Modigliani, 3. Il grande Amedeo e Soutine, alla Fondazione Roma

di Romano Maria Levante

Concludiamo il racconto della mostra  “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. La collezione Netter”, alla Fondazione Roma, Palazzo Cipolla,  dal 14 novembre 2013 al 6 aprile 2014 con esposte 100 opere, specchio di un periodo di grande fermento artistico ed espressione di una vita inquieta che trovava nell’arte sostentamento e sfogo in un rapporto fecondo tra gli “artisti maledetti”  e i collezionisti, nel caso particolare Netter, attraverso i mercanti, per quelli in mostra Zborowski. Curatore della mostra Marc Restellini, autore anche del prezioso  Catalogo edito da 24 Ore Cultura,  intervenuta nell’organizzazione della mostra realizzata da  “Arthemisia” con la Pinacothèque de Paris.La mostra andrà dopo Roma a Milano, al Palazzo Reale,  come fu per Hopper, nel rapporto instaurato dal presidente Emanuele con gli organi milanesi, soprintendenze e autorità civili al massimo livello.

Abbiamo descritto in precedenza la Montparnasse di allora, con la vita inquieta e tormentata degli artisti giunti da tutta Europa a Parigi attratti dal richiamo dell’arte e della modernità: erano ebrei bersaglio delle persecuzioni  sfociate anche nella tragedia. Il fervore artistico e l’inquietudine esistenziale pervade quel mondo e quel periodo e abbiamo cercato di darne conto anche attraverso sommarie biografie degli artisti che accompagnano il rapido sguardo alle opere esposte. Abbiamo cominciato con l’abbinamento madre-figlio tra Suzanne Valadon e Maurice Utrillo, una vita attraversata da inquietudini ma illuminata dall’arte. Poi abbiamo fatto una carrellata degli altri “artisti maledetti” a partire da Antcher e Hayden, i fauvisti De Vlaminck e Derain, per passare a quelli  più vicini a Modigliani, in particolare Krémégne, Kikoine e “Zavado”; con la la bella vita di Kisling  e la tragica fine di Feder ed Epstein; una rapida rassegna dei temi dei dipinti esposti anche per gli artisti presenti con una sola opera.

Siamo  adesso al “clou” del nostro racconto, con in primo piano Chaim Soutine e la vera star della mostra, Amedeo Modigliani, è come se la marcia di avvicinamento sia giunta finalmente al traguardo.

Soutine,  l’artista tormentato protetto da Modigliani 

Chaim Soutine è in un certo senso una figura emblematica degli “artisti maledetti” per le violenze subite nella vita, compresi i “pogrom” antisemiti, la miseria e  l’emarginazione affrontate, tutto riscattato dall’arte che lo ha reso ricco e famoso, protagonisti il collezionista Netter e soprattutto un collezionista americano giunto a Parigi per comprare quadri, che segnò la sua fortuna e la propria.

Ma andiamo con ordine in un sommario ritratto dell’artista. Nato da una famiglia molto povera, undici figli, lui era il penultimo, subì violenze già dai genitori,  e persino dai correligionari ebrei per aver infranto a 13 anni una loro regola mentre ritraeva a carboncino il rabbino del suo paese natale in Lituania, il figlio del rabbino lo picchiò mandandolo all’ospedale per 15 giorni. Nel 1913, a 19 anni,  si trasferì a Parigi, sporco e lacero era considerato ripugnante dagli artisti che frequentava, come Chagall, e non conobbe l’igiene finché non divenne ricco e famoso e gli fu insegnato a fare il bagno, ma l’odore di selvatico gli rimase.  Istintivo e sempre insoddisfatto, veniva  preso da accessi di follia distruttiva, era discontinuo, poteva fare solo qualche disegno in un intero anno oppure, come avvenne quando il mercante lo mandò a Corot, sui Pirenei, ben 200 quadri in tre anni.

Fu presentato  nel 1915 a Modigliani, che gli si affezionò e divise con lui lo studio, dove dipinse le prime nature morte;  lo dirozzò, presentandolo anche a Sborowski, e insistendo perché se ne prendesse cura. Si faceva  accompagnare a casa del mercante dove andava tutti i giorni per tre anni, fino a disegnare il ritratto dell’amico su una porta di casa Sborowski, dicendo “un giorno questa porta varrà tanto oro quanto pesa”; il giudizio del mercante verso le sue opere era tiepido, ma ne prese alcune, però ritardava i pagamenti portandolo vicino al suicidio. Netter invece lo apprezzava molto e acquistò tante sue opere da farne la parte più importante della sua collezione.

Il collezionista americano che diede una svolta alla sua vita  fu Albert Barnes, che aveva fatto fortuna nell’industria farmaceutica con un nuovo prodotto: andò a Parigi nel dicembre 1922 e ripartì per l’America a metà gennaio 1923 dopo due settimane di intense visite accompagnato da Guillaume, con 700 opere dei nuovi artisti, tra cui di Soutine 35 o 100 a seconda delle fonti, pagandole 3000 dollari, cosa che rese l’artista ricchissimo e finalmente elegante. Ciò non gli impedì  di entrare in crisi, depresso lasciò Parigi e quando vi tornò riprese a dipingere intensamente, nel 1925 lo affascinò il tema del “bue squartato” ripreso da Rembrandt, il relativo dipinto è in mostra.

La crisi del 1929 lo colpì, ma lo aiutarono Madeleine e Marcellin Castaing, trascorreva parte dell’estate nella loro dimora presso Chartres dal 1931 al 1935.  In quest’ultimo anno la prima mostra negli Stati Uniti, dal 13 al 30 dicembre, dove espose di nuovo nel 1939, a Londra nel 1937 e 1938, e anche a Parigi.  Nello stesso anno conobbe Gerda Gard che lo colpì con la sua “gaiezza ironica”, lo vegliò un’intera notte quando fu colpito da dolori, poi si unì a lui nella sua abitazione misera e sporca, ma con riproduzioni di opere di impressionisti e libri di romanzieri francesi e russi.

Nel 1940, dopo  l’accordo Ribbentrop-Molotov,  lui russo e lei tedesca in Francia subirono prima delle restrizioni,  poi con l’invasione nazista le persecuzioni antisemite, lei venne internata e poi liberata, lui passò da un rifugio all’altro. Nel 1943, dopo due sue mostre a Washington e New York, morì per l’improvviso aggravarsi dei suoi problemi di salute avendo affrontato un lungo viaggio attraverso la Normandia per essere portato in ospedale a Parigi  evitando la polizia. Fu sepolto a Montparnasse in una fossa provvisoria..

Non aveva un temperamento facile, di carattere collerico e intemperante anche in questo era “maledetto”. La  Gard – coinvolta come abbiamo detto dalle traversie della guerra, mentre l’artista per non restare isolato visse insieme a Marie-Berthe Aurenche, già moglie del pittore Max Ernst – lo descrive così: “Era un uomo chiuso e solitario, pieno di diffidenza e il meno espansivo possibile. Tutto in lui era strano. Quando lavorava nel suo studio non tollerava che lo si disturbasse. Utilizzava un gran numero di pennelli e, nella febbre della composizione, li gettava a terra l’uno dopo l’altro”. Conferma questo particolare Drieu La Rochelle: “Attorno a lui tubetti e pennelli sono disseminati a terra, sventrati o spezzati”. Spesso stendeva il colore con le mani, e gli restava attaccato sotto le unghie, poi girava il quadro verso la parete, non voleva fosse visto.

Forse il suo carattere e le tante stranezze spiegano una contraddizione nei suoi rapporti con  Modigliani.  Secondo Arthur Miller, era “il migliore amico di Modigliani, che fino al terzo o al quarto aperitivo era brillante e divertente, ma poi diventava un pazzo, un esaltato”;  ma non avrà riconoscenza per lui,  che lo aveva introdotto nel mondo dei mercanti e dei collezionisti, anzi il contrario,  per essere stato trascinato in una vita di boemienne con abbondanti bevute sicché anche dopo che l’artista italiano, morto da tempo, era diventato famoso, non si tratteneva dal dire: “Non mi parlate di quell’italiano che mi ha fatto quasi diventare un alcolizzato”.

Nella sua monografia su Soutine del 1973, così Raymond Cogniat ne descrive la pittura collegata alla vita: “Non un’immagine indulgente, non un sorriso affettuoso, nel suo gioco al massacro, così come nella sua inquietudine non c’è un istante di distensione, nemmeno quando le circostanze gli diventano favorevoli. La bruttezza è il suo terreno; l’inquietudine il suo clima; la passione la sua condizione permanente”. Parole queste che sono una preparazione adeguata alle sue opere.

Sono 7 paesaggi, 5 nature morte e 7 ritratti, tutte opere accomunate dal forte cromatismo in cui è il colore a creare le forme senza alcun contorno, fino a renderle poco intelligibili. E’ l’espressionismo della Scuola di Parigi a manifestarsi in questa forma moderna e suggestiva.  

E’ il caso delle visioni naturalistiche come “Strada in salita” e Paesaggio di montagna”,  “Platani a Céret” e  “Grandi alberi blu, Céret”, tutti tra il 1918 e il 1922, nelle quali le pesanti e dense macchie di colore non definiscono composizioni riconoscibili, ma un magma quasi indistinto.  Comprensibili, pur nella pesantezza e forza cromatica, “Case rosse” e “Case”, 1917, e “Scalinata rossa a Cagnes”, 1918, le forme sono definite nei rossi delle abitazioni e della scala, nel verde scomposto della campagna, nel  bianco di alcune pareti.

La forma è meglio definita nelle nature morte, sia in  quelle anteriori ai paesaggi appena citati, sia in quelle successive; forse a determinare questa differenza concorre la delimitazione del soggetto, mentre quando si allarga la prospettiva negli esterni ambientali  l’artista viene coinvolto anche emotivamente, ed è qui che lascia i pennelli e stende il colore con le dita. 

Quando parliamo di nature morte ci riferiamo non solo a”Natura morta su tavola rotonda”, 1922, e “Tavolino con vettovaglie”, 1923, ma anche ai dipinti con selvaggina e carne che prediligeva, al punto di portare nel suo studio i soggetti da riprendere, come il quarto di bue pagato da Zborowski 3.500 franchi, fino ad avere problemi con la polizia per le denunce dei vicini a causa del fetore  superati con l’uso della formaldeide che bloccava la decomposizione anche se decolorava la carne;  inconveniente superato a sua volta spalmandovi sangue fresco preso anch’esso al mattatoio, cosicché il bue tornava “più bello di prima”, come raccontò Paulette Jordain.

Ecco  “Il bue”, 1920, la forma è definita dai tratti rossi e bianchi e si staglia sul verde variegato del fondo, inconsueto soggetto di grande effetto; anteriore è “Pesci”, 1917, posteriore “Lepre appesa”, 1923, ancora più definiti e precisi, soprattutto i cinque pesci che spiccano sulla tovaglia gialla.

Anche nei ritratti – in piedi e a sedere, quasi sempre con le mani in vista – pur se  il cromatismo è pesante e senza contorni, la forma è evidenziata dal contrasto di colore con lo sfondo: non siamo nell’indistinto delle visioni naturalistiche e neppure nella definizione delle nature morte,  ma in un’espressione intermedia.  Tra “Giovane donna”, 1915, e “Bambina con vestito rosa”, 1938, intercorre oltre un ventennio, ma non si avverte differenza stilistica. Gli altri ritratti  femminili e maschili esposti sono entro queste due date :  “Ritratto d’uomo”, 1916 e  “La pazza”, 1919, anno del quale sono “Donna in verde” e “Uomo con cappello”. Una citazione a parte per “Autoritratto con tenda”, 1917, si raffigura a 23 anni, con cappotto e sciarpa, l’espressione corrucciata, in diverse sfumature di verde, a parte il viso, questa volta senza contrasto con lo sfondo.

Con questa immagine nel mezzo del cammin della sua vita – vivrà solo 49 anni – lasciamo Soutine per il culmine della mostra, il grande Amedeo Modigliani, dalla vita ancora più breve e tormentata. 

Amedeo Modigliani, il “principe di Montparnasse”

Ecco, dunque,  Amedeo Modigliani, il “principe di Montparnasse”, la “star” degli “artisti maledetti” che nei primi due decenni del ‘900 approdavano a Parigi dove conducevano una vita misera ed emarginata ma con il fuoco della creazione artistica che in quelle condizioni degradate trovava alimento.  E’ l’eroe romantico, con atteggiamenti da bohemienne, legge molto, soprattutto poesie, una vita tra stenti e  malattie, illuminata dalla creazione di un’arte poco riconosciuta  finché visse; tutto fu travolto dall’immatura fine, anche il destino della giovane compagna, Jeanne. Arte, amore e morte, alla sua scomparsa vennero i riconoscimenti mancati nella sua vita troppo breve.

La sua vita artistica inizia con i primi quadri nel 1898, a 14 anni, ma subito dopo si ammala di tubercolosi;  nel 1906, a 22 anni, va a Parigi, capitale dell’avanguardia europea. Nel 1909 si stabilisce a Montmartre,  conosce i fauvisti intorno a Matisse e i cubisti intorno a Picasso, e anche Utrillo e gli altri “artisti maledetti”,  frequenta più i caffè di Montparnasse che le botteghe d’arte.  La prima esposizione di quadri è del 1910, realizza anche sculture, espone 7 teste di pietra nel 1911; nel 1914 abbandona la scultura, è l’anno in cui conosce Beatrice Hastings, che si dichiara “scombussolata da quel pallido e irresistibile briccone”, e descrive così il loro secondo incontro, quello  decisivo: “Era rasato e affascinante. Si tolse amabilmente il cappello , arrossì fino ai capelli  e mi invitò ad andare a vedere i suoi quadri”. Corrispondente di una rivista letteraria inglese, appena giunta a Parigi, viene descritta così da Kiki: “Occhi verdi, voce arrogante, avida d’uomini e d’alcool”,  Modigliani intrattiene con lei per due anni una relazione tempestosa con liti furiose tra loro due entrambi ubriachi.

Paul Guillaume diventa il  mercante suo e di Soutine, ma con lo spirito del mecenate.  Modigliani dipinge una tela  a settimana, molti ritratti con due o tre sedute di posa dei  soggetti.  Nel 1916 la salute peggiora, cessa la relazione con la Hastings, espone nella mostra “L’Art moderne en France” con i maggiori “artisti maledetti”, più de Chirico e Matisse, Rouault e Severini.

Una figura molto particolare, l’ “ultimo autentico bohémienne” che alternava  alterchi ed espressioni gentili, ubriacature e creazioni artistiche. Non volle dipingere i paesaggi richiestigli invano da Zborowski, anche se gli avrebbero alleviato la vita con i proventi della vendita. Da scultore non li sentiva, a differenza dei ritratti nel suo  stile inconfondibile sull’onda dell’espressionismo della Scuola di Parigi di Chagalle, Kisling e Soutine,  in cui si manifestava la disperazione insieme ai sogni di ognuno. Modigliani con la sua pittura rivoluzionava ogni rappresentazione precedente.

Si conoscono gli artisti da lui presentati al mercante, alcuni li abbiamo citati in precedenza, ma non è certo come lo abbia conosciuto, sembra che gli sia stato presentato da Kisling o lo abbia incontrato nel 1916 nella galleria  “La lyre e la palette”  a una collettiva che esponeva opere sue e di artisti tra cui Matisse e Picasso. Zborowski, a parte la vana richiesta di paesaggi, apprezzerà molto le sue opere, tanto da accoglierlo nella propria casa perché potesse dipingere non disponendo di un’abitazione, a lui il mercante fa concessioni che non darà a nessun altro artista,  in particolare nel 1918 gli pagherà il soggiorno in Costa Azzurra quando lo vedrà stanco e malato.

Dietro Zborowski c’è  il collezionista Netter che finanzierà l’esclusiva delle opere in base a un accordo prima verbale, poi formalizzato in un contratto a tre nel 1919, quando espongono a Londra 10 suoi quadri; nel 1917 dipinge i primi nudi sensuali nelle tre fasi dell’amore che Restellin definisce “invito, anticipazione, appagamento “,. Ha appena conosciuto Jeanne, il suo amore disperato fino alla tragica conclusione, una diciannovenne, tra le più belle frequentatrici della Rotonde di Montparnasse; è anche l’anno della prima mostra personale, che Zborowski organizza il 3 dicembre alla galleria Berthe Weill, con tanto di poesia di presentazione del Catalogo, ma viene chiusa subito perché la polizia impone di togliere i nudi e si temono disordini per la gran folla accorsa . Suoi dipinti sono esposti nella nuova galleria di Guillame, e poi in una mostra con de Chirico e Corot.

Al sole della Costa Azzurra il suo colore si schiarisce, le figure si fanno più allungate, continua a fare ritratti e dipinge persino 4 paesaggi, i soli  conosciuti; incontra Renoir,  ma non apprezza i nudi che il vecchio artista gli presenta lodando il rosa dell’incarnato come una carezza  sensuale.

Dalla compagna Jeanne nasce una bambina cui viene messo il  nome di lei, nel 1919 è di nuovo incinta; lui espone ancora, finalmente apprezzato dalla critica. Continua a dipingere intensamente ma la tubercolosi si aggrava anche perché beve molto e non vuole curarsi.

Nel 1920, la tragedia, resta all’addiaccio nella notte parigina ad aspettare gli amici, si ammala gravemente, è  assistito da Zborowski finché il mercante prende l’influenza, il vicino di casa è assente e al ritorno trova l’artista nel gelo del suo studio privo di conoscenza con Jeanne accasciata al fianco. Morirà dopo due giorni senza riaversi: viene diagnosticata meningite tubercolare, è la sera del 24 gennaio. Ha 36 anni, e il giorno dopo, all’alba del 26 gennaio, Jeanne al nono mese di gravidanza si uccide gettandosi dalla finestra dopo aver respinto le inisstenti raccomandazioni degli amici di ricoverarsi in  maternità.

La sua vita tormentata dalla tubercolosi è stata dunque alleviata nel finale da un amore corrisposto con la nascita di una figlia e l’attesa di un altro figlio. Ha visto i primi successi dei suoi quadri, e ha continuato  a dipingere furiosamente fino all’ultimo anche se con i primi successi si sono ridotti gli impegni con mercante e collezionista. Si è sottoposto a un forte stress, incurante della malattia implacabile, hanno parlato addirittura di eroismo o incoscienza, ma era il fuoco dell’arte che ardeva in lui, forse con il presagio della fine immatura, avvenuta a soli 36 anni. Un finale da tragedia  greca, che ne ha ingigantito il dramma umano mentre è diventata immensa la valutazione artistica.  Amore e morte, genio e sregolatezza, talento e destino,  tutti gli ingredienti per una dolente storia popolare.

Come si esprime nell’arte, in particolare nelle opere in  mostra? Sono tutti ritratti, a parte la “Cariatide (blu)”, 1913, olio e tempera in cui si riflette la passione per la scultura, mentre anche i due disegni, l’altra sua forma espressiva, sono dei ritratti.  Del resto, da appassionato scultore, sui paesaggi litigò con Diego Rivera gridandogli “Le paysage n’existe pas”, così si precluse il maggiore filone pittorico, finché il sole della Costa Azzurra, nel 1919, gliene farà  dipingere quattro, come si è detto,  basati sul colore, senza trasporvi le sue passioni per disegno e plasticità, in un cromatismo che forse avrebbe avuto un seguito senza la sua fine prematura. E il disegno è la base della sua arte.

I suoi ritratti sono essenziali, nel tempo sempre più limpidi e luminosi, con molta cura per la struttura del quadro e l’immedesimazione totale nel soggetto; non vanno omologati per certe apparenti somiglianze,  sono espressione del sentimento in una modernità  al di sopra del tempo. Come al di sopra degli altri si considerava lui stesso, non per presunzione, ma per l’introspezione sofferta della propria sensibilità e solitudine, tanto che scrisse a Oscar Ghiglia: “Noi abbiamo dei diritti diversi dagli altri, perché abbiamo dei bisogni diversi che ci mettono al di sopra – bisogna dirlo e crederlo – della loro morale”.  Per questo non ha avuto epigoni, ha aperto e chiuso in splendido isolamento il suo ciclo irripetibile, con i ritratti e i nudi di una sensualità naturale, in cui la donna è vista  nelle forme sottili e nei lunghi colli da cigno, espressione di tenerezza e amore.

In termini cronologici la galleria inizia con il “Ritratto di Beatrice Hastings”, 1915, che si distacca da tutti gli altri, inusuale sia nella figura, dove invece del collo spicca il biancore della lunga scollatura, sia nello sfondo confuso con il vestito. Segue una serie di ritratti del 1916, dal “Ritratto di Lepoutre”, il corniciaio e mercante d’arte che lo aiutò e lui lo compensò con il quadro poi ceduto a Zborowski, al “Ritratto di Zborowski”, soltanto il viso giovanile incorniciato dalla barbetta e il lungo collo con camicia aperta, un’immagine da poeta, com’era oltre che mercante, mentre in un ritratto del 1919 lo ritrae a figura intera da commerciante impettito e incravattato; insieme a questi il doppio “Ritratto di Soutine”, l’artista sodale  in disegno e ad olio, nel quale, come in Lepoutre, non è in evidenza il collo.

Del 1917 i  due ritratti  più caratteristici dell’artista,“Elvire con colletto bianco” e “Fanciulla in abito giallo, con collettino”, mentre del 1918 citiamo innanzitutto i due disegni, il “Ritratto di Hanka Zborowska”, moglie del mercante ritratto nel 1916, con la figura ben definita nelle forme tipiche dell’artista, la veste nel fitto tratteggio,  e “Ragazzo con berretto”, di cui invece sono appena delineati i contorni con segno sottile quasi evanescente. Nello stesso anno  dipinge “La bella spagnola o Madame Modot”, con lo sfondo elaborato, e “Bambina in abito azzurro”, uno dei tanti ritratti di bambini del 1918, con attenzione al rapporto con lo spazio sottolineato dall’ombra e dalla prospettiva del pavimento; mentre è dell’anno successivo “Ritratto di donna seduta  con camicia azzurra”, dove si ritrovano le principali caratteristiche della sua ritrattistica.

Abbiamo lasciato in ultimo, per motivi evidenti, la doppia raffigurazione della sua compagna, nel 1918,anno in cui la ritrasse anche con un cappello a larghe tese: “Ritratto di ragazza dai capelli rossi (Jeanne Hébuterne” è un primo piano del viso, lo sguardo intenso, mentre “Ritratto di Jeanne Hébuterne”   è il profilo di lei a sedere vestita di nero e rosso: nel primo quadro ha la chioma sciolta,  nel secondo raccolta in un vistoso chignon con una forte intensità cromatica senza ombre. Era con lui dal 1917, gli aveva dato una figlia ed era in dolce attesa ma volle seguirlo subito nell’al di là, in un romanticismo portato all’estremo; la tenera civetteria femminile nella doppia acconciatura dei capelli che ce la restituisce nel pieno della vita ci tocca nell’intimo.

La visita alla mostra termina qui, dopo tanti paesaggi e nature morte degli altri “artisti maledetti”, abbiamo ammirato  i ritratti, unici nel loro genere, di Modigliani. Concludiamo con l’immagine che ne ha dato Leone Piccioni, dove troviamo  riassunti alcuni suoi tratti salienti.

I tratti della sua vita: “La grande bellezza del suo volto da andare a segno a colpo sicuro, la profonda e generosa bontà, un’educazione insieme angusta e apertissima, tanto difficile acclimatamento, per le condizioni di vita e di cultura, operato e pagato di persona, le follie, la fedeltà a se stesso, la sorte come di esule, di sradicato, le malattie che lo minano, un fierezza che non viene in lui mai meno, ma tanti profondi scoraggiamenti”. 

Infine i tratti della sua arte: “I colli lunghi, eleganti, insieme frivoli e forti, degli ultimi ritratti di Jeanne o di Lunia, nessuno potrà vederli deformati, o ironici o grotteschi: vsono esaltazioni dell’amore dato e ricevuto in cambio, come le belle mani affusolate, che si riposino in grembo, o che siano in un gesto come sospese nell’aria. E c’è tenerezza infinita nei ritratti di Jeanne in attesa della maternità; c’è la carne rosa, calda, viva e insieme astratta dei nudi, cantati così a piena voce”.

Questo resta dentro di noi, e il prezioso Catalogo ne serberà la memoria, è arrivato perfino ad allungare le proprie pagine in un originale e apprezzato omaggio visivo all’artista dei ritrtti dai colli di cigno.

Info

Palazzo Cipolla della Fondazione Roma Museo, Via del Corso 320 Roma,. Aperto tutti i giorni, lunedì ore 14,00-20,00, da martedì a domenica ore 10,00-20,00, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso euro 13,00 (autoguida inclusa) , ridotto euro 11,00 per 11-18 anni, oltre 65, studenti fino a 26 anni, militari e portatori di handicap; ridotto euro 10 per gruppi, euro 5,00 per scuole e 4-11 anni. Catalogo: Marc Restelllini, “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. La collezione Netter”, 24 Ore Cultura, pp. 306, novembre 2013, formato 23,0 x 32,5; dal catalogo sono tratte le notizie del testo e le citazioni tranne l’ultima.. Cfr. gli altri nostri articoli sulla mostra in questo sito,  “Modigliani,Utrillo, Valadon e altri alla Fondazione Roma”  il 22 febbraio, e “Modigliani, e gli artisti maledetti alla Fondazione Roma”, il 5 marzo 2013.    

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Palazzo Cipolla alla presentazione della mostra, si ringrazia l’organizzazione, in particolare la Fondazione Roma, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura: Modigliani, “Ritratto di ragazza  dai capelli rossi (Jeanne Hébuterne), 1918, seguono Soutine, “Autoritratto con tenda”, 1917 con a dx “Giovane donna”, 1915, “Uomo con cappello”, 1919-20, e “Il bue”, 1920,  poi Modigliani, “Bambina in abito azzurro”, e “Ritratto di donna (Giovane donna seduta con camicia azzurra”,   quindi “Ritratto di Jeanne Hébuterne,”,tutti del 1918; in chiusura “Jeanne Hébuterne all’età di sedici anni”, fotografia dell’aprile 1914.