Tato, la spettacolare Aeropittura, alla Galleria Russo

di Romano Maria Levante

La Galleria Russo prosegue nell’opera meritoria di portare alla ribalta l’arte futurista, altrimenti trascurata dopo le celebrazioni del centenario.  Dopo “Chez Marinetti” e l’Aeropittura di  “Dottori”  con  la “Serata futuriste”, ecco  ora la mostra “Tato. Sessanta opere del Maestro delì’Aeropittura”,  dal 5 al 28 febbraio 2015, accompagnata dal Catalogo della Palombi Editori, con un’ampia presentazione di Salvatore Ventura, che lo ha curato insieme a Maria Fede Caproni,  e note critiche di  Mariastella Margozzi Beatrice Buscaroli.

Viene ricordato il rilievo dato alle opere di Tato alla mostra sul Futurismo al “Guggenheim Museum” di New York, “Italian Futurism 1909-1944. Recostructing the Universe”, curata da Vivien Green con 300 opere esposte; nella guida del museo americano è riprodotto “Sorvolando in spirale il Colosseo”, esposto in questa mostra e rientrato a tal fine dagli Stati Uniti. 

Salvatore Ventura apre un prospettiva di grande  interesse, c’è ancora tanto da scoprire su questo artista che è stato non solo fondatore dell’Aeropittura futurista ma anche  fotografo futurista e arredatore, scenografo e affreschista, ceramista e scultore, scrittore e saggista.  Afferma che c’è un vastissimo materiale da sistemare su questa multiforme attività alla quale accenna nell’autobiografia del 1941 “Tato racconTato da Tato”; poliedrica al punto che fu definito “un uomo con sette anime”.

Ripercorriamola rapidamente per inquadrare la mostra attuale, incentrata sull’Aeropittura, l’aspetto centrale della sua  espressione artistica, con momenti significativi anche delle fasi iniziali e finali.

Il futurismo di Tato prima dell’Aeropittura

La sua attività si è svolta nel solco del futurismo, alla data del Manifesto di Marinetti aveva 13 anni, – era nato a Bologna il 29 dicembre nel 1896 – ma lo troviamo ben presto volontario nella guerra 1915-18 allorché stringe amicizia con Boccioni, Russolo e Sironi. Il 15 settembre 1920, a 24 anni, il  “finto funerale”,  che descrive nel suo libro: non solo il necrologio sulla stampa quotidiana, ma perfino il corteo funebre  tra la “costernazione degli amici, fiori, corone ed, infine,  sorpresa”:  sul carro c’è lui vivo e vitale. Fu fermato e denunciato dalle guardie regie, poi tutto venen chiarito. Aveva voluto  le esequie di Guglielmo Sansoni, il suo nome, per far nascere il pittore Tato futurista.

Già  nel 1919 la sua prima iniziativa futurista, un Manifesto con l “Autoritratto ombreggiante”, provocazione sfociata in una vertenza cavalleresca che fu molto apprezzata da Marinetti. Due mesi dopo il finto funerale, la sua mostra personale al Teatro Verdi di Bologna;  verso la fine dell’anno conosce Marinetti con cui resterà sempre in contatto.  Insieme al fondatore del Futurismo organizza nel gennaio 1922, sempre a Bologna, la prima mostra futurista al Teatro Modernissimo con una trentina di espositori tra i quali lui figura anche con vari pseudonimi per accrescerne il numero, cosa che gli consentì repliche sarcastiche ai critici che discettavano senza accorgersi di questo trucco.

Di questi primissimi anni vediamo esposti in mostra i dipinti “Natura morta” e “Simultaneità di figura con paesaggio”, entrambi del 1921, e un ritratto, “Don Sturzo”, 1920-22..

Nel 1922 un’altra attività, restauro e decorazione a Salsomaggiore abbinata all’organizzazione di mostre futuriste in questa città, a Parma e Torino. 

La stravaganza futurista torna nel 1923 con una singolare mostra sul direttissimo Bologna-Milano, anche qui, come nel finto funerale, viene sanzionato  dal controllore ferroviario ma riesce a coinvolgere comunque  i viaggiatori; nel 1925 iniziativa analoga, la mostra, che definisce “unica al mondo”,  è su una barca affittata a Riccione, le vele dipinte, i quadri tra  reti e corde, cesti e remi.

Intanto nel 1924 aveva partecipato all’Esposizione d’Arte futurista presentata da Marinetti al Modernissimo di Bologna, e al Teatro futurista al Salone Margherita di Roma: in questa città si trasferisce stabilmente e si inserisce nell’ambiente futurista romano con una mostra personale  nella Casa d’arte Bragaglia.

E’ del 1922-24  “Maschere (Fantasia decorativa)”, mentre del 1926  “Conquista spaziale (Dinamismo tropicale)”, con forme in movimento nello spazio, quasi un’anticipazione degli sviluppi futuri, entrambi in mostra; movimento e forte cromatismo in “Coppa Schneider”, 1927; li vediamo esposti in mostra.

Nel 1926 con i futuristi partecipa alla Biennale di Venezia, lo farà per le 6 edizioni successive fino al 1941, ed è presente a mostre internazionali a Parigi, New York e Roma; lo troviamo in mostre futuriste  nel 1927, 1928 e 1929 in Emilia, nelle Marche e a Roma al Palazzo delle Esposizioni.

Il 1930 è un anno particolare, il 16 aprile firma con Marinetti il “Manifesto della fotografia futurista” ispirato alla “fotografia dell’avvenire” di alcune sue esperienze  e gli dà un seguito immediato  con un sezione per i futuristi romani al Primo concorso fotografico nazionale. Viene premiato con medaglia d’oro,  la fotografia futurista ha successo per il suo carattere innovativo e per la capacità di mettere in pratica gli assiomi del manifesto. In un articolo  su “La fotografia futurista e la trasparenza dei corpi opachi” illustra l’arte futurista del “camuffamento”, che rivela oggetti inesistenti dando l’illusione della realtà, oltre a nascondere la realtà che si vuole occultare. 

Realizza il “camuffamento” con oggetti  che messi insieme formano composizioni impensate: una fruttiera con candele e limone assemblati rende  l’idea della “Ballerina”, come una giacca appesa a un attaccapanni è il “Perfetto borghese”, mentre  martello, imbuto e uovo formano un “Somarello con pastore”; così la trasparenza dei corpi opachi nelle sbarre trasparenti di una prigione fissa il “Galeotto” che sta per essere liberato, mentre  il “Ritratto meccanico”  divide in due la testa di un uomo in un cronometro, una parte ha l’espressione triste, l’altra l’espressione lieta; con  metodi analoghi evidenzia gli stati d’animo utilizzando deformazioni dinamiche e polifisiognomiche.

C’è dell’umorismo e della satira nelle sue rappresentazioni, un gusto ironico e caricaturale. Al riguardo citiamo i carboncini e grafite su carta del 1942 esposti in mostra, quanto mai arguti, “Un appunto volante” e “Saltando in corsa su un taxi libero”, il “Medico in camiciotto bianco”, “Bazar” e“Volava in direzione della porta”. Segno che anche dopo la stagione folgorante dell”Aeropittura  non aveva perduto il gusto dell’irrisione e dello scherzo.

Tornando al “camuffamento”, nella testa di un letterato inserisce in trasparenza i suoi libri e nel proprio “Autoritratto”  l’elica e il motore dell’aeroplano. L’immagine ci introduce all’Aeropittura, il cui Manifesto pubblicato l’1-2 febbraio 1931, viene seguito dalla prima mostra sul tema, a Roma, nella camerata degli Artisti a Piazza di Spagna, alla quale partecipano con lui i maggiori pittori futuristi, da Balla a Dottori, a Prampolini. 

L’Aeropittura nella vita e nell’arte di Tato

Dall’aeropittura venne un nuovo e forte slancio all’arte futurista, prima imperniata sulla velocità terrestre evocata da automobili, tram e veicoli che, nel caso di Sironi, erano lenti e spesso bloccati, ma la fase futurista di Sironi fa storia a sé. Fino al 1944 ogni anno Tato è stato presente in mostre futuriste, quasi sempre di Aeropittura ma non solo,  oltre che alla Biennale di Venezia; ha esposto opere  originali quanto geniali alle Mostre di Plastica murale del 1934 e del 1936, come la grande vetrata policroma di 40  metri quadri sulle “comunicazioni ferroviarie”  ai Mercati Traianei  con grande uso di materiali, dall’alluminio al rame, dal vetro alla ceramica, dal sughero al marmo.  parlò di un’ “arte coloniale”, essendo “l’Africa una miniera inesauribile di realtà ispiratrici”.

La realtà e l’azione hanno sempre preceduto le sue manifestazioni artistiche: si era appassionato al volo, fece viaggi in Europa e Africa, fino all’America;  Balbo con la sua trasvolata diventò un mito, fu Tato a dare il battesimo dell’aria al grande futurista Giacomo Balla.

Dietro l’Aeropittura c’era una visione tutta particolare dello spazio e del tempo,  “drogata” dalla velocità che nel volo andava ben oltre la rapidità del movimento attribuita all’automobile dal primo futurismo.  Così Mariastella Margozzi:  “L’Aeropittura non è la descrizione di un volo , né dell’ebbrezza che il volo procura. Ma piuttosto il tentativo di tradurre l’esperienza della deformazione  che lo spazio subisce e registra nel momento in cui, sollevati dalla gravità, una meccanica poderosa permette di navigare in tanti spazi possibili, di trasformare il basso in alto,  la destra e la sinistra: di scardinare le gerarchie che, sulla terra, siamo  costretti ad ammettere”. Per concludere: “Lo spazio è una percezione. Così come il tempo è una finzione. Così ogni artista è consegnato al progresso. Al futuro”.

In fondo la teoria della relatività ha insegnato che ciò che conta è la posizione dell’osservatore, e questo è valido non soltanto per le estreme concezioni della fisica, come ricorda Beatrice Buscaroli: “L’esito della nostra esperienza non può che essere commisurato e certificato sui parametri imposti dalle energie che scaturiscono dal progresso, dalla velocità, dalla vittoria del pesante sul leggero, del meccanico sull’aria, dell’ingegno sul pregiudizio”. E il volo aereo ne era la sintesi ideale perché a tutto questo aggiungeva  l’idea di libertà; l’arte non poteva restarne estranea, di qui l’Aeropittura.

Nessuna introspezione, apparentemente, e nessun motivo dichiaratamente espressionista, non è l’aviatore il protagonista, ma l’aereo per quello che provoca nella dimensione spazio-temporale irrompendo  con la sua forza meccanica e la sua velocità.  Ma pur se non vuol rendere le proprie sensazioni bensì l’effetto cosmico dell’aereo nello spazio, sappiamo che gli piaceva provare l’emozione del volo, s’innalzò anche con Mario De Bernardi, come Marinetti e Mino Delle Site.

Il suo volo su Roma con  Balla su un potente trimotore Caproni da bombardamento fu descritto dal poeta futurista Giovanni Rotiroti ne “L’impero” con parole inequivocabili: “Avevamo tutti sete  di altezza, desiderio di superare lo spazio, sogno di raggiungere culmini sconfinati”. Ecco l’aereo, un Caproni, “enorme mole d’argento dalle grandi ali tese… S’intuiva nel suo corpo un terribile respiro ora silenzioso. Dai tubi di scappamento, paragonati da Balla a costole meccaniche, si delineava la febbre turbinosa dell’infinito. Tutta la civiltà meccanica era racchiusa in quelle potenti architetture d’acciaio!  La luce carezzava le grandi ali d’argento e si innalzava dal corpo degli apparecchi mettendo a nudo il loro apparato nervoso, la colonna vertebrale, le costole, le vene, tutta la scheletrica forza motrice che sembrava invocasse libertà di volo”.

E’ “l’angelo meccanico moderno” – così lo definisce Tato –  un’identificazione antropomorfa dell’apparecchio esaltata dall’entusiasmo irrefrenabile dei passeggeri. La Margozzi osserva che mentre gli altri artisti dell’Aeropittura davano immagini  metafisiche o surrealiste, “Tato, invece, è estremamente realistico; a lui interessano gli scorci di paesaggio e, allo stesso modo, l’aereo in sé, l’oggetto volante, la carlinga e la fusoliera, i motori,  le ali, le eliche, tutti gli elementi che ne fanno una sorta di moderno destriero, capace di librarsi in aria e di solcare le nuvole, con il suo altrettanto moderno cavaliere  all’interno dell’abitacolo, intento  a manovrare, soprattutto spericolatamente, la cloche”.      

La sua esperienza diretta riusciva gli consentiva di  rendere le straordinarie visioni aeree nel sorvolare abitati e campagne, dando corpo a forme e colori, prospettive e angolazioni di grande suggestione nella deformazione data dall’altezza e dalle manovre spesso acrobatiche del velivolo. E anche se più che le proprie sensazioni voleva rendere l’azione dell’aereo nell’atmosfera,  queste emergevano  dalla sua anima che aveva un fondo  espressionista.

Va considerato  che non era solo il volo  interessarlo, ma l’intera “vita” dell’aeroplano, come ricorda Maria Fede Caproni. “Amava volare sia all’aeroclub che su aerei  di linea dell’Ala Littoria”, inoltre  “seguiva l’aereo sin dal suo nascere negli hangar e sul tecnigrafo dei disegnatori”.  Carrello e fusoliera, elica e ala monoplana, longherone metallico e vetri in rodolit non avevano segreti per lui; era presente all’aeroporto del Littorio, e raffigurava anche le personalità di passaggio, Italo Balbo apprezzava queste sue caricature.

Il suo era quindi un aerofuturismo militante, come era stato futurismo militante quello di Marinetti, Boccioni e altri che si erano arruolati volontari per dare un seguito pratico all’esaltazione della guerra come “igiene del mondo”,  salvo restarne delusi.

Le opere di Aeropittura in mostra

Nel visitare la mostra abbiamo conferma che la sua Aeropittura precede il manifesto del 1931, nel quale vede coronato un impegno che  lo vede su questo tema almeno dal 1927 allorché realizza a Ferrara  il grande affresco “La Madonna dell’Aria”  nel palazzo del giornale locale.

Vediamo esposti  lavori preparatori di dipinti con aeroplani, tre del 1928, “Rovesciata”, “Passeggiata a testa in giù” e “Caproni 100 acrobazia”, uno del 1929, “Sensazioni di volo – Terzo tempo”, altri del 1930: “Avvitamento” e “Idro-rosso”, “Passaggio in velocità – Scivolamento d’alta”, e “Aeroplani +  Metropoli”,  fino al più celebre,  “Spiralata”, cioè “Sorvolando in spirale il Colosseo”.

Le visioni dall’alto sono rese come le vedeva nei suoi voli non senza qualche nota caricaturale che rientrava nel suo spirito sapido. Così le descrive Ventura: “Le case a sghembo, le torri straziate, le ciminiere pendolanti, le strade che si dilatano come alvei di un fiume alla foce per diventare una cruna d’ago o gli uomini che punteggiano il piano di una piazza come mosche sul vetro. Un mondo che si accorcia e si stringe  a vista, e sembra che cammini con le gambe in aria”.

Quelle citate sono le opere esposte anteriori al manifesto. La galleria  continua in forme esaltanti con i dipinti degli  anni successivi. Del 1931 vediamo “Lancio con il paracadute (Sensazione di volo)”, “Idrovelocità. Folgore rossa pilotata da De Bernardi” nel record dei 500 km/h,  e “Lo stormo”; del 1932 “Aeropittura n. 1” e “Aeropittura n. 3”;del 1933 “Me ne frego vado in  su” e “Sorvolando Sabaudia”; del 1934 “Me ne frego e vado in su con Savoia Marchetti S 74” e “Splendore meccanico”, fino a “Canta motore va”.

In tutte queste visioni, a differenza di quelle iniziali, soggetto esclusivo è l’aeroplano, visto in primissimo piano particolarmente aggressivo nel movimento e nel cromatismo, mentre  quasi scompare la visione del suolo, e quando c’è un abitato, come Sabaudia, non si notano deformazioni.  Che tornano imperiose in “Spiralata”, 1936, e “Dinamismo di una autocolonna attraversando Firenze”, sono autoveicoli non aerei ma la Cupola del Brunelleschi e il Campanile di Giotto sono ripresi dall’alto quasi in una rotatoria; l’aereo è  di nuovo  in primo piano in “Diavolerie di eliche”.

E’ divenuto il nuovo simbolo del Futurismo, alcuni manifesti di Marinetti del 1934 lo hanno inserito in varie discipline artistiche: dal “Manifesto dell’Architettura aerea” in un supplemento intitolato Aerovita al “Manifesto dell’Aeroplastica futurista”,  fino al “Manifesto dell’Aeromusica sintetica”; è l’anno in cui alla Biennale di Venezia , dove ha una sala tutta per lui, Tato vedrà illustri acquirenti, Mussolini comprerà “Splendore meccanico”, il conte Volpi di  Misurata “Spiralata”, mentre  molti dipinti saranno acquistati dalla provincia di Venezia per  il locale aeroporto e lui ebbe l’incarico di decorare altri aeroporti tra cui quello di Guidonia.

Nel Catalogo della Biennale si legge questo giudizio di Marinetti su Tato: “Egli assolve uno dei compiti dell’aeropittura, quello di far vivere macchinosamente l’aeroplano nell’aria con la sua massa che sembra assolutamente inadatta all’ambiente leggerissimo di aria riflessi luci nuvole”. In effetti, come vediamo nelle opere esposte, riesce a dare una straordinaria leggerezza all’aereo che si libra con le ali aperte come un uccello leggiadro piuttosto che come una macchina pesante.

L’Aeropittura di guerra e da bombardamento

L’escalation continua, all’Aeropittura come ebbrezza di volo libero segue una visione estrema, drammatica: il “Manifesto dell’Aeropittura da bombardamento” e  il “Manifesto d’Aeropittura Maringuerra” pubblicati da Marinetti nel 1940 e nel 1942  ne delineano i contenuti, calando l’arte nella storia  e rinverdendo gli entusiasmi iniziali che portarono agli arruolamenti volontari.  La Margozzi  ricorda quest’escalation riportando alcune parole chiave: all’inizio c’erano la “velocità rivelatrice” e gli “espliciti rumorismi”, negli anni ’30  la “vita metallica  e geometrica del cielo” e la “moltiplicazione all’infinito  di apparecchi e stati d’animo aerei”; ora il diapason  con “un quotidianismo di zuffe  aeree e di sistematici bombardamenti a ripetizione”.

Lo vediamo nelle opere in mostra, con degli antecedenti del 1936,   “Volo notturno”, in un  ambiente corrusco, che troviamo anche in “Legione alata”:  è  l’“Aeropittura di guerra”. Nel 1940 si esprime in modo più esplicito in “Caproni  602 in picchiata su Predappio”   e “Aerosilurante italiana a caccia di torpediniere”, gli aerei sono in un’atmosfera cupa e turbinosa, nel secondo con le striature rosse delle esplosioni; in “Fiat CR 42 in ricognizione” e “Junker Ju 87 su Malta”  siamo ai bombardamenti, nel primo da parte di una squadriglia schierata, con le esplosioni al suolo.

Nel 1940-41 torna la visione pacifica dall’alto con “Aeropittura di Lavagna” e “Aeropittura di Cattaro”,   per quest’ultima località ricordiamo il volo di D’Annunzio affidato alla protezione di San Francesco, allorché il vate si sentì nel “terzo luogo” al di là della vita e della morte. Ma anche le immagini belliche, fino ai bombardamenti, vanno considerate tenendo presente il giudizio di Marinetti, cui si collega il commento della Margozzi: “La partecipazione intellettuale ed emotiva di Tato  non andava tanto alla guerra in sé quanto alle ludiche battaglie aeree che questa poteva far immaginare  a un appassionato dell’aviazione, alla stessa stregua di certi moderni videogames”.

L’ “atterraggio” a Comacchio e l’impennata dell’atomicopittura

Forse pure per questo  non ha subito la “damnatio memoriae”  inflitta  fino al 1955 a Mario Sironi Sironi, che con la Grande decorazione aveva realizzato la trasposizione artistica delle parole d’ordine del regime, anche se  metteva nelle sue opere  apologetiche un senso di tragicità in contrasto con il trionfalismo dei gerarchi cui era inviso. Oltre alla concezione non bellicista della stessa Aeropittura di guerra, i futuristi  si opposero alle leggi razziali del 1938, e  nel 1934  contestarono a Berlino la crociata nazista contro l’ “arte degenerata”. Nessun coinvolgimento nel regime, e la dedica  autografa di Italo Balbo “A Tato, pittore dell’Italia fascista con vivissima simpatia”  è interna all’Aeropittura, venendo dal trasvolatore oceanico più che dal gerarca.

 Nel  1942 le Edizioni futuriste  di “Poesia” pubblicarono “Eroi Macchine Ali contro Nature Morte” mentre si svolgeva la penultima Biennale di Venezia con larga partecipazione futurista, l’ultima quella del 1943.  Il nostro artista pubblicò “Tato racconTATO da Tato. 20 anni di Futurismo”, sentiva che quella esaltante stagione era al termine.

Ma anche se nel dopoguerra si è dedicato ai paesaggi, sono stati “Aeropaesaggi”:  vediamo alcuni oli su tavola del 1948 e 1949,  “Verona periferica” e “Paesaggio in velocità della campagna marchigiana”; così  il “Lago di Penna”, 1959, e “Cremona”, anni ’50,  per “atterrare”  in “Marina” e “Nella valle di Comacchio”, 1959,  i luoghi della sua adolescenza dopo cinquant’anni, c’è  anche un delizioso carboncino e acquerello su carta  “Paesaggio di Comacchio”, del 1960. . 

In questo periodo entra anche l’arte sacra nella sua produzione, con una scenografia della “Natività”  e un’“Ultima cena”  che Ventura commenta così: “Sembra che egli abbia dimenticato rancori e battaglie, ed i motivi polemici che avevano vitalizzato tutta la sua produzione, quasi un’offerta di ex voto di un’anima salvata dalla disperazione”.

Non c’è più il velivolo come protagonista ma il suo punto di osservazione resta in alto,  anche con arditissime prospettive. Scrive la Margozzi: “Tato si accorge che avere perso il suo apparecchio da guerra non significa necessariamente aver perso le ali.; anche se il suo volo , ora, sarà più basso”.

Ha avuto anche un’impennata neofuturista al passo con i tempi,   vediamo “Lampo di esplosione atomica”, presentato alla Prima mostra di atomicopittura nel mondo del 1955.  E’ uno dei motivi per i quali si è detto di lui “è un uomo con sette anime”, e quanto abbiamo ricordato all’inizio sulla vastità del materiale ancora da esaminare lascia pensare che non mancheranno le sorprese.

Giustamente Ventura ritiene necessaria un’antologica completa di dipinti e tempere, acquerelli e ceramiche, disegni e fotografie futuriste con un preciso obiettivo su cui concordiamo: “Illuminare, finalmente, di una luce nuova e ?definitiva’, la complessa personalità del Maestro”.

Info

Galleria Russo, via Alibert 20, tra Piazza di Spagna e Piazza del Popolo. Lunedì,  ore 16,30-19,30; da martedì a sabato 10,00-19,30, domenica chiuso. Ingresso gratuito. Tel. 06.6789949, tel. e fax 06.69920692. www.galleriarusso.com, info@galleriarusso.com.  Catalogo: “Tato. Sessanta opere del Maestro dell’Aeropittura”, a cura di Salvatore Ventura, con la consulenza e collaborazione di Maria Fede Caproni,  Palombi Editori,  pp. 168, formato 22×22, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Cfr. i nostri articoli per il  Futurismo,  in questo sito su “Dottori” il 2 marzo 2014, e “Chez Marinetti”  il 2 marzo 2013,  in “cultura.inabruzzo.it” nel 2009 su “La mostra del Futurismo a Roma”  il 30 aprile, “A Giulianova un ferragosto futurista”  il 1° settembre, “Futurismo presente” il 2 dicembre; inoltre, in questo sito, i nostri 4 articoli per  la mostra di Mario Sironi al Vittoriano  il  1°, 14, 21 dicembre 2014 e 7 gennaio 2015; e  i nostri 3 articoli per la mostra sul Guggenheim al Palazzo Esposizioni il 21 e 29 novembre e l’11 dicembre 2012.

Foto

Le immagini sono state riprese alla Galleria Russo, che si ringrazia, con i titolari dei diritti,  per l’opportunità offerta. In apertura   “Sorvolando in spirale il Colosseo (Spiralata)”, 1930; seguono  “Rovesciata”, 1928, e “Avvitamento”, 1930; poi “Passeggiata a testa in giù”, 1928-30, e “Aeroplani + Metropoli”, 1930; quindi “Lancio con il paracadute (Sensazioni di volo)”, 1931, e “Aeropittura n. 3”, 1932; inoltre “Me ne frego vado in su”, 1933, e “Sorvolando Sabaudia”, 1934; infine Aeropittura di guerra, “Caproni 602 in picchiata su Predappio”, 1940,  e “Aerosilurante italiana a caccia di torpediniere”, 1940; in chiusura, “Aeropittura di Junker Ju 87 su Malta”, 1940.

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