Luce, l’immaginario italiano, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Al Complesso del Vittoriano, nell’ala Brasini, lato Ara Coeli, dal 4 luglio al 21 settembre 2014 la mostra “Luce, l’immaginario italiano”, celebrativa dell’istituto Luce fondato nel 1924, che nei suoi 90 anni di attività ha messo insieme uno straordinario archivio di immagini: decine di migliaia di filmati per 5.000 ore, 12.000 cinegiornali, 6.000 documentari e film,  3 milioni di fotografie: sulla vita politica, economica e culturale di un secolo di storia italiana e non solo. Realizzata da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, curatore scientifico e autore  dei testi Gabriele D’Autilia, che ha curato anche il Catalogo Luce-Eri,  curatore artistico e regia video Roland Seiko.

La  mostra – dopo quella sulla Rai, nei  60 anni della TV e i 90 anni della radio –  racconta quasi un secolo di storia e vita italiana, dai grandi eventi ai fatti minuti della quotidianità di un periodo in cui c’è stato tutto quanto di positivo possa derivare dall’essere umano, come il progresso incessante e sconvolgente, e tutto quanto di negativo possa generare la sua azione sconsiderata, ben due guerre mondiali, la prima con 16 milioni di morti, la seconda con ben 50 milioni di vittime.

Tra questi due poli estremi, positivo e negativo, si è dipanata la vita degli individui e della nazione, dalla civiltà contadina a quella industriale e postindustriale, dalla dittatura del partito unico alla democrazia partecipata, dal nazionalismo esasperato all’europeismo convinto.

Come è possibile rendere tale sconfinata miriade di eventi e di emozioni, e come reperire una testimonianza che non sia quella fredda e distante dei documenti ma riporti alle varie situazioni del ‘900 come se si tornasse indietro sulla macchina del tempo?

La risposta è immediata, l’Istituto Luce possiede un archivio sconfinato  di immagini e la mostra le presenta con un allestimento spettacolare, per cui nessun momento è uguale al precedente, e nessun visitatore vede le stesse cose.

L’importanza dell’Istituto Luce e del suo archivio storico

Fondato nel 1924, l’istituto Luce si è fuso di recente con Cinecittà Holding,  rafforzando la  propria funzione e dotandosi anche delle  tecnologie più avanzate. Il Ministro per i Beni culturali e il Turismo Dario Franceschini ne ha sottolineato l’importanza dato che il patrimonio culturale nazionale – di cui l’Istituto è “parte integrante” anche come “portatore di un significativo deposito di cultura identitaria” rappresenta “al tempo stesso la pietra angolare della nostra identità e la fonte inesauribile della nostra creatività”.

Il suo Archivio storico, uno dei più ricchi del mondo, è entrato nel 2013 nel Registro “Memory of the World” dell’Unesco; inoltre l’Istituto Luce-Cinecittà è impegnato nella distribuzione e promozione di opere prime e seconde di produzione italiana. Gli accordi  con i Top Player digitali, e in particolare con Google,  hanno consentito di diffondere nel mondo, con i nuovi potentissimi media, le immagini dell’archivio, contribuendo alla conoscenza della storia e della cultura italiana.

Ma com’è l’archivio dell’Istituto Luce?  I numeri sono eloquenti: 12.000 cinegiornali, 6-000 documentari e film con 5.000 ore di filmati, 200.000 schede, 3  milioni di immagini fotografiche. I contenuti spaziano tra i campi e i temi più diversi  nel lungo arco di tempo della sua esistenza.

“Non uno spaccato, ma tanti scorci – ha detto il sindaco di Roma Ignazio Marino nella presentazione della mostra – Non un’Italia, ma tante Italie, documenti della nostra storia e testimonianze di come, per novant’anni, gli italiani hanno visto il mondo”. Il sindaco precisa: “Tanti pezzi di  mosaico, tasselli indelebili nella mente e nell’immaginario del nostro Paese. Pezzi di memoria che sono entrati nel nostro dna con una concretezza vivida e straordinaria, contribuendo a far crescere gli italiani e a modellare la nostra storia”. Non si tratta di costruzioni intellettuali: “Intere generazioni hanno assistito a bocca aperta alle immagini prodotte, create, girate e ora custodite  dall’Istituto Luce”, ha concluso il sindaco.

Le riprese della realtà,  in fotografia o filmate, hanno fatto conoscere direttamente alle grandi masse ciò che prima era solo frutto dell’immaginazione, e hanno concorso a formare l’ immaginario collettivo: non più fantasia ma immagini della realtà messe disposizione della quasi totalità di cittadini che non erano mai usciti dall’ombra del proprio campanile e ora venivano messi in contatto con il mondo: “Grazie ai ‘cinegiornali’ Luce – si legge nella presentazione della mostra – milioni di cittadini dagli anno ’20 in poi hanno potuto vedere e scoprire per la prima volta città, geografie lontane, popolazioni sconosciute, forme sociali e culturali differenti. La nascita di un’opinione pubblica in Italia passa di qui, insieme alla stessa formazione di ‘luoghi comuni'”.

Il contenuto informativo dietro l’aspetto propagandistico

Come trattare questo sconfinato materiale di archivio sul patrimonio culturale nazionale che per Franceschini è “al tempo stesso la pietra angolare della nostra identità e la fonte inesauribile della nostra creatività”? .

Dacia Maraini esorta a una grande cautela anche dinanzi a immagini che pure ritraggono l’attualità dei vari momenti: “Filmare o fotografare, infatti, non vuol dire rispecchiare pari pari una realtà data, bensì interpretarla, anche quando ci si pretende al di sopra delle parti. L’occhio ricostruisce, reinventa, narra a modo proprio. Non c’è niente di neutro nell’informazione”.

Ciò era tanto più vero quando il regime dittatoriale aveva bisogno di far penetrare i suoi precetti e i suoi imperativi, proprio negli anni in cui nacque l’Istituto Luce:  Mussolini ne comprese subito le notevoli potenzialità sul piano della immagine e ne fece uno strumento della propaganda fascista.

E’ il  primo aspetto evidenziato dai curatori, a seguito del quale la mostra é stata concepita come racconto dell’immaginario italiano che gli organizzatori collocano “su due binari ideali: come l’Italia si è rappresentata nei decenni attraverso le immagini del Luce, e come l’Italia si è rivelata, confessata, svelata attraverso e nonostante le immagini delle sue rappresentazioni ufficiali”.

In effetti, avverte il curatore Gabriele D’Autilia, “le immagini del Luce raccontano come si voleva che l’Italia fosse vista, mostrano molti aspetti della sua storia, ma naturalmente non tutti; sono il frutto di una attenta selezione”.

La lente con cui si voleva presentare la realtà era focalizzata sull'”ordine” e sull'”attività”, ma nonostante questo imperativo “la stessa immagine tecnica, con la sua cristallina indifferenza, è sempre capace di smentire le intenzioni più servili: il reale si ribella alla rappresentazione. Se la propaganda semplifica ciò che  è complesso, escludendo ogni diritto di replica, l’immagine del reale mantiene sempre spazi  in cui il reale conserva la sua complessità. Numerose sono le eccezioni nelle inquadrature del Luce che, senza volerlo, raccontano una diversa  verità (soprattutto rispetto allo speaker imperioso, la cosiddetta ‘voce di Dio'”.

Quindi il contenuto  informativo prende la sua rivincita sull’aspetto propagandistico, e l’effetto educativo può assumere valori positivi liberandosi dalle  aberrazioni dello Stato etico. “Il Paese si mette in posa”, come faceva anche il Duce, ma proprio per questo la goffaggine  di certi atteggiamenti  appare eclatante raggiungendo l’effetto opposto di quello voluto dalla propaganda. “In tutti questi rovesci dell’immagine – si legge sempre nella presentazione – il Paese svela e confessa il suo intimo. Il suo immaginario”. Vediamo come la  mostra riesce nella missione apparentemente impossibile di rappresentare questa ambivalenza, anzi questa antinomia.

Innanzitutto il percorso, inconsueto nelle mostre, che valorizza le peculiarità dello spazio espositivo, un lungo itinerario  su due piani  con una grande rotonda centrale.

Al primo piano su 20 schermi che si incontrano lungo il tragitto  con appositi pannelli esplicativi, sono proiettati montaggi appositi di centinaia di filmati dell’Archivio storico Luce, immagini in movimento che cambiano continuamente. Insieme ai filmati,  centinaia di fotografie – ben  500  -che fungono quasi da “fermo immagine” per sottolineare momenti particolari, mentre i testi dei pannelli ne approfondiscono il significato. C’è continuità tra video, testi e immagini che si susseguono, sono altrettanti momenti in sequenza di una lunga storia che viene raccontata in modo spettacolare.

Il percorso è scandito da parole chiave che danno la sintesi dei singoli momenti: si inizia con “Città/campagna” negli anni ’20, negli anni ’30 si parla di “Autarchia”, “Uomo nuovo” e “Architettura”, e anche di “Censura” e “Propaganda”; fino a “Guerra e rinascita” con momenti di particolare impatto emotivo in “Cassino” e “Vincitori e vinti”. E ancora, andando avanti nel tempo, “Modernità/arretratezza”, “Economia”, “Corpi politici”, “Neotelevisione” e così via..

Questo l’impianto generale, poi la sorpresa  delle speciali “camere” che approfondiscono alcuni aspetti particolari. La “Camera delle meraviglie” mostra .le “scoperte” degli operatori Luce nel mondo, straordinari “reportage” nell’assenza dei rotocalchi e della televisione. Mentre  la “Camera del Duce” prende il toro per le corna, con la sequenza incalzante delle sue retoriche e delle sue pose statuarie,  dinanzi alle quali si pone il problema interpretativo se l’enfasi delle parole e la gestualità esasperata nei primi piani non si stemperassero alla distanza in cui li percepivano le folle oceaniche, e se fossero meno stridenti  di quanto ci appare oggi, con la sensibilità allora meno acuta. Un bel colpo per la mostra, per opposte ragioni è godibile tanto per i nostalgici incalliti dinanzi alla sua immagine del Duce, quanto per gli antifascisti più accaniti, dinanzi alle sue ridicole goffagini. Ad ogni buon conto   alla propaganda deformante viene contrapposta la “Stanza del paese reale”, un “viaggio in Italia” con la situazione effettiva degli italiani, i loro volti, le loro sofferenze.

L’altra sorpresa è la spettacolare installazione nella rotonda centrale: , quattro schermi alti sei metri nei quali sono proiettate immagini particolarmente suggestive nelle forme e nel cromatismo.

Il percorso termina nell’ultimo spazio dedicato al Cinema, con una ricca selezione di “trailer” e “backstage”, al piano superiore sono esposte centinaia di fotografie di attori e registi.

La grande  retrospettiva  di film e documentari

La mostra non si è esaurita nella pur vasta esposizione di video e filmati al Vittoriano. Poiché l’Istituto Luce è la più antica casa cinematografica italiana in attività, con un  ruolo di primo piano nel cinema pubblico come produttore e distributore di film nazionali e internazionali, nell’ambito della mostra è stata organizzata una grande Retrospettiva di film e documentariscelti tra i più rappresentativi della sua evoluzione dagli anni ’30,  proiettati  in quattro sedi diverse.

Ai Fori Imperiali, in piazza Madonna  di Loreto, dall’11 al 27 luglio, e a piazza Santa Croce in Gerusalemme , nell’area archeologica della Basilica, dal 28 luglio al 5 settembre, ore 21, ingresso gratuito,  60 film della serie “Effetto Luce”,a cura del critico e docente di storia del cinema  Gianni Canova,  con i maggiori maestri e  j film tra i più significativi  del cinema italiano con Luce promotore o distributore: I nomi: Fellini, Rossellini e Visconti,  Olmi e i Taviani, Rosi e Lizzani, Bertolucci e Scola, Bellocchio e Cavani, Ferreri e Montaldo, Maselli e Zurlini, Citti e Monicelli. ..

Sempre a cura di Canova,  al Vittoriano, sala Verdi, dal 4 luglio al 21 settembre, ore 11,30 e 18,30 per i visitatori della mostra,  30 titoli  della serie “Identità”, sull’evoluzione dell’istituto come produttore e co-produttore e su quanto si muoveva nel paese. Da “Camicia nera” di Gioacchino Forzano, del 1933, ai contemporanei Monicelli e Scola, Maselli e Olmi. 

Dai  film  ai “Documentari”, al Vittoriano, date e orari come sopra, una selezione  a cura di Nathalie Giacobino e Beppe Attenne di Luce-Cinecittà, su storia e politica, costumi e cultura, arti e lavoro., un’altra forma di registrazione della realtà italiana nel linguaggio del cinema. Dal primo documentario nel 1934 di Omegna sulla Grande Guerra, a “La Grande Olimpiade” di Marcellini, fino a “L’Africa di Pasolini” di Borgna e Menduni.

Infine  al “Maxxi – Museo delle Arti del XXi secolo”, via Guido Reni 4/a, 12 appuntamenti dal 1° luglio al 10 ottobre a ingresso gratuito, della serie “XXI Secolo”,  a cura di Luciano Sovena di Luce-Cinecittà, con le opere prime e seconde di successo distribuite dall’Istituto Luce. Alcuni nomi: Rohrwacher e Frammartino, Emma Dante e Saverio Costanzo, Amadei e Di Costanzo.Il “fermo immagine” della mostra: l’album fotografico del ‘900 nel ricco Catalogo 

Da  quanto si è detto si comprende che non è possibile andare molto oltre le notizie fornite per raccontare la  mostra visitata. Proprio perché fatta soprattutto di video e immagini in continuo cambiamento, sempre diverse per lo stesso visitatore e per i vari visitatori, non è possibile indugiare sui “ferma immagini” pur possibili.  

L’impressione che si ha è di essere sulla macchina del tempo, le immagini sono fortemente evocative della memoria di tutti in relazione alle rispettive anagrafi, l’effetto è molto coinvolgente e suggestivo. Si resterebbe la giornata intera, ci si tornerebbe per vedere ancora, per ricordare ancora, per rivivere ancora.

Invece di inseguire queste sensazioni che si susseguono nella visita, preferiamo tornarci con il “fermo immagine” consentito dal Catalogo, che per le peculiarità di cui si è detto è ben altro che un’iconografia delle opere esposte, del resto impossibile perché non ci sono opere ma filmati. La ricca dotazione documentaria, necessariamente fotografica e non cinematografica del Catalogo,  permette di tornare sui tanti momenti vissuti nell’affastellarsi dei filmati, di passare in rassegna gli aspetti salienti di un secolo così denso di eventi, ripetiamo, nel positivo e nel negativo.

La carrellata fotografica del ‘900 comincia con “Avventure”, vediamo “il continente misterioso” nel reportage  di Mario Craveri al seguito della spedizione del barone Raimondo Franchetti in Dancalia, poi il Dirigibile Italia che s schianterà sull’Artide al comando di Umberto Nobile, la traversata transatlantica aerea dei 12 idrovolanti con  Italo Balbo tra il 1930 e il 1931, e “un paese da fiaba e a leggenda”, l’India, nel 1929, poi l’occupazione giapponese di Shangai nel 1932  ripresa da Craveri  e ancora tanta Africa. Pensare quale potesse essere l’effetto di queste  splendide immagini  su chi attraverso il cinegiornale Luce poteva aprire finalmente  gli occhi sul mondo!

Con  la sezione “Propaganda”  si dà corpo alla la citazione di Gustave Le Bon “”conoscere l’arte di impressionare l’immaginazione delle folle, vuol dire conoscere l’arte di governare”, il regime fascista la seguì alla lettera, le fotografie dell’esibizionismo e del trionfalismo sono eloquenti:basta vedere riprese le folle oceaniche,  le immagini del Duce e le sue parole, come “la massa ama gli uomini forti e la massa è donna”, gli slogan, da “i figli d’Italia si chiaman balilla” a “un posto al sole”, fino all’infausto “Vincere e vinceremo!”. Le immagini che documentano tutto questo sono eloquenti, ma ce ne sono anche  della vita democratica successiva, qualche slogan anche lì.

Di qui ai “Corpi politici” il passo è breve, dal fascismo con Mussolini in primissimo piano onnipresente, alla democrazia, da Togliatti a Fanfani, da Moro a Craxi fino Berlusconi, e tutti gli altri. Viene ricordata la critica di Pier Paolo Pasolini agli uomini del “Palazzo”, oggi la “casta”. 

Il “Paese reale” ci riporta tra la gente, le immagini mostrano la vita vera, oltre la propaganda e le alchimie del “palazzo”,  dagli anni ’20 ai giorni nostri: è una sollecitazione alla memoria di tutti, si torna a quei tempi lontani in cui si verificavano mutamenti allora impercettibili ma che hanno determinato un cambiamento radicale, con “la febbre delle città”  e  l’accresciuto benessere, mentre restavano irrisolti problemi come l’arretratezza del Mezzogiorno.

Dal paese reale al “Bel Paese”, iniziando da una bella ripresa del Gran Sasso d’Italia nel 1931 e del Vesuvio in attività nel 1941. Poi una successione delle belle piazze e località d’Italia e di aree archeologiche poco citate ma di alto valore e bellezza, nonché  dell’avvio di nuove ferrovie e nuovi centri urbani come Pontinia.

La sezione dedicata alle “Donne”  inizia con il “decalogo della Piccola Italiana” secondo cui “la Patria si serve anche spazzando la propria casa”, e  si conclude con i “diritti e lavoro” per il mondo femminile, dopo un’evoluzione che ha superato gli schemi maschilisti e ha visto le donne accedere a tutte le professioni,:le immagini ne presentano il lungo faticoso cammino approdato al successo.

Con i “Linguggi” si va dietro la macchina da presa e fotografica, le riprese sotto il regime fascista erano minuziosamente controllate, e in casi speciali come per la visita di Hitler anche accuratamente organizzate a fini propagandistici. C’è stata una continua evoluzione nei materiali e negli stili impiegati, dai  paesaggi pittorialisti ai tagli geometrici di scuola sovietica o tedesca, al neorealismo tipicamente italiano che svelava la realtà oltre la propaganda; con il miracolo economico i “paparazzi”, la mitizzazione dei divi e il gossip.

“Stelle” cita l’espressione di Federico Fellini secondo cui “i film Luce diventavano appena un po’ più interessanti quando c’era qualche documentazione che riguardava, non so, o l’elezione di una miss o qualche divo americano che era arrivato  a Roma”.  I divi appartengono  “al mondo magico e immateriale dello schermo – scrive D’Autilia – alimentando, nel buio della sala, le fantasie dei fedeli”,  e vengono fotografati nella realtà per perpetuare e moltiplicare tale illusione; diventano divi anche i campioni dello sport e i cantanti. La sfilata di questi divi  arriva ai  tempi nostri.

Con “Italiani e Italiane” si chiude la carrellata fotografica che accompagna la carrellata cinematografica in filmati e video della mostra. E’ un’infinitesima parte dell’Archivio dell’Istituto Luce:, così  conclude  il curatore D’Autilia: “Attraverso  questo smisurato album di famiglia gli italiani hanno conosciuto e costruito l’immagine di sé: l’obiettivo severo o complice dell’Istituto Luce è stato lo strumento di un’autorappresentazione ‘non autorizzata’ della società italiana”. E, come nei documenti d’identità, vengono fissati i volti, per i singoli anni di un secolo “lungo, e non “breve”  come generalmente viene chiamato il ‘900: sono tanti, dopo quelli notissimi delle “stelle” questi sono anonimi e non  identificati.. Così “ognuno può riconoscere, nella storia di questi volti, radicali o impercettibili trasformazioni e insieme, sul lungo periodo, i ‘caratteri originali’, reali o interpretati, che hanno confermato la nostra identità”.

E’ l’immagine di “un Paese vero, concreto, con tutte le sue contraddizioni, le sue armonie  e le sue disarmonie”,  nelle parole di Dacia Maraini, è  una “storia d’Italia piena di umanità”. Non è poco, aver dato questa immagine, raccontato questa storia;  come non è poco aver fatto salire i visitatori sulla macchina del tempo con i filmati che scorrono incessantemente nei 20 schermi della mostra. 

Info

Complesso del Vittoriano, ala Brasini, p.zza Ara Coeli. Tutti i giorni, compresi i festivi, ore 10,30-21,30, la biglietteria chiude un’ora prima; retrospettiva film e documentari, tutti i giorni alle 11,30 e alle 18,30. Ingresso intero euro 6, ridotto per le categorie riconosciute euro 4. Tel. 06.6780664; http://www.comunicareorganizzando.it/ e http://www.cinecittà.com/  Catalogo : “Luce. L’immaginario italiano”, a cura di Gabriele D’Autilia, Edizioni Luce Cinecittà – Rai Eri, 2014, pp. 350, formato 19 x 24. Per la mostra citata nel testo,  cfr., in questo sito, il nostro  articolo “Rai, 60 anni di TV e 90 anni di Radio al Vittoriano”, 13 marzo 2014.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra al Vittoriano,si ringraziano “Comunicare Organizzando”  d Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti, in particolare l’Istituto Luce Cinecittà, per l’opportunità offerta.  In apertura e in chiusura, il grande allestimento luminoso nella rotonda centrale; le altre immagini riprendono dei momenti-video di alcune sezioni, dalla sezione arcaismo alla sezione  su Mussolini che creò l’Istituto Luce utilizzandolo abilmente per la propaganda di regime, alle sezioni “controinformazione” e “italiani”, fino alla sezione fotografica del piano superiore con una delle pareti tappezzate di fotografie con i protagonisti del secolo.