Cina, la pittura moderna “oltre la tradizione”, a Palazzo Venezia

di Romano Maria Levante

Dopo aver commentato la mostra del 2012 sullo scultore cinese Weishan, rievochiamo la mostra che è stata aperta fino al 15 settembre  2011, sempre a Roma, a Palazzo Venezia,  dove ora si sta svolgendo la mostra sulla “Cina arcaica”, che commenteremo prossimamente. Si intitolava “Oltre la tradizione, i  Maestri della pittura moderna cinese”. tra loro Qi Baishi cui Weishan ha dedicato una statua affiancata a quella di Leonardo da Vinci. Per la prima volta  in Italia esposte 100 opere delNational Art Museum of Cina di Pechino presentate nell’Anno della cultura cinese in Italia che fu inaugurato dalla mostra “I due Imperi, l’Aquila e il Dragone” e ha visto la “Settimana del Tibet” con un convegno e una mostra fotografica, nonché spettacoli  di arte tra cui l’opera Qin Tang. Quattro anni fa l’Anno della cultura italiana in Cina ha fatto conoscere il nostro paese ai cinesi, con questa mostra la Cina ha iniziato a mostrare la sua arte che cerca di andare “oltre la tradizione”.

Un’opera di Ren Bojan

Intento della mostra è stato descrivere visivamente il percorso della pittura cinese dalla tradizione alla modernità attraverso le opere di sei grandi maestri moderni: le 100 opere esposte hanno intanto la forma della tradizione, quasi tutti rotoli verticali con figure a inchiostro nero in qualche caso rischiarate da colori tenui, oppure da un rosso molto intenso. L'”automodernizzazione” si esprime attraverso innovazioni che possono sembrare impercettibili a chi è estraneo a questo ambito culturale e tradizionale, ma vengono sottolineate con precisione per i singoli artisti.

L’allestimento determinava una “total immersion” in un ambiente e un mondo tanto diverso dal nostro. Si entrava avvolti dal rosso dei pannelli all’ingresso e del “red carpet” a terra,  poi  questo colore restava solo nei cartelli con il volto e la storia dei sei maestri; l’ambiente dove erano collocati alle pareti i rotoli verticali protetti dal vetro appariva sobrio, ci si sentiva subito a proprio agio, tale era la delicatezza delle immagini e la familiarità dei soggetti: natura e piante, animali e persone. L’atmosfera poetica prendeva  nel passaggio da una sala all’altra, fino a sentirsi parte di quel mondo, evocato anche da disegni appropriati nei punti di passaggio e da altre ambientazioni.

Un’opera di Qi Baishi

La pittura trasmissione del pensiero

Non si è trattato solo di un fatto artistico, la pittura è il mezzo con cui viene trasmesso il pensiero filosofico, che va oltre le idee estetiche, in termini diversi da quelli propri dell’Occidente. Sin dai tempi passati, mentre la pittura classica europea raffigurava la natura come si presenta nella realtà e nello spazio, la pittura cinese esprimeva i sentimenti da essa suscitati con un linguaggio simbolico.

Ciò non vuol dire che le due visioni sono rimaste contrapposte: la pittura occidentale è stata “scossa” dall’arte moderna, spostandosi essa stessa sui sentimenti dell’artista andando oltre il figurativo; la pittura cinese, dopo duemila anni di immobilismo, nel ‘900 è stata “scossa” dall’influenza della pittura occidentale. Qui s’inserisce l’azione dei sei maestri, che hanno innovato con graduali e armoniosi innesti dei derivati della cultura occidentale nelle espressioni della tradizione locale. Non sono rivoluzionari ma neppure conservatori, approfondiscono la tradizione ma non ne restano imprigionati, accolgono gli influssi occidentali ma selezionandoli con rigore.

Dato che la pittura è un veicolo del pensiero, la nuova creatività di questi maestri non esprime soltanto un diverso linguaggio artistico ma anche un diverso modo di pensare. Le profonde trasformazioni nella società cinese non hanno impedito agli artisti di continuare a esprimersi con spirito aperto senza rinunciare all’ideale dell’arte pur nelle evidenti difficoltà  anche politiche. Ma ci sembra che, almeno in questi sei maestri,  nulla ci sia di assimilabile al “Realismo socialista” che ha rappresentato una cappa ideologica sull’espressione del comunismo reale nell’Europa sovietica.

Con il titolo “Oltre la tradizione”  si è voluta considerare la rassegna dei sei grandi maestri  come “punto di partenza” per un’arte visiva protesa al rinnovamento “che spinge la visione al futuro”.

Si restava colpiti dall’omogeneità di fondo di temi e soggetti, forme espressive e stili; ma non si tratta di omologazione, è la stessa che appare nei tratti somatici dai quali non risaltano subito le differenze quanto le affinità; dopo questa prima impressione a ben guardare si notano le differenze di stile anche nei medesimi soggetti legati alla natura, piante e animali, e alle persone. Comune a tutti è la semplicità compositiva e la leggerezza del tratto e del disegno, anche quando il nero o il colore si addensano non riempiono mai la superficie, resta tanto spazio libero e quindi apertura.

Un’opera di Huong Binhong

I tre maestri tra l’800 e il ‘900

Ren Bonjan (1840-95) è l’unico dell’800, gli altri sono tutti del ‘900. E’ di un’epoca di transizione, riflette la Shangai chiassosa per i commerci e insieme vitale e dinamica,  in uno stile molto personale focalizzato su soggetti ben definiti tratti dalla vita cittadina. Versatile e aperto all’influsso occidentale nell’aggiunta dell’acquerello al segno a inchiostro, in una prima fase esprime il ritratto borghese, in seguito lo spirito delle masse. Da lui una galleria di personaggi, più che persone reali riproducono i diversi caratteri . Lo stile è calligrafico, il segno sottile e netto. Oltre a titoli come “Su Wu pascola le pecore” e “Viaggiare in autunno” ve ne erano di  originali  come “Godendo il fresco a pancia  scoperta” e “Essere prescelto come genero”, “Cercare fiori di susino dopo una nevicata” e “Godere di una vista primaverile sul fiume”,  oppure ricchi di “humor”  come “Osservare altri coltivare la terra”  e “Trascorrere l’estate in un  boschetto di bambù”. C’era anche un’immagine mitica, “Il ritratto dello studioso Zhong”,  che scaccia diavoli e spiriti maligni.

A cavallo tra l”800 e il ‘900 Qi Baishi (1864-1957), personaggio celebre nel mondo, tra i più richiesti nelle aste delle opere d’arte; immortalato dallo scultore Weishan, come si è detto, in una statua simbolica abbinata a Leonardo da Vinci, che troneggia ora all’ingresso della mostra “La Cina arcaica” nello stesso Palazzo Venezia. Il pittore è divenuto leggendario nonostante la sua semplicità, nato da una famiglia povera economicamente ma ricca di affetti che esprimerà in pittura e in poesia. Contadino e falegname, trarrà da queste sue esperienze l’amore per la natura  che viene riprodotta con cura e precisione. Letterato e artista completo, dal carattere popolare ma di cultura accademica, con spirito moderno e democratico e una profonda umanità.  Il suo stile sa essere  realistico e sobrio, con attenzione ai particolari, oppure simbolico e sintetico; spesso le due tendenze si intrecciano dando luogo a una pittura fresca e vivace. L’amore per la natura e la vita in campagna lo manifesta con i soggetti che la popolano unendo spesso fiori deliziosi e piccoli animali: così “Fiori di susino e farfalla” e “Fiori e libellule“, “Anatra e fiore di loto” e “Ibisco e anatra”,  “Baccelli di loto e libellule” e “Foglie e cicale in autunno”. Poi singoli animali, “Pesci” e “Gru”,  “Granchi” e “Rane”,  anche un’“Aquila”. Una tradizione che si rinnova in toni freschi e delicati.

Contemporaneo di Baishi è Huong Binhong (1865-1955), il cui spirito viene  riassunto nelle parole “servire la patria tramite il sapere”. Di qui le sue ricerche sulla cultura tradizionale per esaltare la gloria del proprio paese e stimolare l’amore per la patria. Anche lui unisce alla passione per la cultura popolare della tradizione una personalità accademica. Il suo ideale estetico diventa simbolo dell’identità nazionale e dello spirito popolare cinese, “solenne e vigoroso, magnifico e prosperoso”. Ma questo non si esprime in forme potenti come nel “Realismo socialista” europeo, bensì nella forma tradizionale con qualche aspetto che ricorda l’impressionismo europeo. E’ stato un teorico della pittura, su cui ha scritto molto, in una lunga vita dedita a dipingere, fare ricerche, scrivere. Per questo è un modello additato alle  nuove generazioni, in lui il pensiero tradizionale si rinnova e rigenera. La sua pittura è  rivolta all’ambiente, non isola singoli soggetti ma rappresenta il paesaggio. I toni sono scuri e addensati, nulla di calligrafico bensì segno carico e intenso. Qualche titolo: “Dirupi scoscesi e cielo blu” e “Fiumi e nuvole tra le montagne”, “Profondità del monte e ruscelli” e “Case sul lago”, “Scala di 100 gradini” fino alla “Vetta” del monte.

Un’opera di Pan Tianshou 

I tre maestri del ‘900

Entriamo di fatto nel ‘900 con Pan Tianshou (1897-1971), siamo nel pieno del confronto tra civiltà e stili pittorici, l’artista sostiene che “la pittura cinese e quella occidentale devono distanziarsi, per garantire l’indipendenza dello stile nazionale della tradizione”. E propugna anche l’esigenza di una “modernizzazione selezionando  gli elementi della pittura tradizionale da assorbire e trasformare”.  Oltre  al pittore troviamo in lui l’incisore e il calligrafo, il letterato e il poeta. Eccelle nel paesaggio come nel ritratto, del tutto peculiare la sua tecnica di  dare l’inchiostro con le dita, cercava le grandi dimensioni unendo diverse pitture; utilizza anche diversi tipi di pennellate mantenendo sempre un rigore compositivo assoluto nel quale movimento e quiete, paesaggio e suoi abitanti sono in perfetto equilibrio e riflettono vitalità e armonia. In tal modo esprime una straordinaria “tensione visuale”  attraverso elementi anche molto diversi visti spesso con ironia  e disincanto. I soggetti sono per lo più singoli, legati alla natura che appare l’elemento dominante, quindi piante o animali, ma vi sono anche scene d’ambiente. Erano esposti  “Fiore di loto rosso” e “Palma”, “Martin pescatore” e “Gallo dormiente”, poi “Foschia e rugiada” e ” Schiarita dopo la pioggia”.

Nasce  nel XX secolo  Jiang Zhaohe (1904-1986), il suo è un realismo critico che rappresenta la vita: l’esistenza umana può vedere le distruzioni, ma poi afferma valori come la verità, la bontà, la bellezza. Questi due momenti corrispondono a due fasi della sua vita artistica: quella precedente il 1949  segnata da un forte senso del dolore e del triste destino degli umili, con la distruzione dei valori dell’esistenza e il conseguente spirito di ribellione; la fase successiva al 1949 vede la rinascita dello Stato e del popolo, la ricostruzione che porta all’elogio della bellezza e della vita.  L’influenza dell’Occidente si sente nella creazione di nuovi modelli figurativi e nelle stesse pennellate. I suoi soggetti sono  persone rappresentate nella loro umanità, c’è stata anche la tragedia della guerra, con i suoi lutti e  le sue miserie, la esprime in dipinti di grande efficacia come “Dopo il bombardamento” e “Accattonaggio sulla strada”; ma anche squarci di luce in “Scrivono allo zio soldato i propri successi scolastici”. Scene tenerissime in “Leggere il giornale per il nonno”, ancora più piccoli “Bambino e piccioni” e  “Bimbo e pulcini”.  Poi una galleria di venditori in “Vendere violini neri” e “Vendere filati”,  “Contadino” e tanti altri, fiorai e mendicanti, un’umanità che ha conosciuto da vicino nella società in profondo mutamento con il passaggio alla Repubblica Popolare Cinese. L’artista tocca tutte le corde dell’anima, non più piante, fiori e animali, ma figure che esprimono i sentimenti interiori e la loro condizione sociale.

Un’opera di Jiang Zhaohe

Coevo di Zhaohe nella contemporaneità l’ultimo maestro in esposizione, Li Keran (1907-1989), un grande riformatore della  pittura cinese che si è avvicinato all’Occidente anche attraverso lo studio di Leonardo e Michelangelo. Il suo  motto era: “Immergersi nella tradizione con il massimo impegno e distaccarsene con il massimo coraggio”: lo fa restando nello spirito della classicità cinese  serena e luminosa, ma utilizzando tecniche artistiche occidentali. Dipinge dal vivo entrando nella vita delle persone e  nella natura, nell’ambiente, integrando lo stile classico con quello moderno e realistico, ricorrendo anche al linguaggi simbolico. Inserisce il chiaroscuro e la luce della pittura occidentale, che sembra venire dall’interno delle scene rappresentate; le sue forti pennellate superano quelle leggere ed eleganti dello stile tradizionale. La forza espressiva del chiaroscuro  si vede in  titoli come “Dopo la pioggia le cime degli alberi si tingono di scuro e lo scrosciare della cascata risuona nella silente montagna”, quella del colore in “Mille foglie rosse sui monti arrossano gli alberi…“:  La pioggia torna in “Pioggia primaverile sul fiume” e anche “sul monte ” e “Villaggio di pescatori dopo la pioggia”. C’è anche il “Fiume azzurro” a completare lo spettacolo della natura, che ha qualcosa di veramente poetico.

Ripensare ai nostri poeti che hanno descritto la pioggia come qualcosa di vivo e vitale che si trasmette dalla natura ai suoi abitanti sembrerebbe di maniera. Nell’Anno della cultura cinese in Italia,l’accostamento viene spontaneo, la “Quiete dopo la tempesta” di Leopardi  e la “Pioggia nel pineto” di D’Annunzio  trovano  raffinate rappresentazioni pittoriche in questo maestro cinese che più si è ispirato alla  pittura occidentale. E perché no anche alla poesia?  Un bel gemellaggio che proponiamo nel rievocare una mostra istruttiva, ma soprattutto emozionante e suggestiva.

Info

Palazzo Venezia, Via del Plebiscito, Roma, da lunedì a domenica ore 8,30-19,30, la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso euro 4,00. Tel. 06.699941. sapsae-rm.mpv@beniculturali.it.

Foto

Le immagini presentano un’opera per ciascuno dei sei maestri in mostra, nell’ordine cronologico in cui sono citati nel testo, e cioè: In apertura Ren Bojan, seguono Qi Baishi e Huong Binhong, poi Pan Tianshou e Jiang Zhaohe; in chiusura Li Keran.

Un’opera di Li Keran