Isgrò, il Modello Italia nelle cancellature, alla Gnam

di Romano Maria Levante

Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna  è aperta dal 20 giugno al 6 ottobre 2013 una mostra speciale:  “Emilio Isgrò. Modello Italia 2013-1964”:  mezzo secolo  tra l’intuizione geniale e la provocazione spiazzante con un denominatore comune, la centralità del proprio paese, che considera con lo sguardo corrucciato  per l’amore tradito mettendone a nudo le magagne come stimolo alla rigenerazione salvifica. Nell’invito alla mostra del 2010 a Verona su “La Costituzione cancellata” scriveva: “Questa mostra è il grido di dolore di un artista per l’Italia che si sfascia”.  Curatrice Angelandreina Rorro che ha curato anche il  Catalogo  Electa con Beatrice Benedetti.

Lo strumento di cui si serve da cinquant’anni per esprimersi in modo tanto originale da potersi dire unico è la cancellatura, un paradosso che deve essere spiegato tanto è inusuale e aggressivo. Ma prima va approfondito come sia maturata la sua preoccupazione per l’Italia partendo dalla Sicilia, terra natale sua e di tanti letterati, Pirandello e Vittorini, Brancati e Sciascia. All’isola dedicò le sue prime cancellature eliminandola dalla carta geografica e i suoi “Semi d’arancia” in formato gigante.

Le cancellature di Isgrò: significato e valore

Secondo la direttrice della Gnam Maria Vittoria Marini Clarelli, con il suo “Seme d’arancia”, “il minimo simbolo possibile della sicilianità assurge  a monumento e il fuori scala lo rende  una forma ‘altra’, tra l’esergo e l’embrione. Così diventa possibile il paradosso di sedersi all’ombra di un seme”; come  le cancellature rendono possibile il paradosso di rigenerare ciò che si è  eliminato. Del resto le carte geografiche con la Sicilia cancellata risalgono al 1970, poi coprono l’intero paese.

Ricordiamo la reazione patriottica con spirito risorgimentale quando l’Italia è stata definita “un’espressione geografica”, ebbene  Isgrò è attirato dalla sua geografia, la identifica come un insieme di nomi che percorrono  lo stivale, dalle città ai monti, dai fiumi ai laghi, per poi cancellarli fino a ridurre l’Italia alla lettera iniziale, per di più invasa dalle formiche, in “Modello Italia”.

Le sue cancellature avvengono in modi diversi, con la china nera che distende sulle parole o con la scomparsa dell’immagine che diviene virtuale; possono essere anche mobili ad opera di formiche o scarafaggi che si spostano eliminando alcune  e lasciandone in vita altre per lanciare messaggi, arriva all’autocancellazione nel suo ciclo “Dichiaro di non essere Emilio Isgrò” iniziato nel 1971.

E’ il momento di approfondirne il significato prima di vedere le sue opere dove tutto questo si manifesta in modo  inequivocabile con una persistenza nel tempo di cui occorre tenere conto.

La  direttrice della Gnam Clarelli scrive che “la cancellatura è un meta-linguaggio applicabile a qualunque codice grafico”, mentre per la curatrice Rorro “il seme della cancellatura è il dubbio. La  messa in discussione delle proprie certezze”.  

Ferruccio de Bortoli vi vede il coraggio di guardare in faccia la realtà: “Ogni giorno, con gesti inconsapevoli, cancelliamo una parte del nostro essere italiani. Senza accorgercene. E non sentiamo il bisogno di togliere sovrastrutture, pesi ed egoismi. Insomma, non abbiamo il coraggio di cancellare per rinascere e per sentirci un po’ più liberi”. Questo coraggio invece ce l’ha il nostro artista: “L’indisciplinato Isgrò intanto disegna e acconcia, con pazienza e irriverenza, l’immensa tavola delle nostre contraddizioni nella quale fatichiamo a specchiarci”.

Ma mentre la cancellazione inconsapevole che facciamo noi è distruttiva, la sua proprio perché consapevole è costruttiva, tanto che lui stesso  ha scritto: “C’è un tempo per cancellare le parole e un tempo per recuperarle”. E ancora:”La cancellatura è un modo di aprire le porte alla comunicazione, fingendo di chiuderle per dare più libertà”. Ne ha dato prova facendo seguire al “Dichiaro non essere Emilio Ingrò” del 1971, prima citato, il “Dichiaro di Essere Emilio Ingrò” del 2008: riapre la porta dopo oltre 35 anni.

Ecco come ha recepito il suo messaggio una laureanda ventitreenne in storia dell’arte con la tesi “la cancellatura dopo Isgrò”, Clelia Mangione: “Ho imparato dall’uomo Isgrò ad indagare, a pormi domande e a cercare le risposte dentro di me e nel mondo che mi circonda, ho imparato accanto a lui a sostenerle con umile forza e ad esserne sempre innamorata. E ho imparato dall’artista Isgrò a cancellare, a cancellarmi per riscoprirmi e cancellare il mondo che mi circonda per riconoscerlo”. E conclude: “Come le parole e le immagini sfuggono alle cancellature di Isgrò, così le nostre idee possono sfuggire alle mani di chi vuole cancellarle, per distruggere la nostra libertà”.

La cancellature patriottiche dalla Sicilia all’Italia

Cominciamo dalle opere che aprono la mostra e ne riassumono i motivi: “Modello Italia”, 2012, presenta lo stivale su un grande pannello tra fitte cancellature; in un pannello simile, ma senza la penisola, dalle cancellature si salvano soltanto le parole “Dichiaro di essere Emilio Ingrò”, 2008;poi “I come Italia”, 2010, la grande lettera aggredita dalle formiche.

Troviamo questi motivi nella prima sala, con il “Mantra siciliano per Madonne toscane”, 2006-08, un’installazione in cui convivono la forma di cancellazione con i tratti neri e quella con le formiche: la prima in “Ave Maria”, 12 colonne a stampa rigorosamente cancellate, la seconda in “Madonna con formiche” e “Giara”dove l’insetto non cancella scritte ma evoca “l’infinito presente” del mondo contemporaneo che, secondo l’artista,  aggredisce tradizioni radicate “tutto distruggendo e tutto cancellando”,  pur nell’ operosità collegata alle api contrapposte alle cicale.  Il “mantra” è una litania in dialetto siciliano recitata dalla voce dell’autore nel sottofondo.  

La Sicilia è protagonista anche nello “Sbarco a Marsala”, 2010, un’installazione con al centro della sala il “Monumento a Garibaldi caduto”,  intorno due Pianoforti di legno bianco lucido sui cui leggii ci sono partiture di ” Norma” e “Puritani”,  “Sonnambula” e “Pirata”, ma tutto è infestato dalle formiche; di Garibaldi si vede solo lo stivale,  sulla parete la scritta “W Garibaldi” formata da formiche, il  tutto accompagnato dal celebre telegramma “Obbedisco” cancellato e dal “Decreto del baciamano” che lo vieta  tra uomini; un carillon diffonde le note di “Casta Diva”. Che dire,  non si può non restare presi e sconcertati.

Il legame tra l’isola e l’intera nazione e soprattutto la sua accorata ansia per le sorti del paese emergono ancora di più  nel salone  dove troviamo di nuovo cancellazione a tratti neri e formiche. “Fratelli d’Italia. Fratelli di Sicilia” , 2009, è composto da cinque serigrafie che riportano l’Inno di Mameli dove nella cancellazione quasi totale sono risparmiate le parole “Italia/Schiava”,  oggi il riferimento che allora era al  passato è divenuto attuale, dato che la perdita di sovranità sotto i diktat europei è sempre più evidente. Segue “La Costituzione cancellata”, 2010,  installazioni-box in legno e plexiglas  che riproducono pagine cancellate dove in ognuna sopravvivono frasi di senso opposto al dettato costituzionale, come “Una indivisibile minorata” e “L’arte ha diritto di sciopero”, “Non sono proibite le associazioni segrete” e “E’ senatore di diritto chi è nato a febbraio”, “Lo Stato può essere sciolto da tre cittadini” e “La giustizia amministrata da giudici spaventati”.  Ci fa pensare al referendum abrogativo che può cancellare singole parti  e parole delle leggi trasformando le frasi nel loro opposto, in fondo Ingrò usa lo stesso  procedimento.

Non si fa attendere il momento  “costruens” dopo quello “destruens”: “La Costituzione delle api”, 2010,  mostra la penisola formata da api che nel pannello successivo lasciano l’interno dello stivale per definirne i contorni. è di grandi dimensioni, veramente spettacolare,  le api operose sono ancora più attive delle formiche previdenti, un  messaggio positivo per la nazione segue la dissacrazione.

Vediamo poi “L’Italia che dorme”, composizione in alluminio con una  figura sdraiata  sotto una coperta invasa da scarafaggi,  è sempre il 2010, anno nel quale troviamo anche “Le Regioni addormentate”. Sembra una resa;  ma l’anno dopo ecco  “L’Italia s’è desta”,2011, una pagina del “Corriere della sera” con questa strofa dell’inno nazionale che  sopravvive alla cancellazione di tutto il resto, sono parole di riscossa mentre in “Fratelli d’Italia”  rimaneva “schiava”: una bella differenza, sono passati soltanto due anni da allora, torna l’ottimismo.

Lo stesso ottimismo sembra essere alla base della “Cancellazione dei debito pubblico”, ancora 2011, quasi lo si potesse fare con delle righe nere nell’articolo su due pagine di un giornale economico dal titolo “Et dimitte nobis debita nostra”, con altri titoli, grafici e numeri cancellati, resta solo la sequenza di 15 zeri che seguono il numero del debito; l’artista ha spiegato che la cancellatura “funziona come lo zero in matematica, chiamato a formare da solo tutti i numeri, tutti i valori”. E’ stata realizzata per l’Università Bocconi, dov’è stabilmente installata nei suoi 2,80  per 3 metri di grandezza, dono dell’artista; fu inaugurata con il rettore della Bocconi  Mario Monti.

E dopo il debito pubblico,  ecco “Cancello  il Manifesto del Futurismo”, 1912, realizzato verso la fine dell’anno per un museo di Rovereto, il Mart,  due pagine con il celebre testo pubblicato sul “Figaro” di Parigi il 20 febbraio 2009 quasi interamente cancellate, resta “Allons, dis-je, mes amis! Partons!”, l’ultima parola “salvata” anche più avanti.  In parallelo tenne nel museo un “Corso di cancellazione generale per le scuole d’Italia”, riconsiderando istituto e avanguardie con la cancellazione: “Noi vogliamo cancellare, noi vogliamo sognare” , del resto anche la cancellazione del debito pubblico con un tratto di penna esprime il sogno impossibile di cancellarlo nella realtà. Mentre crediamo che la cancellazione della Costituzione esprimeva invece il richiamo al realismo della sua insufficiente attuazione  rispetto alla retorica della “Costituzione più bella del mondo”.

Abbiamo introdotto con l’immagine del “Modello Italia”, il grande stivale tra le cancellature, recentissima l’installazione dallo stesso titolo generale che si articola in tanti titoli particolari a pagine di quotidiani cancellate ma di cui si riconosce la testata e qualche titolo al quale si riferisce l’intitolazione dell’artista. Tanti sono i “Modelli Italia”, 2013,  fissati in altrettanti quotidiani  i cui titoli e testi  sono “cancellati”, anzi “scialbati” perché alcuni percepibili: il romano e iltemporale, il francescano e il benedettino, il tasso di sconto e l’evasivo, il moto perpetuo e il riciclaggio, il dubbio permanente e il provvisorio, il marinaro  e l’ingannevole, il modello in movimento  e l’irraggiungibile”, con i temi più elevati, modello di verità e di umiltà, di sapienza e di speranza, fino al modello delle anime; c’è anche un modello di perfezione,  in cui cancella l’articolo del giornale ma non il grande titolo “Lo Stato ignorante”, magistrale!

E’ spettacolare la vista di tutte queste pagine di quotidiani cancellate nella grande sala espositiva. Ma è anche fortemente simbolico, lui stesso ha detto di aver “scialbato” parole e figure “non certo per distruggere, ma per azzerare con un gesto simbolico la difficile situazione in cui ci troviamo e ricominciare a costruire il futuro anche con l’arte , con la cultura”, che è il suo messaggio di fondo. Il “Modello Italia ” è soprattutto la metafora di una società globalizzata che si rispecchia perfettamente nel disordine italiano. Disordine mondiale e disordine italiano, in altre parole, si equivalgono perfettamente”. E precisa: “In questo senso, e solo in questo senso, l’Italia può diventare un laboratorio d’arte e di cultura per nuove, e inedite, esperienze civili e politiche”. L’artista alza ancora il tiro.

La cancellazione ottomana  e la scomparsa delle immagini

Un’altra installazione con una molteplicità di elementi sotto un unico titolo generale che viene declinato nelle sue manifestazioni è “Var ve yok”,  cioè “C’è e non c’è”,realizzato per la mostra di Istanbul del 2010, in cui il grande libro del “Codice ottomano”  è presentato  con tutte le cancellature in 14 leggii, dai titoli come Codice ottomano dell’armonia, poi terrore e libertà, insonnia e dubbio,solitudine e tempeste, mare blu e lanterne, spezie  e longevità, silenzio e desiderio, infine ombre. L’artista lo ha definito “il lavoro più difficile”, perché con i testi ottomani procuratigli dall’amico Ozgur ha “cercato di raccontare, se così si può dire – sono le sue parole- il graduale transito dalla Turchia ottomana alla Turchia contemporanea”: e lo ha fatto con le cancellazioni   lasciando  parole in turco tradizionale, non  decifrabili neppure dai  turchi di oggi, e  parole in latino per riaffermare che la Turchia è vicina all’Europa, mentre spuntano nomi simbolici, Maria Antonietta nel Codice ottomano del terrore, Goethe e Schiller nel Codice della longevità.

Nella stessa sala, alle pareti, “Il sorriso di Ataturk”, 2010,  due grandi pannelli rossi che riproducono la bandiera turca  con mezzaluna  e stella e la scritta in turco, inglese, italiano, “Mustafa Kemal Ataturk (al centro) sorride nel rosso vestito di rosso”. La particolarità è che non si vede nulla, oltre al rosso uniforme.  Lo stesso aveva fatto oltre 35 anni prima con i due pannelli, esposti, in rosso uniforme intenso senza alcuna figura neppure delineata con la scritte “Karl Marx (a sinistra) mangia nel rosso vestito di rosso” in uno, nell’altro tra parentesi è scritto “a destra“, ma l’immagine è sempre invisibile, quasi inghiottita dal suo stesso colore. 

La scomparsa di immagini  la troviamo 35 anni prima in “Paolo e Francesca”, 1966, nel nero acrilico su tela non vi è alcuna figura, e poi in “Trittico del Vecchio Continente”, 1968,  tre tele emulsionate in cui “Emilio Isgrò (sotto l’albero) medita sul destino del vecchio continente”,  “(a sinistra)  medita sull’immortalità dell’anima”, e “(al centro) scivola verso la morte” con il particolare che non vi è alcuna immagine dell’artista nel retinato; fino alla tela emulsionata “Poesia Jacqueline”, 1985, in cui si legge “Jacqueline (indicata dalla freccia) si china sul marito morente”,né lei né Kennedy colpito a morte sono visibili nel retinato.

Completano la parentesi turca gli acrilici su tela “Cancellazione ottomana energica” e “Cancellazione esitante”, 2010, questa volta non sono cancellate le scritte ma due figure in piedi, la prima totalmente annerita tranne braccio, mano e pugnale, l’altra del tutto sbiancata tranne braccio, mano e cimiero.

I 12 elementi di “Weltanschauung”, 2007, presentano carte geografiche di diversi paesi con i nomi delle località cancellati.

La retrospettiva,  dagli anni ’60 al 1985, e una conclusione

Nella retrospettiva spiccano le due più antiche opere in mostra: la tela emulsionata , “Volskwagen bianca in campo nero“,  1964, una fila delle inconfondibili auto con sopra la scritta, sempre in bianco, “Dio è un essere perfettissimo come una Volkswagen”, è tutto un programma di trasgressione. E la trasgressione prosegue  con  “Cancellatura”, 1964, un piccolissimo ritaglio di giornale con lo scritto tutto cancellato meno  “un truffa  dalla quale sono rimasti vittima numerosi amatori”, poi in una carta fotografica con lo stesso titolo, nel 1966, una cancellazione selettiva nel testo intitolato “Ideologia della sopravvivenza”.  

Le cancellazioni puntano in alto, sul massimo monumento enciclopedico: “Enciclopedia Treccani”, 1970, con una  serie di  box in legno,  su ciascuno un  grosso volume numerato aperto in due pagine dalle scritte cancellate con la solita china nera; e sulle carte geografiche di “Italia” e “Sicilia”, 1970, dove sono cancellati i nomi delle località.  Segue la cancellazione di tre “Telex“, 1972, lunghe strisce in box di legno e plexiglas, e di libri,  “Libro cancellato “, uno generico, 1972, l’altro “Subbaturi Romanu”, 1974,  poi “Dulcinea”, 1967, fino  a “Einstein”, 1983.

Sono esposte anche sue opere che giocano con i colori: il giallo  in “Flavida”, 1979,  macchie di “100 gialli  tra cui stabilire quale giallo è più giallo”, e  “Dittico del giallo perduto”; con il rosso in “Il rosso e la macchia”,  1985,c’è una a scritta che ricorda quella della Volkswagen: “Dio nostro Signore crea questo rosso e lo chiama Gesù”.  Non si tratta di irriverenza, è esposta un’opera in  cristallo trattato con pigmenti  che mostra il suo grande rispetto per la religione, “Le tavole della legge, ovvero la Bibbia di vetro”,è monumentale e senza cancellature.

Gioca con la punteggiatura in “Virgola”, 1966,dove è scritto “Le virgole sono il sale della lingua”, e in “Competition is competition”, che non è in retrospettiva lontana essendo del 1999:  2 acrilici su tela con una grande virgola e la scritta è “Comprereste questa virgola da Bill Clinton?” in uno, “… da Emilio Ingrò?” nell’altro.  Gioca con la prospettiva deformata in “Johanna Juditha”, 1985, dipinto con una figura femminile surreale .

Le uniche altre figure le troviamo in un’opera molto particolare dal forte impegno civile: “L’ora italiana” , 20 grandi cerchi alle pareti con sopra orologi che segnano ore diverse, e immagini di persone dai visi deformati e in pose surreali; ciascun tondo ha un nome evocativo con aggettivi quali carnale e devastato, glorioso e indiziario, lunare e matematico, pauroso e perfetto, possibile  e tonale.  Evocano le tante stragi che attendono giustizia, prima tra tutte quella alla stazione dl Bologna del 2 agosto 1980 quando l’esplosione fermò le  lancette dell’orologio alle 10,25.

Abbiamo iniziato questo excursus citando i “Semi d’arancia” giganti della sua sicilianità e  tre opere simbolo che ne  riassumono i motivi  come italiano e come artista fuori dal coro, il “Modello Italia” con le cancellazioni, “I come Italia” aggredita dalle formiche e il suo “Dichiaro di essere Isgrò”. Dalla sua produzione emerge la persistenza dei motivi e la coerenza stilistica che fa diventare stabile quella che poteva sembrare una invenzione del momento, rinnovandola e puntando sempre in alto. Così ha precorso i tempi dell’arte concettuale e non solo. E’ un artista, lo ricordiamo ancora, che si serve di paradosso e trasgressione per un messaggio positivo di speranza e di fiducia nel suo paese, e la mostra gli rende omaggio con un allestimento spettacolare.

Info

Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma,Viale delle Belle Arti, 131. Da martedì a domenica dalle 10,30 alle 19,30 (la biglietteria chiude alle 18,45); lunedì chiuso.  Ingresso intero 8 euro;  ridotto 4 euro, tra 18 e 25 anni e per insegnanti delle scuole pubbliche nell’UE; ingresso gratuito fino a 18 anni e oltre 65, più altre gratuità di legge.  Tel. 06.32298221, http://www.gnam.beniculturali.it/.  Catalogo: Emilio Isgrò, “Modello Italia 2013-1964”, Electa, 2013, pp. 232, formato 20×25. l

Foto

La immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra alla Gnam, si ringrazia l’organizzazione con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura “I come Italia”, 2010, seguono “Madonna con formiche”, nel “Mantra siciliano per madonne toscane”, 2006-2008, e “Costituzione delle api”, 2010, poi  “Monumento a Garibaldi caduto” in “Sbarco a Marsala”, e  “L’ora italiana”, uno dei 20 elementi; in chiusura, “Tre semi d’arancia (Liberté Egalité Fraternité”), 1998.