Pulli e Pellegrino, due mostre contemporanee, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Due mostre aperte lo stesso giorno al Vittoriano, il 19 settembre 2013,  e di durata molto simile – l’“Antologica” di Elio Pulli fino al 10 ottobre e “Primi piani” di Bruno Pellegrino fino al 3 ottobre 2013 – costituiscono due modi di percepire la realtà e di renderla con il mezzo pittorico. Una regia magistrale  le presenta in contemporanea nelle sale ubicate da parte opposta nel complesso monumentale: nel lato Fori Imperiali, via san Pietro in carcere la mostra di Pulli curata da Claudio Strinati, nel lato Ara Coeli la mostra di Pellegrino curata da Duccio Trombadori. Realizzate da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia,  responsabile delle due mostre Maria Cristina Bettini. Cataloghi di Gangemi Editore per Pulli, di Drago Publishing per Pellegrino.

Non intendiamo con questa premessa fare dei raffronti tra i due artisti e le loro opere;  ma vogliamo sottolinearne la netta diversità  per riflettere sull’ampiezza di visione dell’arte come espressione di differenti percezioni della realtà che sembrano appartenere a mondi totalmente lontani ed estranei tra loro. Elemento comune è l’interesse per la realtà, non nei suoi aspetti esteriori ma nei suoi significati profondi. Gli artisti  cercano di penetrarne i contenuti più riposti, e di rappresentarla rendendone i risvolti più significativi e connaturati con la propria visione, pur se molto diversa.

I due artisti, Pulli e Pellegrino, nell’arte e nella vita

L'”Antologica” di Elio Pulli presenta una estrema varietà di composizioni sulla vita e le tradizioni di un popolo, precisamente quello sardo a cui l’autore appartiene. Mentre i “Primi piani”  di Bruno Pellegrino sono “volti solo in piccola parte di persone conosciute  e più spesso semplicemente immaginate”, scrive Paolo Portoghesi; è una visione non solo monotematica ma quasi da “fermo immagine” senza varianti compositive, bensì solo cromatiche e materiche.

Entrambe hanno come motivo centrale l’umanità e i suoi sentimenti: Pulli la trova nei paesaggi e nella gente che fatica con i carretti o sfila in processione, presentando anche qualche figura intensa di isolana. Pellegrino la ricerca nei volti sconosciuti le cui fattezze si fissano come espressione di qualcosa di interiore che lui cerca di far trasparire con il colore e la materia.

L’uno e l’altro  sono attirati dai fiori, anche qui con un approccio molto diverso: delicati mazzi nei vasetti di vetro per ornare le abitazioni nel primo, forti “primi piani” delle corolle immersi nel colore nel secondo.

Altrettanto diversa la loro biografia,  ma in entrambi spicca l’impegno attivo nella cultura.

Pulli  è stato immerso nell’arte da sempre, come pittore e scultore, ceramista e restauratore, anche scenografo. Oltre che come artista si è segnalato per l’impegno culturale nella propria città, Sassari, che gli ha conferito nel 2011 il “Candeliere d’oro”, riconoscimento alle maggiori personalità cittadine. Il sindaco di Sassari Gianfranco Ganau sottolinea che la sua arte, apprezzata “anche oltre i confini nazionali”, è comunque “ispirata nelle forme, nei colori  e nei soggetti alla nostra terra di Sardegna”. Alla pittura unisce la scultura in ceramica, le due arti in lui sono paritarie.

Pellegrino invece fino al 1992 ha svolto attività politica ed è stato impegnato a livello culturale e nella comunicazione; ci limitiamo a ricordare che è stato segretario del Club Turati agli inizi degli anni ’70, consigliere comunale a Milano e presidente del Comitato regionale lombardo per la comunicazione, nel 1980 ha fondato il “Club dei Club”, è entrato  nel Consiglio di Amministrazione  della Rai, è stato Senatore. Dopo il 1992 l’impegno culturale ha sostituito quello politico, e negli ultimi cinque anni ha scoperto l’arte come autore e non più solo come  osservatore. Nasce così il pittore, con escursioni nella scultura.

L’intenso realismo sociale nell'”Antologica” di Pulli

La mostra di Pulli presenta circa 50 dipinti più una serie di fiori e ritratti, e circa 40 sculture tra piatti e vassoi, piccole e grandi composizioni in ceramica policroma. E’ un’esposizione spettacolare che colpisce il visitatore per la vibrante varietà degli stimoli visivi, come quella di Pellegrino colpisce per la forza penetrante della monotematica presenza ossessiva degli sguardi e dei volti.

Ha detto il curatore Claudio Strinati nella presentazione orale in cui è apparso particolarmente ispirato: “Si vede la stessa mano in pittura e scultura, si capisce che è la stessa persona con la sua presenza estrosa, sorprendente, aggressiva, che ha attraversato spazi ancestrali, remoti e futuristici”. 

Il fatto che Pulli abbia coltivato le due arti parallelamente con pari dedizione e caratura artistica lo spiega così: la pittura non gli basta perché “è tale l’energia e l’impulso del ricostruire il mondo intorno a noi, che il maestro ha costantemente il bisogno della tridimensionalità, della materia che plasma e che gli permette di sentirsi come un demiurgo che reinventa le apparenze, per farci vedere ciò che non vediamo normalmente e che pure è latente nelle nostre visioni”. 

In questo senso “è come impastato di ‘verità’, questo potente artigiano che è nel contempo pittore e scultore sensibilissimo e introverso, meditativo e incantato di fronte alla bellezza delle forme che viene elaborando”. Si pone con “lo spirito del grande sapiente che conosce le cose e del bambino che ci mette la sua fantasia positiva”, per cui nelle sue opere “il divertimento e la leggerezza coesistono con la gravitas antica di chi non dimentica il dolore e la malinconia, il timore e la fatica”.

Strinati non manca di citare gli ascendenti, primo tra tutti Picasso per la capacità mimetica di “dare corpo alle fantasie più spericolate che restano, però, sempre agganciate alla concretezza delle cose”; risale fino al pensiero di Eraclito e al maestro orientale del XIX secolo Hokusai, e cita Mathieu, Morandi; in particolare nelle ceramiche trova “echi di Burri, di Fontana, di Leoncillo”  pur nel suo personalissimo stile in cui “il popolaresco e l’aristocratico sono amalgamati in un insieme inscindibile e sommamente affascinante”. E della vasta esposizione di ceramiche dobbiamo dire che è travolgente la forza delle sculture spigolose avvolte dalla luce della colorazione policroma.

Vediamo esposti 8 “Piatti”, diametro 41 cm, ornati di motivi cromatici con segni marcati che si intersecano e si avviluppano con forza, 14 “Vasi” alti 50 cm, dalle forme diverse e dalla policromia rutilante e 4 “Pannelli murari”, trofei di solida composizione materica. E poi composizioni legate all’ispirazione pittorica, taglienti e spigolose nel loro realismo, “ritratti” come “Eleonora d’Arborea”  e “Il folle”, “Ragazza del monte Arci” e “Ragazza con velo”, “La spettinata” e “La mantide”, “Donna sarda” e “Uomo sardo”, fino a “Don Chisciotte” e alla  composizione lunga un metro e mezzo “Carro di sant’Efisio”, dinamica visione con figura umana, animali e carro.

Il carro è in pittura nel dipinto “Carretti siciliani”, un suggestivo scorcio che li vede assiepati quasi per una battaglia, mentre gli animali li troviamo nei due dipinti sulla  “Transumanza all’isola piana”,  “All’abbeveratoio”, e nella “Seminatrice”. Sono immagini intense dal forte realismo, le forme sono ancora distinguibili ma non è un figurativo precisionista: si va verso l’informale per l’atmosfera oscura che avvolge le figure confondendone i contorni quasi per immergerle in un buio che le renderebbe indecifrabili.  Ci si ferma prima di oltrepassare  questo confine peraltro molto vicino, che viene superato in “Muro” e “Vecchio rudere”, “la Nurra” e “Terme di Ardara”, dove alla precisa identificazione dei luoghi corrisponde un magma cromatico che entra nell’astrazione.

Le persone, appena percepibili nelle sagome di queste composizioni, diventano figure  quasi scolpite in “Donne in preghiera”  e “Paola”, “La sposa sarda” e “Fanciulla sarda”, fino a “Mio padre”  e “Zi Antoni Pizzoni”. I caratteri della sua terra emergono con forza soprattutto nei volti, prima indistinti poi sempre più definiti nella loro serietà malinconica e insieme ferma e decisa.  Sono immagini individuali che diventano collettive nelle composizioni  rituali, da “Crocifissione” a “Deposizione”, dall'”Ardia di san Costantino” alle due versioni  di “Settimana santa” e “Processione”,  varianti dove l’oscurità o il segno che vira all’informale trasforma la moltitudine in un magma fluttuante che in “Ballo tondo” diventa indistinguibile.

C’è anche l’altra parte del mondo sardo, il mare con le barche e il porto. Ecco “Barca in cantiere” e “Barcone di pescatori”, “Porto Torres”  e “Porto di Alghero”, verso l’informale ma con i contorni ancora ben distinguibili con l’uso sapiente di volta in volta di luce e di ombra. 

Spettacolare è “Mattanza”, nel magma spiccano i pesci e qualche sagoma colpita dalla luce, tra un’acqua dalle chiazze corrusche e un viluppo di forme indistinguibili ma dall’evidente contenuto; acqua e barche anche in “Alba a Stintino” e “Tramonto a Stintino”, ben più “figurativi” di “Veduta di Cagliari” e “Rovine a Torralba”, mentre “Nevicata” ha un evidente tono impressionistico. Con le vedute l’artista esce dalla Sardegna, lo vediamo nei suggestivi scorci di “Ponte vecchio” e “Dal Vittoriano” – sì, proprio dalla sede della sua mostra – le arcate dei ponti sull’Arno e la cupola sui tetti della Capitale sono ben distinguibili sull’impasto  materico della sua forte pennellata.

Vi abbiamo ritrovato i temi di realismo sociale dei dipinti di pittori abruzzesi come Patini, visti nella mostra “Gente d’Abruzzo” con l’uomo al lavoro insieme agli animali, i rituali sacri delle processioni. Gli aspetti comuni riguardanti le atmosfere e le ombre evocative sottolineano la fatica del duro lavoro e la difficoltà della vita, la forza della fede e la profonda umanità popolare.

In aggiunta a questo costante riferimento regionalistico abbiamo i momenti gentili dei fiori nei vasetti di vetro: dal “Biancospino” al “Mandorlo”, dalle “Mimose” ai “Fiori di campo”;  inoltre le ricche nature morte come “Melograni” e “Mele cotogne”, “Cacciagione” e “Il picchio”.

Ma Pulli non esce dal realismo sociale soltanto con i fiori e le nature morte, a parte le vedute di cui abbiamo detto, sulla sua Sardegna, Firenze e Roma. Ne esce per composizioni  sempre più evanescenti, dove il colore a chiazze e il segno nero delineano forme sfuggenti, come “Il guerriero”  e “Sulla sedia”,”Ricordi sul pianoforte” e “Composizione con scodella rossa”, “Raggio di sole” e “Nel centro”. Fino ai motivi più alti di natura religiosa,  resi in un informale   cromatismo caldo che lascia percepire cosa c’è dietro il mistero,  come  “Maternità” e “Adorazione”, e a quelli di natura cosmica e universale, come “Il principio” e “L’inizio della vita”, dove il sole e il mondo si stagliano nel nero con bianche fenditure sideree o geometriche.

Gli enigmatici  “Primi piani” di Pellegrino

La mostra di Pellegrino tra le 140 opere esposte presenta anche fiori e pesciSpettacolare la sezione dedicata ai pesci,  in tre pareti è esposto un gran numero di quadretti che compongono una sorta di suggestivo acquario,  la luminescenza rende quasi tangibili le immagini rappresentate. I fiori  sono violente macchie di colore su sfondi dai contrasti cromatici molto forti, “primi piani” anch’essi, con le  caratteristiche di quelli umani, anche dei fiori vediamo i volti.

Ma quelli che risultano più intriganti sono i primi piani dei volti delle persone, parte preponderante della sua produzione, con queste caratteristiche particolarmente significative:  non sono identificati né identificabili, non hanno titolo, sono anonimi e sconosciuti e neppure ritenuti espressivi di particolari connotazioni esteriori o interiori; inoltre , sono isolati dal contesto. Ci guardano nella loro successione muta e per questo coinvolgente, come un insieme di individui la cui personalità è tutta da scoprire ma per questo forse possono costituire una moltitudine non generica e indefinibile, bensì con dei precisi contenuti di sensibilità e di emozioni che quei volti cercano di trasmetterci.

“Siamo  di fronte ad una sequenza ripetuta di personaggi in cerca di autore – scrive il curatore della mostra Duccio Trombadori – o di un autore che ama circoscrivere l’indagine visiva alla esposizione dei suoi provini”, come per “documentari del nostro tempo riassunti e accomunati dal pennello in un teatro di posa”. In questa visione si tratta di inquadrature, di fotogrammi “dove i soggetti isolati dal contesto acquistano profondità psicologica per via di un anonimato che non dissolve la personalità del tratto individuale”. Ed è  sull’antinomia tra anonimato esibito e personalità individuale sottostante che ci si sofferma nell’indagine psicologica per una propria interpretazione.

Paolo Portoghesi la butta in politica, per così dire, e non potrebbe essere altrimenti dato che Pellegrino è stato tra i protagonisti della ricerca svolta nel Partito socialista su precise basi culturali all’insegna della parola d’ordine “da ciascuno secondo i suoi meriti, a ciascuno secondo i suoi bisogni”: impostazione che superava l’egualitarismo socialista tradizionale per aprirsi all’ascolto del sentire diffuso nella società ma proveniente dagli “altri intesi come individui, non come massa”.  Risultato: “una straordinaria quasi maniacale produzione di una incredibile quantità di volti”.

Questa moltitudine che ci guarda dalle pareti della sala Zanardelli sembra la personificazione della commedia umana, interpretata da individui tutti diversi che nel loro insieme non diventano mai massa perché conservano la loro personalità, ma definiscono i contorni dell’umanità. Lo fanno con le espressioni colte dall’artista nella loro normalità che diventa un campionario di caratteri e di personalità senza indulgere nella tipizzazione ma con uno spirito di ricerca che si sofferma sui particolari espressivi, come se si trattasse di provini cinematografici.  

Il riferimento al cinema lo troviamo ripetutamente argomentato in Trombadori. Il curatore afferma che “ci troviamo di fronte a un repertorio pittorico di ‘immagini-tempo’, fotogrammi legati da una rete di richiami visivi, da riassumere con il colpo d’occhio estetico di un montaggio dichiarato che fa il verso al parlato cinematografico di Godard e di Resnais”; e aggiunge che l’artista “metabolizza il linguaggio della tradizione moderna in  versione cinematografica o televisiva quando stringe l’obiettivo sulle persone e le cose o quando si avvicina con distacco emotivo sui particolari, sui dettagli di un volto, come faceva Sergio Leone quando sfiorava gli occhi degli attori puntandogli contro la macchina da presa”; e cita “il febbricitante sguardo dell’indio (Gian Maria Volontè) o la pupilla guizzante del colonnello Mortimer (Lee Van Cleef) nei primi piani scenografici di ‘Per qualche dollaro in più”. Mentre Portoghesi  parla di “un cinematografico sistema di dissolvenze incrociate in cui non c’è nulla di scontato e di prevedibile”.

Guardiamo dunque da vicino questi fotogrammi e ferma-immagine pittorici nei quali, però, non ci sembra esserci l’esibizione di uno stato d’animo predeterminato, come avviene nei primi piani dei film, bensì la ricerca psicologica di cosa traspare dalle apparenze colte nel loro anonimato senza storia né identità. Per questo il riferimento del curatore ai “personaggi in cerca d’autore”  e dell’autore alla ricerca di personaggi con i suoi “provini”  ci appare  particolarmente calzante.

La nostra prima constatazione riguarda lo sfondo su cui si stagliano i visi, sempre colorato da tinte unite, per lo più sul verde e sul blu, sul viola e sull’arancio; a volte non è a contrasto con il cromatismo del soggetto, come avviene in altri “primi piani”, ma lo ripropone in tonalità ben più accentuate, in qualche caso addirittura figura e sfondo sono immersi nello stesso bagno di colore.  I visi sono per lo più frontali, con qualche raro profilo,  vediamo una sola immagine di volto posto orizzontalmente in un interno. I volti femminili per lo più solo fino al collo, rari gli accenni all’abito; invece quelli maschili spesso fino al busto, anche con camicia, giacca  e cravatta.

Entrambi i critici citati evocano assonanze con grandi ritrattisti del passato. Trombadori cita von Jawlensky e Gerstl, Soutine e Backmann,  Schmidt Rottluff e  Sironi, Malevich e  Rosai, Magritte e Migneco, Schoenberg e  Testori, fino a Lucien Freud. Portoghesiparla di “due polarità dominanti”, quella intimistica dove il colore “fa da padrone con le sue campiture omogenee”che riporta a Munch e al primo Picasso, a Soutine e a Modigliani, quella  espressionista dove “la materia combutta con il segno che si carica di vibrazioni e provoca una frattura spaziale tra figura e sfondo”.

Il cronista non si addentra in queste analisi della critica colta, si limita a riportare un’impressione da visitatore attento. E nota come, a parte le poche eccezioni nei rari profili, gli occhi di tutti quei volti sono puntati sull’osservatore, quasi fossero foto-tessere per non parlare delle foto segnaletiche. Quest’ultima associazione ci viene da un sentimento comune che traspare da quegli sguardi: un’inquietudine appena espressa che al limite  si stempera in una calma dignitosa, quasi mai nel riso.  Il cromatismo  cupo accentua la chiusura nell’inquietudine, mentre i rari colori caldi dei volti e degli sfondi illuminano gli sguardi di una serenità che in un caso diventa un mesto sorriso.

E’ come se gli sfondi stiano a rappresentare la condizione particolare che imprigiona il singolo soggetto con i suoi pesanti vincoli riflessi nell’espressione del viso da cui traspare l’inquietudine che ha poche occasioni per raggiungere la calma. Se questa è l’atmosfera che aleggia nella galleria di volti di Pellegrino, va rilevato che non vi è neppure dolore ostentato né sofferenza, ma un senso di fermezza e dignità che accomuna la grande varietà fisiognomica,  le diverse età e i due sessi.

La commedia umana di tanti personaggi in cerca d’autore, mentre l’autore ricerca i suoi personaggi è, dunque, tutta da decifrare, forse perché è tutta da vivere. E il proporre le  opere senza titolo né data è un altro segno che nulla è definito, l’enigma resta aperto. Da pochi anni Pellegrino dipinge, dopo il lungo apprendistato nella politica e nella cultura; ci aspettiamo che quando avrà decifrato la commedia umana, avrà trovato i suoi personaggi e loro avranno trovato l’autore che cercano, vedremo nelle prossime mostre gli ulteriori risultati cui sarà approdata la sua ricerca appassionata.

Due visioni diverse, giustapposte  e complementari

Quanto abbiamo potuto evidenziare presentando le opere del realismo sociale di Pulli, si attaglia perfettamente alla conclusione di Strinati: “In definitiva, una intera umanità si dispiega davanti ai nostri occhi, attestanteci il carattere talvolta idilliaco talvolta epico di questo grande cantore della sua terra, che è nel contempo un cantore universale dalla mente libera  e feconda  e dall’espressione sempre rinnovantesi e generosamente ricca di mille implicazioni, mille echi, mille suggestioni”.

Per Pellegrino, ci ricolleghiamo alle parole di Trombadori: “Un campionario delle figure prescelte come i ‘primi piani’ di un’ideale messa in scena cinematografica”, :da leggere “in simultanea, nel suo insieme come in ogni singola parte. ‘Tutti insieme, in modo diverso'”, citando Lucio Dalla: “La lista di ritratti umani (immaginari e no) che emerge e si scopre tutta all’improvviso, come accadde un tempo ai diritti funerari di El Fayum”.

E non è solo per questo richiamo all’arcaico,  che abbiamo visto evocato da Strinati per Pulli, e qui citato da Trombadori per Pellegrino – che intendiamo concludere accomunando i due artisti in una visione sinergica. La loro rappresentazione  dell’umanità è diversissima e giustapposta, quasi come i due lati estremi del Vittoriano che rendono plasticamente la distanza;  ma è anche complementare, per questo è stato importante dare la possibilità di visitare le due mostre in successione rendendole contemporanee. Se ne esce appagati negli occhi per l’effetto magnetico delle forme e quello spettacolare dei colori, e stimolati nella mente per le riflessioni su “uno, nessuno e centomila” che nascono dalla doppia visione dell’umanità.

Info

Complesso del Vittoriano, tutti i giorni, compresi domenica e lunedì, ingresso gratuito ammesso fino a 45 minuti prima della chiusura. Mostra di Elio Pulli, via san Pietro in carcere, lato Fori Imperiali, Sala del Giubileo, lunedì-domenica  sempre ore 9,30-19,30. Catalogo: Elio Pulli, “Antologica”, a cura di Claudio Strinati, Gangemi Editore, settembre 2013, pp. 112, formato 24×28. Mostra di Bruno Pellegrino, piazza Ara Coeli, sala Zanardelli, lunedì-giovedì ore 9,30-18,30, venerdì-domenica fino alle 19,30. Catalogo: Bruno Pellegrino, “Primi piani”, a cura di Duccio Trombadori, Drago Publishing, settembre 2013, pp. 107, formato 17×24.  Dai cataloghi sono state tratte le citazioni riportate nel testo. Per la mostra citata, “Gente d’Abruzzo”,  cfr. i nostri 2 articoli in “cultura.abruzzoworld.com” il 10 e 12 gennaio 2011.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante al Vittoriano all’inaugurazione delle due mostre, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia per l’opportunità offerta. Di Pulli: in apertura, “Mattanza“, seguono “Seminatrice” e “La Settimana santa”, poi uno scorcio della sala con le sculture “Don Chisciotte” (a sin.) e “Carro di sant’Efisio” (a dx). A seguire, di Pellegrino: 3  “primi piani” di volti senza titolo, in chiusura uno scorcio della saletta con i dipinti sui “pesci”, parete di fronte.

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