di Romano Maria Levante
Al Vittoriano, lato Fori Imperiali, dal 24 febnbraio al 23 marzo 2016 la la mostra “Tinto Brass, uno sguardo libero”, espone manifesti, foto di scena e altri materiali che consentonop di ripercorrere la carriera artistica del regista che ha diretto 26 film lungo 46 anni in due fasi; nel ventennio 1963-83 13 film di denuncia degli abusi del potere e di ribellione, nei 26 anni successivi, dal 1983 al 2009 13 film disinibiti sempre all’insegna della liberazione, che lo hanno fatto definiore “maestro dell’erotismo”. La mostra, con il patrocinio di Roma Capitale, è realizzata da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, in collaborazione con l’Istituto Luce-Cinecittà, Rai Teche e Acea. E’ a cura di Caterina Varzi che ha curato anche il Catalogo di Gangemi Editore con Andrea De Stefani.
E’ una mostra che fa scoprire il valore in parte nascosto di un regista divenuto il “maestro dell’erotismo”, come è generalmente noto, dopo un percorso artistico ad alto livello coerente con i suoi principi e le sue convinzioni profonde e coraggiose legate al concetto della libertà espressiva e di vita.
La svolta dell’erotismo è stata lo sfogo in senso libertario contro una società conformista e paludata che aveva chiuso gli spazi di ribellione nei quali aveva creduto. Ecco le sue parole: “La vita è semplice ma complicata dalla paura che le persone hanno della libertà”. Perché la scelta del sesso? “La libertà di un uomo si evince principalmente dal rapporto che ha con la propria sessualità”.
Nel suo percorso artistico hanno avuto notevole influsso elementi peculiari che vanno individuati nella sua vita, come lui stesso rivela: “La mia vita è stata l’essenza del mio cinema. Tutti i miei film e tutte le mie ossessioni: questo sono io”. Per questo la mostra procede cronologicamente dall’infanzia e adolescenza alla maturità e tematicamente dal cinema sperimentale fino al cinema erotico; ne dà documentazione l’accurata ricostruzione che ne fa nel Catalogo Caterina Varzi, curatrice della mostra e non solo.
Ripercorriamo questo itinerario attraverso la ricostruzione della Varzi e seguendo le immagini della mostra corredate da documenti, quali sceneggiature di film, lettere a scrittori – molti suoi film sono tratti da romanzi – articoli della stampa che fanno rivivere il clima nel quale si è svolta la sua attività; vi sono anche i suoi strumenti di cineasta, come la moviola nella quale si impegnava personalmente per l’importanza decisiva che dava al montaggio, e degli scorci suggestivi dei suoi ambienti di lavoro più raccolti. Cominciamo il nostro viaggio dalla sua città e dalla sua famiglia che hanno inciso molto su di lui, per poi passare in rassegna i film, di cui vediamo allineati su una parete i manifesti.
La sua città e la sua famiglia
E’ nato a Milano, ma la città di adozione è Venezia, dove la sua famiglia si trasferì subito dopo la sua nascita, alla quale lui stesso dice di “essere incatenato alla città come da un vincolo matrimoniale”. Questo si rifletterà nella sua cinematografia, che travestirà “di volta in volta sotto le maschere dell’ironia, dello sberleffo o della provocazione”, prosegue, aggiungendo: “Ma sempre nel segno dell’eleganza di Venezia, della sua raffinata bellezza e del suo ilare e disincantato dialetto”.
L’infanzia vissuta nell’incomprensione dei genitori – nelle foto esposte lo vediamo bambino con il padre in barca e con la madre in campagna – questo lo ha avvicinato ai nonni, la nonna Lina gli ha insegnato quattro lingue, il nonne Italico, pittore, lo ha avvicinato all’arte; vedendolo sempre disegnare un giorno disse, “abbiamo un piccolo Tintoretto in casa”, da allora invece di usare il suo nome Giovanni lo chiamarono Tinto, il nonno aveva raccolto una collezione di Tintoretto, oltre che di Tiziano, nella galleria dove dipingeva, l ‘Abbazia della Misericordia. Nell’adolescenza peggiorarono i rapporti con il padre, la cui durezza da vice prefetto e severità nell’esigere il rispetto delle regole configgeva con il suo spirito libertario, al punto che lo cacciò di casa. “Avevo diciassette anni – ricorda – Provavo una forte rabbia ma non per questo ero disperato”. E direttamente sul genitore: “Quando ti rendi conto di pietre fare le stesse cose di tuo padre con le donne, metti in discussione la sua autorità e il tuo rapporto con lui diventa paritario”, il sesso comincia ad essere un simbolo di libertà.
Negli anni liceali si interesse alla fotografia e si appassiona al cinema sogna di realizzare i film che vede, frequenta il Circolo del cinema Pasinetti mentre entra in conflitto con le autorità scolastiche; conosce Carla Cipriani, che sposa nel 1957 e alla quale resta legato per tutta la vita, in una vera simbiosi espressa anche nel nome come il suo con cui lei sarà sempre chiamata: “Tinta mi ha dato cinquant’anni di felicità. Era il parafulmine della mia esistenza, il cancellino dei miei dubbi, il pozzo delle mie certezze, l’allucinogeno dei miei sogni, il fiammifero della mia lussuria”. Torna il sesso unita a tanta dolcezza e amore. Hanno avuto due figli, Bonifacio e Beatrice, che sorridono con lui in una bella immagine da adulti.
La formazione e gli inizi
Si laurea in Giurisprudenza nell’anno del matrimonio, ma il richiamo del cinema lo porta prima a lavorare all’ufficio stampa della Mostra d’arte cinematografica di Venezia, poi alla Cinèmathèque Francais a Parigi come archivista e proiezionista. Lì conosce dei giovani francesi amanti del cinema, tra cui Francois Truffault, Jean-Luc Godart, Claude Chabrol, ne segue le visioni degli stessi film, da loro nascerà la Nouvelle Vague, e realizza “Spatiodynamisme”, sua prima ripresa filmica, poi assiste Joris Ivens al montaggio di un documentario su Chagall e Roberto Rossellini nel montaggio del documentario “L’India vista da Rossellini”, mentre lavora ancora nella cineteca: “Quello fu un inverno memorabile. L’India era per Rossellini la terra in cui il sacro coincideva con il profano. Nella fase di montaggio nacquero episodi di forte intensità poetica”.
Fu per lui molto istruttivo: “Da quel maestro di vita e di cinema ho tratto l’insegnamento che la macchina non può essere un ostacolo, può essere posizionata in qualunque punto della scena”. Tanto che, lo dichiara lui stesso, shs girato tutti i suoi film utilizzando tre macchine collocate in posizioni diverse in modo da avere una molteplicità di immagini tra le quali scegliere componendo le tessere del mosaico nel montaggio che esegue lui stesso alla moviola. “Il montaggio imprime alla pellicola il mio stile personalissimo, osserva, ho bisogno di un contatto manuale e sensuale con la pellicola, perciò ancora oggi utilizzo la moviola”. Non firmo la regia se non posso montare il film, come accaduto in passato con ‘Caligola’”. Vediamo nella mostra una delle sue moviole esposte e ricostruzioni suggestive di angoli di lavoro con la sua figura e le pizze delle riprese da sbobinare.
Nel 1959 il primo lavoro da assistente alla regia del film “La prima notte” di Alberto Cavalcanti, seguito dal più importante ruolo di assistenza a Roberto Rossellini nel “Generale Della Rovere”, in mostra c’è una fotografia che lo vede giovane sul seti vicino al maestro, è il 1059, ha 26 anni; sempre nel 1959 partecipa a “L’Italia non è un paese povero”, un film per la televisione commissionato ad Ivens da Enrico Mattei per sostenere l’importanza della metanizzazione per lo sviluppo del paese; furono imposti tagli per correggere l’immagine data di Ferrandina in Lucania, lui sottrae la copia originale, salvanfo così l’edizione integrale. E’ esposta una sua foto in primo piano sul set del film con l’occhio incollato alla macchina da presa e Ivens dietro di lui.
Il cinema sperimentale e di denuncia
Comincia la carrellata della sua vasta produzione cinematografica, vediamo i manifesti di 27 film esposti in una successione spettacolare, dopo la sequenza di molte fotografie di scena. Nel parlare dei film citeremo manifesti e fotografie con i relativi autori, per l’importanza che il regista dà all’immagine e alla forma ritenuta prevalente sullo stesso contenuto.
La sua opera prima presentata al Festival di Venezia del 1963 è “Chi lavora è perduto”, tra agli altri Tino Buazzelli, una commedia amara sull’alienazione del lavoro, gli emarginati e gli sconfitti, tema ricorrente, ma c’è anche il riflesso della contestazione al rigore paterno, la censura la ritiene contraria alla famiglia, alla morale e alla patria e impone tagli e divieti ai minori di 18 anni. Nel manifesto l’abbraccio dei protagonisti è contornato da scene di disagio e ribellione. E’ esposta anche una fotografia di scena di Franco Giacometti con il regista sul set in una spiaggia affollata.
Segue nel 1964 “Ca ira, il fiume della rivolta” sulle rivoluzioni del ‘900, si basa sui fatti e non cerca di forzarli per ragioni ideologiche, anzi nella realizzazione fa una scoperta: “Mi accorgevo come la Storia smentisse il rigore delle ideologie, anche quelle dell’ideologia meno compromessa e sconfessata, l’ideologia marxista”, seguirà la lenta consapevolezza che non è questa la via per la liberazione per cui la ricercherà nell’erotismo, l’approdo libertario cui perverrà il suo cinema.
Di qui una serie di film sempre nel 1964, “L’uccellino e l’automobile” e “Il Disco volante” basato su “Un marziano a Roma” di Flaiano, entrambi prodotti da Dino De Laurentiis, con Alberto Sordi e Silvana Mangano, nel secondo anche Eleonora Rossi Drago e Monica Vitti; nonché i cortometraggi “Tempo libero” e “Tempo lavorativo”, ancora sul lavoro, precisamente sull’integrazione sociale. Una foto di scena lo ritrae con il megavfono in mano e Sordi al suo fianco in divisa sul sett di “Disco volante”.
Invece con “Yankee” , nel 1966 realizza un western con Philippe Leroy e Adolfo Celi, in un linguaggio innovativo da Pop Art. Nel manifesto la figura statuaria del protagonista si staglia su uno scenario metafisico, una grande pianura abbacinata dal sole e in fondo un edificio con un’arcata; è esposta anche una foto di scena di Enrico Appetito con i protagonisti. .
Il suo stile diverso rispetto a quello usuale e i contenuti di denuncia e ribellione lo rendono sorvegliato speciale della censura per motivi differenti ma non meno forti del cinema erotico di molti anni dopo.
Dal 1967 al 1972 realizza a Londra quattro film. “Col cuore in gola”, 1967, con Jean Louis Trintignant ed Ewa Aulin, utilizza il linguaggio dei fumetti e si serve delle tavole disegnate da Guido Crepax, il creatore della celebre Valentina, sono alcune diecine, esposte lungo una parete della mostra: le immagini soco scomposte in vignette più piccole per analizzarne i particolari. Sono disegni icastici, con riquadri e indicazioni scenografiche essenziali in una galleria artistica d’eccezione, mentre nel manifesto spiccano i due volti dei protagonisti, e il tema del film è completato dalle due figure che corrono “con il cuore in gola”. Due le foto di scena esposte: il regista mentre prende con le mano destra il volto della Aulin per orientarne l’espressione e mentre fotografa sul set il protagonista Trintignant .
In “Nerosubianco”, 1968, con Anita Sanders, Terry Carter e Nello Segurini, appare l’erotismo anche nel titolo, come mezzo di liberazione dopo che le fantasie evocate da un incontro con un uomo di colore seducente sono state represse all’inizio nella giovane donna sposata da ansie, paure e sensi di colpa. Nel bel manifesto c’è l’abbraccio della donna bianchissima con un’ombra scura, mentre in una foto di scena di Luigi Crescenzi c’è il regista che verifica la posa della Sanders.
Dello stesso anno “L’Urlo”, con Tina Aumont, Gigi Proietti e Tino Scotti, un’utopia rivoluzionaria per una ripresa vitale bloccata per quattro anni dalla censura che lo riteneva contrario alla morale e al buon costume per i suoi nudi, quando uscì nel 1972 non c’era più il clima della contestazione sessantottina. Nel manifesto la donna che urla stretta da due mani misteriose ha la forza disperata del quadro di Munch. Le foto di scena di Enzo Falessi mostrano Proietti scherzoso mentre la Aumont è affranta, in un’altra foto è ripresa tra i veli dell’abito bianco con il regista che la istruisce. C’è anche un’immagine, sempre sul set di “L’Urlo”, con la moglie Tinta che lo assisteva nei suoi film svolgendo, tra li altri, ruoli di segretaria di produzione e di sceneggiatrice.
Nel quarto film londinese, “Dropout”, del 1971, interprete è ancora Gigi Proietti con Franco Nero e Vanessa Redgrave, signora ricca trascinata tra gli emarginati da un emigrato italiano fuggito dal manicomio che le fa apprezzare i piaceri dell’amore e del sesso. Il manifesto ha un manichino quasi dechirichiano, che figura anche in una foto di scena di Angelo Samperi, in una landa desolata e crivellata dove si staglia la figura di lei in piedi in abito bianco e cappello nero mentre lui è chino a terra Un’altra foto di scena vede il primo piano dei due protagonisti in un interno altrettanto desolato.
I due sono di nuovo insieme in “La Vacanza”, girato in Veneto nel 1972, questa volta è lei a uscire dal manicomio e Franco Nero ad aiutarla nel periodo di licenza. Gli attori erano associati a lui regista nella cooperativa di produzione, la distribuzione fu poco efficace e riuscì solo a recuperare le spese, ma “La Vacanza” vinse il Premio della giuria come miglior film italiano a Venezia. Il manifesto è diviso in due, sopra i due in possa scherzosa, sotto in un abbraccio ardente. Quattro le foto di scena di Angelo Saperi esposte, tutte in esterni, in tre i protagonisti sono uniti sempre più strettamente, nella quarta invece, in un ambiente allucinato spicca una grande scritta, altrettanto angosciosa, “Vigilando redimere” , evidentemente della casa di cura psichiatrica.
Si dedica al teatro avendo perduto la fiducia nel cinema ostacolato dalla censura, pensa alle vaste platee degli stadi o di grandi tendoni per farne uno spettacolo popolare non per intellettuali, nel 1974 è il regista della commedia satirica di Roberto Lerici, “Pranzo di famiglia”.
Nel 1975 torna al cinema dopo quattro anni con un’opera dirompente, “Salon Kitty”, interpreti Helmut Berger, Teresa Ann Savoy e Ingrid Thulin, sulle aberrazioni del potere nella Germania nazista espresse rese comprensibili senza pudori né remore attraverso gli abusi e le perversioni sessuali. “Ma l’erotismo che traspare dalla pellicola, osserva Caterina Varzi, non è solo follia, sadismo, depravazione. E’ anche vita. Come Eros è tutte le volte che esplode con la sua forza di sentimento e amore, capace allora di illuminare le coscienze, suscitando in esse coraggio e certezze”. E’ il messaggio che diventerà sempre più esplicito. Nel manifesto la folla de personaggi del film, mentre le foto di scena di Samperi presentano il regista in camicia rigata che dà le istruzioni a Berger e alla Tulin, e Teresa Ann Savoy mentre brinda in giarrettiere a seno nudo.
La censura non manca di infierire sul film, trenta tagli e divieto ai minori di 18 anni, Brass risponde l’anno dopo con “Caligola”, che uscì solo nel 1979 per dissensi con la produzione che gli aveva impedito di fare lui il montaggio, tanto che era indicato soltanto “Riprese dirette da Tinto Brass”; il film fu sequestrato e lui processato per oscenità ma assolto perché non figurava come regista essendo escluso dal montaggio. E’ una nuova metafora storica più lontana nel tempo, in una Roma imperiale barocca e volgare. Così la Varzi: “Brass utilizza in modo corale le comparse e la straordinaria interpretazione di grandi attori, per mantenere sempre un tono di alta levatura artistica, alternando fasi di drammaticità e poesia”. Il cast: Peter O’ Tool e Malcom McDowell, Teresa Ann Savoy e John Gielguld, gli italiani Adriana Asti e Leopoldo Trieste. Con questo intento: “Il sesso violento, il lato grottesco e delirante, la costituzione di scenografie sfarzose facevano parte di un discorso sulla mostruosità del potere, attraverso la storia di un personaggio emblematico. E’ l’eccesso a muovere Caligola, il regista ne visualizza le stravaganze, le follie, Di qui immagini di grande suggestione”. Il manifesto sintetizza con la donna discinta sul triclinio in primo piano e la testa dell’imperatore che gronda sangue sopra una quadriglia di cavalli in galoppo sfrenato. Mentre le foto esposte mostrano scene corali e ravvicinate, oltrre a una significativa immagine con il grande regista Michelangelo Antonioni in visita al set.
Siamo alle ultime due opere di questa fase di sperimentazione e denuncia, la regia teatrale di “L’Uomo di Sabbia”, scritto e interpretato da Riccardo Reim, sulle miserie della famiglia borghese in cui sono vittime i figli più deboli e sensibili, e qui c’è l’eco dell’incomprensione paterna, come quelli sessualmente diversi.
E il film “Action”, 1980, con le sue amare riflessioni dopo l’esperienza e le delusioni di “Caligola”, interpreti ancora Adriana Asti con Luc Merenda e Alberto Lupo, allora divo della televisione. Nel manifesto i protagonisti si guardano negli occhi appoggiati a una pompa di benzina, la foto di scena di Gianfranco Salis è molto più esplicita, squallore all’aperto tra nudi e simboli fallici con uno sfondo altrettanto alienante.
L’erotismo diviene sempre più esplicito, siamo alla vigilia della svolta che si avrà con “La chiave”. Il film cult del 1983 darà avvio alla seconda fase della sua cinematografia, che lo farà definire “il maestro dell’erotismo”. Ne parleremo prossimamente.
Info
Complesso del Vittoriano, Ala Brasini, lato Fori Imperiali, via San Pietro in carcere. Tutti i giorni, 9,30 – 19,30, ingresso gratuito, consentito fino a 45 minuti prima della chiusura. Tel. 06.6780664, www.comunicareorganizzando.it. Catalogo “Tinto Brass. Uno sguardo libero”, a cura di Caterina Varzi con la collaborazione di Andrea De Stefani, Gangemi Editore, febbraio 2016, pp. 128, formato 22 x 24, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il secondo e ultimo articolo uscirà in questo sito il 5 marzo p. v. Per le mostre sugli enti e gli artisti citati cfr. i nostri articoli: in questo sito per la Rai e l’Istituto Luce rispettivamente13 marzo e 24 agosto 2014, Chagall 30 maggio e 12 giugno 2015; “fotografia.guidaconsumatore.it” per. Crepax e “Valentina” 1° luglio 2012 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti in questo sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano alla presentazione della mostra, si ringrazia “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia con i titolari dei diritti, in particolare Tinto Brass, per l’opportunità offerta. In apertura, Tinto Brass alla macchina da presa, foto di Salis; seguono, l’inizio della mostra con immagini della fase di formazione, e la ricostruzione di un suo angolo di lavoro; poi, una sua moviola e una esposizione di documenti e locandine; quindi, una carrellata dello storyboard di Crepax del film “Col cuore in gola” e due immagini ravvicinate dei disegni; inoltre, costumi dei film e una panoramica di foto di scena in bianco e nero dei film del primo periodo, in particolare “La vacanza” , foto di Samperi, e “L’urlo”, di Faletti; infine, manifesti dei film “Col cuore in gola” e “Nerosubiano” , “La vacanza” e “Droupont”, “L’urlo”, “Salon Kitty e “Caligola, una foto di scena, di Tursi, di “Caligola” e foto di scena a colori, di Salis, dei film del secondo periodo,di cui diremo prossimamente, come “Capriccio”, “Snack Bar Budapest” e “Paprika”; in chiusura, Tinto Brass alla presentazione della mostra, alla sua dx Caterina Varzi, alla sua sin M. Lo Foco.