Montecassino, il “Percorso della Battaglia” simbolo di pace

di Romano Maria Levante

A Montecassino il 2 luglio 2015, nel 70° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale,  è stato riaperto il “Percorso della Battaglia”   in quello che fu tra il 1943 e il 1944 l’epicentro del conflitto , culminato con il bombardamento dell’abbazia cui seguirono altri mesi di duri combattimenti sul pendio del costone, fino al Monte Calvario, “quota 593”  dove si è svolta la cerimonia con il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il sindaco di Cassino Giuseppe Golini Petrarcone, l’ambasciatore  straordinario e plenipotenziario di Polonia Tomasz Orlowski e l’Abate di Montecassino Dom Donato Ogliari. Il percorso che viene riaperto al pubblico inizia nei pressi del Cimitero polacco,  vicino all’abbazia, dov’è il Museo Memoriale del 2° Corpo d’Armata polacco,  e si conclude più in alto presso la grande Stele di pietra posta dai polacchi per celebrare la conquista della cima dopo una battaglia lunga e sanguinosa con più di 1050 caduti. .

Nel Museo Memoriale – inaugurato il  17 maggio 2014 nel 70° anniversario della fine della battaglia,  allorchè la bandiera polacca fu issata sulle rovine dell’abbazia –  è visualizzata l’odissea del 2° Corpo d’Armata polacco, che fu costituito con i sopravvissuti dalle deportazioni in Siberia, dopo le peripezie nel Medio Oriente, fino alla spedizione in Italia, sempre alla guida del generale Anders, che ha voluto essere  sepolto lì con i commilitoni; la sua tomba è posta all’inizio del cimitero monumentale che nella struttura a gradoni richiama Redipuglia,  e molte tra le oltre 1000 croci recano  nastri con la bandiera polacca, a testimonianza del continuo afflusso di parenti e compatrioti per rendere omaggio al loro sacrificio. 

Dal Museo si è passati alla stele commemorativa di “quota 593”,  per la  cerimonia sobria  e intensa che ha accompagnato la riapertura del “Percorso della Battaglia” a Montecassino.  Sobria perché non vi è stato nulla di retorico, intensa perché si sono affollati i ricordi degli scontri sanguinosi intorno all’abbazia benedettina nel più aspro contrasto immaginabile tra la più spaventosa violenza bellica e il più pacifico simbolo di fede religiosa e di concordia umana.

 La violenza bellica si è scatenata dalla terra e dal cielo,  con il bombardamento distruttivo del monastero preceduto e seguito da una cruenta guerra di posizione con migliaia di caduti nel costone di Cassino e nei ruderi dell’abbazia divenuti campo trincerato fino alla cima del Monte Calvario, la “quota 593”  di allora.

Gli interventi del sindaco di Cassino e del presidente  Zingaretti

Proprio sulla “quota 593”, davanti alla grande stele in memoria dei caduti,  si è svolta la manifestazione aperta dagli interventi non rituali delle autorità intervenute, in testa il presidente della Regione Lazio Zingaretti che ne è stato il promotore.

Il sindaco di Cassino Petrarcone ha reso omaggio in particolare al sacrificio dei 1052 giovani polacchi che vi lasciarono la vita e ha ricordato che la sua è divenuta la “città della pace” dopo essere stata teatro della guerra più sanguinosa.

Mentre  il presidente della regione Zingaretti   ha definito Cassino uno dei “luoghi del mondo” assurti a simbolo: dall’odio e dalla distruzione segna il passaggio alla liberazione e alla rinascita, dalla sconfitta dell’umanità al  trionfo dei valori più elevati. Dopo la follia del bombardamento distruttivo il miracolo della ricostruzione “com’era”, e forse anche da qui  ha preso impulso il percorso dell’Europa verso la condivisione pacifica che ha portato alle istituzioni europee;  e una diversa sensibilità a livello mondiale che la guerra non può essere  lo strumento per risolvere le divergenze internazionali . Ha citato l’immagine della bandiera polacca tra le rovine,  un simbolo dell’Europa “che ce la fa”  con i valori della democrazia, del dialogo, della convivenza.

Ha anche riferito  l’evento al momento attuale, con l’Expo milanese che rappresenta  una grande vetrina internazionale per l’Italia. Ebbene, il “Percorso della Battaglia”  cassinese diventa  “un appuntamento che parla al mondo”, invita a meditare sulla storia, su ciò che siamo stati e siamo tuttora, sul fatto che la guerra è solo morte e distruzione. La storia si studia, ma deve essere accompagnata dalla memoria in modo da far sentire come presenti i valori che ne derivano: qui rinascita e pace, dopo distruzione e morte.

Zingaretti  ha concluso inquadrando la riapertura del “Percorso della Battaglia”  nella valorizzazione del territorio facendo leva, oltre che  sulle bellezze naturalistiche e ambientali di cui la regione è ricca, anche su altri elementi come la storia, la religione, la gastronomia: elementi qui presenti tutti a livello di eccellenza. Il “turismo della memoria” è una grande opportunità, non solo alimenta le virtù civili ma anche l’economia.

Al di fuori della cerimonia ha dichiarato che “la Regione Lazio sta rinascendo, ha posto le condizioni per la fine del commissariamento della Sanità”, sta recuperando le  pesanti perdite del passato in modo da poter invertire la tendenza che ha portato alla tassazione più gravosa, è tra le regioni europee in maggiore crescita.

Le opere d’arte inaugurate e le parole dell’Abate di Montecassino 

E’ stata inaugurata nel luogo della memoria la mostra curata da Claudio Libero Pisano,  che ha dato il titolo alla manifestazione, “L’Arte contemporanea lungo il Percorso della battaglia”, con due opere di artisti romani ispirate agli eventi di allora trasformati in metafore.

“Favi di miele”  di Simone Cametti, presenta un’arnia trasparente da cui si segue il ciclo vitale delle api, il più vicino a quello operoso dell’uomo: un richiamo ai valori della vita espressi dai cicli naturali e biologici, in un’armonia e un ordine che l’uomo può smarrire, ma che poi si impongono sulle convulsioni inumane di guerre sanguinose come a Montecassino.

L’altra opera, un’installazione in tre lastre orizzontali, ingloba dei petali la cui fragilità è resa dal colore, è “Un petalo viola su un pavimento di cemento”, di Alessandro Piangiamore, che ha voluto in questo modo semplice evitare di essere intrappolato nelle suggestioni retoriche di un luogo così pieno di storia, ma non ha rinunciato ad un messaggio profondo.  

A quest’opera si è riferito direttamente l’abate di Montecassino Dom Donato Ogliari – presente a tutti i momenti della manifestazione, compreso l’intrattenimento finale – nel suo intervento iniziale, breve ma quanto mai intenso espresso con un tono e una voce dalla quale traspariva la perfetta letizia: “La scultura con i petali di rosa nella colata di cemento è metafora della pace,  delicata ma persistente” –  ha detto –  ricordando che nella totale distruzione dell’abbazia sopravvisse la scritta “Pax”,  un simbolo indistruttibile che ha avuto la forza di resistere al  terrificante bombardamento.

Ne abbiamo parlato con l’abate attuale, trent’anni dopo aver incontrato nel febbraio 1984 l’abate Martino Matronola, che era stato segretario dell’ottantenne abate Diamare  nei momenti tremendi della guerra in cui i frati furono chiamati a decisioni estreme, e lui, che parlava anche tedesco, fu determinante nei contatti con gli occupanti. 

L’abate Matronola non condannò le istituzioni che avevano lasciato i frati soli e abbandonati a se stessi: “Lo Stato italiano era allo stremo – ci disse – e il Vaticano si fidava delle assicurazioni ricevute, della lezione comunque si fece tesoro per altre gravi situazioni”. Rievocò quei momenti senza  risentimento verso gli americani per l’inqualificabile  bombardamento dell’abbazia, disse che la colpa era di Hitler, non solo per avere scatenato la guerra, ma per avere scelto come caposaldo proprio Cassino, esponendo a un rischio mortale l’abbazia benedettina svettante dall’alto sull’epicentro del conflitto con i suoi tesori d’arte e di fede.  Il generale Clark lo chiamò “rischio calcolato”  in una imbarazzata auto giustificazione di un’azione bellica rimasta come macchia indelebile. Anche i tedeschi ne furono sorpresi, come si legge in “La guerra in Europa” di Frido von Senger und Etterlin: “La distruzione dell’abbazia sembrò priva di significato tattico. Restava così solo la delusa constatazione che il tentativo di conservare integra l’abbazia nel bel mezzo del campo di battaglia era fallito. La veneranda casa madre dei benedettini, simbolo di tutti gli Ordini religiosi occidentali, era un cumulo di macerie”.

Va considerato, comunque, che gli americani subirono le pressioni degli alleati bloccati per mesi nella stretta valle di Cassino, che vedevano nell’abbazia in alto l’osservatorio dal quale i tedeschi potevano dirigere il micidiale fuoco delle artiglierie, ossessione rivelatasi poi senza fondamento; furono i neozelandesi a pretendere il bombardamento dagli americani riluttanti, minacciando in caso contrario di abbandonare il fronte, i polacchi non erano ancora arrivati.  Nel mezzo di questi ricordi, volgendosi verso l’abbazia di fronte a noi,  l’abate ci indica gli angoli dell’edificio  dove erano rifugiati i frati sopravvissuti,  pietre angolari della struttura architettonica  che resistettero al crollo rovinoso dell’imponente costruzione.

Dal paradiso all’inferno e ritorno

 Di quell’immane tragedia,  nel segno della memoria cui ha fatto appello con forza Zingaretti, vogliamo rievocare i momenti salienti: il passaggio dal paradiso di pace e serenità dell’abbazia benedettina svettante tra il verde lussureggiante della natura, all’inferno della distruzione sotto le bombe; il  ritorno in paradiso  con la ricostruzione  dell’edificio e del suo contenuto, dal coro ligneo ai marmi intarsiati e ai mosaici, fino ai grandi dipinti  di Annigoni collocati al posto di quelli di Luca Giordano distrutti.

Ecco lo drammatica cadenza dei fatti scandita dagli appunti dello studente Carotenuto che vi assistette dalla collina di San Michele:  “15 febbraio 1944, bombardamento di Montecassino, ore 9,20 – 9,35 – 9,50 – 10,50 – 11,10 – 13,10 – 13,20 (a formazioni di 36)  fortezze volanti 142 e bombardieri medi 112”.  Dopo un mese, il 15 marzo, sul  bombardamento di Cassino,  annota:  “Un ufficiale inglese, amico, mi conferma  che hanno partecipato al bombardamento 1500 aerei sganciando oltre 2500 tonnellate di esplosivo. Subito dopo la fine del bombardamento inizia un terrificante fuoco d’artiglieria che investe la città, la montagna di Montecassino e le zone circostanti”.  L’abbazia  sotto le bombe sembrava   un vulcano in eruzione, dopo il bombardamento  sembrava uno scheletro umano proteso verso il cielo; l’intero abitato di Cassino fu raso al suolo.

L’abbazia aveva subito altre distruzioni, anche se parziali, per opera dei Longobardi nel 577  che si accanirono sul preesistente oratorio di San Giovanni Battista, e  dei Saraceni nell’883  allorché l’oratorio era stato trasformato in una chiesa a tre navate, fino al terremoto del 1349  seguito dalla ricostruzione sei-settecentesca che ha portato all’imponente struttura definitiva.

E’ diventata così un paradiso, non solo di pace e serenità nel verde della natura e nell’abbraccio della fede; ma anche di cultura e di arte, perché il cenobio benedettino ha svolto un ruolo culturale.  

L’ “Inferno a Cassino”, per citare il titolo di un  libro scritto da un ufficiale americano dopo essere tornato sui luoghi della battaglia, è sintetizzato nelle parole dello studente Carotenuto che abbiamo riportato; il ritorno al paradiso è nella pronta ricostruzione per opera dello Stato italiano, senza quei contributi internazionali che sarebbero stati doverosi come riparazioni di un vero crimine di guerra.

 Detto questo, l’opera “Un petalo viola su un pavimento di cemento”  ci porta a rievocare quello che ci viene da definire un “Fiore di roccia” citando il titolo di un premio letterario dell’Associazione Manna: un evento altamente positivo spuntato nel mare di aberrazioni da tutte le parti in campo: perché così vanno qualificate scelte  come il fronte a Cassino e il bombardamento dell’abbazia.

Il fiore di roccia, cioè “Un petalo viola su un pavimento di cemento”,  è stato il salvataggio dei tesori d’arte  e di cultura  ad opera dei tedeschi,  prima del bombardamento ad opera degli americani. Una storia vera  alla rovescia:   i “cattivi”  sono diventati i “buoni”,  nel ruolo dei  benefici salvatori; i “buoni”  sono diventati i “cattivi”, nel ruolo degli spietati distruttori; tra questi  i  frati di Montecassino, inermi e lasciati soli, che da “vasi di coccio” si sono rivelati più resistenti dei “vasi di ferro”  intorno a loro.

E’ una vicenda appassionante, raccontata nel “diario di guerra” di quei giorni, di don Eusebio Grossetti – giovane frate morto alla vigilia del bombardamento – ritrovato quasi integro tra le macerie come furono trovate intatte la cella e la tomba di San Benedetto, eventi miracolosi culminati nel salvataggio dei monaci usciti  illesi; e dal diario  di un protagonista,  don Martino Matronola,  pubblicato dai monaci di Montecassino nel 1980, alle sue nozze d’oro con il sacerdozio.

“Un petalo viola sul pavimento di cemento”:  il salvataggio dei tesori d’arte e cultura

Queste testimonianze vive di cinque mesi drammatici  consentono di ricostruire la mutazione dei “cattivi” in “buoni” , e dei “vasi di coccio” in “vasi di ferro”:  “buoni”  diventarono i  tedeschi che chiesero di evacuare il patrimonio d’arte e cultura  per salvarlo da  eventuali bombardamenti, che però erano ritenuti così improbabili per le assicurazioni fornite dai belligeranti, da far sospettare intenti predatori;  “vasi di ferro” diventarono i frati cassinesi che, superando i gravi dubbi sulle vere intenzioni  dei “salvatori”  – erano della famigerata brigata Goering, specialista nel portare a Berlino le opere d’arte rastrellate -. decisero di assecondare l’evacuazione, controllando  il materiale prezioso nella lunga fase di imballaggio, e  imponendo due monaci di scorta per ogni  autocarro  che lo portava  a Roma. E quando ci fu la sospetta deviazione verso Spoleto del materiale dello Stato italiano nonostante l’opposizione dei frati, questi  riuscirono a mobilitare  l’opinione pubblica internazionale costringendo i  tedeschi  a riprendere la via per Roma  vestendo gli abiti dei salvatori.

La registrazione del materiale fu minuziosa,  si vede dalla precisione della lista fornita da don Matronola a don Leccisotti  mandato a Roma per controllare l’arrivo del materiale in Vaticano. Le  casse della Biblioteca monumentale dello Stato italiano erano 240, quelle dell’Archivio nazionale 154, della biblioteca privata del  Monastero 275,  più diecine di capsule e codici, corali e pergamene, quadri e reliquie; inoltre 187 casse del Museo di Napoli con il Tesoro di San Gennaro, e la preziosa raccolta del Museo numismatico di Siracusa,  che erano state nascoste nell’abbazia per proteggerle dai tedeschi e dai rifugiati all’interno, senza che nessuno  sapesse il contenuto degli imballi. Ha scritto don Matronola:  “Due o tre monaci diversi furono messi al corrente dell’uno o dell’altro ripostiglio, ma nessuno sapeva ciò che vi era riposto; io solo ne avevo l’elenco completo”.

Sulla reale intenzione dei tedeschi restano molti dubbi, avvalorati anche dalla “deviazione” verso Spoleto, dove erano stati inviati da Goering degli esperti per scegliere le opere più pregiate; il  colonnello Schlegel, che ne fu protagonista, nel suo memoriale “Il mio rischio a Montecassino” , se ne attribuisce il merito per amore dell’arte e della cultura, ma l’appartenenza alla divisione Goering lo rende sospetto; mentre l’altro protagonista,  il capitano Becker, si attribuisce il merito di aver vigilato su Schlegel  e anche sui vertici della divisione Goering –  Bobrowski, Jacobi fino al generale Conrad –  dei quali temeva gli intendi predatori, per  scongiurare che  le opere d’arte fossero asportate o  trattenute con il pretesto di  compensare l’opera di salvataggio.

I tedeschi fecero buon viso al cattivo gioco dell’amplificazione mediatica che, se chiudeva ogni possibilità di appropriarsi dei tesori di Montecassino, dava loro agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, l’immagine dei salvatori dell’arte e della cultura dalle dissennate distruzioni del nemico.

Il diario di don Leccisotti,  che trovò la strada giusta nei  palazzi vaticani e nei ministeri italiani per trovare un rifugio sicuro alla massa di prezioso materiale in arrivo da Montecassino, contiene parole risolutive al riguardo: ” Lo Schlegel successivamente attribuì a sé tutta l’iniziativa di questo sgombero e quindi del salvataggio dell’Archivio e della Biblioteca. Pare invece più verosimile quanto sostiene il capitano Becker”.  Più che di una conversione  dei tedeschi ai valori dell’arte e della cultura, si trattò di fare di necessità virtù, a parte il comportamento esemplare  di Becker.

L’epilogo tragico ed eroico

Il 12 novembre 1943 terminò lo sgombero delle opere d’arte e della cultura, e  il maggior numero di frati e suore lasciarono l’abbazia.  Rimasero  dodici religiosi di cui vogliamo ricordare i nomi, in questa giornata  di riapertura del “Percorso della battaglia”  nella quale oltre all’eroismo delle tante vittime va evocato l’eroismo pacifico della pattuglia di monaci che vollero restare nell’abbazia.  Sono l’abate Diamare e fra Pelagalli di 80 anni,; don Matronola, don Graziosi e don Tardone di 40 anni; don Grossetti e don Saccomanno  di 33anni; fra Zaccaria e fra Ciaraldi di 30 anni; fra Colella di 24 anni;  don Falconio del clero secolare e Cianci, oblato.

La loro permanenza ebbe una importante funzione: preservare l’abbazia dall’utilizzazione militare con una fascia  di salvaguardia di 300 metri del tutto smilitarizzata, ed evitare che fossero  presa come postazione di avvistamento nel punto più alto  come volevano i tedeschi. Il clima instaurato con le autorità tedesche consentì ai frati questo miracolo, anche se tutto fu inutile.

Il 13 febbraio 1044 morì don Eusebio Grossetti per una malattia provocata dagli stenti; la quinta armata americana lancia dei volantini, in un ultimatum così commentato  nel diario di don Matronola: “Il nostro cuore è pieno di sgomento nel leggere tale volantino lanciato dai… Liberatori. Anch’essi hanno gettato giù la maschera”. Il giorno dopo, all’inizio del bombardamento,  scrive:   “E’ un inferno. Il più crudele generale non si sarebbe accanito con tanto furore contro la più formidabile fortezza, quanto si sono accaniti in questi giorni gli anglo-americani contro un luogo così santo… moriremo avvinghiati all’altare”.

Termina il bombardamento, mentre crepitano ancora le raffiche di  artiglieria, i nove monaci e i due secolari sopravvissuti escono  tra le rovine in processione con in testa il grande Crocefisso di legno della Stanza dei vescovi;  e i soldati, scrive ancora  Matronola nel suo diario,  “a vedere questo strano corteo preceduto dalla Croce di Cristo sulla linea del fuoco rimangono stupiti e forse commossi”.  Il pensiero torna al Cristianesimo delle origini,  con le profanazioni dei barbari e gli eroismi dei martiri,   fino ai trionfi della fede, come quello vissuto a Montecassino.

Da quel 15 febbraio 1944  sono trascorsi 66 anni. Nella  cronaca della riapertura del “Percorso della Battaglia” abbiamo voluto rievocare anche questo percorso di fede concluso nel trionfo della pace . Perché la conoscenza della storia, come ha detto Zingaretti, non basta: deve essere accompagnata dalla memoria. E nella memoria sono scolpite  in modo indelebile queste immagini, che aiutano a non dimenticare.

Info

Montecassino,  il “Percorso della Battaglia”, dal Cimitero polacco alla Stele in pietra  sul Monte Calvario a “quota 583”,  è riaperto al pubblico da luglio a ottobre, la seconda e quarta domenica del mese, dietro prenotazione di visita gratuita con  le guide di Cassino turismo (www.cassinoturismo.com, info@cassinoturismo.com, tel. 0776.26766) e dell’associazione “Linea Gustav” (www.gustavline.it, info@gustavline.it, tel. 06.23320715).  Sul bombardamento e sulle vicende  che hanno portato al salvataggio delle opere d’arte e di cultura prima della distruzione dell’abbazia, e sul Tesoro di Napoli salvato con l’evacuazione dall’abbazia,  cfr. i nostri articoli:  in cultura.inabruzzo.it, “Il bombardamento di Montecassino” , 15 febbraio 2009, nel 65° anniversario; nel mensile  “Realtà del Mezzogiorno”, “Dal paradiso all’inferno e ritorno”, febbraio 1984, nel 40° anniversario;  in questo sito, “San Gennaro, la mostra del Tesoro alla Fondazione Roma”,  20 gennaio 2014.

Foto

Le immagini sono state riprese a Montecassino da Romano Maria Levante nel giorno di riapertura del “Percorso della Battaglia”, ad eccezione di quella dell’abbazia dopo il bombardamento, tratta da “blog.ilgiornale.it”, che si ringrazia.  In apertura, l’abbazia di Montecassino vista dal Cimitero polacco; seguono, la visita delle autorità al Museo Memoriale polacco, e un particolare della parete circolare del  Museo  rievocativa della battaglia del 2° Corpo d’Armata; poi due immagini del Cimitero polacco; quindi, particolari delle due opere d’arte inaugurate, “Favi di miele” di Simone Cametti, e “Un petalo viola su un pavimento di cemento” di Alessandro Piangiatore; inoltre, l’immagine terrificante dell’abbazia dopo il bombardamento distruttivo del 15 febbraio 1944 e  l’immagine spettacolare dell’abbazia ricostruita com’era,  ripresa come le altre il 2 luglio 2015 dal Monte Calvario; in chiusura la grande Stele commemorativa in pietra dei Caduti polacchi a “quota 593” sul Monte Calvario, dove termina il “Percorso della Battaglia” e dove si è conclusa la cerimonia del 2 luglio.