche tratto della sua struttura poetica.    

Troviamo in questa nota biografica il primo contrasto, la prima trasgressione.  Una seconda, in parte conseguente,  l’abbiamo riscontrata nel suo itinerario poetico. Divenne “il poeta della Roma galante”, osserva Baldo, quindi apparentemente in linea con  l’appartenenza a una famiglia altolocata e l’inserimento nell’orbita augustea; ma la sua “Ars Amatoria” era in aperto contrasto proprio con la politica augustea. 

Commenta la curatrice Francesca Ghedini:”La sua visione dell’amore come libero piacere della carne che non conosce confini, che il poeta propugnava con forza, non poteva piacere  al reggitore dell’impero, quell’Ottaviano, che divenuto Augusto si era premurato di promulgare a più riprese leggi per la moralizzazione dei costumi”. Erano le “Leges Iuliae” con cui l’imperatore cercava di frenare l’apertura nei costumi con  una severità – di cui era un simbolo il rigore morale della moglie Livia – che lo portò  a punire come colpevole di adulterio la figlia Giulia, nata dalla breve unione con Scribonia,  relegandola all’isola di Ventotene, dove si trovano i resti di Villa Giulia, un esilio come lo fu Tomi per il poeta; la seguì Giulia Minore, figlia di Giulia Maggiore e di Agrippa, condannata come la madre nello stesso 8 d. C. dell’esilio di Ovidio.   

Pompeo Batoni, “Bacco e Arianna”, 1773 

Ebbene, Ovidio  non solo non recedette dalla trasgressiva “Ars Amatoria”, ma proseguì nel completamento e nella diffusione dell’opera aggiungendo ai primi due libri un terzo in cui le lezioni d’amore sono declinate dal punto di vista femminile e, cosa non solo trasgressiva ma in contrasto con le “Leges Iuliae”, con l’invito al silenzio a chi veniva a sapere di tradimenti. Seguì il poemetto “Medicamenta faciei feminae”, sulla cosmesi, e il manuale in versi “Remedia amoris” sull’arte di guarire le pene d’amore, in cui la donna è del tutto  paritaria, cosa altrettanto trasgressiva. 

L’esaltazione della donna emerge anche dalle “Heroides”, in forma di epistole, “lettere delle eroine” dell’amore, come se fossero state scritte agli uomini che le avevano abbandonate, ma non si riferiscono a persone reali del mondo a lui contemporaneo,  bensì a figure mitiche , come Arianna e Didone, Penelope e Fedra, fino a Medea.  In tal modo la psicologia femminile viene esaltata con il fascino del mito; e non si ferma lì, aggiunge coppie di lettere con la risposta dell’uomo.   

Il culmine della sua visione poetica, le “Metamorfosi”, lo raggiunge poco prima dell’esilio dell’8 d.C., allorché  le aveva terminate, vi sono figure anch’esse mitiche, viste spesso nei loro amori impossibili. Inoltre aveva  compiuto la metà dei “Fasti” che completerà a Tomi. Quest’ultima opera, un poeta calendariale, è particolarmente interessante perché in parte scritto o rielaborato in esilio, quindi da un lato riflette la volontà di riaccostarsi al potere per poter riavvicinarsi a Roma, dall’altra la persistenza della sua posizione autonoma e libertaria, pur con toni più moderati.   

“Affresco con Leda e il cigno”, 60-79 d. C.

“Mi preme solo ricordare, in conclusione, afferma Baldo, come il testo dei ‘Fasti’ racchiuda in un certo senso il vero segreto di Ovidio: nella sua natura di opera incompleta, e dunque aperta, si trova la chiave per afferrare il carattere fluido e cangiante della sua visione ideologica”. E lo spiega: “Nei ‘Fasti’ convergono, in certo qual modo, le tensioni contraddittorie della sua vita artistica, contesa tra una vocazione mondana e una vocazione all’affabulazione visionaria e mitica”. Con questo sigillo finale: “Non c’è da stupirsi, insomma, se nella calcolata frivolezza di molte sue scelte si nascondono le ragioni di una libertà pagata a caro prezzo”. Con la segregazione nell’esilio di Tomi.   

D’altra parte,  nell’esaltazione del mito, si possono vedere, come fa la Ghedini, “gli dei di Ovidio contro gli dei di Augusto”, perché sono presentati nei loro amori licenziosi, anzi adulterini, dai quali sembrano ossessionati esponendosi anche a umilianti fallimenti: “L’Apollo di Ovidio  è amante sfortunato, che invano insegue ninfe e fanciulle, ora è gabbato… ora rifiutato”, mentre Giove “è presentato come amante insaziabile, predatore sessuale, protagonista di abusi e stupri, capace di ogni sotterfugio, inganno, travestimento per possedere l’oggetto del suo momentaneo desiderio”.    

E pensare che Apollo era il  protettore di Ottaviano da quando si era scontrato  con gli assassini di Cesare! Divenuto imperatore Augusto  continuò ad affidarsi alla sua protezione, e fece erigere un tempio dopo la vittoria su Pompeo, nelle feste portava una corona di alloro, sempre in omaggio al dio considerato “purificatore e vendicatore, ma anche il dio della pace che porta la guarigione e la conciliazione”. Giove, è inutile ricordarlo, nella severa concezione augustea era al vertice degli dei nell’Olimpo, garante dell’ordine nell’universo.  

“Statua di Ermafrodito”,  copia di II sec. d. C.

Anche Venere, “austera e matronale progenitrice” della stirpe imperiale, la “gens Giulia”, viene travolta in una relazione adulterina con Marte, padre di Romolo fondatore di Roma, e il marito Vulcano li punisce “imprigionandoli nel talamo ed esponendoli nudi al ludibrio degli dei”. Aggiunge la Ghedini: “In tal modo i due capostipiti della casata e della città vengono sbeffeggiati e umiliati”. Ci voleva del coraggio per tale trasgressione!   

La forza dell’eros e i templi di Roma 

L’audacia con cui ha trattato il tema dell’eros sfidando le rigide prescrizioni della severità augustea, per di più con la trasgressione di coinvolgervi gli dei  protettori dell’imperatore, progenitori della sua gente e del fondatore della città, non ha eguali nell’antichità.   Giampiero Rosati osserva al riguardo che mentre Saffo, Catullo e Properzio si erano limitati  alle esperienze individuali, “Ovidio è poeta consapevolmente, orgogliosamente e integralmente (cioè con una globale visione del mondo) erotico” anche se nell’esilio dovette moderarsi per riavvicinarsi all’imperatore sperando di poter tornare a Roma. Pur con questa parziale presa di distanze, “quell’etichetta di ‘tenerorum lusor amorum’, ‘cantore di teneri amori’, definisce la sua identità di poeta e ne riassume la carriera”.      

Anche perché va ben oltre l’aspetto sentimentale ed erotico: “L’amore è la forza vitale  che dà impulso al ciclico rinnovamento della natura ma ispira e alimenta  i rapporti tra gli umani e perfino tra le divinità”.  

“Affresco con Io,  Argo e Mercurio”,  60-79 d. C.

L”eros” celebrato e insegnato nell'”Ars Amatoria”, “opera a tutti gli effetti come una forza civilizzatrice capace di fungere da motore di sviluppo del mondo  e che con la moderna Roma,  nello stile di vita che caratterizza la sua  opulenza imperiale, raggiunge il suo trionfo”; non solo, è anche l’energia che domina nel mondo degli dei. Le vicende amorose sostituiscono le imprese eroiche, l’imperio della forza viene sostituito dall’egemonia del desiderio, che non si limita ai rapporti personali, ma si estende ad altri campi per instaurare il potere.    

Non è l’eroe al centro della sua narrazione, come nei poemi epici, ma l’amore che si incarna nelle semplci persone come negli dei in una concezione antropomorfica in cui le loro passioni sono umane, anche se questo può contraddire il concetto di divinità e minarne l’autorità, dato che sono in preda alle stesse frustrazioni e delusioni dei comuni mortali.  

Gli amori raramente sono corrisposti, anzi danno molta sofferenza. Qualche volta hanno esiti tragici, ma più spesso si traducono in una metamorfosi dove “tutto cambia, nulla muore”, come afferma lui stesso. Questo “attiva il meccanismo motore del mondo: in un mondo senza morte (una delle principali singolarità dell’epica ovidiana, che la differenzia molto dall’epica classica) non ci sono punti fermi, tutto è instabile, in movimento”. Un movimento che porta al cambiamento, per questo, è stato definito “il maestro del cambiamento”, e mostra la sua maggiore attualità nelle fasi di trasformazione piuttosto che in quelle di stabilità, come abbiamo detto nella nostra citazione iniziale di De Simoni.     

“Rilievo con Ganimede”, II sec. d. C. 

L’amore è il tema centrale delle sue opere in assoluto, sovrasta ogni altro, in primo luogo il tema ambientale. Non è di certo il cantore della Roma augustea,  in parte rimodellata dall’imperatore con diffusi restauri degli edifici pubblici e altri interventi  togliendo i riferimenti storici, spesso settari, e omologando tutto  intorno alla propria persona e alla propria famiglia, in una visione edificante.  

Ovidio  ne loda la ricchezza rispetto al passato, ma non si allinea al concetto tradizionale di “familia”  esaltato dal principe anche sublimando la propria. Anzi utilizza monumenti ed edifici, pur identificati con le denominazioni familiari augustee, come luoghi per trasgressivi incontri amorosi.  

 “In questo quadro di riferimento, osserva Eugenio La Rocca, risulta stridente l’uso frivolo dei monumenti pubblici, quelli più affollati di ragazze, imposti dalle schermaglie erotiche  rispetto alle motivazioni delle loro dediche”. E aggiunge: “E’ chiaro che Ovidio non denunci mai il sistema ideologico dominante, né contesti le ‘leges Iuliae’ sulla morale, ma per un poeta alla moda e assai letto, parlare di giochi d’amore tra i porticati degli edifici di Roma maggiormente connessi con la visione etica di Augusto significava essere per lo meno imprudenti”.  E di certo  lui stesso se ne avvede,  tanto che afferma: “I miei versi spinsero Cesare a censurare me e i miei costumi per la mia Ars proibita”, e poi:  “Gli ultimi eventi mi perdono, e dal fondo del mare un’onda sommerge una nave  già spesso salva”.  

Così conclude La Rocca: “Sembra potersi dedurre che i libelli erotici per di più scritti tanto tempo prima della condanna, furono un’ingannevole imputazione per nascondere le vere cause della punizione’ che, probabilmente, non aveva nulla a che fare con l”Ars Amandi’, malgrado il ‘mea culpa’ ritardato di Ovidio”. Ma risiedeva nelle sue irridenti trasgressioni all’ideologia imperiale.    

“Affresco con Narciso”, 60-79 d. C.

La selezione delle opere  per analogie “puntuali” con le “figurazioni” di Ovidio

Il rapporto tra Ovidio e le arti figurative, analizzato dalla curatrice Ghedini con Monica Salvatori, è molto particolare: “Ovidio non scrive d’arte né descrive l’arte. Se cerchiamo infatti nella sua vasta produzione descrizioni intenzionali di manufatti artistici, reali o immaginari, i risultati sono, per certi aspetti, deludenti”. Le descrizioni di opere d’arte sono rare e relative a quelle che hanno una speciale forza evocativa, ma questo “non deve però meravigliare: Ovidio non appartiene alla categoria degli scrittori  o ‘descrittori’ d’arte, Ovidio l’arte la ‘crea’, e non con il pennello e lo scalpello, ma grazie al suo dominio sulla parola e alla musicalità del suo verso, capaci di evocare paesaggi, personaggi, situazioni che si fissano nella mente di chi legge con una forza che è stata l’origine della sua fortuna”.

La sua capacità immaginifica porta ad evocare viaggi, ambienti, contesti favolosi di grande fascino  che restano impressi nel lettore e si trovano riflessi come in uno specchio nell’arte nei secoli. La Ghedini osserva che questo è avvenuto più nelle epoche successive che negli artisti coevi, dato che molte citazioni da parte di Ovidio di personaggi o fatti che si riscontrano nell’arte sono in un certo senso “casuali” perché “presenti nel suo quotidiano” piuttosto che “puntuali”. 

Per confrontare la “narrazione dinamica” della poesia di Ovidio con la “narrazione statica” delle opere d’arte la curatrice spiega che da un lato si è scomposto il testo “separando le descrizioni precipuamente letterarie da quelle dotate di particolare forza figurativa, dall’altro classificato il repertorio iconografico sulla base dei contenuti, distinguendo il livello generico del soggetto da quelli più specifici di tema e schema“.  

Antonio Giomina, “Piramo e Tisbe”, 1719 

Dal confronto tra i “passi ‘figurativi’ ovidiani e la tradizione iconografica”  si sono individuati “diversi livelli di tangenza… a seconda che le analogie fossero  del tutto generiche… o più puntuali”. Sono state prescelte  quelle più puntuali, in cui “la descrizione del poeta corrisponde  a una determinata e riconoscibile iconografia oppure quando testo e immagine condividono uno o più dettagli così significativi e specifici da consentire un rapporto univoco”. 

Questo metodo scientifico su cui si basa la scelta delle opere esposte è stato adottato nel progetto decennale, di cui la mostra è il coronamento, presso l’Università di Padova, ad opera della stessa curatrice Ghedini con Isabella Colpo e Giulia Salvo, insieme a studiosi di diverse discipline, letterati e storici dell’arte e della miniatura, dottorandi e studenti. E’ meritorio  il rigore con cui è declinata la singolarità della  celebrazione in forma artistica del grande poeta della latinità.

La sua è una poesia di rottura, che unisce erotismo a trasgressione  rispetto al moralismo augusteo e alla  severità delle leggi repressive della libertà dei costumi di una società gaudente;  ma anche, e diremmo soprattutto, rispetto alla sacralità degli dei dell’Olimpo, in primis l’onnipotente Giove, e  le due divinità che proteggevano l’imperatore, Apollo come massimo tutore suo e della città di Roma e Venere progenitrice della “gens julia”, come abbiamo sottolineato. 

Sulle opere ispirate ai suoi versi eleganti ed evocativi di miti  e leggende, così si esprime la Ghedini con Monica Salvadori: “L’analisi delle occorrenze ovidiane nel repertorio antico fornisce  un panorama di luci e ombre, di presenze e di assenze, di distanze e di tangenze, dove tuttavia sembra emergere la condivisione di un immaginario comune. La situazione cambia in modo radicale se dall’antichità ci volgiamo al mondo post-antico in cui Ovidio  diventa il testo di riferimento, prima nei manoscritti, e poi via via nelle arti minori e nella grande pittura”.

Ne parleremo prossimamente percorrendo la galleria di opere che riflettono tutto ciò, come se salissimo sulla macchina del tempo sulle ali dei suoi versi immortali.   

Jusepe de Ribeira, “Venere scopre il corpo di Adone”, 1637 

Info

Scuderie del Quirinale,via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì,  ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-22,30, ingresso consentito  fino a un’ora dalla chiusura. Ingresso e audioguida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per under 26, insegnanti, gruppi, forze dell’ordine, invalidi parziali, euro 2 per under 18, guide, tessera ICOM, dipendenti MiBAC, gratuito per under 6, invalidi totali. Tel.  06.81100256. www.scuderie.it. Catalogo “Ovidio. Amori, miti e altre storie”, a cura di Francesca Ghedini con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zalabra,  Editore arte,m – L’ERMA  di Bretschnider 2018, pp. 310, formato  24 x 30; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I due successivi articoli sulla mostra usciranno, in questo sito, il  6 e 11  gennaio 2019, con altre 13 immagini ciascuno.  Cfr. inoltre i nostri articoli, in questo sito, per la mostra “Augusto”, 9 gennaio 2014; in abruzzo.cultura.it  per “Villa Giulia a Ventotene” (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito). 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nelle Scuderie del Quirinale, si ringrazia Ales S.p.A., con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta; è riportato un campionario di quelle citate nel commento ai miti evocati nell’opera di Ovidio dei due articoli seguenti sulla visita alla mostra. In apertura,  “Statua di Afrodite pudica’“, II sec. d. C, al centro, dietro, a sin, “Affresco con Marte e Venere”62-79 d. C., a dx  Giovanni Battista Carlone, “Marte e Venere sorpresi da Vulcano” 1650;  seguono, “Affresco con Meleagro e Atalanta”, fine I sec. a. C.- 1^ metà I sec. d. C., e  “Rilievo con Apollo e Marsia”, età adrianea; poi, “Affresco con Polifemo e Galatean”,  60-79 d. C.ePompeo Batoni, “Bacco e Arianna”, 1773; quindi,  “Affresco con Leda e il cigno”, 60-79 d. C., e  “Statua di Ermafrodito”,  copia di II sec. d. C.; inoltre,  “Affresco con Io,  Argo e Mercurio”,  60-79 d. C., e  “Rilievo con Ganimede”, II sec. d. C.; ancora, “Affresco con Narciso”, 60-79 d. C., e  Antonio Giomina, “Piramo e Tisbe”, 1719; infine,  Jusepe de Ribera, “Venere scopre il corpo di Adone”, 1637, e, in chiusura,  “Fronte di sarcofago urbano con il mito di Fetonte”, 2° quarto III sec. d.C. 

“Fronte di sarcofago urbano con il mito di Fetonte”, 2° quarto III sec. d.C.