Lachapelle, l’artista scenografo con nuove opere, alla galleria Mucciaccia

di Romano Maria Levante

La mostra “David Lachapelle” espone a Roma alla Galleria Mucciaccia, dal 18 aprile al 5 luglio  2019,  35 composizioni spettacolari, in gran parte di notevoli dimensioni,  dell’artista americano che realizza dal vivo scenografie costruite come “set” teatrali, e poi le fotografa in un fotorealismo brillante nella resa visiva, intrigante nel contenuto. La mostra, a ingresso gratuito, è a cura di LaChapelle  Studio e Galleria Mucciaccia, Catalogo della Galleria Mucciaccia.  All’artista è stata dedicata nel 2015  dalla Fondazione Roma la mostra “David Lachapelle, dopo il diluvio”; è in corso  una mostra alla Venaria di Torino, organizzata da Civita Mostre, dal titolo “Atti divini”.   

The New World”, 2017

Le opere più recenti per la prima volta esposte a Roma

L’interesse corre subito alle nuove opere presentate, successive alla mostra del 2015 alla Fondazione Roma. Sono 5 opere del 2017, su temi che approfondiscono ulteriormente quelli cari all’artista. Un tuffo nella natura  e nella spiritualità suscitato dall’ambiente in cui lui si trova fisicamente e traduce in scenografie ispirate e lussureggianti: ”Quando sono alle Hawaii – dichiara – sono isolato  e vivo fuori dal mondo. Essere immerso nella natura  e nelle sue meraviglie mi dona decisamente nuova ispirazione”.

 In “A New World”,   davanti a una tenda rossa tre figure circonfuse da un’aureola di raggi, due con le mani giunte, una di loro in ginocchio con a lato una lampada accesa: è impressionante la forza spirituale che si sprigiona dal raccoglimento in un ambiente naturale suggestivo, con le chiome degli alberi, la cascata, lo specchio d’acqua.  I raggi a mo’ di aureola li vediamo anche in un’opera di vent’anni prima, “Sacred Life”, soggetto due tori nel verde della vegetazione.

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“Behold”, 2017

“Behold”   è un giovane dal viso ispirato, anche lui ha l’aureola di raggi, intorno alla fronte  una corona di fiori, non sembra una corona di spine anche se potrebbe essere l’immagine di un Cristo rivisitato. Tanto più che in “Jesus anb Buddha under a Tree”  Cristo in piedi con l’aureola a raggi ha il viso somigliante a “Behold”, il tutto incastonato in una natura lussureggiante.

Altrettanto senso panico di abbandono alla natura in “Lost and Found”, una scena idilliaca da paradiso terrestre, si poteva intitolare “Adamo ed Eva”, i due giovani nella loro innocente nudità tra i rami dell’albero con le braccia che si protendono nel gesto di porgere e ricevere la fatidica mela, le luci, i riflessi, i colori, danno alla scena una luce non solo esteriore.

C’è luce anche in “Miley Cyrus: Solitary”, ma ha tutt’altro significato, filtra in una stanza dove una giovane donna  nuda in ginocchio si protende veda le due finestre alte e strette in cui passano i raggi luminosi, basta vedere il povero arredamento,  in fondo una rete fissata al muro per dormire, nella parete di destra due piccole mensole, in quella di sinistra un bugliolo. Non ci sono dubbi, è una cella, si potrebbe dire dal paradiso della liberta nella natura all’inferno della prigionia nella cella.

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“Jesus and Buddha Under a Tree”, 2017.

Partendo da queste opere rievochiamo il mondo di questo artista presente  negli ultimi vent’anni in 120 mostre personali e in un numero ancora maggiore di mostre collettive, che ha avuto tanti riconoscimenti. Un artista fuori dal comune, che non è possibile incasellare in un genere, dato che si colloca tra la fotografia,  la pittura e  la scenografia, superandole  in una sintesi personalissima.

Le opere che abbiamo descritto e quelle che citeremo più avanti, infatti, sono  per lo più dei grandi affreschi scenografici ottenuti fotografando una scena  predisposto a tal fine, come in un allestimento teatrale o in un “set” cinematografico, effetti speciali compresi.  Ma come nasce tutto questo?

“Lost and Found”, 2017

Dopo la Cappella Sistina, la svolta nella vita e nell’arte

L’artista divenne già famoso come fotografo impegnato nella moda e nella pubblicità, con testate di punta quali “Vogue” e “Vanity Fair”, sue grandi campagne pubblicitarie e ritratti delle “star”, ebbe come primo committente cui rimase legato Andy Warhol, del quale ricorda la “previsione dei ’15 minuti di  fama’” che può dare una fotografia, prima riservati alle star, ora invece raggiungibili con la fotografia digitale in tutti gli “smartphone” e cellulari provvisti di fotocamera; Ma c’è di più, si impegnò  nei video in campo musicale, in spettacoli teatrali, tra cui “The Red Piano” al Caesars Palace con Elton John, in documentari come “Krumped” cui seguì il film “Rize” nel 2006, diffuso in molti paesi.

Queste esperienze con il denominatore comune dell’effetto spettacolare costituiscono la base professionale e la predisposizione personale alla svolta che lo ha portato alla nuova espressione artistica. Ma quale è stato il motivo per cui ha abbandonato la mondanità e il “glamour”, insieme alla fama già acquisita con ciò che ne deriva?  Una folgorazione come quella di Paolo sulla via di Damasco.

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“Milley Cyrus: Solitary”, 2017

La via di Damasco è stata la Cappella Sistina. Nel 2006, in una visita privata, quindi nel raccoglimento e nl silenzio, mentre contemplava il  Giudizio universale ha avuto un’illuminazione che ha prodotto una svolta nella sua vita. Si è allontanato dal mondo vacuo  e patinato nel quale era immerso ricevendone tante gratificazioni e ha abbracciato contenuti più profondi; per esprimerli ha ideato una forma visiva dalla grande forza evocativa, che nella fotografia trova  il momento conclusivo di un processo creativo ben più complesso. L’ispirazione non momentanea ma meditata prima, la costruzione del “set” che le dà forma e  sostanza poi, la fotografia  alla scena allestita come coronamento dell’intero processo alla fine.

Svolta nella vita e nell’espressione artistica, dunque: “La serie After the Deluge – ha dichiarato l’artista – è stata ispirata da una visita alla Cappella Sistina. Volevo offrire una rivisitazione in chiave contemporanea dell’affresco del Diluvio di Michelangelo, includendo la disfatta dell’umanità a causa dell’avidità; mostrando però, allo stesso tempo, nei personaggi che si spingono a vicenda verso la salvezza, la nostra forza e promessa di solidarietà”.

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“After the Deluge: Cathedral”, 2007

Della serie After the Deluge vediamo esposte 2 opere del 2007: la monumentale “Cathedral”, 180 x 240 cm circa, grandi vetrate e navate invase dall’acqua, nel dissesto degli arredi , le croci a terra mentre il gruppo di fedeli sgomento sembra pregare, c’è anche una figura che ricorda l’immagine di Cristo. L’altra opera Statue”, è  altrettanto monumentale, ma in verticale, due figure angeliche scultoree di stampo classico in un ambiente spoglio pure allagato. Anche in “Awakened”, non esposto, l’acqua è insieme  distruttrice e purificatrice, fonte di  rovina e di rinascita: si può affondare e galleggiare, metafora della fragilità  e della resistenza umana. Un liquido amniotico che può riportare alla purezza della nascita.

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“American Jesus: Hold Me, Carry Me Boldly”, 2009

Religiosità ancora più esplicita in 3 opere del 2009, paradossalmente con protagonista Michael Jackson . Un grande angelo, Archangel Michael: and No Message Could Have Been Any Clearer”  ha il suo volto, con grandi ali bianche, schiaccia con il piede un diavolo rosso abbattuto  a terra in uno sfondo marino, il messaggio è chiaro. Anche in The Beatification: I’ll Never Let You Part for You’rein My Heart” il volto del divo americano che ha il Sacro Cuore sul petto, alla sua sinistra una figura femminile imponente nella sua veste preziosa, lo sfondo  sempre marino. In“American Jesus: Hold me, Carry Me Boldly” il divo pop giace disteso tra le braccia di Cristo in una sorta di “Pietà” alla rovescia, tra il verde degli alberi e una luce accecante sullo sfondo. Uno  strascico della sua “vita” precedente nel mondo dei divi, che, nella nuova vita pervasa di spiritualità e meditazione porta a immagini così insolite e intriganti.

Della precedente mostra al Palazzo Esposizioni ricordiamo la “Pietà”  nella composizione ben nota,  in “Courtney Love”  Cristo  riverso tra le braccia di una donna dai capelli biondi; l’opera è del 2006, l’anno della visita rivelatrice alla Cappella  Sistina.

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“Rape of Africa”, 2009,

Va precisato che il fascino di Cristo lo aveva preso già in precedenza: nel 2003, tre anni prima della Cappella Sistina, la serie Jesus my Homeboy”,  “Il mio Gesù privato ,   grandi composizioni sugli episodi evangelici in cui Gesù ha l’aspetto tramandato dalla tradizione ma in abiti e ambienti moderni, della nostra società dei consumi, come fast food e simili; la sua figura, però, è sempre ieratica, e le composizioni sono investite da una luce soprannaturale. Ricordiamo, dalla mostra precedente, “Gesù nel lavaggio dei piedi della Maddalena”  e “Gesù nella Resurrezione”.

La natura e il consumismo, un abbinamento intrigante

Del  2009 anche “Rape of Africa”, lungo oltre 3 metri, di forte denuncia, dietro le due grandi figure del giovane adone addormentato e della bellezza africana, quasi una coppia reale, tre piccoli che impugnano armi terribili, dal mitra al bazooka, sembra evochi la terribile realtà dei bambini-soldato, c’è  a terra un crocifisso, sullo sfondo un anfiteatro romano. Questa la violenza sull’Africa!

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“Rebirth of Venus”, 2009

Nello stesso anno un’opera molto suggestiva, “Rebirth of Venus”, rivisitazione del capolavoro di Botticelli con riferimenti anche alla “primavera” nella natura lussureggiante oltre che nella grazia della figura femminile con l’aureola a raggi che già conosciamo.

La natura anche attraverso le rigogliose composizioni di Fiori degli anni 2008-11, nature morte in cui figurano gli oggetti più diversi: in “America” ,  intorno a delle grandi rose vediamo un cocomero tagliato a metà, candele accese e aeroplanini, mentre spiccano palloni festosi con la scritta “Good Lack” e “Get Well”; in “Late Summer” il vaso di fiori  è ancora più ricco, oltre alle rose tulipani avvizziti e altre piante in piena fioritura, in primo piano un vassoio di uova e gli oggetti più disparati, compresa una maschera  e una banconota; in “Willing Gossip” , soltanto qualche frutto e un giornale tabloid sulla destra  si aggiungono all’esplosione floreale della composizione.

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“America”, 2008-11

Per interpretarne il significato è bene riferirsi a un’altra sua opera, “Hearth Laughs in Flowers”, non esposta in mostra, il cui titolo rimanda a  una poesia di Emerson, un poeta americano del XV secolo: l’accostamento dei fiori agli oggetti del consumismo, futili e stravaganti, è una metafora della pretesa  di  piegare la natura alle aberrazioni umane, ma la natura ride. Anche qui, come nel “diluvio”, la compresenza degli elementi nichilisti con quelli positivi, ora identificati nei fiori.

La distruzione, dissoluzione e alienazione, con la rigenerazione salvifica

Dopo i fiori vengono l’Apocalisse e il Terremoto,  due motivi che seguono di  alcuni  anni l’altrettanto catastrofico  “diluvio”,  rispondono alla stessa logica di distruzione salvifica perché vengono stimolate reazioni positive.   

In “Showtime  at the Apocalypse” , 2013, lungo quasi 4 metri, non c’è l’azione distruttiva e insieme rigeneratrice dell’acqua, ma a terra i segni della distruzione, con manichini disarticolati,  e una diecina di figure femminili per lo più elegantemente vestite di scuro che esprimono visivamente la loro gioia di vivere: è spettacolare il “set” teatrale elaborato e composito,  c’è anche una sorta di Madonna con bambino esotica in un grande riquadro.

Sismic Shift” , 2012, lungo 4 metri e mezzo, è ancora più dissestato, con  oggetti singolari come il manichino e lo squalo, senza figure umane.

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“Showtime of Apocalypse”, 2013

Le figure umane  dissestate come da un sisma le ricordiamo nella serie  “Still Life”, 2012, non esposta:  non persone  ma teste e corpi di manichini di personaggi famosi distrutti in un “raid” di vandali in un museo delle cere, che l’artista fotografò dal vero, come metafora non solo del disfacimento dell’essere umano, ma della caducità della fama e della celebrità, con l’ambiguità tra la pietà e il senso di compiacimento che si prova dinanzi alla punizione delle fortune sfacciate.

Nello stesso 2012  abbiamo “Gas Shells”, vediamo la stazione di servizio con i suoi distributori di benzina invasa dalla vegetazione, appartiene alla serie Gas Stations, mentre per la serie Land Escape, del 2012,   2 opere, “Emerald City”  che spunta dall’acqua su una tappeto di carbone, e “Luna Park”, il titolo ne sottolinea l’aspetto spettacolare nella sinfonia di luci  delle colonne di distillazione, non mancano le emissioni di gas e le fiammate dell’impianto.

“Landscape Luna Park”, 2013

Non si tratta soltanto di un aspetto figurativo,  evoca il forte impatto della civiltà del petrolio  che ha rivoluzionato  la vita  incidendo sull’economia e sulla società e ha dominato anche i rapporti internazionali, fino alle guerre  per assicurarsi una fonte di energia divenuta indispensabile. Ma il petrolio non viene rappresentato come fattore di sviluppo, gli impianti,  pur nelle loro luci da Luna Park, hanno un che di allucinato, e non evocano la vita, forse perché manca la presenza umana: è un mondo alienante e irreale, con i frutti della tecnica fagocitati dalla vegetazione.  Ecco le sue parole: “La serie Land Scape rappresenta esattamente la mia immagine del futuro, quando la natura si impossesserà nuovamente della terra. Immagino queste stazioni di servizio, che una volta rappresentavano il presente, ritrovate come resti archeologici, circondate dalla natura”.

L’artista questa volta non ha dovuto comporre il suo  “set”  teatrale da fissare nella fotografia  finale come un regista che sistema i soggetti dando a ciascuno la collocazione e le disposizioni più efficaci; ha costruito in modo artigianale modellini mettendo insieme  lattine e  oggetti  di uso comune che rendono le colonne di raffinazione e le altre parti dell’impianto in un fotorealismo magistrale, non si avverte minimamente che c’è un “trucco” di natura cinematografica con modelli in miniatura. Del resto l’autore non lo nasconde ha diffuso fotografie del “backstage”e addirittura un filmato in cui viene seguita l’intera scena della preparazione dei modellini poi fotografati: si vede come cura l’ambientazione del modellino, nei particolari e nelle luci, perché sembri reale, le grandi dimensioni della fotografia finale fanno il resto nel rendere un iperrealismo fotografico brillante e spettacolare.

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“Icarus”, 2012

Ugualmente  ispirate  alla crisi vaticinata del sistema capitalista, e senza figura umana, le serie “Car Crash” e “Negative Cuttencies”, non presenti in mostra, con riferimento ai multipli di  Warhol. La prima sulle auto distrutte, ma mentre Warhol in “Death and Disaster” esprimeva angoscia, qui nella solita ambivalenza c’è anche la suggestione pubblicitaria. Mentre  la seconda è sulle crisi valutarie, siamo nel 2008, all’inizio della grande  crisi per il fallimento della grande banca Lehman Brothers, si è diffuso un senso di grave insicurezza, lo spirito nichilista trova terreno favorevole negli eventi che scuotono il mondo globalizzato; anche qui si differenzia dal grande Andy che in “One dollar bills” esprimeva l’invadenza della moneta moltiplicandola all’infinito, lui non solo non moltiplica il dollaro ma lo oscura.

Il volo di Icaro e dell'”aristocrazia”, le immagini “glamour”

Nel 2012-13 un ritorno alle figure alate del 2009 con “Icarus” , 2012: il protagonista è un giovane in pantaloni con delle ali rudimentali fatte di rami fissati maldestramente con una cinta al torso nudo, caduto in un discarica di computer e altre apparecchiature  elettroniche con tastiere, monitor della nostra società consumistica che viene così denunciata nella rievocazione dell’antico mito anche nell’annullamento della persona fagocitata dalla discarica. 

Alla spettacolarità del mare di oggetti si sostituisce quella della figura alata a terra in un bosco la cui oscurità fa spiccare maggiormente il bianco delle grandi ali aperte e il corpo michelangiolesco del giovane, l titolo è “”What Was Unseen”, come fosse stato invisibile.

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“What Was Unseen”, 2013,

Il volo è non più solo evocato ma rappresentato con gli aeroplani della serie Aristocracy, del 2014: vediamo esposti Private Pirates” e “Lost in the Clouds of Luxury”: in entrambi ardite acrobazie come uccelli imbizzarriti, in un  cielo il cui cromatismo sfumato e soffuso che non troviamo nelle altre sue opere fa pensare ai fumogeni aerei, richiamano anche i cieli di  Turner. Il pensiero torna  all”Aeropittura” del futurismo, mentre ci si chiede quale sia il riferimento all’aristocrazia: il titolo “pirati privati” fa pensare ai passatempi degli aristocratici, banali e insieme seduttivi,  ancora la sua ambivalenza; l’altro titolo riferito alle “nuvole della lussuria” è una metafora dell’artista spericolata come il volo magistralmente raffigurato.

 E le immagini “glamour” e dei Vip? Non abbiamo la serie di ritratti, ma opere che  spaziano dal 2017 al  2000, per risalire poi al 1996 e addirittura al 1984: hanno in comune la piccola dimensione, inconsueta per l’artista, 60 per 50 cm.

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“Aristocracy: Lost in the Clouds of Luxury”, 2014

Ripercorriamo a ritroso questo iter iniziando con “It’s Not About Me, It’s About You” , 2007-2017,  la figura “glamour” è della affascinante ragazza bionda,  si muove in modo leggiadro vestita di rosa,  con nella mano sinistra uno specchio che rivolge verso l’osservatore un improbabile riflesso del suo viso, e nella destra una catena; al suo fianco   un giovane di fattezze hawaiane seduto con le stampella a lato, sullo sfondo il cartello “Super Lotto Plus”, quindi una serie di motivi contrastanti  abbinati come sempre.

Tre immagini ancora con soggetti singoli, molto diverse: in “Awakened: Ruth”, 2007, non più la ragazza bionda affascinante e leggiadra, ma una donna anziana infagottata oltremodo che sembra saltare. Con “Dynamic Nude”, 2001, torna la gioventù, addirittura in un nudo, e la leggiadria, il dinamismo è tale che la ragazza si libra nell’aria aggrappata al lampadario, a terra piatti e piattini, in un interno celeste. Gioventù e leggiadria anche in “Snake Charmer”, 2000, però il costume in due pezzi e i capelli, nonché lo sfondo rosso dove è proiettata la sua ombra, hanno un tono quanto mai inquietante.

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“It’s Not About Me, It’s About You”, 2007-17

Ancora più inquietante “Faye Dunaway: Day of Locuste”, risale al 1986, la diva del cinema distesa sul tetto di un’auto bianca, assediata da una folla di fan che protendono le mani per gli autografi, l’espressione sgomenta del viso dell’attrice e il tono della scena fanno riflettere  sugli eccessi del divismo coniugando le due facce di una pratica così diffusa nella società contemporanea.

La più indietro nel tempo, del 1984,  è Good News for Modern Man 3”, uno scorcio suggestivo del corpo di una donna seduta con le braccia protese – in un bianco e nero prezioso perchè è l’unica sua foto non a colori – sfumato quasi in dissolvenza; sembrava preludere a tutt’altra direzione, come nel fotografo De/ Antonis  passato dalla fotografia di moda alla fotografia astratta, invece si è avuta la teatralizzazione addirittura con la composizione creata artificialmente in appositi “set” e poi fotografata.

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“Awaked: Ruth”, 2007

L’umanità nella visione tormentata e fiduciosa dell’artista

Vogliamo concludere con un’immagine del tutto diversa, naturalmente a colori: tante figure umane, viste  all’interno di un’abitazione a più piani, isolate o a gruppi per lo più nude nell’intimità domestica, riprese in una sorta di “finestra sul cortile”, una  “radiografia” surreale che ci dà lo “spaccato” dell’edificio senza la parete esterna. Si tratta di “Self Portrait as An House”, 2013, non esposto, lo ricordiamo dalla mostra precedente. Dopo i catastrofismi del “Diluvio” e dell’ “Apocalisse”, il disfacimento, l’alienazione di “Gas Stations” e “Land Escape”, l’ambiguità dei “Flowers”, questo ritorno alla dimensione domestica ci sembra beneaugurante dopo tante metafore e visioni preoccupanti.

L’umanità che ci è stata presentata è inquieta  e minacciata, ma non inerte né rassegnata; la visione dell’artista va al di là  dell’alienazione e del pessimismo esistenziale, pur sempre presenti. Del  resto, le sacre rappresentazioni di matrice religiosa, fino alla figura di Cristo  nelle parabole evangeliche,  con  la loro forza evocativa, nella quale il mondo Pop è sempre presente, ci dicono molto sulla sua spiritualità.

E la svolta radicale con l’abbandono delle  fotografie “glamour” ai divi al culmine del successo professionale  è eloquente. Nella visita alla mostra le immagini, nella spettacolarità delle composizioni scenografiche e nelle grandi dimensioni stimolano i sensi dell’osservatore. Ma nello stesso tempo suscitano anche riflessioni e meditazioni. L’artista ne è consapevole, come ha detto chiaramente: “Io credo in un linguaggio visivo tanto potente quanto la parola scritta”. Il suo linguaggio visivo lo è certamente.

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“Faye Dunaway : Day of the Locust”, 1996

Info

 Galleria Mucciaccia, Largo della Fontanella Borghese 89, Roma Da  lunedì a sabato, ore  10.00 – 19.30; domenica chiuso Ingresso gratuito. Tel. 06 69923801, segreteria@galleriamucciaccia.it| www.galleriamucciaccia.com. Catalogo: “David Lachapelle” Galleria Mucciaccia, aprile 2019, pp.142, formato  29 x 25. Cfr. i nostri articoli in www.arteculturaoggi.com: sulla precedente mostra di Lachapelle a Roma nel 2015, “Lachapelle, la fotografia da set teatrale al Palazzo Esposizioni” 12 luglio; sull’arte americana:: nel 2014: “Warhol. L’artista totale del XX secolo, alla Fondazione Roma” 15 settembre e ”Warhol. Tra la quotidianità e il mito, alla Fondazione Roma” 22 settembre; nel 2013: “Empire, l’arte americana oggi al Palazzo Esposizioni” 31 maggio; nel 2012: sul Guggenheim: “Il museo mecenate dell’avanguardia artistica americana” 22 novembre, “Dall’espressionismo astratto alla Pop Art” 29 novembre, “Dal Minimalismo al Fotorealismo” 11 dicembre; infine, per l’artista-fotografo citato nel testo, i due articoli su De Antonis, nel 2016: “Nella fotografia astratta un nuovo realismo” 19 dicembre, e “Dai ritratti classici alla fotografia astratta” 25 dicembre.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla Galleria Mucciaccia, si ringraziano gli organizzatori, con i titolari dei diritti – “LaChapelle Studio” – per l’opportunità offerta. In apertura, “The New World” 2017; seguono, “Behold” 2017, e “Jesus and Buddha Under a Tree” 2017; poi, “Lost and Found” 2017, e “Milley Cyrus: Solitary” 2017; quindi, “After the Deluge: Cathedral” 2007, e “American Jesus: Hold Me, Carry Me Boldly”; inoltre, “Rape of Africa” 2009, e “Rebirth of Venus” 2009; ancora, “America” 2008-11, e “Showtime of Apocalypse” 2013; continua, “Landscape Luna Park” 2013, e “Icarus” 2012; prosegue, “What Was Unseen” 2013, e “Aristocracy: Lost in the Clouds of Luxury” 2014; infine, “It’s Not About Me, It’s About You” 2007-17, “Awaked: Ruth” 2007, e “Faye Dunaway : Day of the Locust” 1996; in chiusura, “Gas Shell” 2012, con “Land Scape Luna Park” e “Land Scape Emerald City” , 2013.

Da sin., “Gas Shell” 2012, “Land Scape Luna Park” e “Land Scape Emerald City”, 2013

17 risposte su “Lachapelle, l’artista scenografo con nuove opere, alla galleria Mucciaccia”

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