Filippino Lippi, con Botticelli, alle Scuderie

di Romano Maria Levante

La mostra, aperta alle Scuderie del Quirinale dal 5 ottobre 2011 al 15 gennaio 2012,era  intitolata “Filippino Lippi e Sandro Botticelli nella Firenze del ‘400”, ma la presenza del più celebrato maestro va vista più come riferimento costante per la sua influenza su Lippi, che come mostra paritetica: erano soltanto cinque i dipinti di Botticelli esposti, e di piccole dimensioni  rispetto alle spettacolari pale e tondi di Filippino Lippi,  una sorta di risarcimento al pittore meno considerato. Torniamo sulla mostra a un anno e mezzo dalla chiusura per il suo valore permanente in assoluto.

Filippino Lippi,“Madonna in adorazione del Bambino”, ante 1478

L’ombra, o meglio la luce di Sandro Botticelli aleggiava per l’intera mostra, con singole opere a testimonianza del padre Filippo Lippi, di Raffaellino del Garbo e Pietro Cosimo.  E’stata  curata daAlessandro Cecchi, direttore della galleria Palatina di Firenze, e così lo straordinario Catalogo  di “24 Ore Cultura” che ne valorizza i pregi artistici sul piano iconografico e la ricerca nei commenti di insigni studiosi nei quali si trovano aspetti reconditi, che citeremo come riferimento prezioso.

Che l’intento della mostra fosse dare uno spicco inedito a Filippino Lippilo hanno lasciato capire le parole dell’allora presidente delle “Scuderie”, Emmanuele F. M. Emanuele: “Sino ad oggi è mancata un’esposizione che rendesse pienamente merito a questo nobile artista e mostrasse al grande pubblico la sua indiscussa grandezza che sarà, dal confronto con Sandro Botticelli, pienamente inverata”. Il più famoso maestro posto come termine di confronto per far risaltare l’artista meno celebrato e il loro intreccio di vita e anche di espressione artistica in un’epoca straordinaria: un’impostazione meritoria che invita ad approfondirne i percorsi paralleli.

Non è stata un’iniziativa episodica, rientrava nella strategia di Emanuele volta a portare alla luce eccellenze dell’arte trascurate, sia per artisti poco considerati, sia per artisti noti di cui sono conosciuti solo dei capolavori: Filippino Lippi  tutto da scoprire, Botticelli al di là della “Primavera” e della “Nascita di Venere”: l’allievo alla fine era ben più lanciato del maestro in crisi.

Il periodo giovanile dell'”amico di Sandro”

L’intreccio di vita e di arte inizia con il padre Filippo Lippi, frate carmelitano e pittore che lo aveva avuto nel 1457 da una relazione con la monaca agostiniana Lucrezia Buti; Sandro Botticelli ne  era stato “il più promettente allievo” e ne fu influenzato nelle opere giovanili,  ma presto se ne distaccò con uno stile personale. Filippino ebbe i primi rudimenti dal padre, poi alla sua morte, dopo un periodo con Fra Diamante che ne aveva rilevato la bottega, entrò in quella di Botticelli assumendo presto una propria personalità che lo distingueva dagli altri allievi avvicinandolo al maestro. Con Botticelli fece opere “a due mani”  e in collaborazione, al punto che il critico Bernard Berenson  ne fu colpito e definì all’inizio l’autore “amico di Sandro” prima di identificarlo con il suo nome.

La mostra iniziava con questo inquadramento, presentando il grande tondo del padre Filippo Lippi  “Madonna col  bambino e storie di Sant’Anna”, 1452-53, una composizione complessa con in primo piano l’icona sacra dietro la quale le scene sono articolate in interni posti su più livelli. Della sua collaborazione con l’ultimo lavoro del padre nel Duomo di Spoleto  ci sono prove nei registri: altro pregio della mostra, la documentazione con i manoscritti originali esposti nelle vetrinette. E’ tutto un mondo che si apre, l’epoca rinascimentale con la presenza congiunta di sommi artisti, non manca Leonardo da Vinci, a cui  si ispirò Filippino Lippi sin da giovane,  divenendo artista del disegno; è stato un periodo anche tormentato, in particolare per lui entrato nell’orbita dei Medici ma suggestionato dalla predicazione di Savonarola che avversava anche le opere dei loro artisti.

Facevano parte dell’inquadramento il piccolo dipinto giovanile di Botticelli nel quale viene vista l’influenza di Filippo Lippi, “Ritratto di fanciullo con mazzocchio”, 1470, lo sguardo rivolto in basso, tre forti colori, l’azzurro del cielo, il marrone-viola  scuro del copricapo, il rosso scuro della veste; e soprattutto  l’opera di  Filippino Lippi-Botticelli, “Storia di Ester”, 1475 circa, con immagini di Ester e dello zio Mardocheo, un racconto biblico con colori pastello molto delicati, a riprova del livello raggiunto da Lippi nella bottega di Botticelli, fino a dipingere “a due mani”.

Filippino Lippi, “Madonna col Bambino e storie di sant’Anna”, 1452

Le abbiamo viste a confronto, ci sono molte somiglianze nello spazio diviso in tre parti – rapimento, processo, uccisione – e negli atteggiamenti; ma l’architettura è molto diversa, un lungo portico all’aperto per Lippi, un tempio chiuso con cupola interna per Botticelli, le figure che si muovono nell’ambiente sono in tutto il fronte per entrambi, ma nel primo sono distanziate le une dalle altre e in tinte chiare quasi pastello, mentre nel secondo sono addensate con colori scuri e intensi. Si pensa, quindi, che o Lippi si è ispirato a un disegno di Botticelli di venti anni prima oppure che questo avesse dipinto una versione ora perduta: “Questa ipotetica ricostruzione dell’interazione tra i due pittori – afferma Jonathan K. Nelson  – spiegherebbe le somiglianze e anche l’uso molto diverso dell’architettura nelle due coppie di dipinti”.

Altra somiglianza  nella figura centrale di “I tre arcangeli e Tobiolo”, 1477-78, quindi dipinto nell’anno delle  storie di Lucrezia e Virginia, e precisamente nell’arcangelo Raffaele che – come scrive Alessandro Cecchi – “incede a passo di danza come la “Giuditta” del Filipepi agli Uffizi”. Nell’arcangelo Gabriele e arcangelo Michele ai lati, “le figure sono come in posa, distaccate l’una dall’altra, con un certo impaccio nella composizione dovuto alla giovane età dell’artista”.

Una comparazione diretta si aveva subito dopo nell’“Adorazione dei Magi”:  erano  esposti di fronte i dipinti dei due artisti, entrambi del periodo giovanile. Ebbene, ci è sembrato di trovare un riferimento diretto nelle pietre della costruzione diroccata e nella composizione: le pietre sono molto simili, quasi dei pannelli posti in verticale con le stesse modalità e materiali, e lo è anche il gruppo della Madonna con Bambino, S. Giuseppe e figura adorante al centro, con il popolo ai lati, Botticelli vi mise dei dignitari con in testa Cosimo dei Medici in ginocchio e i figli Pietro, Giovanni e Lorenzo. Ma mentre lui presenta la capanna diroccata in primo piano, Filippino Lippi la inserisce in uno sfondo roccioso che, scrive  Nicoletta Pons, “manifesta il tributo del pittore al padre, cioè la ripresa dalle ‘Storie di san Giovanni Battista nel deserto’  dipinte da frate Filippo  nella cattedrale pratese con un fondale analogo”.  Le figure in Lippi sono sempre distribuite, in Botticelli addensate.

Dopo queste composizioni affollate colpiva la “Madonna in adorazione del Bambino”, 1478, “opera di grandissima soavità”, un grande primo piano con una sfondo paesistico.  La studiosa appena citata vi trova una relazione con il “Tondo di Piacenza” di Botticelli del 1475-80, sia  per il bambino adagiato a terra su un lembo del manto sia “per la visione ravvicinata del gruppo sacro sullo sfondo di un paesaggio”, ma con  “maggior interesse paesistico rispetto al maestro Sandro”.

La comparazione diretta tra i due grandi artisti si svolgeva nella mostra anche attraverso i disegni e gli studi, che ne sono un’importante componente. Di questo periodo  “Due studi di figure maschili nude “ di Botticelli, “Foglio di studi con due gambe maschili” e “Tre figure panneggiate” di Lippi, le gambe a confronto. Di Lippi anche “Studio di figura femminile con cuffia”, senz’altro una Madonna, attribuito prima a Botticelli  poi da Berenson all'”Amico di Sandro” che è proprio lui,  per “la combinazione di motivi lippeschi e di istanze botticelliane”, commenta Lorenza Melli.

Tante le considerazioni che si potrebbero fare, per l’intreccio indefinibile  del padre Filippo  e del maestro Botticelli che dal padre con cui aveva lavorato aveva tratto l’eleganza della linea. Ma seguiamo la mostra: Filippino diventa indipendente, dopo verrà protetto da Lorenzo il Magnifico. 

Filippino Lippi, “I tre Arcangeli e Tobiolo”, 1473

La prima attività indipendente, quindi Lorenzo il Magnifico

La cronologia scorreva nel passaggio alla sala su “la prima attività indipendente, poi Lorenzo il Magnifico”.  Filippino si guarda intorno,  nel 1478, a 25 anni  inizia con una pala d’altare  a Pistoia l’intensa attività che lo porta fuori di Firenze, mentre fervevano a Roma i lavori della Cappella Sistina con i maggiori artisti fiorentini e umbri del tempo. Il lavoro di grande prestigio per lui fu completare gli affreschi della Cappella Brancacci incompiuti dopo Masaccio e Masolino, lo fece con maestria raccordandosi bene alle composizioni preesistenti,  nel convento dove il padre  era divenuto frate. E’ di questo periodo lo spettacolare “Madonna e Bambino con san Giovanni Battista e angeli”, 1481-82,  detto “Tondo Corsini”, in cui secondo Jonathan K. Nelson, “benché l’atmosfera richiami quella di certi tondi di Botticelli degli anni ottanta, la composizione segue una logica molto diversa”: con l’architettura e il pavimento Lippi non asseconda la forma del tondo.

Abbiamo trovato le sue consuete figure distanziate come nei “Tre arcangeli a Tobiolo”, in “I santi Rocco, Sebastiano, Girolamo ed Elena (Altare Magrini)”, 1481-82 per una chiesa di Lucca, in una delle tante escursioni fuori da Firenze: l’originalità, per Cecchi,  sta nell’assenza della Madonna con il Bambino, di solito al centro tra le figure di santi, nei panneggi elaborati e  nei gesti delle mani.

Due tondi con le figure dell’“Annunciazione”, 1483-84,  in uno l’Angelo rivolto a destra, nell’altro la Madonna rivolta a sinistra, dipinti per la sala delle Udienze del Palazzo comunale di San Gimignano. Sembra ispirarsi all’affresco di Botticelli dello stesso periodo  per “la posa insolita  e la risposta fortemente emotiva della Vergine”-  scrive Nelson – ma “diversamente da Botticelli  Filippino raffigura Gabriele già a terra, inginocchiato e nell’atto di alzare la mano”.

E due ritratti, un “Ritratto di uomo” di Raffaellino Del Garbo, suo allievo così fedele che l’attribuzione ha oscillato tra allievo e maestro finché lo ha fatto attribuire al primo l’affermazione del Vasari, riportata da Elena Capretti,  secondo cui, lasciato il maestro “rindolcì la maniera assai ne’ panni e fe’ più morbidi i capegli e l’arie delle teste”. E un “Ritratto di Musico” di Lippi, 1483-85, per il quale, come per il Caravaggio di un secolo dopo, c’è stata la caccia all’identificazione del soggetto; Mc Gee ha anche ipotizzato un autoritratto con strumenti musicali trovati nell’elenco dei suoi beni, invece che con i pennelli; mentre  Nelson, nel citarlo, riporta anche altri possibili soggetti, come Cristoforo Fiorentino. E se fosse, come per Caravaggio, una figura presa a simbolo?

Il dipinto “Apparizione della Vergine a san Bernardo”, 1484-85, di circa 2 metri per 2, concludeva in modo spettacolare questa sezione e il primo piano dell’esposizione: c’è la sua tipica finezza di tratti nell’immagine principale ma anche il mistero e l’inquietudine nelle figure circostanti. Del quadro Vasari scrive che “la qual pittura in alcune cose è tenuta mirabile, come sassi, erbe e simili cose che dentro vi fece, oltreché vi ritrasse esso Francesco Pugliese di naturale tanto bene che non pare che gli manchi se non la parola”; Cecchi, nel riportare questo giudizio, precisa che in realtà il personaggio sarebbe Francesco, lo zio di Piero. Vicino è esposto il disegno con lo “Studio per la figura di san Bernardo”, il disegno è pregevole,  una grande cura nel panneggio come altri esposti : “Due figure maschili ammantate, una seduta e una di spalle”, e “Due figure maschili ammantate, stanti di profilo”; più  “Studio per una figura di Petrarca”, figura statuaria su carta tinta in rosa.

Filippino Lippi, “Storie di Virginia”, 1470-80 

Le grandi committenze: la Cappella Strozzi e la Cappella Carafa

Al piano superiore delle Scuderie si evocava  l’ “escalation” di Filippino Lippi, con le due committenze quasi contemporanee da parte di Filippo Strozzi, per la propria cappella in Santa Maria Novella a Firenze nel 1487, di cui è esposto il contratto; e da parte del cardinal Carafa alla Minerva a Roma, sollecitata da Lorenzo il Magnifico nel 1488, di cui è esposta una lettera del cardinale che esalta il “nuovo Apelle”. Lo portò a Roma dove il contatto con l’antichità fu sconvolgente: ne derivò una svolta nel dipingere, dagli abiti alle architetture con influssi classici anche da sculture. Sono esposti molti studi e disegni per le cappelle, una galleria nella galleria.

La Cappella Strozzi  fu completata solo a quindici anni dall’incarico, nel 1502, il committente era morto nel 1491, due anni dopo la lettera di Lippi che gli assicurava di riprendere il lavoro il 24 giugno 1489, per la festa del patrono di Firenze Giovanni Battista. Tra i disegni  lo “Studio per una figura di giovane nudo con asta”, e “Studio per un portatore di catafalco”, poi due versioni di “Studio di mostro alato  con le zampe anteriori su un elmo”, tra il 1493 e il 1502. .

Poi era esposto il quadro “Musa Erato”, 1500 circa,  a fianco alla “Liberazione di Andromeda” di Piero di Cosimo, dipinto anch’esso per Filippo Strozzi, come scrive il Vasari, il lavoro di ricerca del curatore non ha trascurato neppure questo particolare.  Più avanti  la “Madonna con Bambino (Madonna  Strozzi)”, forse 1485-87, dipinta prima della sua partenza per Roma, colori brillanti e dolcezza  espressiva con dei particolari come il libro e la lampada nella nicchia, e lo sfondo che si apre dietro un loggiato sulla vista di un abitato con scenette di vita: c’è un ponte con delle persone.

Ma eccolo a Roma per la Cappella Carafa:  le architetture  e sculture dei Fori imperiali, i fregi e le lesene,  furono per lui nuova fonte di ispirazione e di soluzioni stilistiche.  Ne dava conto la mostra con diversi disegni dal 1488 al 1494  a partire da “Studi di grottesche del criptoportico della Domus Aurea”, seguito da “Due studi per decorazione a grottesca” e da studi per varie figure:  “Una sibilla con due angeli”e “Un angelo per l’Assunzione della Vergine e per una figura femminile”, “Re in ginocchio per una ‘Adorazione dei Magi’ e “San Tommaso per il ‘Trionfo'”. Si tratta di opere delicate, ma dove troviamo anche il tentativo di esprimere un forte dinamismo.

Il “clou” della sezione era la “Madonna con Bambino, i santi Giovannino, Martino, Caterina e i donatori Tanai de’ Nerli e Nanna Capponi”, 1493-95,  realizzato per la Cappella del Santo Spirito di Firenze dopo il ritorno da Roma: gli ornamenti dei pilastri e del trono ricordano fregi romani.

Filippino Lippi, “Cristo morto compianto da Giuseppe d’Arimatea e due angeli”, 1500

Gli ultimi intensi anni

Entriamo  negli ultimi anni, “fra fantasie mitologiche e pittura devota”, tra il 1494 e il 1504.  Ancora “grottesche”, Due centauri marini” e “Due tritoni” con una lucerna; e disegni su  temi mitici,“Morte di Meleagro” e “Studio per la figura di Meleagro morente”,  e religiosi, “Cristo nel sepolcro con quattro angeli” e “San Francesco consegna la regola dell’Ordine terziario”.

In materia religiosa erano esposti “San Girolamo”, 1493-95, e i due simmetrici “San Giovanni Battista” e “Santa Maria Maddalena”, 1498-500, tutti e tre dolenti e quasi lividi, anche nel colore, con un senso di ansia febbrile e di forza spirituale data dall’intensità religiosa. Nel primo, scrive Nelson, si crea “un senso di tormentata devozione”; gli ultimi due  “nelle loro nicchie sembrano sculture dipinte”,  con “un senso di fragilità e pathos”.  Vicino il tondo di “San Girolamo in penitenza” di Piero di Cosimo, altro affiancamento che immergeva ancora di più nel suo mondo.

La  pittura devozionale si esprimeva in piccoli dipinti  di 30 per 30 centimetri, sua caratteristica:  dalla “Comunione di San Girolamo”, 1496-97, a “Cristo incontra la Samaritana al pozzo” e “Cristo risorto incontra Maddalena”, laterali del “Volto di Cristo tra due angeli” del Maestro della leggenda di Sant’Orsola; da “Cristo crocifisso” a “Compianto su Cristo morto”, del 1504-05. 

Ma anche con grandi composizioni, che continuò a dipingere fin o all’ultimo, mentre Botticelli ne fu impedito dalla grave crisi mistica ed esistenziale che lo vide morire in povertà.  Di Lippi, oltre al già commentato “Storia di Virginia”,  tra il 1502 e il 1503 era esposta la “Madonna  con Bambino e i santi Stefano e Giovanni Battista  (Pala dell’Udienza)”,  figura umile in “una visione nuova di bellezza, frutto di una sensibilità inquieta e saturnina”, scrive Maria Pia Mannini; e lo spettacolare “Matrimonio mistico di santa Caterina con i santi”,  in “una chiostra serrata di corpi che circonda la Madonna e santa Caterina stabilendo un equilibrio pieno di ritmo che sarà capace di parlare ad Andrea del Sarto e al giovane Raffaello”. commenta Patrizia Zambrano.

Ci sembra che questi commenti sulle opere terminali della sua vita, diano la misura dell’importanza di una artista finora troppo trascurato. E finalmente portato sul proscenio tra il 2011 e il 2012 per merito della mostra alle “Scuderie del Quirinale”, con Sandro Botticelli quasi un comprimario rispetto all'”Amico di Sandro”, Filippino Lippi che riuscì ad oscurarne la grande fama con un travolgente “rush” finale. Ricordarlo con un resoconto puntuale della mostra visitata un anno e mezzo fa ci è sembrato doveroso.

Info

Catalogo: “Filippino Lippi e Sandro Botticelli nella Firenze del ‘400”, a cura di Alessandro Cecchi, “W”4 Ore Cultura”, ottobre 2011, pp. 206, formato 25,5×28,5, euro 49; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo.

Foto

Le immagini sono state fornite dall’Ufficio stampa delle Scuderie del Quirinale, che si ringrazia, con i titolari dei diritti. Di Filippino Lippi: in apertura,“Madonna in adorazione del Bambino”, ante 1478; seguono  “Madonna col Bambino e storie di sant’Anna”, 1452, e  “I tre Arcangeli e Tobiolo”, 1473, poi “Storie di Virginia”, 1470-80, e “Cristo morto compianto da Giuseppe d’Arimatea e due angeli”, 1500;  in chiusura, di Sandro Botticelli, “Storie di Virginia”, 1498.

Sandro Botticelli, “Storie di Virginia”, 1498