Bagliori di Hanji, capolavori di carta tra le luci, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Al Vittoriano dal 22 novembre 2015 al 17 gennaio 2016, lato Ara Coeli,  la mostra “Bagliori di Hanji – installazioni luminose e altri capolavori in carta tradizionale coreana Hanji”.  E’promossa dall’Ambasciata della Repubblica della Corea del Sud a Roma, con il patrocinio della Provincia coreana di Gyeonggi, il contributo della Yewon Arts University, dove si tengono corsi sulla fabbricazione a mano della carta, e del Laboratorio artigiano Jangjibang.  Realizzata da  “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con un allestimento nella Sala Zanardelli. All’inaugurazione una performance  di musica tradizionale coreana con strumenti caratteristici. Dopo la sfilata di 20 paesi per “Roma verso Expo” con questa mostra ci viene presentato un altro paese, la Corea del Sud, attraverso la sua carta tradizionale che diventa arte.   

Confessiamo di aver letto il titolo in un primo momento come “bagliori di Hanoi”,  e di essere stati sopraffatti da altre immagini impresse nella memoria della nostra generazione:  quelle della sanguinosa guerra tra le due Coree con l’intervento degli Stati Uniti, i Vietcong contro i Vietminh, oltre il 38° parallelo, il sentiero di Ho Chi Min, il  comandante il cui nome è stato dato a Saigon, conquistata dopo  un conflitto epocale.

Nulla di tutto ciò nella mostra il cui titolo è assonante, peraltro si tratta della Corea del Sud,  si riferisce alla pregiata carta “Hanaj”, che evoca proprio l’opposto:  la delicatezza invece della violenza, l’eleganza invece della brutalità, la cultura invece delle armi, la pace invece della guerra.

E non possiamo negare di essere rimasti colpiti da una immagine della Corea così diversa da quella sedimentata nella memoria, diffusa anche da film crudi e coinvolgenti come “Il cacciatore”. La violenza inumana contro i prigionieri di guerra e la drammatica fine di Saigon sono impressi  nella memoria  e nell’inconscio dello spettatore e questa mostra ha il merito di diffondere un’altra immagine, che è quella della tradizione coreana, laboriosa e pacifica, senza i bagliori di guerra, anche se l’atomica della Corea del Nord, fino alla bomba all’idrogeno alimenta nuovi timori.

Con questo spirito partecipiamo alla serata coreana nella quale l’inaugurazione della mostra viene accompagnata da un programma musicale di melodie tradizionali e danza che fa entrare nell’atmosfera. Con il “Sanjo”  la combinazione di melodia e ritmo avviene nelle modulazioni  dettate dal maestro Han Gapduk che ne rappresentano la reinterpretazione creativa .

La performance di musiche tradizionali coreane

Il  “Cheon-nyun Manse”  viene presentato come “tradizionalmente eseguito dagli Aristocratici della dinastia Chosun sperando nella longevità di centinaia e migliaia di anni”, una speranza che accomuna qualsiasi civiltà  nello sguardo verso il futuro.

Dal  suono degli aristocratici alle tre canzoni popolari, Jindo Arirang, SeonjjuPulyi e Namwon Sanseong che esprimono  sentimenti nei quali si riflettono le emozioni della gente comune.

Le modulazioni e i suoni sono diversi da quelli che siamo soliti ascoltare, perché vengono da strumenti speciali portati dalla tradizione.

C’è lo strumento a corda ritenuto il più adatto a rendere i costumi tradizionali coreani,  inusuale nell’altezza dei  ponti che reggono le corde e nella forma del peltro, si tratta del  “Geomungo”; a corda anche l’Haegeum, utilizzato per i riti regali ancestrali, con due sole corde ha una vasta gamma di tonalità, dal malinconico e triste all’armonioso e  allegro.

A fiato il. Dageum, un flauto traverso di bambù marini dell’Est, che ha un tono unico chiaro e un timbro dinamico, la leggenda vuole che al suono si ritirasse il nemico e si arrestassero le calamità.

Completa l’orchestra il tamburo, lo Janggo, a forma di clessidra, il più utilizzato per la musica tradizionale con la caratteristica che i due lati danno suoni diversi nella tonalità e nel timbro; la raffinatezza orientale li fa suonare insieme per riprodurre l’armonia tra l’uomo e la donna.

Nella sala del Vittoriano sono risuonate queste melodie preparando a  un’esposizione molto particolare, anche rispetto alle tante mostre etniche viste nel  programma  “Roma verso Expo”.

Le opere con la carta Hanji nel corridoio di luci

Protagonista assoluta è la carta coreana Hanji, fabbricata a  mano secondo i dettami di una tradizione millenaria, lavorando la corteccia del dak, detto il “gelso della carta”; una carta morbida e resistente, malleabile e permeabile, igroscopica e resistente alle tarme.

Le sue caratteristiche  la rendono molto adatta ai delicati lavori di restauro di antichi testi, ai quali era destinata nell’antichità per lavori riservati alla  classe nobile e ai monaci dei templi buddisti.  Gli scarti di carta non venivano dispersi essendo materiale pregiato,  le strisce erano utilizzate per i manufatti definiti Jiseung, dal metodo di lavoro considerato anche una disciplina mentale perché richiedeva concentrazione per un periodo prolungato.. Con l’estensione dell’impiego alla gente comune e i procedimenti di laccatura che rinforzavano  la carta furono realizzati oggetti di uso quotidiano: oggetti e piccoli manufatti artigianali, articoli di abbigliamento ed elementi di arredo,.

Nel lungo salone del primo livello vediamo  oggetti molto particolari  al centro,  mentre nelle pareti ci sono le carte finemente elaborate  tra installazioni luminose che creano un corridoio di luci. La formula è “convergenza e coesistenza”, carta tradizionale in forma contemporanea.

Gli oggetti rappresentano soprattutto cavalli per lo più bianchi di diverse dimensioni e in varie pose, bambole di cui è autrice Ryu Kwi Hwa. La  “parete artistica”  è formata da elaborazioni geometriche ispirate a motivi tradizionali e a decorazioni moderne sulla carta Hanij,  intervallate dalle colonne di luce, l’artista è Cha Jong Son, che intende  trasmettere il bisogno di comunicazione tra la natura e l’essere umano, per questo ha dato alla parete-installazione il titolo “riposo”.  

Così  anche la  serie di piccole sculture dalla superficie dorata è  all’insegna della “convivenza-unità”, sono dell’artista coreano tradizionale  Lee Choul Gyu il quale afferma: “Nelle mie opere risulta evidente che la scelta dell’oro come materia prima è principalmente dovuta  alla capacità di tale materiale di conferire un senso di luminosità che simboleggia la relazione di ‘coesistenza’ e ‘coabitazione’ tra l’artista  e la gente comune, i soggetti e gli oggetti, l’uomo e la natura”.  Infatti nelle sue opere si trovano esseri umani e animali, fiori e uccelli, le montagne e il sole.  

In fondo al salone l’area degli Hanaji-soban, recipienti circolari con disegni geometrici sul coperchio che sono considerati tavolini portatili da pranzo simili ai vassoi. E’ una tradizione di 5000 anni, sono utilizzati per ricevere ospiti importanti come manifestazione della  posizione sociale.

Dagli oggetti di uso comune al clou della dimostrazione visiva

Al  livello superiore del percorso espositivo colpisce subito la lunga tavolata coperta di sacchetti sospesi anche in alto, una sorta di installazione virtuale molto spettacolare.

Nelle vetrine sono esposti sciarpe e casacche traforate,  otri e vassoi, mentre a terra vediamo deipezzi di  mobilio realizzati con strati sovrapposti di carta, anche dieci, e cerniere di ferro,  ornati da linee tradizionali  che riportano alla storia del paese: in particolare due cassettiere, a due e tre  cassetti, decorate con motivi di rami e piante rampicanti, con sportelli a cerniera, e una cassapanca rossa: sono indicati i nomi delle artiste artigiane, Kim Mi-jin, e Song Mi Ryong.

La mostra non finisce nel lungo corridoio del livello superiore, che da un lato termina con una sorta di installazione luminosa. Perché dall’altro lato si intravvede un telaio in legno nel quale un artigiano coreano è impegnato nel produrre carta Hanaji, processo spiegato nel pannello illustrativo ma che  abbiamo il privilegio di vedere messo in atto dal figlio d’arte di un protagonista.

Si tratta di Jang Seong, il cui padre lasciò la terra natale per Gapyong, nel Gyeoggi , ideale per coltivare l’albero da cui si trae la materia prima, dove aprì un laboratorio chiamato Jangibang, nel quale produceva  carta utilizzata inizialmente per riparare antichi libri, poi per realizzare oggetti di uso comune nell’estensione dell’impiego  cui abbiamo già accennato.

Lo vediamo compiere sotto i nostri occhi gesti antichi di una tradizione millenaria sul telaio d’epoca senza supporti elettrici o ergonomici di alcun tipo; la carta Hanaji si ottiene partendo da una soluzione alcalina stabilizzata per alcune ore, passando attraverso il coagulo cellulosico cui segue la compressione in strati fino alla distesa su un piano ligneo e l’essiccazione finale.

E’  una bella dimostrazione dell’antica produzione di questa carta speciale che mantiene ancora oggi un proprio spazio come corollario di un’altrettanto bella esposizione dei prodotti che si ottengono, dalle fini decorazioni, ai recipienti e sacchetti, fino ai sorprendenti pezzi di mobilio. La Cina è vicina, si diceva una volta;  oggi, al Vittoriano, è la Corea ad essere vicina: non le ombre inquietanti dell’atomica della Corea del nord,  ma le luci e i decori delicati della carta della Corea del sud.

Info

Complesso del Vittoriano, sala Zanardelli, piazza Ara Coeli.  Tutti i giorni apertura ore 9,30, chiusura da lunedì a giovedì ore 18,30, da venerdì a domenica ore 19,30, entrata fino  a 45 minuti dalla chiusra. Ingresso gratuito. Tel. 06.6780664, www.comunicareorganizzando.it   Per le mostre citate di presentazioni dei 20 paesi nel programma “Roma verso Expo”  cfr., in questo sito,  i nostri articoli: nel 2015, 16  ottobre, 22 settembre, 3 e 7 luglio, 28 aprile, 25 marzo, 7 e 22 febbraio, 14 gennaio;  2014, 9 dicembre e 8 novembre.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano alla presentazione della mostra, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti, in particolare il laboratorio Jangjibang e  Jang Seong che ha accettato di farsi ritrarre.  In apertura, di  Ryu Kwi Hwa, cavallini neri di carta hanji; seguono, la prima galleria con al centro le bambole e i cavallini di Ryu Kwi Hwa incarta hanji, e un particolare della “parete artistica”  di Cha Jong Son in carta hanji; poi, Lee Choul Gyw, statuette dorate in carta hanji, e “Hanaji-soban”,  vassoi tradizionaliin carta hanji; quindi, la galleria  al piano superiore, con i caratteristici sacchetti in carta hanji, e, di Kim Mi-jin e Song Mi Ryong, due cassettiere a 2 e 3 cassetti in carta hanji a più strati; infine, Jang Seong al telaio mentre mostra come nasce la carta hanji; in chiusura, la galleria  iniziale con le “colonne luminose”  nelle “pareti artistiche” con i decori in carta hanji.