Italia a colori, le “autocromie” del 1861-1935, al Palazzo Incontro

“Un percorso nelle diversità e bellezze della nostra penisola in occasione dei primi 150 anni dall’unificazione per guardare insieme, con maggiore serenità, al nostro futuro”, così si concludeva la presentazione dell’allora presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti alla mostra “Italia a colori 1861-1935”, al Palazzo Incontro in via dei Prefetti dietro il Parlamento, dal 18 novembre 2011 all’8 gennaio 2012. L’esposizione, a cura di Reinhard Schultz , organizzata dall’associazione “Civita”,  rientrava nel progetto “ABC Arte Bellezza e Cultura: i luoghi da vivere della Provincia di Roma”. La ricordiamo, dopo un anno e mezzo, per il suo carattere spettacolare e documentario, e perché consente di evocare immagini che restavano impresse nel favoloso “viaggio in Italia”.

Nell’ambito del progetto ABC la mostra si inseriva nella parte “Storia e memoria”  riallacciandosi  idealmente alla mostra “La Guerra a colori”, che espose insolite immagini colorate del primo conflitto mondiale. Ne vengono riproposte due: “Piave. Trincea italiana”, 1918,  i corpi dei caduti in primo piano, un soldato affranto in secondo piano, altri in fondo;“Prigionieri italiani nella battaglia dell’Isonzo”, 1915,  qualche centinaio in attesa seduti su un costone, dalla tragedia alla rassegnazione. Colpiva la nitidezza dei diversi piani, i volti perfettamente definiti e “a fuoco”, dal primo piano all’infinito, tanto era estesa la “profondità di campo” .

La tecnica dell'”autochrome”, lastre di vetro a colori

Si trattava di 165 diapositive su vetro dai colori brillanti. Il curatore Reinnhard Schultz, già protagonista della mostra appena citata  tenuta due anni prima nello stesso Palazzo Incontro, ha descritto di nuovo le  tecniche introdotte all’inizio del ‘900  per avere immagini colorate che riproducessero fedelmente la realtà. Ha parlato della “tricromia”, presentata dallo scozzese Maxwell a Londra, 1l 17 maggio 1861, due mesi dopo l’unificazione dell’Italia; ma dovranno trascorrere 27 anni per la prima fotografia a colori sulla rivista francese “L’Illustration” cui seguì,  “una vera e propria corsa alla scoperta e all’applicazione di strumenti e tecniche  come la colorazione delle stampe fotografiche o la nascita di fotochrome (basati sulla procedura litografica)”.

Questa corsa fu vinta, se così si può dire, nientemeno che dai fratelli Lumière con il primo sistema di diapositive a colori attraverso granelli variopinti: era il 1904, brevettarono la  placca “autochrome”, poi nel 1907 il procedimento diventò industriale con la fabbrica che la diffuse nel mondo. I costi erano ancora alti, ma valeva la pena sostenerli per testimoniare la realtà e gli eventi in tutte le loro componenti, e il colore ne era una componente fondamentale.

Per fissare le immagini della memoria non c’èra più soltanto la pittura, la fotografia passava il Rubicone del colore, nel 1914 Luigi Pellerano pubblicò un testo su questa tecnica, “L’autocromista e la pratica elementare della fotografia a colori”. Le sue fotografie andarono sulla rivista “National Geographic”così quelle di Secondo Piano, che nel 1898 aveva fotografato la Sacra Sindone a Torino, e Ferdinando Fino, che per primo fotografò a colori le Alpi Graie. Questi  autori erano rappresentati nella mostra, insieme a tanti altri anche stranieri, tra i quali i più noti erano Hans Hildebrand, di cui vedemmo gli scatti nella mostra  “La Guerra a colori”, e Branson DeCou.

Non c’era solo l’ “autochromia”, anche le tecniche ad albume e la fotocromia che colorava le immagini dopo lo scatto, fino ai procedimenti successivi che davano subito le immagini a colori.

Cos’era la  “placca autochrome”  brevettata dai padri del cinema, lo ha spiegato ancora Schultz: una lastra di vetro su cui effettuare  diapositive a colori. Entrando in punta di piedi nel  labirinto della tecnica precisiamo che si basava sulla “sintesi additiva”, con cui le emissioni di luce della fotografia si fissano sui colori fondamentali presenti sulla lastra che viene impressionata; c’è di più, i colori erano organizzati in una rete sottilissima  di granelli ognuno dei quali agiva come un filtro miniaturizzato di colore verde, blu-viola, arancio; in ogni millimetro quadrato vi erano ben 6.000 grani di 10-15 micron.  Di materiali avanzati questi filtri portentosi? Assolutamente no, semplici granelli di fecola di patate disposti affiancati sulla lastra, i vuoti venivano riempiti con nerofumo.

Tutto qui? No, sarebbe troppo semplice, occorre inoltrarsi nel labirinto. Sul lato dell’esposizione  si passavano sali d’argento o altre emulsioni con proprietà fotografiche perchè si impressionasse la lastra, spesso non al primo tentativo; occorreva poi l’inversione dal negativo al positivo.

I granelli colorati creavano punti di diverso colore nella lastra, ma l’insieme appariva omogeneo e non si avvertiva la divisione nei punti, come nei sistemi di televisione a colori  prima delle innovazioni più recenti. Il pensiero va alla pittura divisionista,, ma mentre nei quadri  i punti sono evidenti, nelle lastre no. Lo si vedeva nelle fotografie esposte in grandi lastre di vetro illuminate dai colori brillanti e  continui, dove colpiva la perfetta messa a fuoco dal primo piano all’infinito.

l senso e l’impostazione della mostra

Ricordiamo che le fotografie a colori della Grande Guerra  ebbero una certa diffusione, in particolare quelle di  Hans Hildenbrand, sul fronte tedesco, di Jules Gervais-Courtellemont sul fronte francese, dei due australiani Hubert Wilkins e Frank Hurley nelle Fiandre e in Medio Oriente.  Così Schultz definì quella  mostra: “Non si tratta di una storia cronologica della guerra, dei diversi fronti o delle battaglie che l’attraversano; è il tentativo di illuminare con i colori di sessanta foto quella guerra che fino ad oggi era sempre apparsa in bianco e nero”.   

Con la nuova mostra che stiamo evocando lo spettro si è allargato, i colori di 165 fotografie hanno illuminato la nazione, l’Italia, che negli anni 1861-1935 a cui si riferiscono le immagini, avevamo visto sempre in bianco e nero. E in bianco e nero erano le immagini dell’Ansa  in “Fotografando”, la mostra  in corso nello stesso periodo al Vittoriano, dagli anni ‘40 agli  anni ’70, in una paradossale staffetta in cui il colore era negli anni più antichi per merito della tecnica che abbiamo illustrato; mentre dagli anni’80  ai giorni nostri  dominava il colore nella  pellicola fotografica, erede della vecchia “autochrome”.

Il primo effetto d’insieme della galleria era l’armonioso inserimento delle rutilanti immagini esposte nelle salette di Palazzo Incontro, con il pavimento in cotto e le travi in legno nel soffitto. Sembrava un’irruzione della modernità negli ambienti tradizionali, e in fondo lo era; ma di una modernità datata 1865-1935, questo il periodo considerato, mentre la tecnica innovativa era di inizio del ‘900.

La seconda considerazione è che non era un’esposizione cronologica, e neppure tematica, sembravano fotogrammi di un film sull’identità nazionale, dove epoche e temi si mescolavano in un caleidoscopio immaginifico fortemente colorato; né vi era distinzione a seconda dei rispettivi anni,  la stessa perfezione tecnica, i colori brillanti, la nitidezza delle riproduzioni. Nelle didascalie, in base al periodo era indicata la tecnica usata, dalla “stampa all’albume” dell’ultimo quarto dell”800  alla “diapositiva di vetro colorata a mano”, dalla “fotocromia” di prima del ‘900 alle “autochromie”,

I temi che si alternavano erano quelli della vita quotidiana, dai paesaggi e monumenti delle città d’arte alle scene di vita e di lavoro nelle piccole località della provincia, spesso pittoresche. Con la particolarità che andavano da 150 a 75 anni fa e  nonostante la vetustà erano a colori.

Vogliamo ripercorrere i 75 anni cui si riferiva la mostra in una carrellata della memoria, componendo in un ordine tematico le 165 immagini esposte nelle 10 salette dei due piani di Palazzo Incontro: i temi erano le città del Bel Paese, viste nelle loro bellezze ambientali e nella gente che le popola.  Era raccontata l’Italia  municipale in tutti i suoi colori e nella sua pittoresca umanità.

Il Centro-Sud nelle foto-di 150-75 anni fa 

Al posto delle incisioni e disegni, nonché delle rare foto  d’epoca che evocavano  “Roma sparita” in un bianco e nero suggestivo quanto parziale, le immagini  ne restituivano anche i colori. C’era “Porta San Paolo” con  la Piramide Cestia e il “Foro romano”,  “Castel Sant’Angelo”  preso isolatamente e “Castel Sant’Angelo, Fiume Tevere, Pescatori“, una stampa all’albume colorata a mano del 1880 di rara suggestione; poi il “Colosseo”  in diverse riprese, visto nell’interno e dall’esterno nel suo splendido isolamento e con il primo piano di una“Donna che vende arance”. Altrettanto ravvicinata  “Donna a San Pietro”,  con le imponenti colonne riprese da vicino, mentre  “Piazza San Pietro”  era in un campo lungo quasi  felliniano, con una squadra di preti in tonaca e cappello neri. Altre piazze romane incalzavano, “Piazza di Minerva” e “Trinità dei Monti e scalinata di piazza di Spagna”, il “Foro di Augusto, colonne di Marte Ultore”  fino a “Villa Medici” che spiccava su una piazza deserta con la sua facciata monumentale. Vi erano anche siti come  il “Palazzo senatorio”, nel suo portale con uscieri e sentinelle, e la “Tomba di Vittorio Emanuele” al Pantheon, sommersa dalle corone.

Parecchie fotografie erano firmate  McAllister e Branson DeCou, il  primo  intorno al 1900, il secondo al 1930. Facevano pensare ai pittori che raffiguravano la città nel loro viaggio in Italia, ne avevamo viste nel 2009 le opere in una bella mostra sulla “Campagna romana” al Vittoriano.  Anche qui abbiamo trovatola “Popolazione della campagna romana“, davanti a un antico casale, era una foto del 1934 di Hans Hildenbrand del 1934.Ma anche i due fotografi appena citati non mancavano di rappresentarla: così i ritratti del primo,  “Pastori”, “Pastore romano e gregge” e “Giovani contadine”, con gli abiti e costumi tipici dell’epoca ben evidenti,  nonché “Via Appia”, protagonisti tre buoi ripresi frontalmente mentre avanzavano maestosi trainando un carretto. La rassegna romana terminava con “Bagnaia, mercato di bestiame”, una bella distesa di buoi. e vitelli, del 1928.  Di Hildebrand e DeCou anche foto di altre città, il loro era un vero “viaggio in Italia”.

Da Roma a Napoli, con le vestigia del passato: “Pompei”, “Paestum” e “Pozzuoli. Anfiteatro”  ci venivano presentati in fotografie del 1900 di George Washington Wilson & Co. Il fotografo dava anche una corrusca ripresa della bocca del  “Vesuvio” con i vapori minacciosi, e immagini idilliache di “Amalfi”e “Capri Marina Grande”,  nonché “Capri. Scala fenicia, Anacapri. Una donna a riposo”, dove tornava la figura umana.

Ma Napoli era anche il “Porto” con il carretto in primo piano e le “Navi nel porto”, “Via Partenope” e soprattutto “Due vicoli a Santa Lucia” e “Strada con lavandaie”, popolate di un’umanità pittoresca; ripresa in primo piano con “Venditore di latte” e “Maccaronaio” visto in due momenti. Ripresa anche  la “Pasta in essiccazione”, foto d’autore del 1928 di DeCou autore anche del dolente “Una povera donna”. Ma forse la più impressionante era “Ragazzi di strada”, foto all’albume colorata a mano del 1866 di Giorgio Sommer, una visione caravaggesca di raro realismo con quattro figure  battute da colpi di luce.

Seguiva  Bari, di Hildenbrand  uno splendido “Lavandaie”, 1934, le vecchie  case e il mare, i panni stesi sulla spiaggia e le donne al lavoro, mentre di Auguste Léonerano esposte due immagini molto diverse: la foto di gruppo “Bambini” e “Alberobello. Trulli“, 1913. quasi dei ruderi antichi.

Della Sicilia, 5 immagini di colore locale e di atmosfera di DeCou, mirate alle persone e non al paesaggio o al folklore, erano del 1928 come le altre del famoso fotografo: “Sicilia” con l’autovettura di allora davanti al costone roccioso e “Carro siciliano” visto da dietro con sopra 4 persone;  “Bambine” e “Taormina. Ragazze alla fontana” che esprimevano una povera ma dignitosa umanità. Abbiamo fatto la conoscenza di Luigi Pellerano, citato all’inizio per il libro del 1914 sulla nuova tecnica a colori: suo “Carro siciliano”, ripreso dal retro, il fotografo  ha mostrato anche gente in costume, “Uomini e donne” e “Donna”, 1912, poi “Cacciatore”, 1915,  gli ultimi due ritratti di rara efficacia, soprattutto la fierezza della donna.

Siamo passati in Sardegna, dove abbiamo trovato, di Clifton Adams, “Uomini con carrello ed asino”, 1921, anche questi in costume.

Il Centro-Nord dell’Italia 1861-1935

Tornando dalle isole al continente e risalendo dal Centro verso il Nord il viaggio in Italia della mostra approdava in Toscana, ancora DeCou con 2 splendide immagini “Carrello decorato”, molto diverso da quelli siciliani con la sua “capote” colorata  e “Vendemmia”, i contadini in una simbiosi festosa  con i vigneti i cui tralci sono onusti i grappoli.  Un’altra immagine di un “Vigneto”, 1900, dello studio Keystone View, lo personalizzava con  due vignaioli tra i filari; altrettanto personalizzati “Donna su asino” e “Lavandaie”, 1928, autori sconosciuti.

DeCou oltre a quelle campagnole, presentava immagini della città di Firenze, come “Santa Maria del Fiore”  vista da vicino con lo scorcio della cupola del Brunelleschi e un vigile in primo piano a regolare il traffico di tre automezzi, un carretto e una bicicletta; e l’“Edicola durante la festa del grillo”, con l’edicolante dinanzi all’esposizione delle riviste dalle copertine colorate. Di autori anonimi c’era anche la “Loggia dei Lanzi”, 1900,  e “Loggia del mercato nuovo”, 1928, un bel sorriso femminile e tanti fiaschi di vino in parata,  poi “Ponte Vecchio”, 1900, una veduta prospettica  con  dietro lo “skyline” cittadino; lo stesso ponte appariva come sfondo dello stupendo “Un uomo vende melograni lungo il fiume Arno”, 1934, di Jules Gervais-Courtellemont.

Firenze è anche “Fiesole”, con due belle immagini, mentre Toscana è pure “Pisa” e “Siena”, “Sangimignano” e “Bolsena”, introno al 1900. ma si andava più indietro con  “Chianti”, 1887,  un carretto e delle botti di vino, due addetti e  un’arcata, solo una celebrità poteva concepire una simile composizione: in effetti è Alfred Stieglitz, il grande fotografo americano tornato di attualità con la mostra della Fondazione Roma su “Georgia O’ Keeffe”, che lui sposò e rese famosa.

Non abbiamo dimenticato Hildenbrand, e se ciò fosse avvenuto ce lo hanno ricordato 3 sue fotografie  del viaggio dal Centro al Nord:  “Perugia. Un contadino vicino alla città”,  in realtà stava in una campagna brulla senza abitazioni con due alberi scheletrici e il carro di buoi, “Assisi. Basilica di San Francesco”  e “Ravenna. Il canale verso il mare Adriatico”, ancora buoi, è il 1927.

Da Ravenna a Bologna il passo è breve, lo ha compiuto DeCou con la spettacolare parata di gabbie del “Venditore di animali da compagnia”,  con sullo sfondo i famosi portici cittadini.

Il viaggio in Italia di questo fotografo continuava in Liguria con “Portofino. Venditrice di pizzo” e “Sanremo” Sulla regione e in particolare Genova, c’era una vera galleria di Hildenbrand,  le sue immagini andavano da “Portofino“, con uno splendido panorama,  a Bordighera, con la spettacolare “Donna all’ingresso di un giardino” , sul cancello c’era una cascata di rose, e le due immagini nude ed essenziali, “Pescatore con le acciughe” e “Pescatori”.  Il  “Villaggio di pescatori”  era il soggetto di due fotografie  calligrafiche di Louis J. Steel, con degli alberi straordinari sul costone brullo sopra la misera rada.  Tornando a Hildenbrand  come non ricordare gli scorci dell’abitato di “Donna con un asino” e di “Donna  con le rose”? E “Panni stesi”, non sono i bassi di Napoli, siamo a Genova!

Questo fotografo lo abbiamo trovato anche in Lombardia, con “Lago di Garda. Lavandaie”, foto sfumata e delicata come una pittura; mentre “Gargnano. Lago di Garda”, di autore sconosciuto ci dà la vista del 1900 di un angolo di Paradiso. Un nuovo artista in scena, Sergey Mikhaylovich Prokudin-Gorsky, con 3 straordinari “quadri” di solitudine, “Donna al cancello” e “Donna sul balcone”, due diverse attese, e “Ragazzo sul ponte”, tutte con colori soffusi in una tricromia di grande qualità artistica.  Suoi gli scorci insoliti di “Il Duomo” di Milano, dove le guglie venivano esaltate in una ripresa dalla sommità della basilica, quasi  fosse una fuga di  minareti.

“Mito” è stata chiamata l’ipotetica unione tra Milano e Torino, abbiamo troviamo questo collegamento in Hildenbrand, che nel 1927  scattò le foto di ambiente montanaro esposte in mostra: “Nelle Alpi” e “Una ragazza nelle Alpi del Sud”, ” Cogne. Una donna  delle Alpi Graie” e “Cogne. Polizia”,  una premonizione. Le Alpi erano evocate nel 1912  da Steel,  che abbiamo  già incontrato, in “Una chiesa nelle Alpi”, di lui c’era anche “Ragazzo e vecchia”. Di questi due autori ricordiamo due splendide immagini di lago, il primo del “Lago Maggiore, Isola dei Pescatori”, 1935, un barcone a riva con tre pescatori che tirano le reti, il secondo del “Lago di Como, Nesso”, una casa con arcata e scalinata che porta sull’acqua. La “new entry” è Ferdinando Fino, citato all’inizio, con tre immagini del 1910 delle “Valli di Lanzo”: “Villaggio” e “Ragazza” dominate dai monti, “Madre e figli” immersa nel verde.  Ancora più indietro, del 1900, tre splendide immagini. “Lavandaie”, “Donna con l’acqua” e “Mulino ad acqua”. Corale la prima, bel ritratto di contadina col “bilanciere” la seconda.

L’acqua evocaVenezia, di autori anonimi la “Basilica di San Marco” imbandierata e “Piazza San Marco” brulicante di gente e con una “Parata militare”,  un “Canale” e  il “Mercato”, un “Vecchio cortile veneziano”, e una “Processione sul Canal Grande” su un ponte ripresa dalle barche. Abbiamo ritrovato Hildenbrabd con la foto da fine anno scolastico “Vacanze al Lido¸” e DeCou in  “Canal Grande” con  le case  e il ponte, le gondole e la gente.

C’erano anche immagini di Vicenza e Trieste, ma quelle che ci sembra meritino di essere poste a conclusione della rassegna erano riprese a New York, riassumono l’epopea della nostra emigrazione: “Mulberry Street”,  la Little Italy affollata e pittoresca e “Donna italiana lungo Bleeker Street” con l’immenso scatolone sulla testa esprimeva la durezza del lavoro,  “Italiani intorno a una banca” come simbolo di integrazione, e “Bambini italiani di fronte alla loro scuola”  simbolo di un futuro ricco di soddisfazioni per le posizioni raggiunte  nella società americana.

La mostra, lo abbiamo già detto, era nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, e allora come non ricordare le due immagini della Grande guerra citate all’inizio e quelle di Luigi Pelleranosulla “Tripoli” del 1910, non ancora “bel suol d’amore”?  E come non porre il sigillo finale con le immagini del 1900 del “Monumento a Garibaldi” sul Gianicolo e soprattutto con l’eroe dei due mondi artefice dell’unità  in una “carte de visite colorata a mano”? E’ “Giuseppe Garibaldi” ripreso a Napoli proprio nel 1861.

Che dire dopo questa carrellata dove la storia si mescola alla cronaca resa viva dai rutilanti colori? E stato un “viaggio in Italia”; ripensiamo a quello di Goethe e di tanti famosi viaggiatori, ci immedesimiamo in ciò che videro, in un mondo statico fedelmente rappresentato dalle immagini. Immedesimarsi vuol dire emozionarsi,  ripercorrere con la memoria le salette espositive per  fare dei raffronti, immergersi di nuovo in quel mondo sparito che ci ha conquistato.

E meditare sul suo significato più profondo, al di là della  resa spettacolare ed emotiva, pur importante, ripensando alle  parole di Zingaretti, che ci sembrano riassumerne il valore e la portata e hanno lanciato un messaggio: “Una mostra  rivolta a tutti i cittadini, dai più giovani ai più anziani; perché la memoria delle grandi conquiste economiche, sociali, politiche ottenute nel corso dei decenni passati possa fondersi con la ricerca delle soluzioni ai problemi di oggi e di domani”. Per questo abbiamo voluto ricordarla nei suoi particolari dopo un anno  e mezzo dal suo svolgimento.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante al Palazzo Incontro alla presentazione della mostra, si ringraziano gli organizzatori , con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura “Roma”, seguono “Firenze”, “Napoli” e “kilano”, in chiusura “Venezia”.

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