11 settembre 2001, 4. La ripresa volitiva, da “Ground zero” la mobilitazione per l’umanità

di Romano Maria Levante

Nel ventennale dal crollo delle Torri Gemelle colpite da 2 aerei di linea lanciati come kamikaze completiamo la rievocazione del tragico evento tratta dal nostro romanzo-verità “Rolando e i suoi fratelli, l’America!”, pubblicando la 4^ e ultima puntata, dopo le 3 uscite in questo sito l’11, 13 e 15 settembre. 2021. L’evento viene seguito “in diretta” da un personaggio del romanzo, il figlio del protagonista, che l’ha veramente vissuto in prima persona. Dopo aver fatto rivivere l’angoscia e lo sconcerto dinanzi a un atto inimmaginabile e così disumano, si è passati all’impegno nei soccorsi e alle prime riflessioni. Ora dalla disperazione si passa alla reazione indignata e orgogliosa che porta alla mobilitazione contro l’infame attacco alla civiltà e alla vita di tutti. Le immagini, a differenza di quelle inserite nelle 3 puntate precedenti, relative alle scene di distruzione delle torri e dell’intera area, fotografano l’assetto attuale, con il memorial “Ground Zero” che ricorda l’evento e tutte le vittime con i loro nomi come in un sacrario, e il grattacielo “”One World Trade Center” , costruito tra il 27 aprile 2006 e il 30 agosto 2012, ideale erede delle Torri Gemelle e dei valori da esse evocati, per questo detto “Freedom Tower”, nel rinnovato contesto urbanistico del “New World Trade Center” ; precedono le luminose visualizzazioni virtuali delle torri che furono elevate a loro memoria. Il grattacielo è alto 1776 piedi, l’anno della dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, 541 metri al pennone e 417 metri al tetto, con 104 piani.

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“Ground Zero” con il “memorial”, sacrario delle vittime

“…E’ rientrato nella sua abitazione dopo una giornata di tregenda. Tutto il giorno e parte della notte è restato nella zona del disastro adoperandosi per dare un aiuto. Con i volontari  ha lavorato a fianco dei vigili del fuoco e dei poliziotti, ha messo a disposizione le proprie capacità organizzative oltre alle mani nude per cercare  tra le rovine.  Ha voluto rendersi utile alla città colpita a morte, ed è fiero di averla aiutata a ricominciare a vivere, a risollevarsi dal baratro in cui è precipitata. Si è impegnato finché le autorità e i corpi municipali, tramortiti dall’immane tragedia, hanno ripreso il controllo. E’ riuscito a parlare con i suoi, li ha tranquillizzati, se può usare questa parola in un  momento simile.

Si distende sul letto. Vorrebbe allontanare la visione sconvolgente della mattina  e lo spettacolo desolante del pomeriggio e della sera. Ha ancora negli occhi l’immagine agghiacciante delle persone che precipitano dall’alto in un volo disperato, delle persone che  escono stravolte dagli edifici in fiamme correndo all’impazzata, dei vigili del fuoco che fanno il percorso inverso cercando di contenere le proporzioni della tragedia, della gente che vaga smarrita e sgomenta non sapendo come rendersi utile, delle imponenti torri prima in fiamme come fumaioli che hanno preso fuoco, poi crollate inesorabilmente una dopo l’altra.

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L’ultima immagine ò quella della notte. Dalle fotoelettriche, sciabolate di luce si proiettano su un paesaggio spettrale, un deserto di rovine sovrastate da una specie di tragica quinta teatrale fatta di un rivestimento sottile come un paravento rimasto miracolosamente in piedi a marcare un’identità cancellata, così precario e irreale da ricordare inquadrature da film dell’orrore, gli sembra di sentirne il sinistro cigolio. Un deserto di morte, brulicante di uomini con le divise fosforescenti alla ricerca del nulla, cioè di tutto. Delle vite annientate, dissolte, polverizzate.Trascorrono inquiete le ore. A poco  a poco riprende contatto con la dimensione umana della vita dopo averne conosciuto da vicino la dimensione disumana.

Il day after di New York inizia con un sole malato, quasi timoroso di aprire un nuovo giorno nell’orrore del massacro delle torri. Massacro di migliaia di esseri umani disintegrati dalle migliaia di tonnellate dei piani superiori che si sono riversati sui piani inferiori travolgendoli e sbriciolandoli in una voragine che li ha inghiottiti.

Le migliaia di tonnellate precipitate a valle col boato delle valanghe erano avvolte  dalla palla di fuoco che ha liquefatto le possenti strutture di acciaio progettate per resistere agli impatti più violenti, dal vento rovinoso del tornado fino all’aereo impazzito.

-Al fuoco dell’inferno non si resiste se si è inermi rispetto alle forze del male e si è abbandonati alla mercé di Satana! Sono espressioni che lo fanno inorridire mentre l formula, tanto sono apocalittiche.

Balza giù dal letto,corre allo specchio. Scruta il proprio viso, ha paura che Satana gli abbia prodotto mutazioni da richiedere l’esorcista. Ripensa al film che gli aveva suscitato una reazione di disgusto e disprezzo, e non ai film catastrofici nei quali erano la natura e l’imponderabile, anche la delinquenza o la cattiveria ad agire, ma entro limiti più contenuti, in un certo senso più umani.

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-Sono state superate le Colonne d’Ercole dell’umanità per sconfinare nel regno dell’orrore senza limiti, senza ragioni! esclama. Inutile  cercare un motivo, per quanto abietto, inutile tentare di capire! E se si fosse trattato di un incubo?

Attaccato a questa ancora di salvezza si avvicina alla finestra della camera. Guarda il cielo di sfuggita, teme di vedere lo skyline mutilato. le sue parole sono un’invocazione.

-Dove sono le torri?  Ecco, se comparissero i due campanili svettanti sulla foresta pietrificata tutto sarebbe risolto. Dio mio, fa il miracolo per l’umanità, non per me, è stata sfregiata la civiltà, distrutta la vita in  modo infame violando i valori più sacri. Non può essere vero. E se ti fossi distratto puoi rimediare. Ora e subito, ci credo, ci conto! L’invocazione termina con una pretesa più che con una preghiera. E’ stato lo sfogo di un momento. Non regge al vaglio della fede oltre che della ragione. La forza del ragionamento torna a farsi strada.

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-Non è possibile semplificare il mistero della vita e della morte, del bene e del male, dell’onnipotenza e dell’onniscienza, e insieme del libero arbitrio dell’uomo che giustifica tante brutture non attribuibili alla volontà divina. E nemmeno spiegare la sconfitta del bene, troppo spesso condannato a soccombere sotto i colpi delle forze del male lasciandoci attoniti e smarriti.

Ritira l’assurda pretesa. Si riscuote. Riesce di nuovo a ragionare.

-Niente ora e subito, non ci conto, non ci credo. L’infamia è opera dell’uomo, l’essere umano ha tirato fuori la parte disumana della sua natura. Non serve scrutare il mio viso, né guardare nel vuoto sperando di vedere le torri intatte, magari avvolte dall’arcobaleno. Bisogna affrontare la realtà e non occorre lo specchio, non ha senso affacciarsi alla finestra.

Peraltro ci vuole poco per vedere e molto per non vedere la colonna di fumo mefiti conche si solleva dal luogo dov’erano le torri. In un’amputazione il dolor persiste nel punto dov’era l’arto mancante, così avviene nella città mutilata dei suoi simboli. E delle vite che si sono disintegrate in un pozzo senza fondo.          

Un’immagine affiora alla sua mente, con il disgusto e il disprezzo per le mutazioni sataniche.

-Rammento che daddy mi raccontò di aver visto un gatto sfrecciare privo della coda troncata dal morso di un coccodrillo, terrorizzato per quella violenza innaturale quasi fosse l’attacco di un alieno. E aggiunse scherzando che il gatto alza la coda quando lo accarezzi per farti capire che è finito il gatto. Voleva sdrammatizzzare, però ottenne l’effetto contrario, l’angoscia di un gatto senza più carezze mi rimase dentro.

Guarda lo skyline senza le torri, un’amputazione innaturale di proporzioni incalcolabili.

-Ecco inquietudine che diventa orrore, l’angoscia che diviene terrore. Come dinanzi all’invasione di alieni spietati, dalle terrificanti sembianze di infernali coccodrilli pronti a chiudere le loro fauci smisurate su migliaia di esseri incolpevoli. All’inquietudine e all’orrore, all’angoscia e al terrore si aggiunge una lacerazione profonda, un dolore lancinante  che non ha eguali, un male insanabile che scava dentro. New York ha subito un’amputazione sanguinaria e assassina, senza le torri resterà mutilata per sempre di qualcosa di unico. Non ci sarà la stessa gioia di vivere nel microcosmo gravitante sulla Plaza dove il lavoro e il divertimento diventavano una festa collettiva. E’ stata depredata delle tante carezze che non si potranno più dare  alle innumerevoli vittime. E delle carezze che non si potranno dre alla “città che on dorme mai” ora che è stata spogliata della sua parte più viva e vitale.

Ha un soprassalto d’orgoglio.

-Non è la fine della civiltà, bensì una tragedia che pone enormi responsabilità. Il mondo non puù soccombere alla più bestiale assenza di umanità, deve reagire!

In Johnny non c’è solo l’idealista, c’è  il manager. Abituato a ribattere colpo su colpo alle azioni dei concorrenti, a tradurre le minacce in opportunità. Glielo raccomandava sin da bambino il pdre che aveva dovuto fare un duro cammino per passare dall’ago al milione, dai sette dollari dello sbarco nel porto di New York al completo benessere. E lo ha affinato nelle scuole di management.

Nelle lezioni sulle strategie aziendali, e poi nelle riunioni all’alta direzione della merchant bank, l’imperativo era quello dello judo, utilizzare contro l’avversario la sua stessa forza. Una civiltà millenaria lo ha insegnato.

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-Che sto proclamando? Non sarò io a elaborare la strategia di difesa. O di offesa. Sì, di offesa, protesta on un fremito di ribellione.

E’ impossibile fermare i propri pensieri, si conosce bene.

-Sarebbe sbagliato concludere che si è giunti alla fine della storia. L’ho pensato per un momento quando le immagini che avevo davanti agli occhi evocavano l’eclissi della civiltà. Finora se n’era parlato per l’appiattimento del mondo sotto la superiorità americana, e non era giusto. Non sarebbe giusto, a maggior ragione, neppure l’opposto: cioè la resa dell’America, e del mondo con essa, alle forze del male.

Allontana dalla mente  i versi che il padre  declamava  nell’affrontare i confronti più difficili, “io sol combatterò, procomberò sol io”.

-Combatteremo tutti, combatteranno tutti. E’ una sfida decisiva, nessuno dovrà sottrarsi. Da una minaccia è necessario cogliere un’opportunità.

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Torna il proposito quasi ossessivo e gli fa trovare la risposta all’interrogativo che lo assilla.

-Che opportunità   trarre dalle fiamme dell’inferno, se non la spinta per reagire con una forza pari alla violenza con cui è stata inferta l’immane ferita? A un’azione spaventosa deve contrapporsi una reazione uguale e contraria. Lo dicono le leggi fisiche, lo insegna la natura. Anche se la primordiale legge del taglione, “occhio per occhio, dente per dente”, è superata dal progresso e dal messaggio altrettanto antico “nessuno tocchi Caino”, chi ha portato l’inferno a Manhattan non merita pietà. In questa sfida si ridesteranno energie assopite, adagiate nel benessere e nella sicurezza,  per annientare le minacce infernali ovunque si annidino, in modo da ricavare del  bene dal male assoluto. Saranno le forze disumane del male a far recuperare all’umanità la forza intemerata del bene per la mossa di judo vincente.

Emerge un nuovo imperativo, ritrovare lo spirito della frontiera per rianimare un corpo svuotato dalla mancanza di stimoli che ha perduto la voglia di mobilitare tutte le energie per una causa.

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-Altrimenti per cosa mobilitarle? si chiede. Per il super sofisticato modello di automobile dalle centinaia di cavalli di potenza con le sbalorditive diavolerie futuristiche e la megatelevisione satellitare al plasma dai mille canali con l’apertura globale al mondo interattiva e senza confini, per l’onnipotente personal computer  con accesso illimitato  a un’Internet onnisciente e il telefonino ipertecnologico divenuto terminale dalle possibilità sconfinate, per l’avveniristico gadget elettronico e la playstation dalle più fantasmagoriche simulazione computerizzate? O per l’abitazione accessoriata e automatizzata, tecnologica e cablata imposta da una domatica fantasiosa e invasiva , la villa sempre più spettacolare con piscina e contorno di barca da diporto  e le seconde residenze sparse nelle località più attrattive?  E’ la meta del lavoro quotidiano, con l’orario che lascia parte del pomeriggio a disposizione per lo shopping o per rasare il prato, e due giorni di week end sacro e intangibile. Un risultato, quest’ultimo, raggiunto in un’America all’avanguardia della crescita economica per merito dei suoi cittadini, anche se per tanti resta un miraggio. Adesso non basta più, neppure quando l’attività copre l’intera giornata e non lascia spazi riservati per la propria persona.

La giornata lavorativa di Johnny supera le dodici ore, solo a notte fonda può dire di aver finito dopo incontri, riunioni, stesura di relazioni, spesso tra aerei e alberghi. Non vi è sabato e domenica che tenga, il week end non esiste allorché l’impegno è totale e assoluto.

Se domanda se sono aggettivi da usare ancora. O c’è qualcosa in più da fare? Cosa è cambiato?    

-Nel mio impegno manca un elemento decisivo, non mi si chiede di rischiare la vita! esclama. Mentre lo spirito della frontiera unisce il rischio supremo alla mobilitazione totale e assoluta.

Domande assillanti gli affollano la mente.

-Le migliaia di lavoratori e di visitatori delle Twin Towers sapevano di rischiare la vita? Sapevano che li attendeva la fine più orrenda, scomparire nell’eruzione di un vulcano apertosi all’improvviso nel luogo più sicuro non lasciando la minima traccia di loro corpi? I sopravvissuti sapevano di dover riemergere dall’inferno stravolti, coperti di polvere e ferite, increduli della salvezza in un cataclisma che ne ha risparmiato il corpo ma ne ha marcato in modo indelebile lo spirito?   E i passeggeri degli aerei sapevano di poter essere trasformati in missili  a testata umana nella più orribile azione di kamikaze della storia?

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Immediata è la risposta, uno sfogo che nasce dal cuore.

-Ma allora nell’impegno totale deve entrare anche il rischio della vita, come epr il pioniere, come per nonno Giovanni. Nella favola vera vissuta in terra di frontiera nelle miniere dell’Alaska incombeva sempre l’insidia di una frana o di un’inondazione, di un’esplosione o di un cataclisma, di un incidente o di un’imboscata dei rapinatori. Gravi pericoli che si sentiva di affrontare a costo della vita. Sarò degno di lui!

Ha di nuovo il controllo dei pensieri. E dei sentimenti. Con il ricordo del nonno, cuore e ragione si sono saldati. Può ripensare la propria esistenza. Finora ha dedicato le sue giornate alla merchant bank di cui è dirigente. Adesso, al di là dell’insicurezza calata sui grattacieli di Manhattan, è pronto a rischiare la vita sul campo di battaglia. E’ il rischio supremo che accetta in difesa dell’umanità, ne è consapevole.

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La sua analisi è lucida, ha ripreso a ragionare. Da manager e da uomo.

-Si dovrà dare battaglia a chi ha scatenato l’apocalisse, nel segno della civiltà senza confini che l’essere umano ha costruito in una storia millenaria a prezzo di incredibili sofferenze e sacrifici. Civiltà che ha visto aberrazioni inenarrabili segnare nei secoli individui e generazioni, popoli e stati, ma lungo un percorso di faticosa, difficile, e tuttavia innegabile crescita. Non deve venire annullata dalla follia omicida che provoca la strage più orribile e non arretra dinanzi all’inimmaginabile per farci regredire alle angosce più tremende ai momenti più bui. Occorre unire le forze in una mobilitazione alla quale chiamare i cittadini e le nazioni che hanno subito una ferita insanabile nella loro vita. E non sarà più la vita di prima, sprofondata  com’è nell’orrore di ciò che è avvenuto e nel terrore che possa ripetersi, non si sa  ad opera di chi, dove, come, quando e neppure perché.

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Pensa all’angoscia piombata sul mondo, cerca di mantenere la mente fredda.

-E’ un terrore che riporta alle minacce e alle paure ancestrali per i fulmini e i terremoti, gli incendi e le inondazioni, le carestie e le pestilenze, le invasioni dei barbari e le incursioni dei predoni, gli assedi e le guerre, fino all’incubo dell’olocausto nucleare; minacce  e paure affrontate e sconfitte. Questa minaccia è invisibile e può annidarsi in ogni luogo, non viene dalla natura né da nemici dichiarati bensì da spietati terroristi dissimulati tra di noi con sembianze umane pur essendo disumani. La paura è che qualunque aeroplano, tra le molte migliaia che quotidianamente solcano i cieli, potrebbe trasformarsi in una spaventosa bomba umana scagliata da inafferrabili kamikaze su tanti innocenti.

Si ribella l’intero suo essere.

-Non è possibile vivere tutti sotto il ricatto del terrore e dell’orrore, occorre reagire all’unisono  mobilitandosi contro chi ha lanciato la sfida mortale. Si mobilitavano i pionieri del Far West nell’America nascente. Si è mobilitata, dopo Pearl Harbour, l’America divenuta grande e prospera. Si mobiliterà, dopo la nuova Pearl Harbour che ha funestato l’inizio del terzo millennio, l’America superpotenza mondiale insieme alle nazioni del mondo civile!

L’erede delle Torri Gemelle
l”One World Trade Center”, detta “Freedom Tower”

E’ tornato in ufficio. Ha dimenticato la routine quotidiana  e non ha idea di quali siano i suoi impegni, se ha senso continuare ad averne. L’alto dirigente che attendeva la mattina della tragedia per l’iniziativa nel digitale non si è fatto sentire, del resto non avrebbe potuto con ciò che è successo e lui non aveva affatto pensato di cercarlo.  Né ha intenzione di farlo ora, ha ben altro per la testa.

Ancora non si è riavuto. Dov’erano le Twin Towers vede levarsi un fil di fumo che non evoca Madama Butterfly, ma un’esalazione da gigantesco forno crematorio. Volta le spalle alla vetrata, non vuole più guardare fuori.

Deve fare qualcosa. Prende il fascicolo sul digitale rimasto sopra la scrivania, apre l’armadio per rimetterlo a posto. Si accorge che sta ripetendo i movimenti del giorno prima in senso inverso, quasi volesse riportare la realtà al punto di partenza. Rammenta un film nel quale “Superman” con la sua forza aveva fatto girare la terra all’indietro invertendo  il moto di rotazione e annullando quanto avvenuto nel frattempo. La coscienza dell’impossibilità di un tale evento lo deprime ancora di più. Siede dietro la scrivania,  dove il calendario da tavolo è sempre aperto sulla pagina dell’11 settembre, martedì. Deve voltarla subito e voltare pagina anche dentro di sé, tornare al lavoro, alla vita. Lo fa con un gesto rapido, ma non basta.

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Squilla il telefono. Prova sollievo, se questo è lo stato d’animo che si ha nel risollevarsi da una simile angoscia. Il lavoro lo chiama, e non per l’appuntamento saltato il giorno prima. Deve andare nel Michigan, a Detroit, per trattare la partecipazione a un’iniziativa in campo aeronautico promossa da un’impresa leader nel settore. L’incontro non è stato annullato. Tuttavia i voli nazionali degli aerei passeggeri sono bloccati per motivi di sicurezza, i terroristi hanno utilizzato proprio le linee interne.  Si è trovata la soluzione, ed è l’oggetto della telefonata. Nel pomeriggio lo verrà a prendere l’aereo dell’impresa con un volo privato.

Intanto può incontrare i colleghi, riunire i collaboratori, prepararsi per la missione. Non parlano della tragedia del giorno prima. Ognuno sta combattendo la propria battaglia personale per tornare alla vita.  Il lavoro si rivela la cura migliore per sconfiggere l’indicibile angoscia.

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Finalmente va all’aeroporto. Non vede l’ora di ricominciare  a lavorare. Perché significa ricominciare  a vivere. L’aereo “executive” sta atterrando. Un ricordo gli si presenta, una bella immagine illumina la sua mente.

-Mi sembrano tornate le rondini ad annunciare l’arrivo della primavera. E’ la prima rondine ed è troppo presto per parlare di primavera nel cupo inverno  abbattutosi su New York e sul mondo. Comunque è bello avvertirne il soffio.              

Nella splendida giornata di settembre del giorno precedente era calato il gelo di una tragedia oltre ogni limite che aveva mostrato quanto di più disumano possa albergare nell’uomo e quanto di peggio possa capitare  nella vita degli individui e delle nazioni. Ora pensa che il soffio della primavera tornerà sulla città, sulla gente.  Che è la sua città, la sua gente. E’ fiero di farne parte.

Assorto sale i pochi gradini della breve scaletta ed entra nll”executive”. Con la mano sul cuore mormora commosso un’invocazione.

-God bless America!

Questo, ne è sicuro, è il suo nuovo inizio”. 

Fine

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Il “New World Trade Center”

Info

Si tratta della 4^ e ultima parte della rievocazione della cronaca vissuta in diretta dell’attentato alle Torri Gemelle nel romanzo-verità di Romano Maria Levante, “Rolando e i suoi fratelli, l’America”, Andromeda Editrice, 2005, pp. 366. L’intera cronaca è alle pagg. 321-344, la 4^ parte sopra riportata è alle pp. 338-344. La 1^ parte è uscita, in questo sito, l’11 settembre 2021, a 20 anni, la 2^ e la 3^ sono uscite il 13 e il 15 settembre.

Photo

Le immagini sono tratte da siti web di pubblico dominio, si ringraziano i titolari precisando che l’inserimento è a titolo meramente illustrativo, senza alcun intento di natura economica nè pubblicitaria, qualora tale nostra pubblicazione non fosse gradita le relative immagini verranno immediatamente rimosse su semplice richiesta. Non si tratta più nè di immagini delle Torri Gemelle in fiamme e col pennacchio di fumo, alternate con i vigili del fuoco al lavoro, nè del deserto di detriti e polvere con i vigili come formiche smarrite; ma dell’attuale situazione della zona del World Trade Center: le prime 13 immagini sul “Ground Zero”, tra cui le 3 iniziali fissano i vuoti rimasti dov’erano le torri, le 10 successive mostrano il “sacrario” con tutti i nomi delle vittime, le rose votive e le bandiere, fino alla preghiera di papa Francesco e all’abbraccio commosso dei due giovani; seguono 2 immagini con i fasci di luce virtuali che furono elevati temporaneamente in memoria, e 5 immagini finali sul “New World Trade Center” in cui spicca l'”One World Trade Center”, la risposta orgogliosa alla perdita delle Torri Gemelle, la torre più alta, la 6^ al mondo, chiamata “Freedom Tower” per i valori evocati. I siti, indicati nell’ordine in cui sono inserite le rispettive immagini, sono i seguenti: viator.co, newyorkcity.it, avvenire.it, fattodiritto.it, viaggi-usa.it, settimanenews.it, italiani.it, ilmattino.it, marcotogni.it, today.it, avvenire.it, vaticannews.va, dilei.it, ansa.it, marcotogni.it, newyorkfacile.it, 123rf.it, getyourguide,it, infobuildenergia.it, rainews24.it. Ancora grazie a tutti i titolari dei siti citati per l’opportunità offerta.

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6 commenti

  1. Per la rievocazione del tragico evento tratto dal romanzo – verità “Rolando e i suoi fratelli, l’America”, 4^ puntata seguito in “diretta” da un personaggio figlio del protagonista che l’ha vissuto si passa dalla disperazione alla reazione indignata.
    Giorno e parte della notte è restato nella zona del disastro, ha lavorato con i volontari dei vigili del fuoco e dei poliziotti, cercare tra le rovine, si è reso utile alla città, aiutandola a vivere.
    È colpito dal caos che regna nella città, la mattina seguente cercando di contenere le proporzioni della tragedia, è presente nel vedere le Torri, prima in fiamme e poi crollare una dopo l’altra.
    Il paesaggio diventa sempre più spettrale, inquadrature da film dell’orrore, un deserto di morte.
    Massacro di migliaia di esseri umani inghiottiti, termine questo che mette paura nel rappresentare una belva, qualcosa di irreale.
    Vedere queste scene che cambiano e non finiscono mai diventando sempre più tragiche, più e c’è anche un momento per uno sfogo, una serie di riflessioni sulla fede e sulla ragione, con il ragionamento che torna a farsi strada.
    Con il trascorrere dei giorni l’animo non regge al dolore, al danno, al terrore patito e diventa insopportabile, ti toglie la voglia di vivere, ci si sente sconfitti, abbattuti, distrutti.
    Ricostruire, sanare sarà duro e difficoltoso, per una distruzione non solo relativa alle Torri ma, anche spirituale e religiosa.
    Dio non ci ha creato per assistere a simili atti di terrorismo ma per amarlo ed essere amati con tanta Misericordia, con l’alto senso del perdono nel volerci condurre nel suo Regno.
    La vita non è e non potrebbe essere fine a sé stesso ma, quella dell’Eternità.
    L’autore con questi servizi, quattro sulle Torri Gemelle, non ha voluto solo descrivere la tragedia ma anche riferirsi al genere umano, al bene e ala male e lo ha fatto, sicuramente, soffrendone.
    Io non ho detto tanto ma, il poco che ho evidenziato, l’ho fatto riconoscendo il valore del Levante e ringraziandolo per l’impegno nel rendere servizi di utilità e di valore storico e culturale.

    1. Francesco forse non si è accorto di cosa è riuscito a trasmettere con i suoi commenti, in particolare con l’ultimo: una tensione, un pathos che la sua sintesi rende ancora più lacerante, perchè ha condensato le sensazioni del personaggio che vive la tragedia in un concentrato nel quale risultano ancora più intense rispetto al dipanarsi progressivo della cronaca “in diretta” della rievocazione.
      Nel suo commento non ci sono pause di attesa e neppure di riflessione, è incalzante nell’inesorabile successione di momenti sempre più proiettati nell’animo del protagonista che a un certo punto nell’immedesimazione diventa lui stesso, il lettore.
      Emerge la sua intima religisità che lo porta a dare una risposta prima di formulare la domanda che viene da porsi sui disegni di Dio dinanzi a scene così disumane, quasi temesse che di risposta ce ne potrebbe essere un’altra, meno fideistica.
      La sua risposta evoca la Misericordia di Dio, l’amore che deve animare l’umanità ed è l’opposto dell’odio disumano che ha prodotto l’infame strage di innocenti – sarebbe riduttivo evocare “l’inutile strage” con cui papa Benedetto XV marchiò la guerra – fino al compimento della vita nella luce dell’eternità, la prospettiva nella quale vanno visti anche i grandi misteri, come il bene e il male rispetto all’onnipotenza divina.
      Grazie, caro Francesco, delle tue parole, e non mi riferisco agli apprezzamenti come sempre generosi e da me immeritati, ma alla dimensione in cui sei approdato che dopo l’orrore e la disperazione apre l’animo alla speranza. Che questo avvenga anche nel lettore è edificante e consolatorio.

  2. Articolo che riassume la durezza di ciò che è accaduto e della fragilità della società; ho apprezzato l’uso degli aggettivi: calzanti, irrimediabilmente si sente un brividi lungo la schiena; la mente rievoca il fumo, le persone che escono all’impazzata dall’inferno. Ma l’ America come Johnny tornerà a una normalità… Finito è il pensiero di essere invulnerabili. Complimenti mi informerò per il libro. È stato un onore parlare con lei anche se per telefono. Cordiali saluti Cristina 35463, Vodafone

    1. La sensibilità di Cristina in poche parole “scolpisce” la lunga cronaca che si dipana nei 4 articoli, in sintonia con una realtà inimmaginabile: la “durezza” dell’accaduto e la “fragilità” della società, i “brividi” e l’uscita “all’impazzata”, il “fumo” e l’inferno”, la “normalità” e l’illusione dell'”invulnerabilità”. L’onore è tutto mio di aver parlato con una persona che, pur nell’anonimato spesso banale delle comunicazioni con le società telefoniche, ha mostrato quanto poi ha saputo esprimere con il suo commento, un fiore che spunta nel deserto. Grazie, Cristina, i complimenti sono tutti per lei, e averla come lettrice mi gratifica veramente.

  3. Caro Romano, vorrei dare il mio piccolo contributo alla tua dettagliata rievocazione della tragedia dell’11 settembre. Il mio viaggio di nozze inizò il 24/9/2001 a New York. Le caserme dei vigili del fuoco erano tappezzate di foto dei caduti sul lavoro. In città c’erano messaggi di ricerca di scomparsi un pò ovunque. Il 26/9 eravamo a “ground zero”. C’era ancora fumo e portavano via auto bruciate. Per numerosi anni, lo skyline di Manhattan sarebbe stato diverso. Un paio di settimane dopo, a San Francisco, abbiamo visto cortei spontanei di pacifisti che si opponevano alla dichiarazione di guerra all’Afghanistan. Il resto della storia lo conosciamo.
    Graziano

    1. Venti anni dopo Graziano ci regala una doppia testimonianza, quanto mai preziosa, altro che il “modesto contributo” del suo “understatement” da americano d’adozione.
      Con pochi tratti dà il segno della catastrofe abbattutasi due settimane prima su quella che è stata allora una delle mete del suo viaggio di nozze, con il contrasto tra l’amore della “luna di miele” fonte di vita, e l’odio disumano del “fiele della distruzione” fonte di morte. Sono pochi tratti molto espressivi delle distruzioni con le auto bruciate ancora lì mentre era in corso l’immane lavoro per eliminare le tracce della barbarie, e con la memoria dei tanti vigili del fuoco periti nelle operazioni di salvataggio: rovine materiali e perdite umane rievocate in una cronaca essenziale e lapidaria, che tocca il cuore nella sua autenticità, perché lui “c’era” di persona nella fase di poco successiva, non soltanto in modo virtuale come nella rievocazione romanzata.
      Ma c’è dell’altro nella sua testimonianza che ci riporta all’oggi: il corteo dei pacifisti che incontrò due settimane dopo a San Francisco contro la guerra in Afghanistan seguita all’attentato: in questo modo il Golia della grande America aveva rialzato la testa ferita ma non abbattuta dal Davide terrorista, e chiedo venia per questa associazione con una figura positiva di qualcosa per cui non ci sono parole adeguate di esecrazione, ma la riporto come mi è venuta in assoluta spontaneità.
      Graziano lo ricorda poche settimane dopo la precipitosa conclusione di tale guerra con la “fuga” degli americani e dei loro alleati, italiani compresi, da Kabul, dinanzi alla quale impallidisce la fuga da Saigon che pure fu definita irripetibile, ponendo indirettamente interrogativi quanto mai attuali. Ma voglio pensare che i pacifisti di allora non avessero ragione, come potrebbe apparire, hanno avuto torto oggi a vanificare, con un affrettato “tutti a casa” dinanzi al quale impallidisce pure il nostro “8 settembre”, quello che chiamano “il lavoro” fatto in 20 anni con tante vittime e altre distruzioni; a fronte delle quali c’era stata almeno la neutralizzazione dei talebani, che chiamare trogloditi è un complimento, tanto i loro costumi, imposti con la violenza anche omicida – abbiamo visto con orrore in questi giorni le impiccagioni in piazza – sono arcaici e oppressivi dei diritti umani più elementari, in particolare delle donne, per usare un altro “understatement”, questa volta fin troppo generoso.
      Venti anni dopo, il paese che sembrava faticosamente avviato alla modernizzazione viene rigettato nel Medio Evo più buio, e non si tratta di un romanzo di appendice, ma purtroppo della cruda realtà. Graziano con il suo ricordo di allora ci fa meditare oggi, quando a solo un mese dalla “fuga” da Kabul non ci sono più i riflettori mediatici e tutto sembra quasi dimenticato.

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