Israel now, 24 artisti israeliani, al Macro Testaccio

di Romano Maria Levante

Un evento la mostra  “Israel Now” sul tema “Reinventare il futuro” al Macro Testaccio, a Roma, dal 1° febbraio al 17 marzo 2013. Lo è per numero di espositori, ben 24, e per la vitalità espressa nelle opere che attengono ai diversi filoni della contemporaneità, dalle installazioni alla fotografia, dai video alla pittura e grafica. Il filo conduttore è il dinamismo di Israele, che oltre alla tecnologia, ricerca e progresso scientifico, si manifesta anche nell’arte investita dalle innovazioni nei materiali e nei mezzi espressivi. Patrocinata delle più alte istituzioni, sostenuta dall’Ambasciata di Israele in Italia e dalla nuova Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti, è curata da Micol Di Veroli.

Una foto della serie “My mother and I” di Elinor Carucci

Il presidente della Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti, Piergaetano Marchetti, si è soffermato sul dinamismo di Israele e sulla collaborazione con l’Italia in campo scientifico cui deve aggiungersi quella in campo artistico.

Si potranno rimuovere  così le inerzie esistenti con la spinta che può venire da un paese giovane, ricco di energie e creatività che sono un potente fattore di crescita. Non solo operando sull’arte contemporanea, naturalmente, ma sull’insieme di valori e tradizioni, storia e cultura per creare importanti sinergie. C’è il progetto di esporre nei principali musei israeliani  capolavori di Botticelli, Caravaggio ed altri grandi maestri per trasmettervi e condividere la nostra cultura e la nostra storia. La capacità di Israele di avere una visione proiettata nel futuro trova basi solide nella riflessione sul comune patrimonio culturale.

Particolarmente significativo che la mostra si apra subito dopo il Giorno della Memoria per riaffermare la volontà di guardare avanti con il propellente costituito dall’arte. E’ la prima mostra del genere in Italia, e nel tema “Reinventare il futuro” c’è tutta la forza di volontà di un popolo giovane e vitale con il ricco retroterra storico e culturale della sua multi etnicità e integrazione.

L’addetta culturale dell’Ambasciata di Israele Ofra Fahri, nel sottolineare il ruolo primario assegnato alla cultura e all’arte, ha ricordato che le principali istituzioni israeliane in questo campo precedono la creazione dello stato di Israele, la Bezalel Academy of Arts è addirittura del 1906, il Museo d’Arte di Tel Aviv del 1932. “Insomma Israele è il Paese – ha affermato – che ha fatto fiorire il deserto grazie alla forza dei suoi sogni, e lo ha anche reso uno dei luoghi più vivaci e culturalmente stimolanti al mondo, grazie alla sua fiducia nella cultura e nel futuro”. Gli artisti espositori sono di varia estrazione, dalle grandi città ai piccoli kibbuz, di diversa fama, dai più celebri agli sconosciuti, di diverse età e forme espressive. Lo stato israeliano sostiene l’arte.

Il direttore del Macro, Bartolomeo Pietromarchi ha inquadrato la mostra negli eventi internazionali a largo raggio che impegnano lo spazio romano per il contemporaneo, dando alla mostra sull’arte israeliana un rilievo particolare essendo tra quella meno conosciute dell’Occidente soprattutto nei suoi aspetti non legati al conflitto che è talmente dominante da oscurarne le altre potenzialità. Ha definito la mostra “un’occasione preziosa di riflessione su un fare artistico in cui tradizione e sperimentazione, Oriente e Occidente, passato e futuro, coesistono in un equilibrio in costante rinegoziazione”. E’ questa la migliore premessa alla visita alle opere dei 24 artisti  nei due vastissimi ambienti del Macro Testaccio, i cui spazi sono la migliore cornice per il contemporaneo: sembra di essere nei giganteschi hangar degli aerei, circondati da un fluire di immagini e visioni.

Le installazioni

Il filo conduttore della mostra, come ha detto la curatrice Micol Di Veroli, è la visione del futuro in un allestimento che fa pensare ai diversi quadri di una rappresentazione con una varietà di mezzi e forme espressive che è essa stessa un’idea di futuro. Ma non manca il difficile presente inquieto e minacciato, come non mancano riferimenti al passato ma senza angosce e inquietudini troppo accentuate, piuttosto con l’apertura alla speranza.

Per i mezzi e le forme espressive, partendo dalle più innovative, abbiamo le installazioni, come i componenti elettricidel “Campo 1666”  e “Campo 4011”, 2009-10, di Shay Frisch, elementi modulari generatori di energia, qui linearmente disposti sul pavimento e collocati a corona circolare nella parete, a costituire campi elettromagnetici fonti di stimoli percettivi e sensoriali. Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna i moduli occupavano intere pareti all’ultimo piano, e Achille Bonitoliva aveva dedicato loro una valutazione critica ampia e circostanziata da par suo.

Con Tamar Harpaz l’installazione “Two Rode Together”, 2008, è una fonte di luce e movimento, “The Horse in motion” è l’immagine di un cavaliere che percorre le pareti tutt’intorno, ottenuta con un procedimento meccanico-visivo mentre l’immagine di un treno crea un contraltare: due “linee temporali” si toccano senza congiungersi, nella scena si è coinvolti visivamente ed emotivamente.

Simbolica la video.installazione di Dani Gal, “Zen for TV…”, 2010, ispirata da un film per la televisione tratto da un romanzo di autore israeliano del 1940 che fu bloccato dalla censura prima della messa in onda nel febbraio 1978 perché poneva in cattiva luce l’esercito di Israele a causa dell’espulsione degli arabi palestinesi dal loro villaggio; nonostante il forte spirito nazionale degli israeliani, il mondo della cultura reagì con forza a questa limitazione alla libertà di espressione.

Due porte fluttuanti formano l’installazione di Yifat Bezalel, diversi titoli a forme contemporanee ed avanzate create nel 2012 per esprimere un concetto antico: il superamento del mondo materiale per una dimensione spirituale in un’atmosfera rarefatta; addirittura sono ripresi due salmi di Davide in un insieme modernissimo.

GuyZagursky, con“Follow the White Rabbit”, 2008, presenta una sorta di plastico che raffigura un conglomerato urbano immerso in una luce bluastra, come fosse un acquario, quasi ad esprimere la tensione di una comunità oppressa dalla difficile realtà  verso la suggestione di un  sogno che tutto avvolge in un’atmosfera protettiva.

Ancora più geometrica l’installazione di Nshum Tevet, “Islands”,  2012, anch’essa protesa verso una realtà alternativa rispetto a quella rappresentata da moduli definiti “costantemente in bilico tra presenza scultorea ed architettonica”.  Siamo nella trasfigurazione materiale, ogni oggetto assume un’essenza diversa da quella presente, reale e tangibile.

Sono opere enigmatiche, come lo è “Moving”, 2003, di Maya Attoun, che a prima vista sembra riferita a planisferi e orbite celesti con i grovigli disegnati sulla parete; poi ci si accorge che c’è anche la musica e la scultura, il “ready made” e il “wall paper”, in una convergenza di linguaggi senza alcuna logica apparente.  Giorgia Calò interpreta così quei disegni: “Tendono piuttosto a scandire lo spazio, mappando la relazione tra il prima  e il dopo, l’ordine e il disordine, rifiutando qualsiasi tipo di lettura consequenziale”.  La cercheremo  cominciando dalle fotografie.

Una foto della serie “Orthodox Eros” di Lea Golda Holterman 

Le sequenze fotografiche

Ce ne sono in sequenza, come fotogrammi di storie da raccontare in immagini ferme, quasi per imprimere un messaggio forte. Le serie fotografiche sono cinque, solo in una si tratta di temi privati, nelle altre quattro le immagini toccano temi più generali e inquietudini diffuse.

Entra nel privato Elinor Carucci, “My Mother and I”, 2003,  rappresenta la vita familiare nell’alternanza di amore e gioia, dolore e comprensione; ma sono i sentimenti di tutti, per questo la visione si allarga al contesto sociale, e l’universalità dei sentimenti sembra essere il messaggio finale, mentre gli stupendi occhi del bambino possono essere presi a simbolo  di un popolo giovane che guarda lontano con l’innocenza e insieme la determinazione ad andare avanti.. Per questo abbiamo scelto questa immagine come apertura..

Lea Golda Holterman affronta orgogliosamente il tema dell’identità, il bambino è cresciuto. “Orthodox Eros”, 2009-11, pone a raffronto le immagini stereotipate dell’ebreo ortodosso con grandi modelli del passato presi dalla mitologia e dalla Bibbia. E’ una galleria di figure che supera i cliché abusato  con la comparazione.

Già nelle fotografie appena commentate emerge una sottile inquietudine legata all’identità. L’inquietudine cresce nelle sequenze legate allo stato di nazione assediata vissuto da Israele.

Shai Kremer lo esprime scavando nella memoria storica con immagini di fortezze militari abbandonate nella terra di Israele, titoli come “Kalya”, 2009,  richiamano le località. Sono vestigia di antichi conflitti in un paesaggio che da un lato ne trasmette la memoria, dall’altro la supera testimoniando “la caducità di ogni creazione dell’uomo”.

Dalla memoria storica si passa all’attualità dei conflitti con le fotografie di Michel Chelbin: “Young Prisoners”, anche “Lena e Katya”, della Russia e dell’Ucraina, 2009, non sono immagini violente ma apparentemente calme, però si sente serpeggiare la paura in un’atmosfera che comunque  si apre anche alla normalità e quindi alla speranza.

Questo sentimento appare evidente nelle immagini di vita militare contemporanea di Adl Nes, “Soldiers”, 1994-2000, dove quotidianità e serenità contrastano con l’aggressività legata a questi ambienti e con la visione eroica, per riportare in una dimensione di normalità con l’umana debolezza al posto dell’eroismo.

Un  fotogramma del video “Butterfly  di Leigh Orpaz 

I video 

L’allestimento nei due vastissimi ambienti del Macro Testaccio valorizza i video, intervallati dalle installazioni e sequenze fotografiche. Si può dire che dominano la mostra esprimendo vivacità e inventiva. Forse anche in queste scelte c’è una idea di futuro fatta di movimento e dinamismo.

Iniziamo con il video più sorprendente, corredato da due piccole sculture di precursori etnici: è il documentario di Boaz Arad,intitolato “Zefil Tefish”, 2005, su una performance culinaria che, richiamandosi alle tradizioni diventa un’esplorazione sociologica sull’identità etnica di Israele. Si risale all’est europeo, agli Ashkenazi, per approdare alla società multiculturale contemporanea, il tutto tra lazzi e ironie. In primo piano l’artista nel privato,  con le scherzose quanto provocatorie  domande che rivolge  alla madre.

Nel video di Ofri Cnaani la dimensione privata riguarda due sorelle legate da un rapporto quasi di simbiosi, che vengono rappresentate in forme aperte a diverse percezioni e interpretazioni. Immagini come quella con le due figure assorte in piedi in una specie di fondo di piscina senz’acqua mentre sul bordo si affollano belle ragazze in accappatoio bianco restano impresse. E’ la ricostruzione di un testo del Talmud, così anche la fede risulta evocata.  Il titolo è “The Sota Project”, 2011.

Keren Cytter si ispira al documentario antropologico tra realtà e finzione con sfumature sociologiche e addirittura filosofiche. Nulla di cerebrale, le immagini parlano al sentimento comune, vanno dalla figura della ragazza impegnata alla scrivania alle lavoratrici chine sulla riva del fiume nel loro faticoso lavoro, dando corpo al titolo “The hottest day of the year”, 2011.

Non c’è calore, invece,  nella Wall Street di Orit Ben-Shitrit. Il video “Vive le Capital”, 2012, scava nei rapporti con il denaro attraverso le immagini più diverse, monologhi seri e scene paradossali e trasgressive, con salti temporali all’epoca di Cosimo dei Medici e di Luigi XIV, un happening incalzante.

Il calore torna con una visione del futuro che accende la speranza nel video “Mary Koszmary”, 2007, la trilogia filmica di Yael Bartana: dalle tre pareti del box ricavato nello spazio espositivo i video presentano le immagini del Movimento per il rinascimento ebraico in Polonia, folle immedesimate in un sogno nazionalistico che rovescia il tradizionale miraggio della terra promessa, qui sembra esserlo la madre patria Polonia, la nuova forma del futuro è anche un ritorno al passato.

Il freddo penetra nella pelle con “Level One” e “Butterfly”, 2012, video di Leigh Orpaz: viene dai tre momenti raggelanti collegati, due tracciati autostradali nella neve e il gerontocomio con lo spaesamento e l’abbandono. Dopo il sogno polacco, è come se la memoria collettiva si perdesse nel freddo esteriore e interiore,  quasi che l’esperienza umana avesse trovato il suo triste compimento.

Ma le immagini di Yehudit Sasportas mostrano un approdo ben diverso. In “The Lightworkers”, 2010, alla neve e alla desolazione si sostituisce una foresta che si apre a poco a poco tra squarci di luce e acque sorgive;  nella bellezza della natura si sente pulsare la vita, è questo il futuro a cui ci piace pensare.

Poi irrompe la scienza, che è l’anima e la generatrice di un futuro sempre diverso e sorprendente. Uri Nir ci rende partecipi di un processo vitale attuato iniettando del sangue nel tessuto di una medusa per creare una nuova realtà organica e quindi una nuova forma: il tutto reso visivamente da pulsazioni che rimandano anche allo scorrere del tempo, intrinseco alla creazione e alla vita. Il titolo è in carattere con l’esperimento scientifico scandito dal tempo: “00.02.09””, 2007.

Michal Rovner ricorre a un paradosso visivo per esprimere il caotico movimento della società odierna verso un progresso che porta invece ad una regressione primordiale;  “Culture Plate # 7”, 2009-11, è una apparente coltura di batteri rossi che si muovono in modo incessante e confuso, ma si rivela essere formata da esseri umani ripresi dall’alto  rimpiccioliti al punto di sembrare microbi: un modo per richiamare l’essere umano alla sua misera consistenza organica.

La parte pittorica e grafica

Non è finita la mostra, c’è anche una parte pittorica e grafica, come nell’opera  di Gal Weinstein: sembrano fotografie di una terra arida e brulla, mentre  si tratta di tavole dalla superficie ruvida e graffiata come una lana d’acciaio. Una superficie extraterrestre, “Rusted Planet (Mars)”, 2012, il pianeta rosso è carico di mistero su ciò che può celarsi al di sotto. E’ qui il futuro da reinventare?

Un collegamento con il passato della realtà presente è operato da Meital Katz-Minerbio che dipinge oggetti prodotti in periodi di ottimismo per il futuro, come telefoni d’epoca e altri marchingegni quali  “Black box”, 2010, con la testa  di “Il visionario”, 2009,  posta su un vassoio.

A queste immagini a cavallo tra passato e presente affianchiamo quelle primitive disegnate da Shahar Yahalom che chiudono il ciclo riproponendo la potenza della natura al di sopra di ogni altra forza. “Waterfull” e “Face in the Mud”, 2012, sono grafiche espressive della presenza dominante del paesaggio e del mondo animale che sovrasta l’essere umano.  Non si attenua la spinta al futuro, ma è un richiamo alle superiori leggi naturali.

Ci sembra possa essere la morale da trarre nel “reinventare il futuro” senza alterare gli equilibri né trascurare le forze endogene che hanno fatto la storia della terra e reggono le sorti dell’umanità. In questa cornice si collocano le vicende e i sentimenti, i  sogni e le aspirazioni per un futuro migliore.

Abbiamo visto le forme espressive di 24 artisti di estrazione e fama molto diversa. I più conosciuti sono, oltre a Frish che lavora e vive a Roma,  Bartana e Nes, Rovner, Sasportas e Tevet; i più giovani Cnaani, Gal e Cytter. Esprimono l’impegno nella cultura e nell’arte dello stato di Israele e sono accomunati dalla visione comune di “Reinventare il futuro”.

Diamo il dovuto riconoscimento a Micol Di Veroli  che nel selezionarli ha interpretato il tema in senso lato, dando modo agli artisti di esprimere liberamente i loro sentimenti senza vincolarli troppo al soggetto proposto. Risultato raggiunto.Info

MACRO, Museo d’Arte Contemporanea di Roma: Testaccio, Piazza Orazio Giustiniani 4, ore 16,00-22,00, la biglietteria chiude mezz’ora prima,  da martedì a domenica, chiuso il lunedì; ingresso intero euro 6, ridotto 4. Testaccio + via Nizza, valido 7 giorni: intero euro 14,50, ridotto 12,50. Per i residenti un euro in meno in Via Nizza e nel cumulativo, gratuità e riduzioni secondo la normativa vigente; prenotazioni gruppi, visite guidate. Tel. 06.671070400, call center 06.06.08. http://www.museomacro.org/. Catalogo della mostra: “Israel Now. Reinventing the Future”, Editore Drago, 2013, pp. 120,    formato 15 x 23,5. 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra, si ringrazia il Macro con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura  una foto della serie “My mother and I” di Elinor Carucci;  seguono  una foto della serie “Orthodox Eros” di Lea Golda Holterman e  un fotogramma del video “Butterfly  di Leigh   Orpaz; in chiusura l’installazione “Follow the White Rabbit” di Guy  Zagursky.   

L’installazione “Follow the White Rabbit” di Guy  Zagursky