Carabinieri TPC, recuperati 5000 reperti archeologici

di Romano Maria Levante

Particolarmente affollato l’incontro con la stampa il 21 gennaio 2015 del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale: non si è svolto nella sede di via Anicia a Tratevere, come di consueto, ma  alle Terme di Diocleziano nel Museo Nazionale Romano con la partecipazione, oltre al Comandante gen. Mariano Ignazio Mossa, del Ministro per i Beni, le Attività culturali e il Turismo Dario Franceschini e del Procuratore aggiunto della Repubblica di Roma Giancarlo Capaldo.

La sede inconsueta e la partecipazione del Ministro e del Procuratore sono dovute a una circostanza eccezionale: è il più grande recupero di beni d’arte nella storia del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, ed è una storia ricca di successi. Mai erano stati riportati a casa ben 5361 reperti archeologici per un valore che supera, e non di poco, i 50 milioni di euro. Anfore e crateri,vasi e tazze, statue e corazze,  perfino affreschi, di elevata qualità artistica e molto ben conservati, è  il vello d’oro dell’“Operazione Teseo”, così è stata chiamata, Basilea è il luogo del ritrovamento dei beni trafugati con scavi clandestini in Lazio, Puglia e Calabria, Sicilia e Sardegna.

La visita al materiale esposto, soltanto una parte di quello recuperato ma ciononostante in notevole quantità, ha lasciato senza fiato. Una successione di sale alle Terme di Diocleziano  con il pavimento cosparso dei reperti allineati fitti fitti per ospitarne un numero adeguato. Anfore e crateri, loutrophoros oinochoe, kantharoe e trozzelle, vasi plastici e statue votive, corazze e affreschi., un campionario vastissimo di quanto l’archeologia può dare di bello e artistico. Vedremo dopo come mai sembrano tutti così ben conservati, sono stati già restaurati dai clandestini!

I crateri sono anche di grandi dimensioni, così i piatti con visi  come la Gorgona, e le statue votive; in due sale con reperti di epoca diversa,  le tipiche figure rosse e nere o vasi più chiari; numerosissimi i piccoli bronzi, e pensare che non sono tutti i 5361, anche se in numero consistente. Ricordiamo alcune scene sui crateri, come il ratto delle Leucippedi, poi guerrieri e figure femminili. La Soprintendente speciale all’archeologia romana, Maria Rosaria Barbera, ha collocato i reperti entro 1500 anni, dal 1° millennio a. C  al 2°-3° secolo d.C.  

L’esigenza di una presentazione e divulgazione adeguata

Si cercherà di presentarli al pubblico in modo adeguato, e il ministro Franceschini ha prospettato la possibilità di istituire un museo permanente dove esporre le opere recuperate dalle forze dell’ordine nel periodo che intercorre tra la confisca e la restituzione ai proprietari o il ritorno ai luoghi di origine. L’ingente materiale dell’ultima operazione con la sua straordinaria qualità e bellezza potrebbe essere un motivo per realizzare subito quanto prospettato. Dopo i reperti verrebbero riportati nei luoghi di provenienza, dove vi sono Musei archeologici e altre sedi espositive, per valorizzare i rispettivi territori, lo ha detto esplicitamente il ministro.

Sosteniamo con forza questa idea, colmerebbe una evidente alcuna, anche se mostre sui recuperi delle forze dell’ordine vengono organizzate con cadenza annuale a Castel Sant’Angelo, lo scorso anno anche al Vittoriano per la statua di Caligola, ma qui si tratterebbe di un’esposizione permanente a rotazione, via via che escono le opere tornate ai luoghi di origine entrano quelle frutto dei successi investigativi nelle operazioni di recupero, una staffetta esaltante.

I risultati di quest’attività, ha detto Franceschini, sono un ulteriore esempio delle eccellenze esistenti nel nostro paese:  l’alta professionalità del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale è dimostrata dai successi nelle difficili operazioni di contrasto alla criminalità in questo settore con spettacolari recuperi che reintegrano il patrimonio culturale, appartenente all’umanità e di cui siamo soltanto dei custodi; un livello così elevato da essere richiesti dagli altri paesi per la formazione del personale.

Purtroppo c’è un’eccellenza negativa dimostrata dalle stesse operazioni: la piaga molto estesa degli scavi abusivi difficili da impedire per la vastità dei territori interessati, per cui è ancora più importante l’azione investigativa che cerca di porre rimedio al depauperamento che ne deriva.

L’opinione pubblica dovrebbe essere sensibilizzata all’esigenza di contribuire alla difesa del patrimonio archeologico che è di tutti, ma non sempre si riesce a dare a queste operazioni la risonanza che meritano, speriamo che l'”Operazione Teseo” sia in grado di “bucare il video”, come si dice, e che altrettanto faccia la prospettata mostra permanente.  In proposito ricordiamo che in passato, per un recupero di gran lunga inferiore, fu lanciata l’idea di una fiction  televisiva sul modello di “Caccia al ladro d’autore”, andata in onda nel 1984, un serial in 8 puntate, protagonista  Giuliano Gemma, recentemente scomparso; registi Sergio Martino, Duccio Tessari e Tonino Valeri che aveva diretto molti anni prima i western all’italiana “Il mio nome è Nessuno” e “I giorni dell’ira”, quest’ultimo con lo stesso Giuliano Gemma. La Rai, nell’esercitare il suo ruolo di servizio pubblico, troppo spesso carente, non dovrebbe continuare a restare sorda a questa idea, che rilanciamo con forza in un’occasione come l’attuale, che suscita nuovi stimoli ed entusiasmi.

Non dimentichiamo i successi di fiction imperniate sul mistero e sul poliziesco, del resto il  “Codice da Vinci” ha dimostrato l’effetto dirompente delle storie misteriose imperniate su arte e antichità.

Il giallo dell’ “Operazione Teseo”

Di certo è intrigante il giallo dell'”Operazione Teseo”, che inizia quando termina l’indagine che portò al recupero del vaso di Assteas dal Getty Museum di Malibù, al quale era stato venduto da un intermediario, Gianfranco Becchina, il cui nome, collegato a scavi clandestini nell’Italia meridionale, era nell’organigramma criminale – la filiera che va dai tombaroli ai mercanti internazionali – sequestrato a Pasquale Camera, un boss del traffico illecito di opere d’arte.

I Carabinieri del Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale, in collaborazione con le polizie di Ginevra e Basilea, hanno indagato a fondo sull’attività di Becchina, divenuto da facchino titolare di una importante galleria d’arte svizzera, e al centro di una sorta di impero commerciale con base in Svizzera ma radicato nel Sud Italia; composto da società, in Italia ed all’estero, sospettate di eludere i controlli doganali e quelli degli uffici esportazione per consentire il traffico illecito.

E qui vanno in scena le tecniche investigative. Il giallo – stavamo per dire la fiction –  prende quota: attività di tipo tecnico, controlli patrimoniali, servizi di pedinamento, permettono di individuare alcuni magazzini che facevano capo a Becchina e a sua moglie a Basilea.

A questo punto scattano le rogatorie internazionali della Procura di Roma fino alla perquisizione dei magazzini: ben cinque, con un enorme numero di reperti provenienti da zone archeologiche italiane, senza giustificativi e diecine di faldoni gonfi di fotografie e carte con appunti. Immediato il sequestro di tutto il materiale, l’arresto della moglie da parte della polizia svizzera e poi di Becchina all’aeroporto milanese di Linate in partenza dall’Italia: è l’anno 2001..

Tutto finito? Certamente no, sappiamo bene come sia complessa e lenta la macchina della giustizia, questo campo non fa eccezione. Le soprintendenze archeologiche, attraverso i loro funzionari nominati consulenti tecnici dal giudice, e gli investigatori, attestano l’origine illecita dei reperti; segue il provvedimento di confisca del GUP del Tribunale di Roma per provenienza da scavo clandestino compiuto in Italia,  furto,  ricettazione, e da esportazione clandestina effettuata illecitamente dal Becchina.

Manca solo la condanna di quest’ultimo, chiaramente responsabile ma prosciolto nel 2011 con “non luogo a procedere per avvenuta prescrizione”, eccellenza negativa anche questa del nostro paese in cui 200.000 procedimenti cadono in prescrizione ogni anno.  Può consolare che la confisca dei  reperti recuperati e la restituzione allo Stato italiano è stata sancita nel 2012 anche dalla Cassazione cui il Becchina aveva fatto un ricorso decisamente rigettato; e confermata dalle autorità svizzere.

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La rete clandestina e la caccia ai ladri d’autore

I faldoni sequestrati si sono rivelati un tesoro essi stessi per le preziose informazioni contenute, tra cui il fatto che i reperti venivano restaurati per la vendita, c’erano fotografie prima e dopo il restauro, bolle di trasporto e proposte di vendita con i relativi prezzi, fino alle false expertise. Le indagini allora sono proseguite in Italia e in Svizzera, fino a far emergere un’intera rete del mercato  illecito di reperti archeologici, con il collettore tra i tombaroli, esecutori degli scavi, celebri commercianti  internazionali e autorevoli  istituzioni museali in una estesa attività di ricettazione.

Ed eccone il funzionamento: acquisiti con gli scavi clandestini, i reperti venivano restaurati, poi si predisponevano falsi certificati di provenienza attribuendone la  proprietà a società collegate; quindi la vendita, in Europa, in particolare Inghilterra e Germania, negli Stati Uniti, Australia e Giappone, mediante artifici, come  intermediazioni e triangolazioni, per accreditarli; in attesa della vendita ai musei venivano collocati in collezioni private appositamente  create. La certificazione dei reperti era effettuata con criteri scientifici così perfezionati da ingannare i più grandi musei internazionali.

Tutt’altro, quindi, del dilettantismo da “banda degli onesti” alla Totò,  anche se qualche volta anche le contraffazioni perfette tradiscono, non c’è il delitto perfetto. Viene citato l’acquisto nel 1985, da parte del Getty Museum di Malibù,  del Kouros, per 9 milioni di dollari, con un documento di vendita rivelatosi poi falso perché il codice postale greco non esisteva all’atto dell’emissione; è rimasto il dilemma se fosse falso anche il vaso, è esposto a Los Angeles con la scritta “Greek, about 530 B.C., or modern forgery”. Così al mistero e alla “suspence” si aggiunge anche la farsa

A parte questa notazione di colore, va sottolineato che l’azione di recupero, favorita dagli elementi acquisiti anche con l'”Operazione Teseo”, continua incessante con l’ausilio della Banca Dati del Nucleo specializzato dei Carabinieri. Ulteriori sequestri e rimpatri di oggetti archeologici e artistici sono seguiti, come una pelike ed uno stamnos in vendita in una nota casa d’aste di New York di cui è stata dimostrata la provenienza da uno scavo clandestino in Italia e si è ottenuto sequestro e confisca con indagini in collaborazione con l’Immigration and Customs Enforcement americano.

Questa azione è favorita dall’istituzione, per opera del Ministro Franceschini, del Comitato per il Recupero e la Restituzione dei Beni Culturali, di cui fa parte il Comandante dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale.

Si apre bene, così, il 2015, lo prendiamo come augurio di risultati altrettanto positivi nel seguito dell’anno. E’ troppo importante la lotta a questa criminalità che colpisce tutti, e non solo gli abitanti dei territori che si vedono depredati, dato che i beni culturali sono – ha fatto bene Franceschini a ricordarlo e lo ripetiamo – un patrimonio dell’umanità che siamo tenuti a tutelare e custodire.     .

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nelle sale del Museo Romano alle  Terme di Diocleziano alla presentazione dei reperti recuperati, si ringrazia il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, con i titolri dei diritti, per l’opportunità offerta.