Auschwitz-Birkenau, “la morte dell’uomo”, al Vittoriano

di Romano Maria Levante 

Il giorno della memoria nel 65° anniversario della liberazione di Auschwitz il 27 gennaio 1945 si inaugura al Complesso del Vittoriano a Roma la grande mostra , aperta fino al 21 marzo 2010, su “AuschwitzBirkenau”, i campi di sterminio per la “soluzione finale” con il genocidio degli ebrei, nell’orrore degli eccidi e nel degrado umano, in base a documenti, reperti, fotografie e video.“La morte dell’uomo” è la risposta che ci ha dato Bruno Vespa, in esclusiva per Abruzzo Cultura, alla nostra richiesta di fornire, lui curatore della mostra insieme a Marcello Pezzetti, una definizione che la riassumesse, quasi dovesse fare il titolo di “Porta a Porta”. Conosciuta la nostra provenienza ce l’ha data con molta cortesia, dopo un attimo di riflessione.

Abbiamo cominciato dalla fine, l’incontro con Vespa è stato nell’intrattenimento dopo la visita alla mostra su Auschwitz-Birkenau e la presentazione con le autorità, una celebrazione sobria e toccante. Ospiti d’onore, anzi veri protagonisti circondati di attenzioni e di affetto, tre sopravvissuti, tra cui il premio Nobel Elie Wiesel.

Un aggettivo e un sostantivo simboli della memoria

Due parole si ritrovano nel messaggio del Presidente della Camera Gianfranco Fini e in quello del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, che da un anno presiede il Comitato di Coordinamento per le Celebrazioni in ricordo della Shoah. Le parole sono: un aggettivo, “vivido”, un sostantivo, “monito”. Il primo si riferisce al ricordo e alle testimonianze, è vivo e livido insieme; il secondo è per il presente e il futuro, non dimenticare perché l’orrore non si ripeta.

Vivida è la testimonianza piena di sgomento per “tutti gli atti disumani” il cui ricordo, è sempre Fini, “non cesserà mai di indignarci e di turbare le nostre anime”. Atti consegnati alla cronaca prima, tanto erano visibili, alla storia poi, tanto sono laceranti, dinanzi alla vista, ha ricordato Letta, di “milioni di oggetti personali quando non di frammenti di corpi umani accatastati; volti e corpi di uomini, donne e bambini, deturpati e annientati solo perché ebrei, sinti o rom o politicamente non omologati”.

Il monito per Fini viene dalla coscienza del passato per garantire il futuro contro simili barbarie: “Considero, infatti, la memoria collettiva una conquista morale e civile per ogni Paese autenticamente democratico”. Gianni Letta si è posto in una dimensione problematica e sofferta: “Tutto ciò ad opera di persone considerate normali, comuni, e sotto gli occhi di un’umanità che non vedeva , non capiva”. In questa agghiacciante “normalità” il monito viene dalla “banalità del male” che “individua nella sospensione :della facoltà di pensare la causa del progressivo cedimento da parte di persone, del tutto normali, a compiere atti altrimenti inconfessabili, visti esclusivamente in funzione di un progetto criminale di cui non si è stati capaci di percepire la gravità”.

L’inferno e il buco nero, il monito per l’umanità intera

Evocare il “sonno della ragione” sarebbe troppo poco, viene evocato l’ “inferno”, lo fanno Gianni Alemanno e Sandro Bondi, le autorità che hanno parlato nell’inaugurazione, gli altri sono stati presenti e i loro interventi all’apertura sono messaggi scritti. Il Sindaco di Roma lo annuncia agli studenti romani che vanno a visitare quei campi di sterminio: “Ragazzi, sappiate che sarà un viaggio verso l’inferno. Andrete nel punto più buio dell’animo umano, un sorta di viaggio dantesco”.

Il Ministro per i Beni e le Attività Culturali , ricordando i 1.022 ebrei romani deportati ad Auschwitz il 18 ottobre 1943, di cui solo 17 fecero ritorno, dice: che “persero la vita in quell’inferno al quale tutti noi dobbiamo avere il coraggio di volgere lo sguardo per non doverci un giorno ritrovare a riviverlo.

Il “buco nero nella storia del XX secolo” per Alemanno è “una discesa nel lato oscuro dell’umanità”, per Vespa è la rimozione fatta da una generazione per difetto di conoscenza, la mostra colmerà il vuoto. Dinanzi alle omissioni di allora l’umanità, per Bondi, “si interroga su quel silenzio, sull’impotenza di Dio” e conclude che “la risposta alle ideologie del male risiede in noi, nell’essere capaci di una conversione, un rinnovamento interno per costruire una società più umana”.

Marcello Pezzetti, curatore con Vespa della mostra, dà all’esposizione una funzione pratica: “Comprendendo i processi che dalle prime persecuzioni hanno condotto poi alla sopraffazione violenta e allo sterminio, si imparerà a riconoscere i germi dell’intolleranza al loro primo manifestarsi, onde combatterli e impedirne lo sviluppo prima che sia troppo tardi”.

Il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna sottolinea che “tali crimini non furono commessi solo contro il popolo ebraico e le altre categorie giudicate ‘inferiori’, ma contro tutta l’umanità”. E conclude dicendo che Auschwitz è stato “uno spartiacque della storia. Dopo Auschwitz l’Europa è completamente cambiata, ora è retta da quei principi e quel valori che Auschwitz cercò di annientare. Il monito è per l’umanità intera”.

Il rastrellamento

Uno sguardo d’insieme alla mostra

Tutto questo si è svolto nella sala monumentale del Vittoriano, anche le parole scritte sembrano riecheggiare tra quelle colonne con i capitelli dalle volute ioniche, la platea per gli invitati e la piccola galleria per la stampa, la solenne scalinata e la quadriga con la vittoria alata dietro agli oratori che si sono succeduti a un microfono isolato, una presenza sobria e spartana come dovuto.

Parole, quelle scritte e quelle dette, che si sostanziano nelle testimonianze quanto mai vivide esposte in mostra, nelle immagini agghiaccianti che rappresentano quel monito che più di uno ha evocato. Negli ambienti dell’esposizione il monito viene dai documenti, spesso di fonte tedesca, dagli oggetti, come le lugubri divise rigate del lager, dalle lettere ricolme di tenerezza e dai tremendi elenchi di internati di una burocrazia dell’orrore; c’è anche un frammento del ghetto di Varsavia.

La visita alla mostra

Si visita la mostra in un’atmosfera tesa, tra video e filmati, si guardano le immagini, fotografie e disegni, agghiaccianti nella loro spaventosa evidenza. Ci colpiscono i disegni sulla “selezione”, fatta separatamente per donne e uomini, all’aperto, quei corpi nudi appena abbozzati sembrano ancora più inermi e indifesi nei pochi tratti che li delineano, torna subito alla memoria “se questo è un uomo”; e il tarlo dell’anima che ha fatto soccombere il sopravvissuto Primo Levi schiacciato molti anni dopo da un peso, rinnovatosi con la visita al lager, che il tempo non aveva alleggerito.

Ripensavamo al suo dramma perché, anche se in forme e con esiti diversi lo hanno vissuto tanti, forse tutti i sopravvissuti venendone fuori. Si sono rinchiusi in se stessi perché troppo grande era l’orrore per essere comunicato; c’era addirittura il timore di non essere creduti. E questo silenzio ha reso temerari i revisionisti, fino a cercare di accreditare il negazionismo, ne ha parlato Bruno Vespa.

Fino a quando si è aperta la fontana dei ricordi, il tabù è stato superato, il revisionismo-negazionismo schiacciato dall’evidenza della realtà provata e testimoniata direttamente.

L’ultima sezione della mostra è dedicata ai processi per Auschwitz, svoltisi dopo il processo di Norimberga ai più alti gerarchi per i crimini di guerra insiti nella loro responsabilità complessiva. E’ l’approdo, la dolente nemesi che giunge purtroppo tardi, quando milioni di vite sono state schiacciate, un milione nel solo campo di Auschwitz, con duecentomila bambini la cui vita è stata spenta il giorno del loro arrivo al lager.

Sono sconvolgenti quegli occhi che sembrano guardarci dalla fotografie esposte alle pareti, la “vita è bella” in un cupo bianco e nero senza finzione cinematografica è davanti a noi. Alla bestialità della guerra si aggiunge l’infamia inenarrabile dell’olocausto, il genocidio di un popolo da eliminare nell’aberrazione dell’inferiorità o superiorità razziale.

La mostra non fa salti, Ci fa ripercorrere le tappe di un itinerario allucinante per la lucida follia che lo pervade in quella “sospensione della facoltà di pensare” di cui ha parlato Gianni Letta. Birkenau, oltre Auschwitz, viene preso come espressione criminale di un disegno consapevole definito nei suoi particolari non come obnubilazione temporanea e folle. Aveva un ruolo ben preciso nel meccanismo perverso della “Shoah” nazista.

In sette sezioni, ulteriormente ripartite al loro interno, si attraversa il museo degli orrori dell’Europa prima metà del novecento. C’è il cosiddetto “sistema concentrazionario” con i suoi campi da lavoro e le sue regole, viene descritta la nascita di Auschwitz.

Dalla persecuzione degli ebrei nella Germania nazista ai ghetti polacchi, inizia lo sterminio prima in Unione Sovietica, poi in Polonia; oltre a quello degli ebrei il “destino parallelo dei sinti e dei rom”. Il piano Auschwitz-Birkenau è lo strumento perverso per realizzare l’obiettivo aberrante. A seguito del piano tali campi diventano i terminali delle deportazioni di ebrei dall’Europa e anche dall’Italia.

Nella mostra si vede come fosse pianificato lo sterminio: dalla selezione al massacro nelle camere a gas, fino al trasporto dei corpi e al saccheggio dei beni delle vittime.

La vita nel lager e le condizioni di lavoro sono ben documentate con scritti e immagini: dopo l’immatricolazione la quarantena e l’inserimento nella vita del campo, con il lavoro; poi le selezioni interne e i criminali esperimenti medici. Particolare attenzione va ai bambini e ai giovani presenti nel campo, dove ci sono anche le altre categorie perseguitate. E poi l’“arrivano i nostri”: evacuazione, liquidazione e liberazione del campo, fino alla scoperta dei crimini contro i tentativi di occultarli, infine i processi di Auschwitz. Siamo tornati al punto dal quale avevamo iniziato il giro.

Gli aguzzini nazisti

Una ricorrenza per la memoria di tutti noi e dell’umanità intera

Abbiamo raccontato la cerimonia ma non la mostra, della quale abbiamo indicato soltanto i contenuti per fugaci accenni. Lo faremo in modo più meditato di quanto consentito in una serata d’inaugurazione, ripercorrendo il museo degli orrori che rappresenta e cercando di leggere nella lucida follia che lo ha architettato le tracce del disegno delirante e del meccanismo infernale.

Oggi la cerimonia è stata un’intensa immersione in una tragedia epocale resa insostenibile dai visi dei bambini che sgranano gli occhi nelle immagini esposte. Erano così, pensiamo, i visi dei tre sopravvissuti presenti,quegli occhi potrebbero essere del Premio Nobel Elie Wiesel che tutti riveriscono. Si sente un tuffo al cuore, i morsi della memoria sono laceranti, scavano dentro.

Però per questa sera l’ingresso dell’inferno può bastare, il viaggio dantesco nella mostra lo faremo un’altra volta e lo racconteremo come sempre. Possiamo uscire a riveder le stelle. E certo, la terrazza del Vittoriano ce le presenta con la vista mozzafiato unica al mondo.

Sono le ore 20, ha smesso di piovere, attraversiamo la grande terrazza, possiamo dinanzi all’ascensore trasparente che porta in vetta al Vittoriano. Scendiamo a Piazza Venezia, non c’è più la fila davanti al palazzo per “Il Potere e la Grazia”, la grande mostra ha chiuso i battenti per questa sera.

Ci affrettiamo a tornare a casa per scrivere il servizio. Vogliamo essere sulla rivista quando sorgerà il sole del sessantacinquesimo anniversario della “liberazione” di Auschwitz, il 27 gennaio 2010.

Sentiamo il dovere di celebrare, con la solennità che merita, una ricorrenza così importante per la memoria di tutti noi e dell’umanità intera.

Tag: Bruno Vespa, Gianni Letta, Roma

4 Comments

Claudio Vespa

Postato marzo 22, 2010 alle 3:23 PM

Ogni volta che si ricordano questi eventi della Storia dell’Uomo mi tornano alla mente alcune parole scritte da un ragazzo ebreo fatto prigioniero nei campi di sterminio, rivolgendosi alla madre :
anche se il mare fosse d’inchiostro ed il cielo di carta non basterebbero a descrivere l’angoscia ed il dolore che sto provando…….

  1. Laformiotodidac

Postato gennaio 27, 2010 alle 8:30 PM

Ricci :

I ricci/
Del giorno/
Cadute a vostro piedi/
Carezzano/
Le notti/
Delle nostre memorie bruciate./

Auschwitz 3 settembre 1941, Polonia.
Di Anick Roschi

  • Francesca

Postato gennaio 27, 2010 alle 7:48 PM

la guerra e stata terribile io ho sentito le storie di Luigi Bozzato e sono terribili perfino lui piangeva a forza di parlare di quella ssua bruttissima esperienza nei campi di concentramento. ora luigi bozzato e morto a Ponte Longo il luogo in cui abitava e è morto l anno scorso 2009 . mi dispiace per tutto questo e anche luigi e spero che non si ripeta mai più questa guerra. bruttissima e stata … ciao

  • Nemo profeta

Postato gennaio 27, 2010 alle 3:42 PM

Cerchiamo di non dimenticare:
Il genocidio del popolo Palestinese ad opera dei Nazi-Israeliani;
I milioni di anticomunisti massacrati dall’Unione Sovietica;
I 70 milioni di europei morti nella seconda guerra mondiale;
I cittadini di Dresda bruciati vivi dalle bombe al fosforo;
I milioni di Giapponesi arsi dalle radiazioni atomiche;
Lo sterminio dei Kurdi;
I bambini Iracheni e Afghani vittime innocenti delle guerre democratiche;
Le migliaia di Storici imprigionati nelle galere di tutta Europa, a causa della loro ricerca sulla verità Olocaustica.
Io non dimentico!

Mario Sironi in mostra al Museo Crocetti di Roma

di Romano Maria Levante

da cultura.inabruzo.it, 26 gennaio 2009

Ci siamo recati alla mostra di Mario Sironi – come molti dei visitatori che hanno affollato l’inaugurazione la sera del 24 gennaio 2009 a Roma presso il Museo Venanzo Crocetti sulla via Cassia – nel ricordo dell’importante esposizione di quindici anni fa alla Galleria nazionale di arte moderna.

Avevamo negli occhi i grandi dipinti, ci erano rimasti impressi non solo la grandiosità ma anche la forza penetrativa e l’uso del colore, al quale era affidata la rappresentazione delle forme e del movimento; e poi la solitudine degli ambienti industriali, come l’incombente “Gazometro” con le ciminiere sotto un cielo opprimente, sorretti da una razionalità che ne marcava l’alienazione.

Abbiamo ritrovato tutto questo nelle parole di Renato Miracco, curatore della mostra, il quale ha sottolineato i caratteri della monumentalità e della socialità comunicativa di un artista che si rivolge alle masse per confrontarsi con loro al di là delle ideologie; in lui il pensiero, l’idea si fanno tratto, immagine, figura per poter comunicare e, in un certo senso, anche insegnare.

Ma volgendo gli occhi alle opere esposte nelle due pareti parallele si aveva un’immagine ben diversa. Dimensioni molto ridotte, un ripiegamento dell’artista su se stesso in una parete, una esteriorità pubblicitaria apparentemente scevra di veri contenuti nell’altra.

In parte il mistero è stato chiarito dalle parole successive di Miracco e poi di Sonia Costantini, che ha collaborato all’organizzazione della mostra, allorché ne è emersa la peculiarità: forse un limite per coloro che non conoscono l’artista, certamente un pregio per coloro che ora ne possono scoprire aspetti reconditi; gli uni e gli altri portati a rivedere le opere monumentali per confrontare con esse quanto appreso nell’inaugurazione ma soprattutto per leggerle o rileggerle alla luce di quanto acquisito dalla visione delle opere esposte. Anche perché la stessa forma espositiva ne ha facilitato l’interpretazione a chi non è critico d’arte ma semplice cronista o a chi è un normale visitatore.

I piccoli disegni della parete destra della sala sono all’insegna di un’introspezione che rivela la profondità dell’anima dell’artista. E fanno ricordare la sua vita che ha avuto momenti difficili, la depressione superata con la partecipazione al movimento Futurista da lui reinterpretato affidandosi più al colore che alla forma, l’adesione al movimento Novecento, che lo vide tra i fondatori, il contrasto profondo tra il suo senso di libertà e l’esaltazione celebrativa del regime fascista da lui vissuta rielaborando le figure del regime e alimentandosi alla fonte della civiltà italica per ricavarne realizzazioni moderne e innovative. Una vita di impegni nei movimenti e di contrasti, che fa capire quanto siano profondi i sentimenti di sofferenza percepibili alla base e nel cuore di quei disegni.

Tutto l’opposto le illustrazioni, anch’esse di piccola dimensione, che fronteggiano i disegni nella parete opposta: immagini di un futurismo che sembra tutto esteriore, in linea con la sua destinazione pubblicitaria che non vuole insegnare o trasmettere valori, bensì solo sorprendere. Ma dopo la prima impressione irrompe una sensazione diversa, indotta non dall’analisi critica delle immagini ma da quello che comunicano indipendentemente da valutazioni colte o solo erudite.

Così, in questi manifesti, dall’introspezione dei disegni si passa all’abbandono onirico, dall’interno dell’animo al volo planetario, con un senso di liberazione e insieme di libertà che prendono nell’intimo. E avviene il miracolo, le piccole dimensioni si aprono in spazi immensi, nei quali minuscole figure umane si confrontano con l’universo per immergersi in esso, come gli omini di Chagall su scala ben diversa; si sente la monumentalità che prescinde dal formato in quanto attiene a canoni ben superiori.

Torniamo ai disegni, li guardiamo con maggiore attenzione per capire meglio la profondità di un animo inquieto. Ci colpiscono le figure umane, il tratto pesante di matita, carboncino e inchiostro che ne marca i tratti psicologici in un’introversione spesso angosciosa: così “Testa futurista” del 1913, “Ritratto di donna”, “Donna con bambino”e “Studio di figura” della metà degli anni ’30 e, soprattutto, “Nudo” e “Testa” del 1940. Invece “Studio di figura per vetrata” e “’L’Atleta”, del 1932-33, trasmettono un’immagine di forza tranquilla, espressione però di stampo ideologico e non di matrice personale, ispirata dalla mistica di regime.

Vediamo poi le figure umane inserite nell’ambiente, come lo straordinario “Paesaggio con figure” del 1923-24, giustamente posto a copertina del bel catalogo, con l’uomo curvo o al lavoro schiacciato dalla realtà industriale; e lo “Studio per vetrata”, del 1932, anche qui nelle rappresentazioni congiunte del lavoro e della pausa sofferta, con la fatica di vivere in un ambiente opprimente; infine lo “Studio per composizione murale” del 1937-38. L’ambiente, e spesso il paesaggio, racchiude le condizioni del vivere umano, e quindi diventa specchio deformante della condizione esistenziale e della sua stessa anima.

Del paesaggio urbano e industriale qui non troviamo le grandi architetture, alle quali l’artista legò la sua pittura in quanto potevano aiutarlo a stabilire rapporti tra l’uomo e l’ambiente e consentirgli di intervenire, attraverso la modifica delle forme ambientali esteriori, sull’edificazione della persona nella sua profonda umanità. In una visione, per usare le parole di Miracco, “che accoglie ‘il tutto’ come ‘anima’, ‘atmosfera’, ‘natura’, ‘Genio Locii’ e dove l’impianto architettonico è chiamato a servire il risveglio della coscienza umana”.

Non troviamo le grandi architetture, dunque, ma riconosciamo le periferie nel loro squallore ordinato, di un ordine che appare un’intromissione dell’ideologia politica nella sfera dell’individuo e della società. Si respira un clima da pittura metafisica, però non classicheggiante ma vissuta, anzi sofferta. Ecco di nuovo l’alienazione anche senza le figure umane, di cui abbiamo sentito l’angoscia, in “Paesaggio umano con aereo e fabbrica” del 1923-24 e soprattutto nelle due “Periferia”: quella del 1914 dal clima rarefatto di volumi delineati da un tratto sottile di inchiostro, quella del 1926 invece con l’oppressione delle linee violente di una matita e un carboncino molto marcati.

Le due “Composizione metafisica” del 1917 e del 1922 portano la crisi esistenziale a livello di dissociazione, si potrebbe parlare di scomposizione, effetto distruttivo dell’alienazione.
A questo punto avvertiamo il bisogno di tornare ancora sull’altra parete, per uscire dal buio dell’angoscia personale e dall’alienazione delle periferie squallide e solitarie e immergerci negli immensi spazi che ci offrono le sue illustrazioni pubblicitarie, che ora sentiamo ancora di più come spazi di liberazione e di sogno, di vita vera.

E non fa nulla se in questi spazi ci si imbatte in aerei, automobili, scritte gigantesche di una grande marca di automobili, che sono gli oggetti immediati del messaggio, perché quello che ci trasmette è sempre e comunque un messaggio di libertà.

Irrompono su di noi i bozzetti per copertine e manifesti, diventano ali su cui lasciarsi trasportare in alto, lontani dall’angoscia esistenziale delle periferie urbane e industriali che ancora oggi incombe ed opprime. Ali e aerei colorati o senza colore non mancano, e neppure una cavalcata su una sorta di via lattea cosparsa di monete, un’eruzione di vulcano liberatoria, l’omino sovrastato ma non oppresso, tutt’altro, da una sorta di campana, cattedrali portate in spalla da una figura umana, evidentemente superomistica, infine una gigantesca nota musicale. Quanto basta per elevare l’animo in più spirabil aere. Anche se gli elmi dei soldati, il moschetto con vanga e piccone di “L’Italia imperiale”, il possente lavoratore con martello e l’intera gamma di veicoli del “Popolo d’Italia”, per finire con i sei impettiti suonatori di chiarine di “Gerarchia”, la Rivista politica diretta da Benito Mussolini, ci ricordano le opere per il regime, peraltro sempre concepite e realizzate con dignità formale e di contenuti pur nel loro intento laudatorio.

La visita alla mostra termina qui, ed è stato un viaggio suggestivo. La nostra visione di cronisti delle opere esposte giunge alle stesse conclusioni del critico, possiamo fare nostre le parole di Miracco che “vi è la definizione di un ‘dentro’ e un ‘fuori’, di un vicino e di un lontano… e noi percepiamo una ferita, una lacerazione che apre verso il ‘dentro’ e verso il ‘fuori’: la cicatrice è presente, visibile, anzi deve essere percepibile perché testimonia una volontà dell’artista di essere partecipe alla sua vita, alla sua sofferenza, alla sua volontà di scavare e, maieuticamente, portare alla luce”.

Per questo ci appare molto appropriato il riferimento fatto da Antonio Tancredi – Presidente della Banca di Teramo e della Fondazione Venanzo Crocetti, che ha organizzato la mostra e la terrà aperta fino al 2 marzo – al lontano incontro tra Sironi e Crocetti alla I Quadriennale di Roma: “Egli restò ammirato delle opere esposte dall’artista sardo e me ne parlava con grande rispetto” ha detto Tancredi. E ha ricordato anche che Sironi entrò in contrasto con il potente segretario del partito fascista e Ras di Cremona Farinacci, cosa che gli costò “la esclusione dalle successive biennali di Venezia e la perdita della titolarità della rubrica di critica d’arte su ‘Il Popolo d’Italia’”!

A parte quest’ultima non secondaria notazione, che pone in una luce diversa anche il suo rapporto con il fascismo, ci appare significativo, anzi confortante sotto il profilo umano, che l’incontro di allora tra due solitudini – ricordato da Tancredi – abbia visto ora i disegni e le illustrazioni di Sironi ospitati tra le monumentali sculture di Crocetti a chiusura del 2008 a Teramo presso la Banca organizzatrice e, ad apertura del 2009, a Roma tra quelle esposte permanentemente nel Museo dedicato al grande scultore abruzzese, autore di una delle porte della basilica di San Pietro.

Un altro merito, questo, degli organizzatori e di Romana Sironi, la nipote che ha messo a disposizione opere anche inedite, consentendo questa inattesa riscoperta di un artista che ha potuto ripetere il percorso di Crocetti, dall’Abruzzo alla Capitale, ospite del suo grande estimatore.

Il calcio, Kakà e Paperon de Paperoni

di Romano Maria Levante

cultura.inabruzzo.it, 21 gennaio 2009

La vicenda dell’“offerta indecente” per l’attaccante del Milan Kakà – 105 milioni di euro per la società; 15 milioni di euro netti all’anno per 5 anni più un “bonus” di 10 milioni di euro per il giocatore, cifre da raddoppiare al lordo delle imposte – è soltanto l’ultimo episodio, anche se il più eclatante, di una anomalia non più tollerabile.

Il suo finale strappalacrime, con la rinuncia di giocatore e società alla marea di petrodollari (petroeuro nella circostanza), già trasformato in favola edificante, non deve nasconderne i lati inquietanti.

E sorprende come un’organizzazione come quella calcistica nazionale e internazionale – che non solo impegna capitali molto ingenti ma alimenta la passione di sterminate masse di appassionati – abbia al suo interno una contraddizione così stridente.

Perché le offerte indecenti – al di là dell’offesa che arrecano a valori e principi sacrosanti per cui dovrebbero porre una vera e propria “questione morale” e suscitare la ribellione in primo luogo dei veri sportivi – contraddicono la radice stessa del “gioco più bello del mondo”, l’essenza della competizione ad armi pari.

Quella citata si potrebbe definire un’offerta “disneyana”, perché fa scendere in campo i “paperoni”, al di fuori di ogni logica economica e soprattutto di ogni spirito sportivo, ma non vogliamo offendere l’indimenticato personaggio dei famosi cartoons.

Anche perché non si tratta soltanto dello sceicco di Abu Dhabi, il cui staterello naviga, sì, su un mare di petrolio, ma con le “coste” straripanti di masse disperate, i cui leader le aizzano contro l’eroica nazione israeliana edificata dal lavoro e dai sacrifici dei reduci dalla Shoah, senza rivendicare con altrettanta veemenza la redistribuzione delle risorse petrolifere che questi “paperoni” dilapidano. Sarà la tutela americana, saranno forme autarchiche di garanzia e di copertura comprate con i petrodollari a consentirlo, ne viene una minaccia ai valori dello sport e anche della morale.

Ma non sono solo questi i “paperoni”, anzi sono gli ultimi arrivati. Ci sono stati prima gli oligarchi russi, ai quali Eltzin ha regalato, in una privatizzazione da operetta, fette dei giganti petroliferi dell’impero sovietico al momento della sua dissoluzione; anche loro hanno setacciato il mondo calcistico requisendo con disponibilità finanziarie illimitate i migliori giocatori concentrandoli nelle squadre prescelte come il sultano sceglieva la concubina preferita.

Gli uni e gli altri operano nella democratica Inghilterra, la terra puritana dell’Esercito della salvezza. Per le suffragette di quest’organizzazione sarebbe l’occasione di una crociata ben più giustificata delle campagne moralizzatrici da quattro soldi (è il caso di dirlo).

Anche l’Italia non scherza. I “paperoni” nostrani lucrano spesso su rendite di posizione protette dalla concorrenza operando – se vogliamo restare nella “capitale morale” dove vi sono gli esempi più eclatanti – vuoi nel monopolio di fatto della televisione commerciale vuoi in comparti petroliferi che accordi vantaggiosi isolano dalla competizione internazionale.

La loro maggiore dignità, se così si può dire, è che le offerte indecenti, peraltro più moderate di quella ricordata all’inizio, le fanno per la squadra del cuore, all’insegna di una tradizione, e di una passione sportiva, che li riscatta solo in parte nelle motivazioni, ma non negli effetti perversi. Solo in parte, perché così si distruggono le basi stesse della competizione: una doverosa, accettabile parità sostanziale delle posizioni di partenza che è il cuore dello sport.

E’ vero che ogni campionato inizia con le squadre allineate ai nastri a zero punti, poi vinca il migliore: tre punti la vittoria, un punto il pareggio e zero punti la sconfitta, e questo è uguale per tutte le squadre, metropolitane e provinciali, come uguali per tutti sono le regole del gioco e così è, o dovrebbe essere, per l’arbitraggio.

Ma l’uguaglianza finisce qui, ed è tutta apparente. Alla disparità abissale dei bacini di utenza che dava già vantaggi consistenti alle squadre metropolitane, con i grandi stadi e i cospicui incassi, si è aggiunta quella del merchandising, delle sponsorizzazioni sulle maglie, e soprattutto dei diritti televisivi da nababbi la cui iniquità patente solo recentemente è stata attenuata, e per un non imminente futuro.

A tutto questo si sono aggiunti i nostri “paperoni”, che come azionisti di riferimento immettono cospicue iniezioni di capitali nei bilanci delle società privilegiate per rastrellare i campioni e campioncini appena emergono dai vivai o dagli acquisti indovinati delle squadre provinciali. E’ una vera e propria razzia che si riproduce non solo nel mercato calcistico di inizio campionato ma nella tradizionale riapertura a metà campionato, altra distorsione antisportiva.

Mentre per un simulacro di parità, pur se molto parziale dati i fattori appena accennati, tali interventi di capitali esterni al bilancio societario in senso stretto dovrebbero essere assolutamente proibiti.

Soltanto dai bilanci societari dell’annata calcistica senza apporti privilegiati di nessuna natura, ovviamente neppure di azionisti “paperoni”, dovrebbero essere tratte le risorse per gli acquisti dei calciatori, e già le grandi squadre sarebbero avvantaggiate per quanto già detto.

Le inibizioni alla campagna acquisti operano nel caso di bilanci in rosso, ma solo se la società non ha un sultano “paperone” che l’ha scelta come favorita ed è lasciata a se stessa, come sarebbe doveroso per tutte.

Il calcio dovrebbe imparare dalla “formula uno” automobilistica, il che è tutto dire non essendo certo un modello di virtù e di continenza. Ma cerca di preservare l’interesse della competizione in tutti i modi, anche con meccanismi coercitivi e inibitori come i limiti all’uso dell’elettronica e di altri ritrovati quando un team se ne avvantaggia, gli pneumatici unificati per non dare vantaggi a chi “indovina” le mescole giuste, addirittura la proposta per ora rientrata del motore unico; e anche con i frequenti mutamenti delle regole per le qualificazioni, con i giri secchi o multipli, i serbatoi delle prove sigillati per la gara, l’impiego dello stesso motore in gare successive ed altro ancora.

Perché il calcio non cerca anch’esso di preservare lealtà e interesse delle competizioni evitando che si accrescano in modo iniquo e patologico le disparità per effetto dei meccanismi perversi che sono sotto gli occhi di tutti? e non si tratta solo della “sudditanza psicologica” arbitrale o di “calciopoli”, sono ben più profonde e radicate le intollerabili distorsioni sopra accennate.

La ragione di questa inerzia autolesionistica può trovarsi nel fatto che finora la passione dei tifosi ha dato l’illusione che tutto potesse perpetuarsi immutato, come avviene per i regimi nei quali alle stridenti ingiustizie che gridano vendetta agli occhi di Dio non si pone rimedio in quanto accrescono il potere dei dominanti privilegiati e comunque non portano al “redde rationem”.

Ma qualche segnale forte sta emergendo. E non si tratta della conclusione “patriottica” della vicenda dato che l’offerta indecente del “paperone” d’oltre confine è stata respinta dal “paperone” nostrano (e, va detto a suo merito, anche dal calciatore senza chiedere contropartite); anche perché l’encomiabile quanto inedita affermazione del primo momento, secondo cui i bilanci societari debbono reggersi da soli senza ricapitalizzazioni di comodo di azionisti opulenti, è stata presto dimenticata.

Il segnale forte è un fenomeno dinanzi agli occhi di tutti: gli stadi vuoti. E come le urne vuote – è recente l’assenza di metà degli elettori nelle elezioni regionali abruzzesi – sono un acuto segnale d’allarme per la “casta” dei politici al quale non possono restare indifferenti, così dinanzi agli stadi vuoti anche i “paperoni” ancora intenti a distorcere con i loro facili denari ogni lealtà e correttezza sportiva, dovranno cominciare a riflettere. Confortano anche le eccezioni costituite da squadre provinciali che pur nell’esemplare rigore amministrativo ottengono risultati sportivi eccellenti e rompono così lo strapotere antisportivo delle grandi.

E’ la rivincita dello sport autentico da incoraggiare introducendo regole ferree che impediscano i patti leonini delle ricapitalizzazioni di comodo del “paperone” di turno e rendano la competizione più leale, paritaria e quindi più avvincente. La “formula uno”, pur nel suo esibizionismo, ci dà l’esempio.

Contributi all’editoria, giornali politici e vari, Tremonti li dimezza, resisterà?

di Romano Maria Levante

 Un bel regalo di Natale del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, e gliene diamo atto, con la stessa franchezza con cui lo abbiamo criticato per i tagli alla cultura e, più in generale, per i tagli “orizzontali”, peraltro in qualche caso giustificati dall’idiosincrasia di tutti a “tirare la cinghia”. Per cui ogni spesa diventa necessaria e indispensabile, anche per giornaletti dal contenuto ineffabile e dalla diffusione semiclandestina e non riuscendo a porre priorità, la “decimazione” diventa l’unico sistema risolutivo; anche se le eccezioni sarebbero doverose, come la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma che con 1,6 milioni di euro di contributo annuo non può neppure acquistare i libri in uscita. La citazione delle immagini richiamo l’assidua promozione culturale del 2010, si vedrà il perché.

Per la Festa degli Innamorati il 14 febbraio

L’insensatezza dei contributi ai giornali più o meno “politici” o affini

Anche questa volta crediamo che la nostra voce sarà “fuori dal coro”, come quando abbiamo denunciato lo scandalo per la “lista della vergogna”, ripubblicando per tre volte su questa rivista l’elenco dei contributi milionari (in euro) a una pletora di giornali e giornaletti immeritevoli di tale manna. Le vacche magre dell’attuale crisi economica hanno fatto il miracolo, almeno per ora, la manna si è dimezzata con il taglio del 50 per cento imposto dal decreto “milleproroghe”. Ancora poco per rimediare allo scandalo, che richiederebbe l’azzeramento, ma sarebbe già qualcosa.

Parliamo al condizionale in quanto temiamo che, come avvenne lo scorso anno al varo definitivo della legge finanziaria, l’atto di coraggio del Ministro fu provvisorio o apparente, tipo “scherzi a parte”: la provvidenza – è il caso di chiamarla così anche se non è divina ma molto “umana” nel senso di Paolo Villaggio – venne ripristinata nelle circostanze che abbiamo raccontato a suo tempo, non certo commendevoli. Questo temiamo possa avvenire nella conversione in legge del decreto. E non ci stupiremmo se già qualcosa fosse cambiato, la bonaccia sopravvenuta alimenta ogni sospetto.

E’ in azione l’invadente intellighentia di sinistra che ben si sposa con certo avanguardismo di destra, l’una e l’altro profumatamente finanziati dallo Stato che invece ignora bellamente quanto attiene alla cultura. Quando si cita la Costituzione per giustificare, anzi considerare doverosi gli indegni finanziamenti a certa informazione politica o cooperativa, più o meno fantasma, non si considera che la carta fondante della Repubblica si limita a proclamare un diritto senza accollarsene gli oneri, come per ogni altro diritto di libertà: da quello di soggiorno e riunione (artt. 16 e 17) a quello di associazione e fede religiosa (artt. 18 e 19). Questo e non altro recita infatti l’articolo che viene citato per quanto riguarda l’informazione : “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21).

Per la Festa della Donna l’8 marzo

Ma non si parla mai dell’informazione culturale, neppure quando si condannano i tagli alla cultura; e spesso con le lacrime di coccodrillo di coloro che drenano immeritatamente risorse pubbliche e rivendicano addirittura di avere un “diritto soggettivo” ai contributi statali: è un’informazione che non ha alcun sostegno, a differenza di quella politica riccamente foraggiata sebbene i “rimborsi elettorali”, che vanno ai partiti contigui, siano ben superiori alle spese sostenute per le consultazioni popolari, quindi lascino ampi margini per alimentare la stampa politica vera. Anche l’informazione di varia umanità, dal “cavallo” al “motocross” riceve cospicui contributi statali.

L’informazione culturale è quella che, anche attraverso gli approfondimenti, dà contenuto a quanto proclama solennemente la Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura… tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” (art. 9). Riconoscere un diritto è molto meno impegnativo di promuovere e tutelare; ebbene, mentre al mero diritto si dà un contenuto cogente in termini di sostegno per l’informazione politica e varia, si ignora la promozione e la tutela, sebbene sia ben più forte e impegnativa, che milita a favore dell’informazione culturale.

Per la Festa del Lavoro il 1° maggio

Lo scandalo dei contributi gonfiati per le tirature taroccate con rese abnormi

Quotidiani di partito, il conto è salato”, si intitolava il servizio di Marco Gambaro il 3 luglio 2009 su “il Fatto Quotidiano”:“Per ogni copia venduta di un quotidiano politico, ce ne sono tra le sette e le nove che tornano indietro…. Sopravvivono solo grazie ai contributi pubblici. Che però dovrebbero incentivarli a trovare nuove forme di diffusione, più adatte alle loro caratteristiche. Come gli abbonamenti o i siti internet”.

L’articolo era illustrato da un “collage” bipartisan con le testate di l’Unità, Liberazione e Il Manifesto di sinistra, Secolo d’Italia, Il Foglio, La Padania di destra,in più Il Riformista e Avvenire, politico il primo, di ispirazione religioso il secondo, un vero campionario. E conteneva un’interessante considerazione: “Rivolgendosi prevalentemente a una categoria di addetti ai lavori quali i militanti e il ceto politico, esprimono una discussione endogena che poca relazione ha con il contesto informativo dei cittadini comuni”. Cosa che, da un lato li rende “estremamente deboli sotto il profilo diffusionale e pubblicitario”; dall’altro, aggiungiamo noi, ne riduce di molto l’efficacia per il pluralismo politico restando dei mondi chiusi in se stessi, delle monadi impenetrabili.

L’interesse si accresce dinanzi ai dati delle rese e delle copie vendute, dalla cui somma si ottiene la tiratura sulla quale sono stati commisurati tutti i contributi finora erogati, da ritenersi “in fraudem legis” intendendo lo spirito più che la lettera della norma. Seguiamo la ricostruzione di Gambaro: “Nel 2007, Il Manifesto e l’Unità hanno avuto livelli di resa, la differenza tra copie tirate e vendute in rapporto alle copie tirate, rispettivamente del 60 e del 73 per cento. Avvenire apparentemente restituisce meno copie, ma se si tolgono i 70 mila abbonamenti, la resa sale al 56 per cento. Per Liberazione e Secolo d’Italia (dati Fieg dai bilanci) le vendite risultano rispettivamente di 8 mila e 3 mila copie giornaliere, mentre le rese sono in ambedue i casi dell’87 per cento”.

Per la Festa di Primavera

Si precisa che “ le prime tre testate nazionali hanno una resa del 21,9 per cento”, il che comprova l’anomalia di rese così alte che non portano a ridurre la tiratura come sarebbe logico e giusto: “In altre parole – commenta il giornalista – per ogni copia venduta ai lettori di un quotidiano politico, ce ne sono tra le sette e le nove che tornano indietro”. Uno spreco indicibile per gonfiare in modo abnorme i contributi per cui al danno economico si aggiunge quello del consumo inutile di carta, quindi di alberi. Per questo, dato che nella grande maggioranza il numero dei lettori è così esiguo e la qualità del contenuto così scadente da non recare danno al pubblico la chiusura, se si devono mantenere giornalisti e poligrafici converrebbe pagarli per restare a casa o per fare altro, come fu per il Sulcis, oppure utilizzare gli ammortizzatori sociali essendo lavoratori uguali a tutti gli altri.

Il passaggio dalle tiratura taroccate ai contributi gonfiati è stato finora automatico e il divario rispetto alle vendite effettive dato dalle rese misura la vera e propria distrazione di fondi pubblici che avviene con il meccanismo perverso sopra descritto. Innanzitutto citiamo i “legittimati” a ricevere contributi: quotidiani organi di partito, quotidiani editi da cooperative di giornalisti e quotidiani editi da cooperative ed enti morali, prima bastava che ci fossero due parlamentari, poi si è passati al requisito di cooperative, ma sembra possano essere formate da azionisti non lavoratori, il che ripropone una mappa di abusi soltanto aggiornata. Lasciando da parte questo aspetto pur importante, ecco come conclude la ricognizione Gambaro: “ Se si escludono i due quotidiani con tirature maggiori, che nel 2006 hanno ricevuto oltre 13 milioni di euro, le altre testate ricevono mediamente da 46 centesimi a 1 euro per copia venduta, un livello pari al prezzo di copertina, e si arriva a oltre 2 euro per copia venduta per alcune testate con vendite particolarmente basse”.

Per la Settimana della Cultura

Lo scandalo in cifre e la prova in video dell’insostenibilità

Dalla tabella che documenta questo scandalo rileviamo che il record dell’assurdo è per Secolo d’Italia con 3,60 euro di contributo pubblico per copia venduta, seguito da Europa con 2,74 euro per copia, uno scandalo bipartisan al quale con valori meno vistosi concorrono Il Riformista e La Padania, 1,16 e 0.86 euro rispettivamente di contributo per copia venduta; Il Foglio con 0,70 e Il Manifesto e Liberazione seguono a ruota con una media di circa 0,50 euro per copia cadauno.

Considerando che il prezzo di un quotidiano nel 2006, anno della rilevazione, era universalmente di 1 euro – ora in qualche caso è di 1,20 – pensare che Secolo d’Italia ha ricevuto dallo Stato 3,60 euro per copia venduta ed Europa 2,74 euro fa inorridire; gli altri dati riportati fanno ugualmente rabbrividire, e non diciamo altro per carità di patria. Si tratta di giornali politici, cioè con una carica ideologica che li legittima, e un retroterra di militanti, oltre ai rimborsi elettorali ai loro partiti.

Si potrebbe pensare a questo punto che se è la politica a legittimare, i movimenti non rappresentati in parlamento, quindi esclusi dai rimborsi elettorali, dovrebbero essere sostenuti dal contributo pubblico per garantire l’espressione delle rispettive opinioni. Non è così, non possono avere la pretesa di essere “mantenuti” dallo Stato, come non lo può pretendere nessuna impresa e attività nonostante si proclami che “l’iniziativa economica privata è libera” (art. 41); né il lavoratore cui “la Repubblica riconosce il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (art. 4) e perfino “una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera dignitosa” (art. 36).

D’altra parte, lo stesso Fabio Fazio lo ha dimostrato, naturalmente senza volerlo, allorché nella trasmissione televisiva cult “Vieni via con me” ha letto lo sterminato elenco di movimenti politici o presunti tali, invocando platealmente una sedia per la stanchezza derivante dall’interminabile lettura. Lo ha fatto per motivi ben diversi da quelli per i quali lo citiamo – precisamente per mostrare l’impraticabilità del “diritto di replica” – ma lo ha fatto; e quanto dimostrato visivamente non può essere a senso unico, è la prova che è insostenibile la pretesa al mantenimento da parte della finanza pubblica dei giornali di opinione politica, pur se la Costituzione ne garantisce la libera espressione, come fa per gli individui e le associazioni, senza per questo doverli finanziare.

Analogo discorso va fatto per i giornali e giornaletti di “varia umanità”, dalle cronache locali ai contenuti più vari e improbabili; e anche quelli con una propria validità, che attiene ad esempio ai campi dell’economia o delle professioni, non si capisce perché gravino sulla finanza pubblica.

Per “Ottobre piovono libri”

Il ruolo dell’informazione per la cultura nella strategia di valorizzazione dei beni culturali

Diverso il discorso da fare sulla cultura, perché non ha un supporto di militanti come avviene per i movimenti politici, né delle professioni come avviene per altri, mentre ha bisogno di divulgazione per valorizzare beni ed attività che sono un patrimonio di grande valore civile ed economico per l’intera società. L’informazione culturale svolge un servizio dal quale lo Stato e i soggetti pubblici e privati anche imprenditoriali che operano nel campo della cultura hanno un ritorno considerevole.

Lo riconosce Mario Resca, direttore generale per la valorizzazione dei beni culturali, che di continuo sottolinea il valore decisivo della comunicazione ai fini della valorizzazione e mette in pratica questa sua convinzione impegnandosi direttamente nelle azioni conseguenti; nel contempo sottolinea il valore decisivo di tale valorizzazione per la crescita economica del paese, trattandosi di un campo nel quale l’Italia ha risorse straordinarie la cui messa a frutto a livello economico dipende dall’allargamento della visibilità data la crescente competizione nel turismo internazionale.

Resca cita al riguardo le molteplici iniziative attraverso le reti informatiche fino ai Bancomat, e quelle pubblicitarie, peraltro onerose, dagli spot ai cartelloni: tutti ricorderanno quelli sul Colosseo, il David e il Cenacolo portati via “se non li visiti”, ne abbiamo dato conto riproducendoli; come abbiamo fatto per le iniziative promozionali nelle ricorrenze di qualunque tipo: dalla Festa per gli Innamorati alla Festa della Donna, dalla Festa di Primavera alla Festa del Lavoro, dalla Settimana della cultura a Ottobre piovono libri, dalla Notte dei Musei alle “Domeniche in bianco” ei i “Primi martedì del mese”, e a quanto l’inventiva del direttore generale del Ministero per i Beni culturali ha proposto: sempre chiedendo all’informazione culturale di dare ampia divulgazione a tali attività promozionali vitali per il Paese. E’ stato fatto e daremo tra poco i risultati positivi anche economici.

Un “memento” è nelle immagini che illustrano questo servizio, tutte in apertura di ampi servizi su questa rivista; per molte iniziative abbiamo fatto il lancio anche nelle due riviste consorelle www.amalarte.com e www.archeorivista.it con servizi altrettanto ampi di contenuto diverso.

Le iniziative richiamate sono inquadrate nella strategia già accennata di Resca – su cui insistono in primis il ministro Bondi e il sottosegretario Giro – imperniata sulla diffusione della conoscenza del patrimonio culturale per il progresso civile oltre che per lo sviluppo economico del Paese.

Per “La Notte dei Musei”

L’apporto del giornalismo on line, informazione e approfondimento

I comunicati stampa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali si sono moltiplicati per sottolineare la ripresa delle visite ai musei nell’ultimo anno, il 15 per cento di incremento dopo un trend in diminuzione nel quale le flessioni si accumulavano con relativa discesa del nostro paese nella graduatoria europea dell’attrattiva turistica; anche gli incassi in netto aumento, dell’8% circa.

Resca ha vinto la sfida ritenuta ardita soprattutto dai concessionari: con le giornate e i week end nonché le serate di apertura gratuita si è avuto un forte trascinamento, la promozione ha fatto aumentare anche i visitatori a pagamento, che sono tornati nei musei conosciuti per la gratuità.

L’ultimo comunicato sottolinea il grande successo nel giorno dell’Epifania 2011, il numero dei visitatori nei primi 30 siti statali è cresciuto del 51% e gli incassi del 37%: tra gli altri il Colosseo rispettivamente + 30 e +25%, le Terme di Caracalla + 52 e +58%, Castel Sant’Angelo + 56 e +41% per restare a Roma; a Pompei addirittura + 85 e + 72%, rispettivamente aumento di visitatori e incassi tra l’Epifania 2010 e quella 2009.

Sono siti da noi considerati con ampi servizi di approfondimento, al pari delle iniziative promozionali ricordate da Resca come base dei risultati ai quali siamo lieti di aver contribuito.

Infatti tutto questo è stato possibile con l’apporto del giornalismo culturale a stampa e su Internet, al quale, ripetiamo, il Ministero, e Resca in particolare, hanno dedicato notevole attenzione con sollecitazioni continue finora raccolte da una mobilitazione informativa senza precedenti; lo stesso potrà avvenire nel 2011, si è già detto che nel nuovo anno proseguirà l’intensa azione promozionale.

La passione per il giornalismo e per la cultura ha prodotto questo miracolo, nell’epoca del mercantilismo mercenario, al quale Roberto Saviano diede motivazioni che non solo non ci convinsero ma suscitarono in noi una reazione impulsiva; e lo scrivemmo contrapponendo alla venalità che veniva teorizzata mortificando il volontariato culturale, la “classe” di Benigni.

Indro Montanelli, che abbiamo evocato a suo tempo dopo un sogno rivelatore, con le sue parole “lo farei anche gratis” riferite al giornalismo, alimenta e motiva l’impegno disinteressato. Ma non si può far leva in modo indefinito e indeterminato sull’abnegazione e sullo spirito di missione culturale; quando questo non avviene per la passione politica sebbene non produca un ritorno comparabile per il Paese, in termini di progresso civile e di sviluppo economico e neppure per le altre forme più disparate e marginali di giornalismo pur esse sostenute e foraggiate a dismisura.

Per il terzo anello e gli ipogei del Colosseo accessibili al pubblico

Vogliamo dare conto in particolare delle nostre tre riviste on line consorelle – oltre a www. abruzzocultura.it , www.amalarte. com e www.archeorivista. it, i cui servizi sono ben posizionati su Google e Google News– nelle quali non ci siamo limitati all’informazione di massima, in qualche misura obbligata per riviste sulla materia, ma abbiamo dato conto dei dettagli e svolto una funzione di approfondimento in cui risiede, in definitiva, la sostanza della cultura. E tutto questo senza alcun contributo pubblico, e neppure privato, sempre con l’iniziativa e la generosità del titolare e con la milizia giornalistica e culturale assolutamente volontaria di redattori e collaboratori.

Le nostre riviste, che hanno dato sempre ampio risalto alle iniziative del Ministero, lo hanno fatto all’insegna di un volontariato culturale che stride rumorosamente con quanto avviene per l’informazione politica e di “varia umanità”; e per noi non si è trattato soltanto di informazione, ma anche e soprattutto di approfondimento, a largo raggio: dalle citate iniziative del Ministero alle mostre d’arte, in particolare quelle dalle quali viene un ritorno economico con gli incassi derivanti dall’afflusso di visitatori certamente accresciuto dalla divulgazione. Un approfondimento, sulle tre riviste citate, attraverso servizi tematici equivalenti a dei veri e propri saggi, agili e documentati, ma nei quali si adotta il linguaggio del pubblico, non quello dei critici buono solo per gli addetti ai lavori, come ormai viene raccomandato in ogni presentazione di mostre dalle autorità culturali..

Ebbene, lo ribadiamo e figura nel logo a margine “questa rivista non riceve denaro pubblico” – neppure un euro, perciò è cancellato – sebbene nella Costituzione ci sia l’impegno a promuovere la cultura, ben più cogente del riconoscimento del diritto all’espressione libera del pensiero cui si appellano la foraggiatissima informazione politica e non solo per difendere l’indifendibile.

Per la Villa dei Quintili accessibile al pubblico

La prima parte della lista dei contributi erogati nel 2009 e un appuntamento

Il tema sollevato degli abnormi contributi all’informazione politica rispetto alla totale assenza per l’informazione e l’approfondimento culturale va analizzato ancora, e lo faremo al più presto.

Intanto cominciamo a pubblicare la lista dei contributi erogati nell’ultimo anno disponibile: i dati sono del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ci si accede attraverso il portale del governo, sono erogazioni del 2009 riferite al 2008. E’ una visione sconcertante, però anche illuminante. Per noi non è una sorpresa, ne abbiamo pubblicato uno stralcio per ben tre volte, tuttavia rivedendola ancora, per di più aggiornata al 2009, abbiamo ugualmente avuto un sobbalzo: è stato l’anno della crisi e dei primi dolorosi tagli.

Non servono commenti, ciascuno potrà giudicare; anzi, cominciare a giudicare perchè è solo la prima parte, un assaggio. Il seguito ben più sostanzioso con i giornali di partito, prossimamente, alla conclusione del servizio, la cui lettura ci auguriamo venga stimolata dal quadro non proprio edificante di come si dilapidano le risorse pubbliche negate invece alla cultura. Per il seguito della storia diamo appuntamento ai lettori ricordando che i dati in milioni di euro, per una conversione immediata, sono miliardi raddoppiati con riferimento alle vecchie lire. Buona lettura e a presto.

CONTRIBUTI EROGATI ALLA STAMPA NEL 2009 (ANNO DI RIFERIMENTO 2008) Dati aggiornati al 7 maggio 2010

(I dati contengono: IMPRESA – TESTATA – IMPORTO IN EURO)

Contributi per quotidiani editi da cooperative di giornalisti (Art. 3 comma 2 legge 250/1990)

  • AREA Agenzia Coop a r.l. A.R.E.A 1.012.255,52
  • International Press Coop a r.l. Avanti (L’) 2.530.638,81
  • Dossier Coop Inform. e P.R. a r. l Buongiorno Campania 1.090.019,89
  • Grafic Edit. Coop Giornalisti a r.l. Cittadino oggi/ Corriere Nazionale 2.338.600,00
  • Giornali Associati Coop Edit. a r.l. Corriere (di Forlì) 2.530.638.81
  • 19 luglio Coop a r.l. Corriere giorno Puglia e Lucania 2.163.626,56
  • Edilazio 92 scrl Corriere Laziale (Il) 1.904.503,29
  • Giornalisti e Poligrafici Coop a r.l. Corriere Mercantile (Il) 2.530.638,81
  • Nuova Informazione Coop a r.l. Cronaca (La) 2.497.670,96
  • Libra Editrice Soc. Coop Cronache di Napoli 996.491,54
  • Dire scrl Dire 1.012.255,52
  • Editoriale ’91 scrl Giornale di Calabria(Il) 413.587,66
  • Agenzia Grtv Soc. Coop Grtv Press 367.190,40
  • Giornalisti e Poligrafici Ass. Coop a r.l Italia Sera 832.491,19
  • Linea Soc Coop a.r.l. Linea 2.380.932,89
  • Manifesto (Il) Coop. Ed.ce a r.l. Manifesto (Il) 4.049.022,10
  • Stampa Democratica 95 scrl Metropolis 1.636.944,72
  • Ediz. Giornali Quotidiani Coop a r.l. Nuova Gazzetta di Caserta 722.670,85
  • Ed.le Giornalisti Associati srcl Nuovo Corriere Bari Sera 1.302.299,32
  • Centro stampa regionale scarl Ore 12 478.253,83
  • Progetto 3000 Comunicaz. Coop a r.l. Paese Nuovo 549.864,22
  • Effe Coop Editoriale s.p.a. Provincia Quotidiano 2.530.638,81
  • Soc Coop Essepi arl Puglia 373.825,46
  • Rinascita Soc. Coop a r.l. Rinascita 2.530.638,81
  • I Romanisti Soc Coop Romanista 13.019,62
  • Pagine Sannite Coop a r.l. Sannio Quotidiano (Il) 1.726.598,29
  • Verità (La) Ed.le scarl Verità (La) 1.727.516,84
  • Impegno Sociale Soc. Coop. Voce (La) 482.651,64
  • Vidiemme Coop. Giornalistica a r.l. Voce di Mantova 1.440.667,78
  • Coopress Coop. Giornalistica Voce Nuova (Regioni & Ragioni) 1.974.084,15

Contributi per quotidiani editi da imprese editrici la cui maggioranza del capitale sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali (art. 3 comma 2 bis legge 250/1990)

  • Avvenire Nuova Ed.le Italiana spa Avvenire 6.174.758,70
  • Laudese Edile srl Cittadino (Il) 2.530.638,81
  • Conquiste del Lavoro srl Conquiste del Lavoro 3.289.851,60
  • Edizioni Proposta Sud srl Corriere, quotidiano dell’Irpinia 292.182,96
  • Editoriale srl Corriere di Como 1.479.800,78
  • Editoriale Argo Cronaca Qui.it 3.745.345,44
  • Editrice Europa Oggi srl Discussione (La) 2.530.638,81
  • T & P Editori esl Domani (Il) 1.326.837,06
  • Editoriale Bologna srl Domani (Il) (Il domani di Bologna) 1.585.525,48
  • Gruppo Editoriale Umbria 1819 srl Giornale dell’Umbria 1.965.758,36
  • Toscana Soc. di Edizioni spa Giornale Nuovo della Toscana 2.530.638,81
  • Italia Oggi Ed. Erinne srl Italia Oggi 5.263.728,72
  • 2000 Editoriale srl Nuovo Corriere (di Firenze) 2.530.638,81
  • L’Approdo srl Otto Pagine 1.158.993,91
  • Ediservice srl Quotidiano di Sicilia 1.666.581,67
  • Bm Italiana Ed.le srl Scuola Snals 1.716.689,68
  • La Voce srl Editrice Voce di Romagna 2.530.638,81

Contributi per quotidiani italiani editi e diffusi all’estero (art. 3 comma 2 ter legge 250/1990)

  • Oggi Gruppo Ed.le America Oggi 2.530.638,81
  • Italmedia scrl Corriere Canadese 2.834.315,47
  • Porps International inc. Gente d’Italia 583.147,80
  • S.E.I. Pty ltd Globo (Il) 2.111.131,14
  • La Voce d’Italia Voce d’Italia 272.148,34

Contributi per quotidiani editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige (art. 3 comma 2 ter legge 250/1990)

  • Die Neue Sudtiroler Tageszeitung srl Die Neue Sudtiroler Tageszeitung 866.571,63
  • Athesiadruck srl Dolomiten 1.568.996,06
  • Pr. A. E. Promozione Attività Ed.le srl Primorski Dnevnik 1.897.979,11
  • Pr. A. E. Promozione Attività Ed.le srl Primorski Dnevnik (L. 278/91) 1.032.913,80