Barocco, paesaggio, arredi e feste, alla Fondazione Roma

di Romano Maria Levante

Si conclude il nostro resoconto della mostra promossa dalla Fondazione Roma“Barocco a Roma. La meraviglia delle arti”, aperta dal 1°  aprile al 26 luglio 2015, con  200 opere, tra disegni e dipinti, sculture e oggetti, e una serie di eventi e percorsi cittadini per una visione estesa anche alle grandi realizzazioni architettoniche. Abbiamo  descritto i protagonisti, artisti e Pontefici, e  i caratteri salienti della “meraviglia delle arti”, passando poi alle prime due sezioni, le “radici del Barocco” e “l’estetica barocca  con Urbano VIII”; successivamente  “la teatralità sacra e civile del Barocco; concludiamo con il Paesaggio barocco, il Barocco domestico, e le Feste barocche. La  mostra, organizzata dalla Fondazione-Roma-Arte-Musei,  è a cura di Maria Grazia Bernardini e Marco Bussagli che hanno curato anche  il monumentale catalogo Skira, che contiene 20 saggi .

Il Paesaggio  barocco, lo spettacolo della natura

Passiamo ora al  paesaggio, un  genere di rappresentazione artistica  dominio di artisti nordici, in particolare fiamminghi,  che fu oggetto di importanti innovazioni di artisti locali all’inizio del ‘600. Nel tradizionale “paesaggio con figure piccole” vengono inseriti, osserva Francesca Cappelletti, “elementi naturali e architettonici per definire uno spazio equilibrato, solenne e maestoso adatto allo svolgimento narrativo della storia sacra o della storia antica”.  Il “teatro di Roma” offre motivi unici, con il fascino naturalistico della campagna romana e quello classico dei resti archeologici, reperti della sua antica civiltà: una miscela esplosiva nella rappresentazione come nell’ispirazione.

Così il  paesaggio si afferma, anzi il “nuovo paesaggio” nasce a Roma,  meta dei viaggi di formazione degli artisti stranieri, che al periplo della città facevano seguire quello della campagna  restandone affascinati. Ricordiamo al riguardo la mostra  del Vittoriano  alla fine del 2010 dedicata alle interpretazioni della “Campagna romana”  ad opera di questi artisti.

La 4^ sezione della mostra si intitola appunto, “il paesaggio e il grande spettacolo della natura: un’altra teatralità del Barocco dopo quella urbana delle maestose architetture scenografiche e quella scultorea, con le pose e le pieghe dei panneggi anch’esse da rappresentazione teatrale.

Il paesaggio diventa una forma d’arte con proprie regole e una propria indipendenza, con la base nelle nuove scoperte scientifiche sullo spazio di Keplero e nella concezione filosofica del panteismo di Tommaso Campanella; e con il  riferimento reale costituito dallo scenario naturale. visto nella sua naturalezza classica “in una formula nuova, di commento allo spirito della storia rappresentata e pronta al confronto con le descrizioni  poetiche”, osserva la Cappelletti. Viene applicato il classicismo alla pittura del paesaggio, come rappresentazione di uno “spazio ideale”.

 Gli specialisti nordici continuano a lavorare a fianco degli artisti italiani, e, inizialmente sono gli affreschi nei grandi palazzi la sede di elezione della pittura di paesaggio: vengono dipinte le parti superiori delle pareti fino al soffitto, in fregi di tradizione cinquecentesca ora ispirati al paesaggio con scene di caccia  e pesca ed antichità romane riprodotte con precisione ma assemblate in modo fantasioso. I temi ricorrenti sono scenari boscosi con piccole figure di cacciatori e cavalieri nelle radure del bosco, vedute costiere con acque agitate, ruderi e anche scorci di abitati medioevali. Oltre  alla sommità delle pareti come fregi,  i paesaggi vengono utilizzati per ampliare visivamente  sale e corridoi dando  ad essi un’apertura e una prospettiva da quinta illusionistica..

Dai palazzi alle chiese,  dove i muri vengono decorati  con paesaggi, e così nelle cappelle, in quella di Santa Cecilia nell’omonima chiesa in Trastevere nel paesaggio ci sono gli eremiti; i paesaggi sono lo scenario  di martirii di santi o di meditazioni spirituali, ispiratrice la campagna romana.

 Non solo affreschi, ovviamente,  ma anche dipinti mobili da cavalletto con immagini di castelli e borghi a celebrazione dei casati:  si ricordano le sette grandi tele realizzate nel 1601 da Paul Bril per Asdrubale Mattei con i “Feudi” di famiglia, con piccole figure al lavoro nei campi e altre scene di vita agreste, ci sono vedute, da Rocca Sinibalda a Villa Sacchetti,  aTolfa, che anticipano il genere su cui si distinguerà in seguito Pietro da Cortona.; alcuni particolari come le variazioni luminose nei vari momenti della giornata anticipano la formule di Lorrain di riprodurre gli stessi luoghi a coppie, ripresi all’alba e al tramonto,  con un cromatismo ben diverso.

Il paesaggio per lo più viene idealizzato, ma non mancano le rappresentazioni realistiche della vita quotidiane nelle strade popolate  anche da mendicanti e ladri con scene di violenze e agguati: sono le miserie associate agli splendori, ad opera dei cosiddetti “pittori bamboccianti” con cui fu in contatto lo stesso Lorraine, i cui paesaggi erano invece idealizzati.

La tendenza paesaggistica  si articola nel genere pastorale puro , nel paesaggio storico e in quello romantico, nella veduta di documentazione e in quella fantastica.   “Il paesaggio  di ascendenza classicista è completamente integrato con lo spazio barocco”, osserva la Cappelletti analizzandone  l’evoluzione con riferimento ai singoli artisti.

Poussin e Lorrain sono i massimi  esponenti del paesaggio storico, ma mentre nel primo la natura si coniuga alla storia così strettamente che  il paesaggio ne diventa l’immagine, nel secondo prevale l’abbandono alla natura come ideale classico “in cui si avverte il sentimento bucolico d’ispirazione virgiliana, la serenità oraziana dell’infinito orizzonte”: di Nicolas Poussin è esposto “Paesaggio con Agar e l’Angelo”, 1660-64, immerso nell’ombra, di Claude Lorrain “”Porto con il Campidoglio”, 1736, in cui l’immersione nella natura è tale da inserire un porto, con le barche  e l’acqua, addirittura nella piazza del  Campidoglio.

Il campione dell’evocazione dell’antichità è ” Paesaggio con Dioscuri in un tempio ruinato e il Colosseo nel fondale”,  1630, di Jean Lemaire,  l’abbandono alla romanità è espresso dalle statue e dai ruderi in primo piano con lo scorcio del Colosseo. I resti di un tempio antico dominano  le figure umane nella “Lapidazione di Santo Stefano”, 1620-25, di Cornelio Satiro.  

 Immerso nell’ombra anche il “bello orrido”   del corso d’acqua, con le costruzioni in cima che si stagliano nell’azzurro del cielo  delle “Cascate di Tivoli“, 1660-65, di Gaspard Dughet, tra i più grandi paesaggisti di cui, “en passant”,  ricordiamo l”opera trafugata e rinvenuta negli anni scorsi da parte del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Artistico. Cognato di Poussin, i suoi personaggi bucolici con pochi elementi danno il senso della vita agreste e sono inseriti in un contesto in cui la natura si esprime in tutte le sue forme, placida e serena, ventosa e in tempesta.

L’oscurità nel primo piano, rotta da bagliori di luce, che poi esplode nella luminosità del cielo azzurro e dello sfondo lontano sono le caratteristiche di altre opere, come “Paesaggio con Silvia e satiro”, 1615-20, del Domenichino,   “Scene di caccia”, 1636-37, attribuito  ad Agostino Tassi, e  “Paesaggio con Galatea”, 1676, di Filippo Lauri.

Impressionante la grande rupe che sovrasta le piccole figure umane, in “Latrona e i pastori della Licia”, 1643-45, di Salvator Rosa, seguace di Poussin, che “concepì la natura come specchio degli stati d’animo dell’uomo “. Altrettanto spettacolare “Il sacrificio di Abramo”, 1599-600 con le due figure, il personaggio biblico  e l’angelo, sospese su uno scenario naturale  vastissimo, autore Annibale Carracci,  cronologicamente siamo ancora alle radici del barocco.

Con  due prospettive marine chiudiamo questa sezione , “Paesaggio con pescatori”, 1678, di Giovanni Francesco Grimaldi. e “Veduta di Nettuno da Porto d’Anzio”, 1686, di Pandolfo Reschi.

Il  Barocco domestico, gli Arredi

L’influenza  del Barocco  non si misura soltanto attraverso la grandiosità delle opere urbane e sacre in cui il “Gran Teatro” esprime i suoi valori  civili e religiosi, e la particolare visione del paesaggio.. Entrò  nella vita quotidiana delle persone, oltre che  con il coinvolgimento nella rappresentazione scenica  delle piazze e del monumenti, delle chiese e dei palazzi,  con oggetti della vita quotidiana ispirati a tale forma d’arte.

Si tratta degli del  “Barocco da casa. Gli Arredi”, cui è dedicata la 5^ e ultima sezione della mostra. Gli arredi delle case nobiliari venivano plasmati in questo  stile, perché il  decoro dei saloni dei palazzi andava adeguato alla loro grandiosità, in modo da essere sontuoso e insieme gradevole. La trasposizione del Barocco negli Arredi si afferma soprattutto nella seconda metà del secolo, e si traduce in linee sinuose,  con  materiali  molto pregiati, che comprendono anche pietre e metalli preziosi,  dorature diffuse. 

Anche  Bernini si impegnò nel progettare articoli per la vita quotidiana, come letti e carrozze, fino alle piccole statue ornamentali.  Venivano realizzati in stile barocco candelabri inginocchiatoi in campo religioso,   armi e orologi,  apparecchi scientifici e  strumenti musicali in campo civile. 

Così termina la scheda dei curatori su questo aspetto conclusivo del barocco: “Per questo il barocco esprime una completezza e una modernità impressionanti, tanto da definire la concezione artistica dei suoi componenti con al celebre frase di Le Corbusier: ‘Dal cucchiaio alla città'”. E ci sembra una sintesi quanto mai efficace che dice tutto su questa forma d’arte onnicomprensiva, dal  religioso al civile, dalla grandiosità urbanistica alla quotidianità più raccolta.

Apre la galleria del “Barocco da casa” l’“Arpa Barberini” , della prima metà del ‘600, la colonna che regge le corde è  in legno scolpito con figure sovrapposte dorate; è esposto anche un “Modello di cembalo con rappresentazione scultorea di Polifemo e Galatea”,in legno e terracotta dorata con le figure che reggono la cassa armonica.

Strumenti musicali, dunque, ma addirittura anche attrezzi agricoli come la “Coppia di falcioni“, 1605-20, in ferro con agemine di argento e oro, e velluto rosso;  tre disegni di Johann Paul Schorr presentano la “Galleria con loggia” e due progetti,  “Carrozza”  e “Letto di parata per la nascita dell’erede Colonna”, dove troviamo tutta la pomposità del barocco.

In due vassoi sono riprodotte le immagini pittoriche della “Fuga in Egitto“, del Domenichino, e del “Battesimo di Cristo” di Filippo Lauri, ci sono anche  tre “Mute di cartagloria”,  preziosi  oggetti espositivi di minute pergamene, in argento e bronzo dorato, lapislazzuli e pietre vitree.

Dopo i piccoli oggetti, i più grandi: un “Inginocchiatoio con la deposizione di Cristo”, 1670-80, di Domenikus e Franz Stainhart,  in ebano, avorio e argento con un grande bassorilievo, e   un monumentale “Orologio notturno”, 1682, alto 140 cm, di Pietro Tommaso Campani, in rame, bronzo dorato e pietre dure, con una scena  di angeli e altre figure riprodotta sul quadrante.

Gli ultimi oggetti esposti del “Barocco da casa” sono un “Tavolo parietale”, 1650-75, e un  “Faldistorio“, 1675-1700, entrambi in legno intagliato, scolpito e dorato.

Gli eventi  e percorsi collegati alla mostra

Così si conclude il grande spettacolo presentato al Palazzo Cipolla  del Barocco racchiuso nello spazio di un ambiente espositivo:  sembrerebbero minimali il tavolo e lo sgabello, mentre esprimono la pervasività del nuovo stile dalle grandi architetture agli oggetti di uso comune sia pure negli ambienti nobiliari.  Per il resto ci sono  le destinazioni indicate nelle irradiazioni della mostra verso diverse direzioni cittadine a completare il vasto affresco che viene fornito: anzi, per restare nella  teatralità di cui si è detto, per seguire i successivi atti della grande rappresentazione teatrale a cielo aperto che è il Barocco a Roma,

Il percorso del Vaticano è il più spettacolare,  comprende i Musei Vaticani, il Palazzo Apostolico e la Basilica di San Pietrocon  il monumentale Baldacchino, e il maestoso Colonnatodella piazza.

Di grande interesse i siti barocchi  della città che, anche se già conosciuti, possono essere rivisitati con maggiore consapevolezza dopo aver approfondito con la mostra gli aspetti salienti di questo stile aulico e teatrale. Entra in campo il Borromini  nell’Oratorio dei Filippini e nella Cappella dei Re Magi nel Palazzo di Propaganda Fide, fino al complesso di Sant’Ivo alla Sapienza. 

Palazzo Barberini, con le due scalinate monumentali di Bernini e Borromini, è una delle espressioni più significative, e ne abbiamo già parlato rispetto ai disegni in mostra, ci sono oltre 30 sale della Galleria nazionale di Arte Antica che espone un gran numero di dipinti di epoca barocca.

La visita ai Musei Capitolini consente di vedere i monumenti per  Urbano VIII e Innocenzo X, di Bernini e Algardi, e la “Medusa” di Bernini, nonché alcuni capolavori di Carracci e Domenichino, Guido Reni e Guercino, Salvatore Rosa e Van Dyck, e la grande sala dedicata a Pietro da Cortona.

Poi le mostre organizzate  in ambienti barocchi, come ad Ariccia nel Palazzo Chigi  la  mostra su “Ritratto e figura da Rubens a Giaquinto” nel periodo barocco, e quella presso  l’Archivio di Stato che presenta la Biblioteca Alessandrina con il titolo “La fabbrica della sapienza”.

Un discorso a sé merita la mostra a Palazzo Braschi  sulle “Feste barocche”, perché rappresentano un’altra manifestazione della pervasività del Barocco nella vita dell’epoca,  e questo crea un parallelo con l’altro movimento italianissimo, radicalmente diverso, che fu il futurismo, anche lì furono coinvolte non solo le arti, ma anche la vita quotidiana con le serate e feste futuriste.

Le feste barocche

Abbiamo visto la mostra di Palazzo Braschi, con incisioni dell’epoca molto espressive: ricordiamo le acqueforti di Claude Lorraine con le macchine pirotecniche realizzate in Piazza di Spagna per festeggiare l’elezione di Ferdinando III “Re dei Romani”, 1637,  raffigurate come vulcani in eruzione, e l’incisione con la visione teatrale dell’Interno della basilica di San Pietro per la canonizzazione di Elisabella del Portogallo, 1625, di autore anonimo.  

L’analisi di Silvia Carandini consente di cogliere “le relazioni, i passaggi, i nessi delle tipologie del cosiddetto ‘effimero’  (che poi tanto effimero non è risultato) allo ‘stabile’ (le opere, i luoghi, le istituzioni e viceversa”.  Erano le “feste”  un effimero così radicato da venire definito “il tessuto connettivo”  del  Barocco, la cornice immancabile degli eventi  religiosi, politici e culturali: “Una condizione imprescindibile per comprendere le articolazioni di quel fenomeno, un contenitore inesauribile di invenzioni formali, di soluzioni urbanistiche e architettoniche, una matrice sperimentale di pratiche, di comportamenti, di modalità e di tecniche dello spettacolo”.

In campo religioso le Feste barocche  si inquadrano nella ripresa del culto dei santi e nella qualifica di   Roma come “città santuario”  nella quale i Giubilei e gli altri eventi  del culto venivano celebrati abbinando al fascino dei luoghi la forza emotiva  di pratiche devozionali volte al coinvolgimento emotivo dei pellegrini accorsi in massa in quella che per il lusso venne definita “nuova Babilonia”.

Le opere architettoniche promosse  dai pontefici che si sono succeduti nel XVII secolo creavano l’ambiente ideale per il moltiplicarsi  delle “realizzazioni dell’arte effimera del teatro e della festa che, a ritmo serrato, quasi quotidianamente, coinvolge parti diverse del tessuto urbano”;  vi erano impegnati “oltre ai grandi operatori del Barocco romano, cantanti e musicisti, attori, letterati e scenografi esperti di feste nelle corti settentrionali”  accorsi al richiamo della “città eterna”.

I due centri di irradiazione delle “Feste barocche” erano la Chiesa e il Campidoglio, ma erano attivi committenti anche i nuovi ordini religiosi e le congregazioni, i seminari e i collegi,  l’aristocrazia pontificia, e in particolare i cardinali, sul versante religioso; le ambasciate straniere e le accademie, le istituzioni e le organizzazioni della vita civile sul versante laico. Queste feste  si svolgevano non solo nelle grandi occasioni, come all’avvento di un nuovo Pontefice, ma anche nelle cerimonie ristrette, nelle chiese, oratori e  collegi, sedi di manifestazioni spettacolari con addobbi sontuosi.

Nella città si diffondono “i centri di potere della vecchia e della nuova aristocrazia, le rappresentanze straniere. Ogni palazzo, cortile, giardino, ogni via e piazza di Roma si fanno scena, a volte esclusiva, per eventi che riguardano la vita (nascita, matrimonio, guarigione, morte), i passatempi (spettacoli teatrali, giochi cavallereschi), le celebrazioni (ingressi in città, vittorie, conversioni, fatti eclatanti) dei grandi signori di Roma nonché dei sovrani dell’Europa intera”, precisa  la Carandini.

E con questa evocazione delle Feste barocche  attraverso un evento satellite alla mostra si conclude in modo pirotecnico, come nelle incisioni di Lorraine prima citate, la rassegna della “meraviglia delle arti”   nel XVII secolo di cui alla grande esposizione e ai percorsi connessi. Per tutto quanto abbiamo visto e conosciuto,  la definizione finale  che Emanuele dà del Barocco ci sembra  un sigillo appropriato: “Un movimento inesauribile ed esemplare che tutto il mondo ci invidia”.

Info

Fondazione Roma Museo, Palazzo Cipolla,  via del Corso 320. Lunedì ore 15,00-20,00, da martedì a giovedì e domenica ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-21,30, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso, intero  euro  12,00, ridotto euro 10,00 (fino a 26 anni e oltre 65, e per militari, studenti convenzionati,  e gruppi), scuole euro 5 ad alunno, altre riduzioni in giorni speciali e per famiglie. Tel. 06.22761260, http://www.mostrabaroccoroma.it/ e www.fondazioneromamuseo.it, . Catalogo “Barocco a Roma. La meraviglia delle arti”, a cura di Maria Grazia Bernardini e Marco Bussagli, Skira, marzo 2015, pp. 447, formato 24 x 28, dal quale sono tratte le citazioni del testo. Per la mostra attuale cfr. in questo sito i  primi due  articoli  il    Per le precedenti mostre citate nel testo,  cfr. i nostri articoli:   in questo sito   su “Il Rinascimento a Roma. Nel segno di  Michelangelo e Raffaello” il   12, 14, 16 febbraio 2013, su “Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630”  il 5, 7, 9 febbraio 2013, sul “Guercino”  il 15 ottobre 2012;  in http://www.antika.it/  su “Roma e l’antico. Realtà e visione  nel ‘700”, il  3, 4, 5  marzo 2011;  in “cultura.inabruzzo.it” i due articoli  per la mostra sulla “Campagna romana” l’11 febbraio 2010.    

Foto

Le immagini in parte sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nel Palazzo Cipolla, in parte fornite dalla  Fondazione-Roma-Arte-Musei che si ringrazia, In apertura, Salvator Rosa, “Latrona e i pastori della Licia”, 1643-1645; seguono, Johann Adolg Gaap, “Muta di cartegloria”, 1699, e Giacinto Brandi, “Lot e le figlie”, 1684-1685; poi “Arpa Barberini”, prima metà XVII sec., e Giovanni Battista Beinaschi, “Chronos”, 1675-1680; quindi, Gian Lorenzo Bernini, “Ritratto di papa Alessandro VII Chigi”, 1657, e Pietro Tommaso Campani, “Orologio notturno”, 1682; inoltre Baciccio, “Giustizia, Pace e Verità”, 1667-1672, e Dominikus-Franz Stainhart, “Inginocchiatoio con la deposizione di Cristo”, 1670-1680; in chiusura, un angolo della mostra con Francois du Quesnoy, “Busto di Santa Susanna”, post 1633 a sin, fusione d’epoca da modello di Alessandro Algardi, “Madonna con il Bambino (Vergine del Rosario)”, 1650, ia dx, terracotta di Alessandro Algardi, “Riposo durante la fuga in Egitto”, 1636, al centro.