Caravaggio, Carracci, 1. Maestri e seguaci a Roma, a Palazzo Venezia

di Romano Maria Levante

Una grande mostra merita di essere rievocata a un anno esatto dalla sua chiusura, si tratta di “Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630” tenuta a Palazzo Venezia dal 16 novembre 2011 al 5 febbraio 2012:una carrellata sulla temperie artistica romana dei primi tre decenni del 1600 con i “compagni di strada” e i seguaci di due grandi artisti, Caravaggio e Annibale Carracci. Il  realismo dell’uno e il classicismo dell’altro riflessi in 140 dipinti, nella spettacolare scenografia di Pier Luigi Pizzi.  Ne ripercorriamo la visita con lo spirito di allora  tornando virtualmente in quelle sale come a teatro.

Caravaggio (attr.), “Sant’Agostino”, inizi 1600

La mostra è stata ideata e curata, con il monumentale Catalogo Skirà, da Rossella Vodret, allora soprintendente per il patrimonio storico-artistico e il polo museale di Roma; hanno partecipato all’organizzazione l’associazione “Civita” e “Munus”, con il sostegno della Fondazione Roma – Arte – Musei e il contributo di Banca Etruria ed Ericsson, realizzando un modello di apporto di privati che andrebbe sviluppato sempre più, data l’entità dei costi da sostenere. Nella presentazione si è parlato di 900 mila euro per la mostra, cui vanno aggiunte le ulteriori spese  per la promozione. Straordinaria la presenza di opere di circa 30 chiese romane, oltre che di 60 musei e sedi pubbliche.

L’importanza della mostra

Desideriamo sottolineare questi apporti perché hanno consentito, in un periodo di crisi e tagli alla cultura, di dare vita ad una “sacra rappresentazione” intensa e suggestiva, non ci viene di definire altrimenti la forza scenica che si sprigionava dall’allestimento d’autore della mostra. Il fatto che fosse contemporanea all’esposizione quella a Palazzo Sciarra, nello spazio per l’antico della Fondazione Roma-Museo,  “Il Rinascimento a Roma  nel segno di Michelangelo e Raffaello”,dal 25 ottobre 2011 al  12 febbraio 2012, ne accresceva la portata culturale e la carica spettacolare.

A poche diecine di metri di distanza – tanti  ne corrono tra via del Plebiscito angolo Piazza Venezia, e via del Corso prima di largo Chigi – scorrevano i periodi cruciali di due secoli portentosi: il ‘500 con i due numi tutelari, il “Sacco di Roma” e la folgorante ripresa; e i primi tre decenni del ‘600, con il fascino magnetico di altri due grandissimi. Quelli che avevano visitato“Roma e l’Antico, realtà e visione nel ‘700”, con cui la Fondazione Roma Museo aveva inaugurato il nuovo spazio espositivo  di Palazzo Sciarra, hanno potuto  fare l'”en plein” di tre secoli  mirabili, ai quali si aggiunge il ‘400, il secolo cui la Fondazione dedicò un’altra grande mostra più indietro nel tempo.

Il presidente della Fondazione Emmanuele F. M. Emanuele ha parlato di “continuazione ideale di un percorso storico-artistico e culturale e di una felice coincidenza”, tale da dare a Roma “la concretezza del ruolo di Capitale d’Italia e della cultura italiana”. E’ stato un modo di celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, dato che la mostra “individua il nucleo storico da cui si dipana gran parte delle correnti artistiche italiane e straniere del XVII secolo: primo fenomeno culturale di respiro veramente europeo destinato a segnare una svolta epocale nella storia della civiltà”.

Tutto questo non ha intimidito il visitatore, la mostra ha proposto un altro approccio, più vicino al sentire comune, quello della competizione. Due i grandi capiscuola dalle diversissime qualità stilistiche: Caravaggio con il suo realismo crudo e Annibale Carracci con il suo classicismo delicato. Si confrontavano all’ingresso della mostra sullo stesso soggetto, la Madonna di Loreto, e la “disfida” proseguiva nell’esposizione con i seguaci che si cimentavano sui temi sacri come due squadre in competizione al seguito dei rispettivi capitani. Nel paese di Coppi e Bartali e delle curve nord e sud questo interesse si è aggiunto all’elevato valore culturale e alla forza spettacolare.

Anche nella mostra parallela a Palazzo Sciarra c’era un motivo affine: la ricerca degli influssi di Michelangelo o di Raffaello nei singoli artisti, e anche la compresenza dei motivi di entrambi nelle composizioni degli autori che mettevano nello stesso dipinto gli elementi caratteristici dell’arte di ciascuno. Una sorta di “caccia al tesoro” che continuava nei 140 dipinti del ‘600 a Palazzo Venezia.

Il set teatrale di “storie bellissime”

Nella presentazione  è stato sottolineato come i quadri esposti – spesso poco noti e alcuni in mostra per la prima volta – hanno dietro  “storie bellissime”; e mentre  il ‘600 a Napoli  e in Umbria è stato raccontato, di  Roma si è parlato poco, eppure c’erano 2000  pittori su una popolazione in aumento dai 50 ai 100 mila abitanti dopo il sacco della città del 1527.  A un grande Caravaggio si affianca un grande Carracci, che celebra il trionfo della pittura come immaginazione in un secolo complesso nei temi e negli autori; un secolo agitato dalla questione religiosa e dalla pretesa contraddizione tra il realismo di Caravaggio e il bello di Carracci, mentre tra loro non mancavano le convergenze.

Il ‘600 è un’epoca di multiculturalismo, alimentato dalla mescolanza di artisti con le esperienze  più varie, le vite avventurose e turbolente, la voglia di confrontarsi. Se oggi alcuni possono sembrare minori, allora erano vere  “star”. Nel 1600 vi fu il grande Giubileo con 2-3 milioni di pellegrini, era stata sconfitta la paura del luteranesimo, ma c’era un debito pubblico enorme, pari alle entrate di un quarto di secolo, un terzo del debito era dovuto agli interessi; colpisce la somiglianza con i problemi attuali. Si è ricordato che il primo palazzo a Piazza Navona fu costruito solo alla metà del ‘500.

Rossella Vodret  ha sottolineato l’interesse di una mostra diversa “dopo l’overdose di Caravaggio”, cui già aveva  partecipato in modo originale con le mostre di Palazzo Venezia  “La bottega del Genio” e “La Cappella Contarelli”  in aggiunta alla grande mostra “Caravaggio” alle Scuderie.

Roma era diventata, anche con le ricche committenze papali, la capitale d’Europa per l’arte, e reagiva alla paura riformista con restauri e arredi finemente decorati. Vi lavoravano artisti affluiti da altri paesi, soprattutto Francia e Olanda, che potevano scambiare le esperienze delle rispettive scuole, in un processo di rinnovamento rapido e coinvolgente. Così dopo il Rinascimento romano del ‘500 con i due numi tutelari Michelangelo e Raffaello, nel primo trentennio del ‘600 da un altro sommo, Caravaggio, “prese il via – sono parole della Vodret – la più straordinaria rinascita artistica della Città eterna, i cui esiti saranno percepiti in tutta Europa fino alla fine del XVII secolo”.

La mostra ha raccontato quel periodo nelle sue sezioni per lo più cronologiche, dove hanno trovato spazio gli autori stranieri: spagnoli, fiamminghi, francesi. La città assorbiva  l’arrivo di nobili  come i Barberini, Ludovisi, Borboni, le nuove committenze venivano da loro e dalla Chiesa. Nella sfilata dei quadri non c’erano paesaggi, l’uomo sempre al centro nel dare alla pittura il senso del dramma, perché  lasciato solo, le figure spesso dolorose, le solitudini angosciose. Il visitatore veniva portato dentro i personaggi e le loro solitudini, e le 7 sezioni, espressive al pari di altrettanti film, mostravano come le diverse personalità di artisti avessero recepito gli stimoli in modo differente.

Dopo questi brevi accenni che fanno entrare nell’atmosfera del tempo, rievochiamo la visita alla mostra calandoci nel set teatrale progettato da Pier Luigi Pizzi. Il rosso intenso della moquette del  pavimento accoglieva e, in qualche modo, accompagnava il visitatore. La galleria era imponente, Pizzi aveva riservato per le grandi tele di committenza religiosa collocazioni in altari ben delineati sul fondale rosso che facevano sentire il fascino del sacro, le luci e ombre dell’ambientazione nelle chiese prestatrici. Per le opere della committenza privata invece spazi spartani, spiccavano nel bianco delle pareti come appese nel salone nobiliare. Una dicotomia che tornava  nell’alternanza reiterata tra committenza pubblica e privata per i seguaci  di Carracci prima, di Caravaggio poi.

Annibale Carracci, “Madonna di  Loreto”, 1604-05 

I due grandi Maestri a confronto

La mostra parallela di Palazzo Sciarra  si dipanava tra le committenze dei papi fino a Paolo III, con cui fu superato il trauma del sacco della città, quella di Palazzo Venezia si sviluppava tra quattro pontefici, Clemente VIII Aldobrandini e Paolo V Borghese, Gregorio XIV Boncompagni e Urbano VIII Barberini. Veniva superato un altro trauma, quello luterano e andava in scena il primo trentennio, che pose le basi dello sviluppo artistico nell’intero ‘600.

I primi anni del XVII secolo furono segnati dal confronto tra due grandissimi della pittura italiana: Annibale Carracci, capofila della corrente classicista, e Michelangelo Merisi, Caravaggio, dal realismo rivoluzionario. Scomparvero entrambi prematuramente nel mese di luglio: nel 1609 Carracci a 49 anni, nel 1610 Caravaggio a 38 anni. Un fatale parallelismo, quasi coincidenza,  come nel realizzare entrambi, intorno al 1605,  le due “Madonna di Loreto” che aprivano la mostra.

Questo raffronto diretto diventa l’archetipo dei confronti che si potevano fare tra i loro seguaci, quindi è bene parlarne in modo circostanziato. Ma prima di “gustarlo”, va sottolineato come l’impronta  dello stile dei due Maestri fosse molto diversa. Annibale Carracci era ispirato al classicismo di derivazione raffaellesca, con immagini idealizzate, Caravaggio invece introdusse un realismo naturalistico crudo con immagini forti, anche violente.  Il confronto, nelle parole della Vodret “da solo, vale più di mille parole per le differenze abissali che caratterizzano i due dipinti”.

Seguiamo l’allora soprintendente, ideatrice e curatrice della mostra, nella sua analisi molto dettagliata: il suo è un modo di accostare opere e stili al quale è stato utile ispirarsi nei numerosi confronti possibili tra le opere dei seguaci dei due maestri su temi simili o suscettibili di raffronti.

Annibale Carracci imposta la scena su uno schema simmetrico”, e si tratta di una scena miracolosa, due angeli incoronano la Madonna con Bambino su una nuvola  poggiata sulla Santa casa di piccole dimensioni con portale, finestra e tetto spiovente, sorretta in volo da tre angeli, su un cielo luminoso, una “luce universale”, e in basso un paesaggio oscuro. Luigi Spezzaferro  ha visto l’immagine “come un emblema, o forse meglio un’icona” trovandovi due mani, pittoriche, una più leggera nella Madonna, l’altra negli angeli “più solidi e disegnati, nonché più memori di Raffaello”. A parte questo riferimento al lavoro della “bottega”, tutti i volti sono idealizzati e così i corpi ispirati alle forme classiche nelle vesti e nelle proporzioni non mostrano tensioni né la fatica di reggere la Santa casa in volo. La Madonna è come in trono, ricorda la gloria dell’Ascensione in cielo, la terra in basso è oscura e lontana, è un altro mondo ben diverso da quello del miracolo.

Nel dipinto di Caravaggio tutto cambia, la scena è rivoluzionata, non c’è la Santa casa che pure nel culto della Madonna di Loreto è al centro della venerazione trattandosi dell’evento miracoloso. La Madonna è appoggiata a uno stipite sopra a uno scalino, dettagli che si possono ricondurre alla  Santa casa soltanto perché il titolo del dipinto lo suggerisce, nulla farebbe pensare che è  scesa dal cielo, tanto meno portata da angeli che non ci sono. E non c’è nulla di miracoloso, la luce non è “universale”, da sinistra provengono le tipiche bordate luminose dell’artista, che mettono in risalto aspetti realistici e umani dei due gruppi a sinistra e a destra della composizione, lungo una diagonale che lascia vuota, anzi buia, la parte centrale. Molto umana la Madonna, una venere popolana con il bambino; poi i due pellegrini, lei con la cuffia sdrucita, lui dai piedi sporchi e gonfi.

Proprio questi particolari hanno fatto definire il dipinto “La Madonna dei pellegrini”: la devozione che li ha spinti al lungo cammino sostituisce il miracolo che ha fatto volare la Santa casa, c’è tanta umanità nella loro preghiera e nel capo dell’umile Madonna reclinato verso di loro. Come c’era tanta maestà nella Madonna di Carracci al centro di una simmetria costruita sui cinque angeli che circoscrivono la composizione senza che vi sia alcuna presenza umana, neppure secondaria.

Ad Annibale Carracci fu commissionata dal cardinal Madruzzo per la chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo dov’era la Cappella dedicata alla Madonna di Loreto, starebbe a rappresentare la preghiera della Vergine per la salvezza delle anime del Purgatorio; a Caravaggio dalla vedova del marchese Cavalletti, già membro della confraternita  Santissima Trinità dei Pellegrini per la chiesa di Sant’Agostino molto frequentata dai pellegrini. Forse in queste diverse committenze e destinazioni si può trovare un motivo dell’interpretazione opposta dello stesso soggetto; ma solo come spunto iniziale, il resto sta nel diverso stile e nella peculiare attitudine dei due artisti. Anche nei riferimenti religiosi si possono vedere i differenti versanti, quello ortodosso e classico della chiesa trionfante nella sua gloria in Carracci; quello spiritualista di ispirazione francescana della chiesa povera che non evoca la gloria dei cieli ma l’umiltà e l’umana comprensione in Caravaggio.

Abbiamo citato la chiesa di Sant’Agostino come sede del dipinto di Caravaggio; ebbene, una sorpresa della mostra è stata la presentazione di un dipinto del 1600 che raffigura “Sant’Agostino”  attribuitogli di recente anche se non c’è unanimità; per questo nell’ambito della mostra c’è stato un confronto tra i critici su diverse posizioni a questo riguardo. Per parte nostra abbiamo ammirato l’opera, esposta da sola in un piccolo ambiente: è un dipinto di 1 metro per 1,20, la figura del santo seduto che legge un libro posto sul tavolo a sinistra e scrive su un foglio sulla destra è nell’oscurità; la luce spiove sul volto, il libro e la mano, un’atmosfera suggestiva di meditazione e raccoglimento.

Caravaggio, “Madonna di Loreto” (o “Madonna dei pellegrini”), 1605

Dai “campioni” alle due “squadre” di artisti

Così abbiamo presentato i “campioni”,  capitani delle due squadre composte da artisti di valore i cui 140 dipinti esposti costituivano una galleria d’arte spettacolare. L’esposizione ripercorreva  i primi tre decenni del 1600 separando committenze pubbliche e private per le due “squadre”. Iniziava con la “squadra” di Annibale  Carracci, del quale erano esposte varie opere: si trattava di artisti bolognesi suoi seguaci, Domenichino e Guido Reni, Albani e Lanfranco; e di toscani che erano già arrivati a  Roma come Passignano e Fontebuoni, Ciampelli e BiIlivert.  Nella città eterna c’era la presenza dominante del Cavalier d’Arpino e di  Baglione, il rivale-biografo di Caravaggio.

Ai seguaci di Caravaggio era dedicata la parte prevalente della mostra, pur se si cercava di mantenere il parallelismo evocato dalla comparazione iniziale dei dipinti dei due Maestri con il raffronto dei dipinti degli allievi. Non erano giustapposti, ma si potevano confrontare per la contiguità delle rispettive sezioni finché, divenuti più numerosi i caravaggeschi, era naturale  fare il confronto tra loro, alla ricerca degli elementi tratti dallo stile e dai contenuti del grande Maestro. Tra questi  anche Rubens, che cercava di riproporne gli  effetti di luce e lo stesso  Baglione, il rivale che si ispirava al suo stile quando era ancora in vita nel primo decennio del secolo. A questo periodo appartengono Orazio Gentileschi e Borgianni, Saraceni e gli spagnoli Maino e Tristan.  

Tra il 1610 e il 1620 soprattutto Manfredi lanciò una vera e propria “moda caravaggesca” che attirava i giovani artisti francesi, affluiti in gran numero a Roma: tra loro Regnier, Valentin e Vouet. Divennero caravaggeschi pittori spagnoli come De Ribera,  fiamminghi e olandesi, come Seghers e Giusto fiammingo, Baburen e De Haan, in testa Gerardo delle notti, al secolo Gerrit van Honthors. Gli italiani hanno varie provenienze: con Artemisia Gentileschi figlia di Orazio c’è Caracciolo di Napoli e Cavarozzi di Viterbo, Turchi di Verona e Strozzi di Genova, Spada di Bologna e Guerrieri delle Marche, un campionario degli artisti di tutta Italia presi dal genio di  Caravaggio.

Entrando nel terzo decennio, scomparsi i capiscuola nel diffondere lo stile caravaggesco e tornati nelle loro città i maggiori epigoni, questo movimento si attenuò e il caravaggismo divenne solo una componente dei nuovi orientamenti stilistici del classicismo e soprattutto del barocco, che il papato adottò e sponsorizzò con le sue committenze per i trionfo del cattolicesimo sull’eresia luterana.

Ne dava un valido esempio il quadro posto simbolicamente a chiusura della mostra, opera del francese Valentin, definito dalla Vodret “l’ultimo caravaggesco rimasto a Roma, dove morirà nel 1632”: è stato dipinto nel 1629, il titolo è “Allegoria d’Italia”, cosa di meglio nella celebrazione del 150° dell’Unità di questa premonizione?  Tanto più nel difficile momento attraversato dal Paese.

Non si può non citare, dopo il significato e l’impostazione della mostra, lo sterminato “albo dei prestatori”, ben 86  tra cui le 30 chiese di cui si è detto, a riprova dell’enorme sforzo organizzativo; e l’intenso lavoro di restauro che ha impegnato una ventina di soggetti e istituti specializzati.

Il monumentale Catalogo

Degli artisti citati parleremo direttamente in riferimento alle opere esposte delle quali cercheremo di dare una carrellata raccontando la visita che è stata istruttiva  e insieme emozionante. E’ inconsueto  trovare riunite tante opere inedite sotto il profilo espositivo accostate in base alle loro peculiarità, stilistiche e di contenuto,  molto spiccate e riconoscibili. Se poi sono inserite in un allestimento teatrale di rara suggestione si può dire che è stato un evento meritevole di essere ricordato.

C’è un altro elemento che vogliamo sottolineare, il monumentale  Catalogo, curato dalla stessa Vodret, per la sua particolarità. Le parti introduttive sono ridotte al minimo, due pagine di presentazione, una  del presidente Emanuele, l’altra del Ministro dei Beni culturali e due pagine di inquadramento di Rossella Vodret dal titolo “Non solo Caravaggio”; le  400 pagine che seguono sono tutte dedicate ai dipinti, sottotitolo dell’intestazione “Roma al tempo di Caravaggio, 1600-1630, Opere”. Per ciascuna di esse una sontuosa riproduzione a piena pagina e soprattutto una scheda critica di straordinaria ampiezza e profondità. Sono stati mobilitati ben 54 critici, tra cui la stessa curatrice di mostra e Catalogo, con la loro guida si può penetrare all’interno di ogni opera. Lo abbiamo fatto e nella rievocazione della visita citeremo quello che dei loro commenti ci ha aiutato a  capire meglio il singolo dipinto; soprattutto per gli aspetti relativi alla vicinanza o meno ai due maestri di riferimento Carracci e Caravaggio prima, il solo Caravaggio poi. Si potrà notare che anche i seguaci di Carracci e del classicismo non restano insensibili alla rivoluzione caravaggesca.

Un’ultima cosa desideriamo far notare: per molte opere l’attribuzione  è frutto di assegnazioni precedenti ad altri artisti, Caravaggio compreso, e di ripensamenti. Ciò conferma l’intensa temperie artistica e le contaminazioni stilistiche di scuole diverse che richiedono una speciale attenzione nell’applicare la chiave di lettura caravaggesca ad opere dalla fisionomia perlomeno complessa.

In fondo, aver rinunciato a ricostruzioni e interpretazioni d’insieme dei caravaggeschi nelle tre fasi individuate e descritte nel sintetico inquadramento della Vodret porta a cercare una propria interpretazione di opere e artisti, e a questo fine le indicazioni dei critici si rivelano fondamentali.  Perciò si raccomanda questo catalogo come memoria storica di un approfondimento epocale.

E’ stato un cammino esaltante, lo rivivremo prossimamente rievocando la visita alla mostra che si articolerà nelle sezioni che scandiscono i primi tre decenni del 1600.

Info

Catalogo:” Roma al tempo di Caravaggio,1600-1630,  Opere”, a cura di Rossella Vodret, Skirà, Milano, novembre 2011, pp. 406, formato 24 x 30 cm; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I successivi due articoli sulla mostra usciranno,  in questo sito, il 7 e 9 febbraio 2013.

Foto

Le immagini sono state fornite alla presentazione della mostra dall’associazione “Civita” che si ringrazia insieme alla Soprintendenza per il polo storico-artistico e museale di Roma e ai titolari dei diritti. In apertura Caravaggio (attr.), “Sant’Agostino”, inizi 1600; seguono Annibale Carracci, “Madonna di Loreto”, 1604-05, e Caravaggio, “Madonna di Loreto” (o “Madonna dei pellegrini”), 1605; in chiusura, Pieter Paul Rubens, “Adorazione dei pastori”, 1608.

Pieter Paul Rubens, “Adorazione dei pastori”, 1608