Sorelle Lumiére, con “Unintended”, fotografie e confessioni, al Blurry Club

di Romano Maria Levante

Una curiosità più che un interesse consapevole ci indusse, due anni fa,  a  cercare il Blurry Club, al 33/35 di via di San Crisogono, una traversa di Viale Trastevere vicino piazza Mastai a Roma, nei pressi dell’antica chiesa dedicata al santo costruita sulla vasta basilica inferiore dove eravamo scesi qualche mese prima per  una visita archeologica. Nel club era annunciata una mostra fotografica con un’intestazione intrigante nel titolo “, “Unintended”, e negli espositori, il “gruppo fotografico Sorelle Lumière”,di qui la curiosità. La mostra si è chiuse a metà maggio 2011, ma è rimasto vivo  l’apprezzamento  perché vi abbiamo trovato  molto più di una serie di belle fotografie.

La curiosità divenne interesse entrando nella vasta  struttura polifunzionale del Blurry Club, ambienti ariosi attrezzati a Bistrot e Book shop, Cocktail bar e Foto Gallery; poi dall’interesse all’apprezzamento il passo è stato breve, è bastato vedere le fotografie esposte in gruppi con una scheda illustrativa per autore, anzi autrice.

Il titolo “Uninteded” e le fotografe “Sorelle Lumière”

E’ stato decifrato innanzitutto “Unintended” nel suo doppio significato: “E’ la forza espressiva di qualcosa che ‘semplicemente accade’ in quel preciso istante, senza un fine né una costruzione ed è, allo stesso tempo, la ‘non intenzionalità’ del fotografo, che si trova casualmente sulla scena e riesce a catturare la particolare creatività di quell’istante”.  Quel che “semplicemente accade” non riecheggia il “semplicemente sei” di Jovanotti in “A te”, ma quasi:  in realtà il titolo della mostra richiama un brano musicale della band “Muse” che esprime la casualità di momenti fondamentali: “Potresti essere la mia scelta/ involontaria di vivere la mia vita offerta/ potresti essere colei che amerò sempre/ potresti essere colei che ascolta…/ potresti essere…”; e non “semplicemente sei”.

Abbiamo conosciuto così le dieci “Sorelle Lumière”, ciascuna esponeva un gruppo di fotografie con il suo stile e le motivazioni descritte nelle schede come in una confessione pubblica. Ne è derivata non soltanto una Foto Gallery variegata e suggestiva, ma anche un identikit a molte facce, precisamente dieci, di cosa vuol dire esprimersi con la fotografia e cosa si cerca di esprimere.

Erano ritratti con cui il lettore poteva confrontarsi per far emergere le sue motivazioni, anche le più recondite, e magari esprimerle lui stesso avvalendosi dell’opportunità offerta dall’on line;  agli appassionati di fotografia  la possibilità di animare un forum avvincente. Diremo poco, quindi, delle fotografie, esposte al  giudizio con la loro evidente resa spettacolare, spesso pittorica; e molto delle motivazioni ricavandole dalle espressioni usate da ciascuna autrice nel confessarsi pubblicamente.

Le dieci Sorelle Lumière si confessano

Cominciamo da Patrizia Urbinati, la fondatrice del gruppo con Gabriella Carlei. La fotografia è stata per lei un punto di arrivo, non di partenza, vi è giunta dopo la poesia e la pittura, la decorazione e il webdesign.  E questo perché, ha spiegato, “amo giocare con le parole ed i colori per portare alla luce le emozioni racchiuse dentro di me”. La attirano “i contrasti e i giochi di luce e di ombre, le esplosioni di colori”, nonché “il turbamento e l’emozione che un’immagine può rivelare”. Ecco una sua bella definizione: “La fotografia è come una finestra spalancata sul mondo interiore, su quello che si cela e si rileva da un contrasto, una percezione, un accostamento, un’ombra.” Perciò “in ogni inquadratura cerco di cogliere l’invisibile che si muove dentro e fuori di me”. Lo  ha colto fissando la maternità nella tenera immagine della madre col bambino quasi una icona sacra, la forza nel pugno serrato e nel volto volitivo, il  muto dialogo in un intenso primo piano  e il confronto fisico nelle due figure maschili che si afferrano.

Le fa eco la cofondatrice del gruppo, Gabriella Carlei:”Ognuno sceglie la tecnica per esprimersi, disegno o scrittura, musica o scultura, la fotografia mi accompagna da sempre”. La sua larga diffusione la fa riflettere sul rapporto con l’arte: “Per arte intendiamo la nostra personale rielaborazione della realtà, la creazione dal caos”. Un processo difficile con la fotocamera: “La fotografia riproduce l’istante in modo innaturale, bidimensionale, manca di materia, di sacralità, eppure ci sono fotografi che hanno fatto arte”. Cita Cartier Bresson e Man Ray, il secondo un artista geniale a tutto campo, si pensi al “ready-made”. Infine, lasciando da parte l’arte, confessa: “Amo la fotografia perché  riesce a descrivere ciò che non riusciamo  a  vedere”. Le conferme nei suoi ingrandimenti: dalla nebbia lattiginosa  alla corolla grigia con tanti petali, dal  rametto con  vivaci colori a terra ai riflessi delle luci sull’azzurro del selciato traslucido per la pioggia.

Aver creato il gruppo ha portato le due fotografe  a scavare a fondo nel significato della fotografia; Verena Grottesi, invece, scava nella propria memoria in un tenero amarcord.  Ricorda “gli anni della camera oscura”, il padre che sviluppava nella vasca da bagno, “con la lucina calda, il filo steso sulla vasca, le vaschette con gli acidi e le fotografie stese come i panni ad asciugare”. Dichiara di essere “nostalgica della pellicola”, sono rimasti impressi nella sua mente i primi insegnamenti sulla Hassemblad, poi la Rolleiflex e la Nikon,  pensa che “le immagini digitalizzate abbiano tolto tutta la personalità alla fotografia”. Per questo si esprime in un intenso bianco e nero d’altri tempi: il nero è nel buio, nelle gambe  con  le loro ombre, e nella figura scura al centro di un vasto ambiente; il bianco nella luce che fende l’oscurità da una finestra, fino alla grande macchia chiara che irrompe.

Anche Daniela Ortolani parla di se stessa, ma non è nostalgica della pellicola, anzi si qualifica come computer graphic e c’è in lei semmai un “mal d’Africa” di marca moderna, impegnata com’è in progetti di cooperazione nell’Africa mediterranea e sahariana; il suo obiettivo spazia nell’Europa nord orientale oltre che in Italia. “C’è attenzione ai luoghi e alle persone, attraverso loro si comunica con le immagini”. Nelle inquadrature  un quartiere animato e un vasto spazio davanti a un edificio, dei bambini e un  trattore; l’esterno di un localee una balconata con una figura pensierosa.

I dettagli, siano essi dell’ambiente urbano o di quello naturale, colpiscono in modo particolare Elly Murkett: “Nella fotografia si crea un’atmosfera diversa da come la vede l’occhio umano”; ciò dipende “dagli effetti di luce e di ombra, dal rapporto tra luce, colore e forma”. Lo esprime in inquadrature semplici ed essenziali, dalla figura in piedi che si staglia solitaria in controluce, alla figura a sedere arabescata, al misterioso ingresso rosso incorniciato di nero da mille e una notte.

Per Lia Attanasio “ogni foto è un’emozione, un viaggio profondo nei miei sentimenti”. Non è un moto dell’animo effimero, “c’è una ricerca e un arricchimento che mi giunge attraverso le persone e i luoghi che fotografo”. L’immagine del pavone in tutta la sua magnificenza vuole esprimere questa ricchezza, così l’albero che getta la sua ombra sul prato; ci sono anche tre donne a braccia conserte e due persone sedute davanti a un negozio con un cane bianco.

Altrettanto intense le sensazioni di Simona Carli:”Fotografare è un bisogno, una necessità per il mio spirito. Fotografia per me è passione, istinto e umiltà”.  Sì, proprio umiltà, ha usato la camera oscura per anni: “Non si finisce mai di imparare. Mai”. E aggiunge: “Osservo tutto e anche nei posti familiari continuo a fare scoperte”. Non si pone recinti e tanto meno limiti stilistici: “Mi piace filtrare ciò che vedo con la mia sensibilità”, afferma. E’ una sensibilità che la porta a misurarsi con la penombra, dalla quale emerge un bellissimo volto di donna  e una figura inquietante, un paio di scarpe da tennis fino a tre splendidi cavalli bianchi  colti in un momento di riposo.

Francesca Nuzzo va anche oltre, se possibile: “La fotografia è narrazione. In una fase della vita può accadere che si sente il bisogno di narrare, il desiderio di raccontare”. E ancora: “La fotografia è ordine e disordine. Fa guardare oltre lo spazio delle rappresentazioni, in un rapporto tra ciò che è immaginato o immaginabile, fa comporre e scomporre”. Fino a raggiungere il risultato sperato, forse afferrare il sogno agognato: “Trovare un luogo che fa andare oltre lo scoprire e colorare emozioni, oltre i limiti e l’immaginazione”. Lo cerca in alcune immagini esotiche molto colorate e in unoscorcio di Luna Park con sullo sfondo la grande ruota panoramica, ricorda quella del Prater di Vienna immortalata dal “Terzo uomo” di Orson Wells con la cetra di Anton Karas; e poi in immagini in bianco e nero con un’inquadratura dall’alto di due bambini e un campo lungo sfumato.

Vola in alto anche Carolina Cavaterra, a lei non si applica l’omen nomen, il cognome la vorrebbe immersa a scavare nella realtà mentre lei cerca di superarla. Nelle sue corde c’è la pittura che ha coltivato in fasi alterne insieme alla fotografia. Sente attrazione “per i colori e la luce, e anche per gli effetti da chiaroscuro”, ma non si ferma alla rappresentazione esteriore: “L’arte fotografica sa rendere eterno l’atto irripetibile. C’è nella foto un quid nascosto o in primo piano che rivela un cuore battente”. Di più non si potrebbe dire. Come lo esprime? Intensi ritratti di bambine, e dialoghi  all’ingresso di locali, chissà cosa si diranno?

In questo mondo interiore si muove anche  Elisabeth D’Amico: “Fermare con la fotografia per un momento lo scorrere del tempo, un sentimento, è come fare una piccola magia”. E  ne rivela il segreto: “Un’immagine può esprimere, guardandola in un solo istante, una sensibilità o un concetto che mille parole non saprebbero comunicare”.  Le sue fotografie rendono tutto questo: un volto sorridente di bambina in primissimo piano, forse la speranza e la fiducia; figure sperdute in ampi spazi, forse l’isolamento e la solitudine.

Il cronista è abituato a scrivere mille parole, è il suo mestiere, lo strumento di cui dispone. Ma proprio per la consapevolezza dei limiti dello scritto, gli piace accompagnarlo con le immagini. Farà così anche per questa mostra e per le mille parole rivelatrici che ha tratto dalle schede delle dieci “Sorelle Lumière”. Perciò alle “mille parole” ha unito la  Foto Gallery dei dieci blocchi delle immagini in mostra per ciascuna delle “Sorelle Lumière” di cui sono state riportate le “confessioni”: si tratta di un distillato  di sensazioni  e di emozioni rese dalla potenza del mezzo fotografico.

A tutte loro siamo grati per quanto hanno saputo esprimere non solo con le immagini, ma anche con le parole, in un abbinamento inconsueto quanto fecondo. Il  quale fa sì che la “piccola magia” , di cui parla l’ultima delle “Sorelle Lumiere” che abbiamo citato, per noi diventi veramente grande.

Info

Delle “Sorelle Lumiére” segnaliamo il sito http://www.sorellelumiere.com/ dove si trova l’informativa delle loro iniziative più recenti e una galleria fotografica.

Foto

Le immagini dei 10 gruppi di fotografie esposte, ciascuno di una autrice, sono state riprese in mostra da Romano Maria Levante al “Blurry Club” che si ringrazia insieme alle autrici; la qualità in qualche caso è resa scadente dai riflessi dell’ambiente dovuti alle circostanze in cui sono state scattate le istantanee dei gruppi di foto esposte. I 10 gruppi di foto sono posti nell’ordine in cui le “Sorelle Lumière”  sono citate nel testo  e precedono  la rapida citazione di ciascuna. In apertura, Patrizia Urbinati, poi  Gabriella Carlei e Verena Grotteschi,quindiDaniela Ortolani e Eddy Murkett, inoltre Lia Attanasio e Simona Carli, infine Francesca Nuzzo e Carolina Cavaterra; in chiusura Elisabeth D’Amico.