Liberazione di Roma 1943-44, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

La mostra “19 luglio 1943-4 giugno 1944. Roma verso la libertà”,  dal 5 giugno al 20 luglio  al Vittoriano, lato Ara Coeli, ricorda la fase culminata con l’entrata degli alleati, con i rastrellamenti e le deportazioni, la prigionia  e le torture, la resistenza armata ai nazisti e quella civile alla fame e ai bombardamenti. In primo piano i luoghi cittadini più toccati dagli eventi, evocati con mappe e fotografie,  filmati e giornali, manifesti e cimeli.  Realizzata da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, a cura di  Stefania Ficacci e Maria Teresa Natale.  Catalogo Gangemi Editore.

In contemporanea con la mostra per il centenario della “Grande Guerra”, sempre al Vittoriano, la mostra è aperta fino al 20 luglio, mentre dal 4 all’8 giugno  i 70 anni dalla Liberazione di Roma sono stati celebrati con una serie di manifestazioni distribuite nella città: dibattiti e proiezioni, concerti e  spettacoli teatrali, con la serata evento di sabato 7 giugno ai Fori Imperiali: è stato proiettato il film-simbolo  di Roberto Rossellini,  “Roma città aperta” restaurato, con il concerto “Freedom” di Duke Ellington eseguito dall’orchestra e coro di Santa Cecilia.

Il Sindaco Ignazio Marino ha avuto una bella immagine nel  commentare, senza riferimenti storici o politici, le fotografie della folla festosa che accolse gli alleati: “Da quelle facce, da quei gesti si percepisce un sentimento straordinario: la riappropriazione della città. I romani si riprendono Roma, i luoghi, i palazzi, le strade, le piazze che per secoli sono stati dentro la loro vita e che improvvisamente, con brutalità, qualcuno, l’occupante nazista, aveva loro tolto”. E ha  aggiunto, riferendosi alla mostra: “Sono i luoghi a parlare, attraverso gli scatti fotografici dell’epoca”.

Lo stesso è avvenuto con la mostra precedente sempre al Vittoriano sull’ “infamia tedesca” che all’oppressione aggiunse la deportazione degli ebrei romani il 16 ottobre 1943,  da 1022  solo 16 sopravvissuti, mentre un’altra mostra è stata su “Giugno 1944. lo Sbarco di Anzio” del 1944, con la prospettiva di  liberare Roma.

I “percorsi di lettura” di quel periodo, suggeriti dalle curatrici  Ficacci e Natale vanno dai bombardamenti alleati sulla città all’occupazione nazista, dalla resistenza romana nei 271 giorni di occupazione alla liberazione del 4 giugno 1944.  E soprattutto sono focalizzati  sui luoghi degli eventi nella loro precisa individuazione topografica.

Al riguardo viene  ricordata la definizione di Enzo Forcella per capire l’occupazione nazista di Roma: “Un agglomerato di quartieri, un arcipelago di isole, completamente isolati e reciprocamente inconsapevoli ma anche, per chi ne conosceva la chiave d’accesso, collegati da una fitta rete di invisibili e misteriosi fili”  che in “Roma città aperta” sono stati resi in linguaggio cinematografico. Sui luoghi di Roma così concepiti si focalizzano le sezioni della mostra, con la documentazione visiva, soprattutto fotografica, dei singoli  avvenimenti  nel loro impatto sui quartieri interessati.

La foto-simbolo ci è apparsa quella che poniamo in apertura, i giovani sul carro armato festeggiano la liberazione, dando liberto sfogo a  una gioia incontenibile. Chissà se Roberto Benigni si è ispirato a questa immagine per il  finale del suo film  “La vita è bella” in cui il bambino sale felice sul carro armato, qui il numero è moltiplicato, la gioia diventa corale, è dell’intera città. 

I luoghi dei bombardamenti e della battaglia per la difesa della città

Tutti conoscono  il bombardamento al quartiere di San Lorenzo come la violazione dello status di “città aperta” , evento così dirompente da far uscire per la prima e unica volta papa Pio XII dal Vaticano; sarà anche, negli anni ’50, al centro del processo per diffamazione intentato da De Gasperi a Guareschi che aveva pubblicato una lettera a firma dello statista, che la definì apocrifa, in cui avrebbe chiesto quel bombardamento per esasperare e far insorgere la popolazione. Ma i luoghi dei bombardamenti sono molteplici, sparsi nella periferia della città.  

Infatti quello non fu l’unico bombardamento e non colpì solo San Lorenzo ma l’ampia area limitrofa, come sottolineano le curatrici che affermano: “Al di là della necessaria riflessione sul significato simbolico che il bombardamento di San Lorenzo riveste sull’immagine della città in guerra, non può tuttavia far cadere nell’oblio la memoria delle successive 52 incursioni, se non altro per non consegnare alla storia l’immagine di una città risparmiata dal fuoco alleato”.

Il  bombardamento di San Lorenzo era mirato allo scalo merci, il 19 luglio 1943 alle 11,03 ben 662 bombardieri americani scortati da 268 caccia cominciarono a sganciare 1060 tonnellate di bombe, ma l’operazione “crosspoint”  colpì  anche gli aeroporti Littorio e Ciampino, fabbriche e depositi; un mese dopo, il 19 agosto, alla stessa ora altre 500 tonnellate di bombe sulle stazioni delle a linea ferroviaria Roma-Napoli. Tra l’8 settembre 1943 e il 4 giugno 1944 vi furono 51 bombardamenti nella parte meridionale della città con distruzione di stazioni e ferrovie, fabbriche e depositi, chiese e scuole, cimiteri e diecine di migliaia di case.

Perché questo accanimento nonostante lo status di “città aperta” e poi l ‘armistizio dell’8  settembre?  In una prima fase il motivo fu il valore simbolico di capitale di uno stato nemico, poi  ragioni strategiche legate allo sbarco in Sicilia con successiva conquista della penisola passando per Roma e all’importanza del sistema ferroviario romano per la logistica dei tedeschi. Lo   status di “città aperta”  per la presenza del Vaticano e delle antichità veniva “rispettato” bombardando al periferia dove, peraltro, risiedevano gli obiettivi,  tutti al di fuori della cerchia di Mura Aureliane.

Le fotografie  sono eloquenti, come quelle del palazzo di via Ettore Rolli vicino piazza Marconi, e di uno stabilimento di arti grafiche  in via Ostiense completamente distrutti, e altri palazzi sventrati a Cinecittà, siamo a  febbraio-marzo 1944. Ci sono le immagini della visita ai luoghi colpiti a San Lorenzo di Pio XII circondato dagli abitanti sconvolti, e della Principessa di Piemonte, seguita da alcuni accompagnatori.  6  disegni acquerellati di Vito Lombardi fissano i luoghi di San Lorenzo dopo il bombardamento, con il portico distrutto, gli interni devastati.

Dopo l’8 settembre  Roma era nella tenaglia dei bombardamenti alleati dal cielo, mirati ad obiettivi militari ma che non risparmiavano le abitazioni civili, e dell’oppressione dei tedeschi per controllare completamente la città divenuta ostile. Non ci fu una resistenza organizzata, la popolazione era inerme e i pochi militari disorganizzati, ma singole battaglie in difesa della città. Il 10 settembre a Porta San Paolo e nelle zonevicine, come la Piramide Cestia, ci furono violenti scontri dei reparti tedeschi ben equipaggiati contro “civili senza armi  e militari senza comandi; nel quartiere della Montagnola provocarono 53 vittime, 42 militari e 11 civili, i “caduti della Montagnola”,   nella piazza c’è oggi un sacrario.

Le fotografie dei luoghi mostrano la Piramide Cestiae Porta San Paolo in quel  periodo, insieme ad altre visioni di palazzi che vengono protetti, la  galleria Colonna con barriere di sacchi di sabbia, piazza del Campidoglio con lo spostamento all’interno della statua di Marc’Aurelio. Anche qui acquerelli di Vito Lombardi su carri armati tedeschi a  Porta Maggiore e Via Prenestina. 

I luoghi del potere degli occupanti e della resistenza dei romani

La debole resistenza dei romani viene schiacciata, è troppo importante per i tedeschi controllare la città per organizzare il controllo complessivo del paese dai luoghi del potere nazifascista.

Vengono preservate le sedi del regime fascista per la costituzione della nascente Repubblica Sociale Italiana, insediate a Palazzo Braschi e a Palazzo Wedekind in Piazza Colonna;  mentre  i luoghi  del potere tedesco vengono fissati a Villa Wolkonsky in via Ludovico di Savoia, con il plenipotenziario del Reich, Rahn, presto sostituito dal giovane console Molhausen , e nei due alberghi vicini, l’Hotel Flora a Via Veneto per il Comando generale germanico e il Tribunale di guerra tedesco che celebrava processi lampo, e l’Hotel Bernini a Piazza Barberini  per l’organizzazione collaterale tedesca della Todt, che operava rastrellamenti di civili da avviare ai lavori per esigenze militari.

Tra le immagini fotografiche che illustrano questa sezione spicca la facciata di Palazzo Braschi interamente ricoperta  dal gigantesco manifesto di propaganda con il volto di Mussolini al centro circondato da un’infinità di SI.  Per il resto le fotografie rendono il clima greve dell’occupazione tedesca, i camion a Piazza del Viminale  e a Piazza Venezia dove occupano l’intera zona centrale, e le lunghe file di prigionieri anglo-americani che sfilano scortati dai soldati tedeschi in Via Veneto e in Via dell’Impero: siamo già nel febbraio 1944, ma gli alleati sono ancora lontani.

Ma soprattutto riportano a quel clima le Ordinanze naziste che comminavano la reclusione a chi ascoltava le “emissioni radiofoniche nemiche”  o “propalava” le notizie trasmesse, e l’Avviso del Comando superiore tedesco in cui si intimava agli appartenenti alle classi di età 1910-25 di rispondere alla chiamata delle autorità italiane per il “servizio del lavoro”, necessario allo sforzo bellico tedesco, minacciando punizioni “secondo le leggi germaniche di guerra”, appello che fu disatteso, i romani non  si fecero intimidire. Sono esposti anche  gli appelli “alle armi” e all'”onore e combattimento”  lanciati  dai “fascisti repubblicani romani”, un gruppo che presto fu sciolto.

La resistenza a Roma si è espressa in modo particolare, era la sede del Comitato di liberazione nazionale formato dai partiti antifascisti che diede l’ordine di “resistere con ogni mezzo”; la città fu divisa in  zone, due centrali ed otto periferiche controllate dai Gap, Gruppi di azione patriottica, nelle tipografie si stampavano i giornali clandestini, dall'”Unità”  all'”Avanti”, da “L’Italia Libera” a “Bandiera Rossa”, si arriva anche a 8000 copie distribuite in modo altrettanto clandestino,. Non mancano i sabotaggi e le bombe. Roma, scrivono le curatrici della mostra, “era dunque una città dai mille percorsi, nei quali si muovono uomini  e donne di ogni età con l’obiettivo da un lato di sopravvivere e resistere alla ferocia nazifascista e dall’altro di favorire l’avanzata americana tenendo testa all’esercito e alla polizia tedesca”.

I luoghi della resistenza sono le scuole  medie superiori e le università, le stazioni  ferroviarie e le aree strategiche come il Quadraro, le tipografie che stampano material clandestino e ospedali come il Fatebenefratelli all’Isola Tiberina che nascondeva ebrei e antifascisti coprendoli con il terribile morbo  neurodegenerativo definito “K”,  un’invenzione con le iniziali di Kesserling e Kappler, poi la sede della “santa barbara” che riforniva di bombe i Gap,  e il barcone di Radio Vittoria sul Tevere sotto Ponte Risorgimento. A Via Rasella l’azione più dirompente, l’attentato che uccise 33 soldati tedeschi e un  ragazzo tredicenne italiano, e portò alla feroce rappresaglia delle Fosse Ardeatine.

Una rara immagine mostra due partigiani romani con il fucile puntato a Tor Pignattara, altre alcuni dei luoghi appena citati.  Sono esposti i giornali che abbiamo indicato, stampati nella clandestinità con forti  intitolazioni contro “l’oppressione nazista” e “la distruzione nazista”; come i volantini con gli appelli ai lavoratori a scioperare del Comitato sindacale d’agitazione:  “Questo sciopero deve essere l’insurrezione del popolo romano contro l’oppressione tedesca, deve essere la vostra battaglia decisiva per la libertà e l’indipendenza”.  Vediamo anche il manifesto intitolato “Grido disperato di allarme delle madri e donne romane di ogni ceto e condizione”  con tre grandi “No!”  e lo sfogo: “Tutte unite nello strazio comune protestiamo contro il mancato rispetto delle regole della Città aperta di Roma da parte dell’esercito tedesco”, perché  il movimento di trippe e materiale bellico  espone ai continui bombardamenti.

Spicca il manifesto colorato del Partito comunista: “Uniti! Contro il nazifascismo assassino” con una grande mano ad artiglio, la svastica sul braccio, che strazia la penisola. E soprattutto le straordinarie tavole di Renato Guttuso  “Gott mit uns”, da una serie di 24 tavole a colori pubblicate nel 1945 con una nota introduttiva di Antonello Trombadori, vi è scolpita la ferocia nazista.

I luoghi dei processi e delle torture, dei rastrellamenti  e delle retate

La ferocia rappresentata da Guttuso si manifestava nei luoghi dei processi e delle torture, dei rastrellamenti e delle deportazioni.  Dopo l’8 settembre 1943 Roma diviene in  sostanza un a retrovia del fronte, con il Comando supremo tedesco e il residuo potere fascista  che lo affiancherà,  nella consapevolezza di doversi difendere dall’esercito alleato che avanzava inesorabilmente e dalla resistenza cittadina. Il controllo della polizia tedesca è assoluto, sotto il colonnello Kappler, tedeschi e fascisti nelle loro azioni  crudeli sono spinti da frustrazioni e risentimenti spietati. Le curatrici scrivono: “Prende così forma una ragnatela di luoghi, fra centro e periferia, lungo la quale nazisti e fascisti si muovono  a piccoli gruppi, favoriti da delazioni e conoscenze, informazioni estorte o pagate, per rastrellare uomini da avviare ai campi di lavoro, arrestare presunti partigiani, deportare intere famiglie di ebrei, trovare donne da sfruttare”.

Tra i luoghi  di tortura è tristemente famoso il  carcere di via Tasso, sede della polizia tedesca, con lo studio di Kappler al pian terreno e i luoghi di detenzione dove si compivano le maggiori atrocità al secondo piano con le finestre murate; anche a Regina Coeli si torturavano i reclusi nei bracci controllati dai tedeschi, al punto che il 20 settembre 1944, dopo la liberazione, la folla lincerà l’allora direttore Carretta, e così a Forte Bravetta. Del tribunale militare germanico all’Hotel Flora  abbiamo detto, c’era una dependance nella vicina via Lucullo, inoltre in via Principe Amedeo vicino alla Stazione Termini nella pensione Oltremare il quartiere generale della banda di Koch, altro torturatore fascista.

Queste alcune delle sedi fisse degli orrori, poi i luoghi dei rastrellamenti e delle  retate: dalla centralissima via Nazionale a Montesacro, da Viale Giulio Cesare a Pietralata, fino al Collegio militare di Palazzo Salviati  dove furono concentrati gli ebrei romani rastrellati all’alba del 16 ottobre nel  ghetto e in altri 26 luoghi, per essere deportati in 1022 al campo di sterminio, dal quale sono tornati solo in 16. Le Fosse Ardeatine chiudono questa Via Crucis dell’orrore.

Lo scorcio dell’edificio di Via Tasso nel 1943-44, esposto in mostra, evoca nella muratura visibile alle finestre gli orrori dell’interno, mentre il biglietto con le disposizioni per gli ebrei rastrellati su cosa dovevano portare con sé dopo il rastrellamento mette i brividi  nella sua apparente banalità; 5 acquerelli a colori di Pio Pullini  rendono il clima plumbeo  di questo rastrellamento.

I luoghi della liberazione e della memoria

Dai luoghi dell’oppressione e dell’orrore ai luoghi della liberazione.  Tra questi le vie Casilina e Appia e la zona dei Castelli romani dove le formazioni partigiane si scontrarono con quelle tedesche in ritirata per favorire l’avanzata  degli alleati al comando dell’inglese Alexander e dell’americano Clark. Il 2 giugno il 53° bombardamento su Roma, il 4 giugno l’entrata delle truppe alleate mentre si ricercavano i soldati tedeschi che non avevano fatto in tempo a ritirarsi.

Sono esposte delle fotografie che riprendono  le truppe americane nella campagna laziale e il generale Clark immortalato sotto il cartello stradale con scritto Roma in grossi caratteri, si era fatto fotografare anche in precedenza con il chilometraggio di distanza, voleva essere il primo a liberare Roma e ci riuscì. Poi i luoghi della liberazione per eccellenza, Piazza Venezia e i Fori Imperiali con il Colosseo all’ingresso dei carri armati  alleati festeggiati dalla folla esultante, c’è un primo piano di tanti volti della gente felice con al centro la ragazza che abbraccia il soldato,  guancia  a guancia.

Ritroviamo gli acquerelli di Vito Lombardi,  che aveva illustrato i bombardamenti, ora sulla ritirata dei tedeschi e l’arrivo degli americani ci, sono 5 suggestive vedute da lontano. Poi 5 acquerelli di Tina Tommasini sulla nuova vita con gli sciuscià e i venditori di prodotti americani nel 1947-48.

La gioia non fa dimenticare le sofferenze  e i lutti, la mostra si conclude con i luoghi della memoria e del ricordo. Sono disseminati nella città, contrassegnati da targhe e lapidi celebrative che rappresentano la memoria degli avvenimenti passati dai quali è stata  segnata la storia della città e della vita dei romani.  “Tutto ciò, concludono le curatrici, costituisce la nostra memoria collettiva che ci chiede di essere conservata e trasmessa  alle future generazioni, consegnandoci un patrimonio di conoscenze e di valori sui quali abbiamo fondato la nostra democrazia. Un ‘passaggio di testimone’ possibile anche mantenendo viva la percezione del territorio che non solo  si vive, ma si abita”. E’ stata questa la formula della mostra, questa in fondo la sua funzione educativa.

Sfilano le immagini di queste targhe e lapidi, passarle in rassegna significa ripercorrere idealmente l’itinerario  dell’esposizione che ha presentato gli eventi dai quali è nato il ricordo espresso in quelle scritte, in quei nomi. Sono nei luoghi che abbiamo citato di volta in volta, ci  limitiamo a segnalare il sacrario con  monumento ai caduti nel Piazzale della Montagnola e i monumenti ai caduti  nel  Parco XVII aprile 1944, e al Partigiano torturato in via Lucullo,  le lapidi commemorative sulle Mura Aureliane al Piazzale Ostiense e la grande Croce tra via Tuscolana e via dei Quintili. Fino al Sacrario delle Fosse Ardeatine e alla parete a semicerchio del Cimitero Verano ” a ricordo dei 2725 cittadini romani eliminati nei campi di sterminio nazisti”, di cui 1022 dalla deportazione  del 16 ottobre 1943.

Aver ricordato tutto questo, con gli effetti suggestivi  della mostra al Vittoriano è meritorio. Perché, concludiamo con le parole del sindaco Marino, “è la storia del profondo legame tra le romane e i romani e la loro città, allora come oggi”. Ma evoca anche la storia e la memoria di tutti noi.

Info

Complesso del Vittoriano, piazza Ara Coeli, tutti i giorni, da lunedì a giovedì ore 9,30-19,30,  da venerdì  a domenica ore 9,30-20,30, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso gratuito. Tel. 06.6780664; http://www.comunicareorganizzando.it/. Catalogo “19 luglio 1943-4 giugno 1944. Roma verso la libertà”, Gangemi editore, giugno 2014, pp. 192, formato 21×29,5.  Pe le altre mostre sul tema cfr. i nostri articoli:  in questo sito,“16 ottobre 1943. La razzia degli ebrei” e “I ghetti nazisti”; in www.fotografarefacile.it   “Giugno 1944. lo sbarco di Anzio”., in “cultura.inabruzzo.it”  Scatti di guerra”, 8 agosto 2009.   

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano alla presentazione della mostra, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, l’esultanza dei giovani alla liberazione sul carro armato; seguono uno scorcio della mostra, e la fragile protezione all’edificio delle Assicurazioni Generali, poi un palazzo, in via Ettore Rolli, sventrato dalle bombe, e la visita di Pio XII al quartiere di  San Lorenzo dopo il bombardamento, quindi la protezione della Galleria Colonna e prigionieri alleati scortati dai tedeschi in via dell’Impero, inoltre ordinanze, manifesti e una tavola di Guttuso da “Gott mitt uns”, la Piramide Cestia e Porta San Paolo dove ci fu la resistenza armata ai tedeschi; in chiusura,  la folla festeggia l’ingresso degli alleati nei pressi del Colosseo

di  Romano Maria Levante

La mostra “19 luglio 1943-4 giugno 1944. Roma verso la libertà”,  dal 5 giugno al 20 luglio  al Vittoriano, lato Ara Coeli, ricorda la fase culminata con l’entrata degli alleati, con i rastrellamenti e le deportazioni, la prigionia  e le torture, la resistenza armata ai nazisti e quella civile alla fame e ai bombardamenti. In primo piano i luoghi cittadini più toccati dagli eventi, evocati con mappe e fotografie,  filmati e giornali, manifesti e cimeli.  Realizzata da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, a cura di  Stefania Ficacci e Maria Teresa Natale.  Catalogo Gangemi Editore.

In contemporanea con la mostra per il centenario della “Grande Guerra”, sempre al Vittoriano, la mostra è aperta fino al 20 luglio, mentre dal 4 all’8 giugno  i 70 anni dalla Liberazione di Roma sono stati celebrati con una serie di manifestazioni distribuite nella città: dibattiti e proiezioni, concerti e  spettacoli teatrali, con la serata evento di sabato 7 giugno ai Fori Imperiali: è stato proiettato il film-simbolo  di Roberto Rossellini,  “Roma città aperta” restaurato, con il concerto “Freedom” di Duke Ellington eseguito dall’orchestra e coro di Santa Cecilia.

Il Sindaco Ignazio Marino ha avuto una bella immagine nel  commentare, senza riferimenti storici o politici, le fotografie della folla festosa che accolse gli alleati: “Da quelle facce, da quei gesti si percepisce un sentimento straordinario: la riappropriazione della città. I romani si riprendono Roma, i luoghi, i palazzi, le strade, le piazze che per secoli sono stati dentro la loro vita e che improvvisamente, con brutalità, qualcuno, l’occupante nazista, aveva loro tolto”. E ha  aggiunto, riferendosi alla mostra: “Sono i luoghi a parlare, attraverso gli scatti fotografici dell’epoca”.

Lo stesso è avvenuto con la mostra precedente sempre al Vittoriano sull’ “infamia tedesca” che all’oppressione aggiunse la deportazione degli ebrei romani il 16 ottobre 1943,  da 1022  solo 16 sopravvissuti, mentre un’altra mostra è stata su “Giugno 1944. lo Sbarco di Anzio” del 1944, con la prospettiva di  liberare Roma.

I “percorsi di lettura” di quel periodo, suggeriti dalle curatrici  Ficacci e Natale vanno dai bombardamenti alleati sulla città all’occupazione nazista, dalla resistenza romana nei 271 giorni di occupazione alla liberazione del 4 giugno 1944.  E soprattutto sono focalizzati  sui luoghi degli eventi nella loro precisa individuazione topografica.

Al riguardo viene  ricordata la definizione di Enzo Forcella per capire l’occupazione nazista di Roma: “Un agglomerato di quartieri, un arcipelago di isole, completamente isolati e reciprocamente inconsapevoli ma anche, per chi ne conosceva la chiave d’accesso, collegati da una fitta rete di invisibili e misteriosi fili”  che in “Roma città aperta” sono stati resi in linguaggio cinematografico. Sui luoghi di Roma così concepiti si focalizzano le sezioni della mostra, con la documentazione visiva, soprattutto fotografica, dei singoli  avvenimenti  nel loro impatto sui quartieri interessati.

La foto-simbolo ci è apparsa quella che poniamo in apertura, i giovani sul carro armato festeggiano la liberazione, dando liberto sfogo a  una gioia incontenibile. Chissà se Roberto Benigni si è ispirato a questa immagine per il  finale del suo film  “La vita è bella” in cui il bambino sale felice sul carro armato, qui il numero è moltiplicato, la gioia diventa corale, è dell’intera città. 

I luoghi dei bombardamenti e della battaglia per la difesa della città

Tutti conoscono  il bombardamento al quartiere di San Lorenzo come la violazione dello status di “città aperta” , evento così dirompente da far uscire per la prima e unica volta papa Pio XII dal Vaticano; sarà anche, negli anni ’50, al centro del processo per diffamazione intentato da De Gasperi a Guareschi che aveva pubblicato una lettera a firma dello statista, che la definì apocrifa, in cui avrebbe chiesto quel bombardamento per esasperare e far insorgere la popolazione. Ma i luoghi dei bombardamenti sono molteplici, sparsi nella periferia della città.  

Infatti quello non fu l’unico bombardamento e non colpì solo San Lorenzo ma l’ampia area limitrofa, come sottolineano le curatrici che affermano: “Al di là della necessaria riflessione sul significato simbolico che il bombardamento di San Lorenzo riveste sull’immagine della città in guerra, non può tuttavia far cadere nell’oblio la memoria delle successive 52 incursioni, se non altro per non consegnare alla storia l’immagine di una città risparmiata dal fuoco alleato”.

Il  bombardamento di San Lorenzo era mirato allo scalo merci, il 19 luglio 1943 alle 11,03 ben 662 bombardieri americani scortati da 268 caccia cominciarono a sganciare 1060 tonnellate di bombe, ma l’operazione “crosspoint”  colpì  anche gli aeroporti Littorio e Ciampino, fabbriche e depositi; un mese dopo, il 19 agosto, alla stessa ora altre 500 tonnellate di bombe sulle stazioni delle a linea ferroviaria Roma-Napoli. Tra l’8 settembre 1943 e il 4 giugno 1944 vi furono 51 bombardamenti nella parte meridionale della città con distruzione di stazioni e ferrovie, fabbriche e depositi, chiese e scuole, cimiteri e diecine di migliaia di case.

Perché questo accanimento nonostante lo status di “città aperta” e poi l ‘armistizio dell’8  settembre?  In una prima fase il motivo fu il valore simbolico di capitale di uno stato nemico, poi  ragioni strategiche legate allo sbarco in Sicilia con successiva conquista della penisola passando per Roma e all’importanza del sistema ferroviario romano per la logistica dei tedeschi. Lo   status di “città aperta”  per la presenza del Vaticano e delle antichità veniva “rispettato” bombardando al periferia dove, peraltro, risiedevano gli obiettivi,  tutti al di fuori della cerchia di Mura Aureliane.

Le fotografie  sono eloquenti, come quelle del palazzo di via Ettore Rolli vicino piazza Marconi, e di uno stabilimento di arti grafiche  in via Ostiense completamente distrutti, e altri palazzi sventrati a Cinecittà, siamo a  febbraio-marzo 1944. Ci sono le immagini della visita ai luoghi colpiti a San Lorenzo di Pio XII circondato dagli abitanti sconvolti, e della Principessa di Piemonte, seguita da alcuni accompagnatori.  6  disegni acquerellati di Vito Lombardi fissano i luoghi di San Lorenzo dopo il bombardamento, con il portico distrutto, gli interni devastati.

Dopo l’8 settembre  Roma era nella tenaglia dei bombardamenti alleati dal cielo, mirati ad obiettivi militari ma che non risparmiavano le abitazioni civili, e dell’oppressione dei tedeschi per controllare completamente la città divenuta ostile. Non ci fu una resistenza organizzata, la popolazione era inerme e i pochi militari disorganizzati, ma singole battaglie in difesa della città. Il 10 settembre a Porta San Paolo e nelle zonevicine, come la Piramide Cestia, ci furono violenti scontri dei reparti tedeschi ben equipaggiati contro “civili senza armi  e militari senza comandi; nel quartiere della Montagnola provocarono 53 vittime, 42 militari e 11 civili, i “caduti della Montagnola”,   nella piazza c’è oggi un sacrario.

Le fotografie dei luoghi mostrano la Piramide Cestiae Porta San Paolo in quel  periodo, insieme ad altre visioni di palazzi che vengono protetti, la  galleria Colonna con barriere di sacchi di sabbia, piazza del Campidoglio con lo spostamento all’interno della statua di Marc’Aurelio. Anche qui acquerelli di Vito Lombardi su carri armati tedeschi a  Porta Maggiore e Via Prenestina. 

I luoghi del potere degli occupanti e della resistenza dei romani

La debole resistenza dei romani viene schiacciata, è troppo importante per i tedeschi controllare la città per organizzare il controllo complessivo del paese dai luoghi del potere nazifascista.

Vengono preservate le sedi del regime fascista per la costituzione della nascente Repubblica Sociale Italiana, insediate a Palazzo Braschi e a Palazzo Wedekind in Piazza Colonna;  mentre  i luoghi  del potere tedesco vengono fissati a Villa Wolkonsky in via Ludovico di Savoia, con il plenipotenziario del Reich, Rahn, presto sostituito dal giovane console Molhausen , e nei due alberghi vicini, l’Hotel Flora a Via Veneto per il Comando generale germanico e il Tribunale di guerra tedesco che celebrava processi lampo, e l’Hotel Bernini a Piazza Barberini  per l’organizzazione collaterale tedesca della Todt, che operava rastrellamenti di civili da avviare ai lavori per esigenze militari.

Tra le immagini fotografiche che illustrano questa sezione spicca la facciata di Palazzo Braschi interamente ricoperta  dal gigantesco manifesto di propaganda con il volto di Mussolini al centro circondato da un’infinità di SI.  Per il resto le fotografie rendono il clima greve dell’occupazione tedesca, i camion a Piazza del Viminale  e a Piazza Venezia dove occupano l’intera zona centrale, e le lunghe file di prigionieri anglo-americani che sfilano scortati dai soldati tedeschi in Via Veneto e in Via dell’Impero: siamo già nel febbraio 1944, ma gli alleati sono ancora lontani.

Ma soprattutto riportano a quel clima le Ordinanze naziste che comminavano la reclusione a chi ascoltava le “emissioni radiofoniche nemiche”  o “propalava” le notizie trasmesse, e l’Avviso del Comando superiore tedesco in cui si intimava agli appartenenti alle classi di età 1910-25 di rispondere alla chiamata delle autorità italiane per il “servizio del lavoro”, necessario allo sforzo bellico tedesco, minacciando punizioni “secondo le leggi germaniche di guerra”, appello che fu disatteso, i romani non  si fecero intimidire. Sono esposti anche  gli appelli “alle armi” e all'”onore e combattimento”  lanciati  dai “fascisti repubblicani romani”, un gruppo che presto fu sciolto.

La resistenza a Roma si è espressa in modo particolare, era la sede del Comitato di liberazione nazionale formato dai partiti antifascisti che diede l’ordine di “resistere con ogni mezzo”; la città fu divisa in  zone, due centrali ed otto periferiche controllate dai Gap, Gruppi di azione patriottica, nelle tipografie si stampavano i giornali clandestini, dall'”Unità”  all'”Avanti”, da “L’Italia Libera” a “Bandiera Rossa”, si arriva anche a 8000 copie distribuite in modo altrettanto clandestino,. Non mancano i sabotaggi e le bombe. Roma, scrivono le curatrici della mostra, “era dunque una città dai mille percorsi, nei quali si muovono uomini  e donne di ogni età con l’obiettivo da un lato di sopravvivere e resistere alla ferocia nazifascista e dall’altro di favorire l’avanzata americana tenendo testa all’esercito e alla polizia tedesca”.

I luoghi della resistenza sono le scuole  medie superiori e le università, le stazioni  ferroviarie e le aree strategiche come il Quadraro, le tipografie che stampano material clandestino e ospedali come il Fatebenefratelli all’Isola Tiberina che nascondeva ebrei e antifascisti coprendoli con il terribile morbo  neurodegenerativo definito “K”,  un’invenzione con le iniziali di Kesserling e Kappler, poi la sede della “santa barbara” che riforniva di bombe i Gap,  e il barcone di Radio Vittoria sul Tevere sotto Ponte Risorgimento. A Via Rasella l’azione più dirompente, l’attentato che uccise 33 soldati tedeschi e un  ragazzo tredicenne italiano, e portò alla feroce rappresaglia delle Fosse Ardeatine.

Una rara immagine mostra due partigiani romani con il fucile puntato a Tor Pignattara, altre alcuni dei luoghi appena citati.  Sono esposti i giornali che abbiamo indicato, stampati nella clandestinità con forti  intitolazioni contro “l’oppressione nazista” e “la distruzione nazista”; come i volantini con gli appelli ai lavoratori a scioperare del Comitato sindacale d’agitazione:  “Questo sciopero deve essere l’insurrezione del popolo romano contro l’oppressione tedesca, deve essere la vostra battaglia decisiva per la libertà e l’indipendenza”.  Vediamo anche il manifesto intitolato “Grido disperato di allarme delle madri e donne romane di ogni ceto e condizione”  con tre grandi “No!”  e lo sfogo: “Tutte unite nello strazio comune protestiamo contro il mancato rispetto delle regole della Città aperta di Roma da parte dell’esercito tedesco”, perché  il movimento di trippe e materiale bellico  espone ai continui bombardamenti.

Spicca il manifesto colorato del Partito comunista: “Uniti! Contro il nazifascismo assassino” con una grande mano ad artiglio, la svastica sul braccio, che strazia la penisola. E soprattutto le straordinarie tavole di Renato Guttuso  “Gott mit uns”, da una serie di 24 tavole a colori pubblicate nel 1945 con una nota introduttiva di Antonello Trombadori, vi è scolpita la ferocia nazista.

I luoghi dei processi e delle torture, dei rastrellamenti  e delle retate

La ferocia rappresentata da Guttuso si manifestava nei luoghi dei processi e delle torture, dei rastrellamenti e delle deportazioni.  Dopo l’8 settembre 1943 Roma diviene in  sostanza un a retrovia del fronte, con il Comando supremo tedesco e il residuo potere fascista  che lo affiancherà,  nella consapevolezza di doversi difendere dall’esercito alleato che avanzava inesorabilmente e dalla resistenza cittadina. Il controllo della polizia tedesca è assoluto, sotto il colonnello Kappler, tedeschi e fascisti nelle loro azioni  crudeli sono spinti da frustrazioni e risentimenti spietati. Le curatrici scrivono: “Prende così forma una ragnatela di luoghi, fra centro e periferia, lungo la quale nazisti e fascisti si muovono  a piccoli gruppi, favoriti da delazioni e conoscenze, informazioni estorte o pagate, per rastrellare uomini da avviare ai campi di lavoro, arrestare presunti partigiani, deportare intere famiglie di ebrei, trovare donne da sfruttare”.

Tra i luoghi  di tortura è tristemente famoso il  carcere di via Tasso, sede della polizia tedesca, con lo studio di Kappler al pian terreno e i luoghi di detenzione dove si compivano le maggiori atrocità al secondo piano con le finestre murate; anche a Regina Coeli si torturavano i reclusi nei bracci controllati dai tedeschi, al punto che il 20 settembre 1944, dopo la liberazione, la folla lincerà l’allora direttore Carretta, e così a Forte Bravetta. Del tribunale militare germanico all’Hotel Flora  abbiamo detto, c’era una dependance nella vicina via Lucullo, inoltre in via Principe Amedeo vicino alla Stazione Termini nella pensione Oltremare il quartiere generale della banda di Koch, altro torturatore fascista.

Queste alcune delle sedi fisse degli orrori, poi i luoghi dei rastrellamenti e delle  retate: dalla centralissima via Nazionale a Montesacro, da Viale Giulio Cesare a Pietralata, fino al Collegio militare di Palazzo Salviati  dove furono concentrati gli ebrei romani rastrellati all’alba del 16 ottobre nel  ghetto e in altri 26 luoghi, per essere deportati in 1022 al campo di sterminio, dal quale sono tornati solo in 16. Le Fosse Ardeatine chiudono questa Via Crucis dell’orrore.

Lo scorcio dell’edificio di Via Tasso nel 1943-44, esposto in mostra, evoca nella muratura visibile alle finestre gli orrori dell’interno, mentre il biglietto con le disposizioni per gli ebrei rastrellati su cosa dovevano portare con sé dopo il rastrellamento mette i brividi  nella sua apparente banalità; 5 acquerelli a colori di Pio Pullini  rendono il clima plumbeo  di questo rastrellamento.

I luoghi della liberazione e della memoria

Dai luoghi dell’oppressione e dell’orrore ai luoghi della liberazione.  Tra questi le vie Casilina e Appia e la zona dei Castelli romani dove le formazioni partigiane si scontrarono con quelle tedesche in ritirata per favorire l’avanzata  degli alleati al comando dell’inglese Alexander e dell’americano Clark. Il 2 giugno il 53° bombardamento su Roma, il 4 giugno l’entrata delle truppe alleate mentre si ricercavano i soldati tedeschi che non avevano fatto in tempo a ritirarsi.

Sono esposte delle fotografie che riprendono  le truppe americane nella campagna laziale e il generale Clark immortalato sotto il cartello stradale con scritto Roma in grossi caratteri, si era fatto fotografare anche in precedenza con il chilometraggio di distanza, voleva essere il primo a liberare Roma e ci riuscì. Poi i luoghi della liberazione per eccellenza, Piazza Venezia e i Fori Imperiali con il Colosseo all’ingresso dei carri armati  alleati festeggiati dalla folla esultante, c’è un primo piano di tanti volti della gente felice con al centro la ragazza che abbraccia il soldato,  guancia  a guancia.

Ritroviamo gli acquerelli di Vito Lombardi,  che aveva illustrato i bombardamenti, ora sulla ritirata dei tedeschi e l’arrivo degli americani ci, sono 5 suggestive vedute da lontano. Poi 5 acquerelli di Tina Tommasini sulla nuova vita con gli sciuscià e i venditori di prodotti americani nel 1947-48.

La gioia non fa dimenticare le sofferenze  e i lutti, la mostra si conclude con i luoghi della memoria e del ricordo. Sono disseminati nella città, contrassegnati da targhe e lapidi celebrative che rappresentano la memoria degli avvenimenti passati dai quali è stata  segnata la storia della città e della vita dei romani.  “Tutto ciò, concludono le curatrici, costituisce la nostra memoria collettiva che ci chiede di essere conservata e trasmessa  alle future generazioni, consegnandoci un patrimonio di conoscenze e di valori sui quali abbiamo fondato la nostra democrazia. Un ‘passaggio di testimone’ possibile anche mantenendo viva la percezione del territorio che non solo  si vive, ma si abita”. E’ stata questa la formula della mostra, questa in fondo la sua funzione educativa.

Sfilano le immagini di queste targhe e lapidi, passarle in rassegna significa ripercorrere idealmente l’itinerario  dell’esposizione che ha presentato gli eventi dai quali è nato il ricordo espresso in quelle scritte, in quei nomi. Sono nei luoghi che abbiamo citato di volta in volta, ci  limitiamo a segnalare il sacrario con  monumento ai caduti nel Piazzale della Montagnola e i monumenti ai caduti  nel  Parco XVII aprile 1944, e al Partigiano torturato in via Lucullo,  le lapidi commemorative sulle Mura Aureliane al Piazzale Ostiense e la grande Croce tra via Tuscolana e via dei Quintili. Fino al Sacrario delle Fosse Ardeatine e alla parete a semicerchio del Cimitero Verano ” a ricordo dei 2725 cittadini romani eliminati nei campi di sterminio nazisti”, di cui 1022 dalla deportazione  del 16 ottobre 1943.

Aver ricordato tutto questo, con gli effetti suggestivi  della mostra al Vittoriano è meritorio. Perché, concludiamo con le parole del sindaco Marino, “è la storia del profondo legame tra le romane e i romani e la loro città, allora come oggi”. Ma evoca anche la storia e la memoria di tutti noi.

Info

Complesso del Vittoriano, piazza Ara Coeli, tutti i giorni, da lunedì a giovedì ore 9,30-19,30,  da venerdì  a domenica ore 9,30-20,30, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso gratuito. Tel. 06.6780664; http://www.comunicareorganizzando.it/. Catalogo “19 luglio 1943-4 giugno 1944. Roma verso la libertà”, Gangemi editore, giugno 2014, pp. 192, formato 21×29,5.  Pe le altre mostre sul tema cfr. i nostri articoli:  in questo sito,“16 ottobre 1943. La razzia degli ebrei” e “I ghetti nazisti”; in www.fotografarefacile.it   “Giugno 1944. lo sbarco di Anzio”., in “cultura.inabruzzo.it”  Scatti di guerra”, 8 agosto 2009.   

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano alla presentazione della mostra, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, l’esultanza dei giovani alla liberazione sul carro armato; seguono uno scorcio della mostra, e la fragile protezione all’edificio delle Assicurazioni Generali, poi un palazzo, in via Ettore Rolli, sventrato dalle bombe, e la visita di Pio XII al quartiere di  San Lorenzo dopo il bombardamento, quindi la protezione della Galleria Colonna e prigionieri alleati scortati dai tedeschi in via dell’Impero, inoltre ordinanze, manifesti e una tavola di Guttuso da “Gott mitt uns”, la Piramide Cestia e Porta San Paolo dove ci fu la resistenza armata ai tedeschi; in chiusura,  la folla festeggia l’ingresso degli alleati nei pressi del Colosseo