Rosefeldt e Carmelo Bene in due mostre intriganti al Palazzo Esposizioni

di Romano Maria Levante

“Manifesto”  dal 26 febbraio al 22 aprile, e “Il Corpo  della voce” dal 9 aprile al 30 giugno 2019 protagonisti Julian Rosefeldt nella prima, Carmelo Bene nella seconda, presentano due approcci di rottura e in un certo modo rivoluzionari. “Manifesto”, definito “call of action” dall’autore chiama all’azione contro le regole del mondo attuale, motivo di base i manifesti ideologici del ‘900, forma espressiva  13 brevi filmati interpretati dal premio Oscar Cate Blanchett,; “Il corpo della voce”, “esplora la voce tra scienza, teatro e canto”, motivo di base la rottura del legame indissolubile tra il significato della parola e la sua dimensione sonora”, forma espressiva le performances di tre grandi protagonist, oltre a Carmelo Bene, Cathy Barberian e Demetrio Stratos. Collaterali per “Manifesto”  “incontro con Julian Rosefeldt e 4 pomeriggi con suoi video in marzo;  per “Il corpo della voce” visite, incontri, laboratori, e  una Rassegna cinematografica in aprile-maggio di 22 titoli.

“Manifesto” di Julian Rosefeldt

Una breve presentazione dell’autore, nato nel 1965 a Monaco, dove è docente di Digital and Time-based Media all’Accademia di Belle Arti, ha studiato architettura nella città natale e a Barcellona, vive a Berlino dal 2011; la mostra nasce dalla sua attuale presenza all’Accademia Tedesca di Roma a Villa Massimo. Artista di matrice cinematografica vicino alla cultura pop, con formazione storica, è noto per le sue installazioni visive anche in più schermi, come nella mostra attuale, di tipo teatrale con impronta surreale perché utilizza in ambienti di normale quotidianità personaggi che li rendono bizzarri. Le sue opere si trovano in collezioni private e in alcuni dei più grandi musei, dal MoMA, il Museum of Modern Art di New York alla Burger Collection di Hong Kong, dallo Sprengel Museum di Hannover alla Nationalgalerie di Berlino. Attualmente è borsista.

Una breve presentazione dell’autore, nato nel 1965 a Monaco, dove è docente di Digital and Time-based Media all’Accademia di Belle Arti, ha studiato architettura nella città natale e a Barcellona, vive a Berlino dal 2011; la mostra nasce dalla sua attuale presenza all’Accademia Tedesca di Roma a Villa Massimo. Artista di matrice cinematografica vicino alla cultura pop, con formazione storica, è noto per le sue installazioni visive anche in più schermi, come nella mostra attuale, di tipo teatrale con impronta surreale perché utilizza in ambienti di normale quotidianità personaggi che li rendono bizzarri. Le sue opere si trovano in collezioni private e in alcuni dei più grandi musei, dal MoMA, il Museum of Modern Art di New York alla Burger Collection di Hong Kong, dallo Sprengel Museum di Hannover alla Nationalgalerie di Berlino. Attualmente è borsista.

E’ senz’altro suggestiva la messa in scena dei 13 schermi cinematografici nella “Rotonda” del Palazzo, in una oscurità rotta dai bagliori delle immagini che rimbalzano da uno schermo all’altro, ben distanziati  ma sufficientemente vicini per la sintonia corale che esplode in certi momenti.

Si passa dall’uno all’altro trovando sempre Cate Blanchett protagonista di 12 brevi storie – ispirate ciascuna a un gruppo di “manifesti” ideologici – anche se non riconoscibile nelle sue camaleontiche incarnazioni in tanti personaggi diversi, quante sono le denunce-appelli che l’autore rivolge al mondo nelle fiction di 10 minuti e 30 secondi con diverse ambientazioni, significati e intenti: dall’aula scolastica al cimitero, dalla scuola di danza all’inceneritore di rifiuti, dalla ricerca scientifica al brockeraggio, dal management imprenditoriale all’”homeless”, dalla televisione alla esibizione adolescenziale. Tutti personaggi femminili tranne uno, in contrasto con l’origine dei manifesti ispiratori, per lo più di marca maschile, molto diversi al punto che non ci si accorge neppure che sono interpretati dalla stessa bravissima attrice. australiana.

Per la piena comprensione si sente la mancanza dei  sottotitoli al parlato  in un inglese che  rende i filmati poco intellegibili ai non anglofoni, tanto più che la compresenza di altri video non favorisce la concentrazione, Ma ciò ha acuito l’interesse sui “manifesti” d’epoca che sono la base ideologica della creazione artistica, una  sintesi dei quali è stata opportunamente fornita dall’organizzazione.

L’interesse, e la sfida a cui è chiamato il visitatore è di collegare la trama del filmato, scarna ed essenziale, con i rispettivi manifesti ispiratori, ma non trova delle risposte bensì nascono interrogativi, in netto contrasto con la forza, spesso la violenza delle enunciazioni dei manifesti, i cui intenti sono sempre rivoluzionari nell’arte con le avanguardie, e spesso anche nella società.

Non è automatico collegare immagini della quotidianità – anche domestiche e non trasgressive – con gli ardenti proclami sulla necessità di superare il passato, per usare un eufemismo, espressi in un linguaggio aggressivo che rivelava la giovane età degli autori e l’impazienza di rivoluzionare il mondo per ricostruirlo su nuove basi.

Non è automatico collegare immagini della quotidianità – anche domestiche e non trasgressive – con gli ardenti proclami sulla necessità di superare il passato, per usare un eufemismo, espressi in un linguaggio aggressivo che rivelava la giovane età degli autori e l’impazienza di rivoluzionare il mondo per ricostruirlo su nuove basi.

Si tratta di manifesti della prima parte del ‘900, quindi “datati” e precedenti le vere rivoluzioni del progresso tecnologico che ha fatto passi da gigante cambiando radicalmente la vita e sconvolgendo  con la telematica e Internet il mondo delle comunicazioni su scala globale.  Ma il collegamento è più nella citazione che nella rappresentazione, per cui si evitano queste possibili incoerenze. Al riguardo ricordiamo intanto i manifesti novecenteschi con le principali scene dagli stessi ispirate. 

Il manifesto del Futurismo evocato dall’agente di cambio,che declama nella grande sala dove si svolgono le contrattazioni borsistiche, e il manifesto dei Stuazionisti nelle grida del  senzatetto sperduto in uno stabilimento in rovina; il manifesto dell’Architettura negli scorci avveniristici di un inceneritore di rifiuti dove si muove un’operaia nella sua tuta argentata, e il manifesto del Vorticesmo con l’Espressionismo astratto e il Cavaliere azzurro nell’intervento a un party di una manager, amministratore delegato; il manifesto dello Stridentismo e Creazionismo nelle farneticazioni di una punk fuori di sé, e il manifesto dei Suprematisti  con i Costruttivisti nell’azione di una scienziata in un laboratorio di alta tecnologia; il manifesto dl Dadaismo nell’orazione funebre sulla morte e sul nulla; il manifesto dei Surrealisti con gli Spazialisti nella confezione del pupazzo con la propria immagine di una burattinaia; il manifesto della Pop Art nella recita sommessa come una preghiera di una madre intorno al desco familiare, degli intenti trasgressivi   di una artista pop; il manifesto degli Happening, con Flexus e Merz nelle parole rivolte in modo energico da una severa coreografa alle ballerine nelle loro tute argentate; infine il manifesto del Nuovo cinema negli insegnamenti ai suoi scolari di una maestra elementare. Prologo il manifesto dei Comunisti, di Marx ed Engels, una miccia accesa.

Ed ora spigoliamo fior da fiore nei Manifesti del ‘900 con i loro messaggi rivoluzionari che l’artista ha voluto evocare nei 13 filmati per la “chiamata in azione” alla ribellione creatrice di nuova arte.

Il  manifesto del Futurismo (con il Broker), di Filippo Tommaso Marinetti, seguito dal Manifesto dei pittori futuristi di Boccioni e Carrà, Russolo, Balla e Severini, fino all’Antitradizione futurista di Apollinaire: “Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno. Noi vogliamo glorificare la guerra e le belle idee per cui si muore. Esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima…. Noi dobbiamo ispirarci ai miracoli della vita contemporanea, alla ferera rete di velocità che avvolge la terra lanciata a corsa, essa pure, nel circuito della sua orbita… Distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il formalismo accademico. Noi vogliamo liberare l’Italia dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.  Volete dunque sprecare tutte le vostre forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscire fatalmente, esausti, diminuiti e calpesti?”.

Il manifesta dei Situazionisti (con il senzacasa),di Guy Debord,con Lucio Fontana e il suo “Manifesto bianco”,  “Noi continuiamo l’evoluzione dell’arte. Le idee non si rifiutano, si trovano in germe nella società, poi i pensatori e gli artisti le esprimono… Il vecchio mondo sta morendo, un altro sta nascendo… La crisi generale del capitalismo si riflette nella sua cultura… L’arte moderna, soffrendo di una tendenza permanente verso tutto ciò che è costruttivo e di un’ossessione di obiettività , rimane isolata e  impotente in una società che sembra incline alla sua stessa distruzione. L’arte occidentale, un tempo celebrazione di imperatori e di papi, sta diventando strumento di glorificazione di ideali borghesi… Glorifichiamo la rivoluzione a gran voce come unica  motore della vita. Glorifichiamo le vibrazioni degli inventori… Facciamo appello a tutti gli intellettuali onesti, a tutti gli scrittori ed artisti, perché abbandonino l’illusione dell’arte e che l’artista si possa isolare dai conflitti storici”.

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Nel manifesto dell’Architettura (con la lavoratrice inceneritore rifiuti), dallArchitettura futurista di Antonio Sant’Elia, l’Architettura deve bruciare di Coop Himmelb(I)au, Una Architettura non semplice di Venturi fino a Bruno Tau: “”Oggi più che mai crediamo nella nostra volontà, che rappresenta il nostro unico valore  nella vita: il continuo cambiamento. Lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista, Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali, dei palazzi, degli arengari, ma dei grandi alberghi, delle gallerie luminose, dei rettifili, degli sventramenti salutari.. Buttiamo all’aria monumenti, marciapiedi, porticati, gradinate, sprofondiamo le strade e le piazze, innalziamo il livello della città. Noi dobbiamo inventarla e ricostruirla simile a un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e le nostre case devono essere simili a macchine gigantesche… L’architettura se fredda che sia fredda come un blocco di ghiaccio. Se calda sia calda come un’ala in fiamme. L’architettura deve bruciare”.

Passando al manifesto del  Vorticismo, Espressionismo astratto e il Cavaliere azzurro (con la manager A.D.)di Lewis, Newmann e Kandinskij, leggiamo: “Si apre una grande stagione: il ‘risveglio’ spirituale, la tendenza a recuperare l’’equilibrio perduto’, la inevitabile necessità di seminagioni spirituali, lo schiudersi delle prime gemme.. Siamo alla soglia di una dell più grandi epoche che l’umanità abbia mai vissuto, l’epoca della grande spiritualità.  L’arte, la letteratura, e perfino al scienza ‘positiva’  rivelano gradi diversi di conversione alla nuova era; ma vi soggiacciono tutte… Ci stiamo liberando delle  catene della memoria, delle associazioni  automatiche, della nostalgia, della leggenda, del mito. Invece di costruire cattedrali su Cristo, sull’uomo o sulla ‘vita’, le stiamo traendo da noi  stessi, dai nostri sentimenti… Il nuovo vortice si immerge nel cuore del Presente… Con il nostro vortice il Presente è l’unica cosa attiva. Il Passato e il Futuro sono le uniche cose fornite dalla Natura.

Il manifesto dello Stridentismo e Creazionismo (con la ragazza punk tatuata), di Maples Arce con Huidobro, Gabo e Pevsner, lancia questo messaggio: “L’uomo non è un meccanismo a orologeria sistematicamente bilanciato. Le idee spesso deragliano.  Non sono sempre consequenziali, una dopo l’altra, ma simultanee e intermittenti. La logica è un errore, e il diritto  alla completezza uno scherzo di cattivo gusto.  Tutto il mondo viene diretto da una banda di dilettanti… Non cerchiamo la verità nella realtà delle apparenze, ma nella realtà del pensiero. Dobbiamo creare. L’uomo ha smesso di imitare. Inventa , aggiunge qualcosa ai fatti del mondo, nati in seno alla Natura, nuovi fatti nati nella sua testa : una poesia, un quadro, una statua  un piroscafo, un’automobile, un aeroplano. Dobbiamo creare. E’ questo il sego del nostro tempo… Basta con la retrospezione! Basta col Futurismo! Ognuno, silenzioso, a bocca aperta, miracolosamente illuminato dalla vertiginosa luce del presente: unico ed elettronicamente sensibilizzato all’IO ascendente”.

Si prosegue con il manifesto del Suprematismo e Costruttivismo (con la scienziata),alfieri Malevic e Rodchenko con la sua “pittura non-oggettiva”con Olga Rozanova: “La vita dev’essere liberata dal fracasso del passato, dall’eclettismo parassitario, per essere riportata alla sua normale evoluzione. L’arte non deve andare verso al sua riduzione  e la sua semplificazione, ma verso la complessità. La Venere di Milo è un modello palese di decadenza. Non è una donna reale ma una parodia. Il David di Michelangelo, quale mostruosità… I maestri del Rinascimento hanno conseguito grandi risultati nell’anatomia… Qul che è vivo si trasformava in uno stato di immobilità, di morte… Il pittore è votato ad essere un creatore libero, non un libero predatore. Solo nella creazione assoluta acquisirà il proprio diritto. creare vuol dire vivere, produrre eternamente cose sempre nuove. deve verificarsi un miracolo nella creazione artistica!”.

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Ed ora il  manifesto del Dadaismo (con l’oratrice funebre), capofila Tristan Tzara, con Picabia e Ribemont-Dessaignes, Eluard e Aragon: “Si muore da eroi e da idioti, che è proprio la stessa cosa. La sola parola che non sia effimera è la parola morte. Amate vivere, probabilmente. Ma avete cattive abitudini, amate troppo quello che vi hanno insegnato ad amare… Vediamo tutto, non ci piace niente. Siamo indifferenti….Io sono contro tutti i sistemi, l’unico sistema accettabile è quello di non seguirne…. Dada non è follia né saggezza né ironia. Dada non significa nulla… E’ il nulla, come le vostre speranze: nulla. Come il vostro paradiso: nulla… Basta con i pittori e letterati, musicisti e scultori, religiosi e repubblicani, monarchici e imperialisti, anarchici e socialisti, bolscevichi e politici, proletari e democratici, borghesi e aristocratici, polizie, eserciti, patrie, basta con tutte queste idiozie, niente più, niente più, niente, NIENTE; NIENTE, NIENTE… Abbiamo bisogno di opere forti, diritte, precise e incomprese una volta per tutte. La logica è una complicazione. La logica è sempre falsa. Sposata alla logica, l’arte vivrebbe un incesto, inghiottendosi, ingoiandosi la coda, sempre del suo corpo si tratta, fornicando con se stessa”.

ligioni: nulla. Abbiamo bisogno di opere forti, diritte, precise e incomprese una volta per tutte. Prima di spegnere così in voi ogni desiderio di orgasmi, di filosofia, di pepe e di cetrioli metafisici, matematici e poetici – Prima di tutto ciò – Ci tufferemo in un bel bagno antisettico – E vi avvertiamo – Siamo noi gli assassini – Di tutti i vostri piccoli neonati”.

Segue il manifesto del Surrealismo  e Spazialismo (con la burattinaia), Capofila André Breton, con due manifesti e Lucio Fontana, del Manifesto bianco: “Viviamo ancora sotto il regno della logica. Il razionalismo assoluto che rimane  di moda ci permette di considerare soltanto fatti strettamente connessi alal nostra esperienza. Con il pretesto del progresso e della civilizzazione, si è arrivati a bandire dallo spirito ogni possibile ricerca della verità che non sia conforme all’uso…  Vorrei dormire er potermi abbandonare ai sognatori; per far cessare il ritmo cosciente del mio pensiero. Non può essere anche il sogno utilizzato per risolvere i problemi fondamentali della vita? E nel sogno sono presenti questi problemi?… la ragione non crea. Nella creazione delle forme la sua funzione è subordinata a quella del subcosciente. Il subcosciente, magnifico ricettacolo dove si collocano tutte le indagini che l’intelligenza percepisce, ospita le nozioni che informano la natura. Il subcosciente modella l’individuo, lo integra  e lo trasforma”.

Come manifesta della Pop Art (con la madre tradizionalista),  l’orazione di Claes Oldenburg: “Sono per un’arte che cresce inconsapevole di essere arte. Sono per un’arte che s’ingarbuglia con le schifezze di tutti i giorni & riesce comunque a emergere. Sono per un’arte che imita l’umano, che è comica, se necessario, o violenta, o qualsiasi cosa sia necessario Sono per tutta l’arte che prende la sua forma dalla vita, che si contorce e si estende e accumula e sputa e sgocciola, ed è pesante  e volgare e brusca e dolce e stupida come la vita stessa… Sono per l’arte che zoppica, e rotola, e corre e salta. Sono per l’arte che si avvita e ruggisce come un lottatore…. Sono per l’arte che si srotola come una mappa, che si può baciare come un amato cagnolino. Che si espande e scricchiola come una fisarmonica, su cui puoi rovesciare la tua cena come su una vecchia tovaglia… Sono per l’arte che cade, che schizza, che si agita, salta che va e viene…”.

Per il manifesto dell’Happening, Fluxus e Merz (con la coreografa),  tanti protagonisti, da Rainer a Williams, e Corner; Cage e Higgings, fino a Vautier, Maciunas per Fluxus, Schwitters per Merz: “La vita è un’opera d’arte e l’opera d’arte è vita. Più sappiamo, meno capiamo, e meglio è. Io accolgo tutto quello che verrà… Purgare il mondo dalla cultura intellettuale, professionale e commercializzata. Purgare il mondo dall’arte morta, dall’imitazione, dall’arte artificiale, dall’arte astratta, dall’arte illusionistica, dall’arte matematica. Promuovere l’arte della Non Realtà che tutti possono capire, non solo i critici, gli intellettuali e i professionisti. Promuovere un’inondazione e un’ondata rivoluzionaria in Arte. Promuovere l’arte viva, l’anti-arte…. Tutto quello che dico è Arte è Arte. Tutto quello che faccio è Arte è Arte. Pretendo il principio di uguali diritti per tutti i materiali, uguali diritti per persone abili, idiote, reti metalliche fischianti, pompe pensanti”.

Il manifesto dell’Arte concettuale  e Minimalismo (con la telecronista-reporter), teorici Le Witt, Sturtevant e Piper: “Le idee possono essere opere d’arte. Nell’arte concettuale l’idea, o concetto, costituisce l’aspetto più importante del lavoro. Quando l’artista utilizza una forma di arte concettuale vuol dire che tutto il progetto  e tutte le decisioni vengono prese anticipatamente e  e che l’esecuzione si riduce a un fatto meccanico.  L’idea diventa una macchina che realizza l’arte. Questo tipo di arte non è teoretica né illustra teorie; è invece intuitiva e senza scopo. Qualunque sia la forma finale, deve cominciare con un’idea. L’aspetto dell’opera d’arte non è troppo importante. E’ con il processo di ideazione e di realizzazione che ha a che fare l’artista. L’opera, una volta che l’artista le abbia conferito realtà fisica, è aperta alla percezione di tutti, anche dell’artista… L’arte concettuale non è necessariamente logica. La logica può essere utilizzata per camuffare il vero intento dell’artista, per cullare lo spettatore nella convinzione di capire il lavoro oppure per suggerire una situazione paradossale – ad esempio logico contro illogico”.

Come manifesto del Cinema (conl’insegnante), una serie di postulati di Brakhage e Jarmusch, con Trier, Vinterberg e Herzog: “Si immagini un mondo prima del ‘principio e della parola’. Si permetta alla cosiddetta allucinazione di entrare nel regno della percezione, di accettare le visioni oniriche, i sogni a occhi aperti e quelli notturni. L’occhio della mente non si deve necessariamente spegnere dopo l’infanzia. Niente è originale. Ruba da qualsiasi cosa che risponde all’ispirazione o alimenta la tua immaginazione. Divora i vecchi film, i nuovi film, la musica,i libri, i quadri, le fotografie, le poesie, i sogni, le conversazioni casuali, l’architettura, i ponti, i segnali stradali,  gli alberi, le nuvole, i bacini d’acqua, luci, ombre… Scegli di rubare solo le cose che parlano direttamente alla tua anima. Se fai questo, il tuo lavoro e il tuo furto saranno autentici.  L’autenticità è preziosa, l’originalità inesistente”.

Con questo Epilogodal manifesto di Wood (nel collage dei manifesti di cinema): “Io sono in guerra con il mio tempo, con la storia, con ogni autorità contenute in forme fisse e spaventate… Non ho modo di sapere il tuo nome. Né tu il mio. Domani inizieremo insieme la costruzione di una città”.

Il Prologo era stato il manifesto del Partito comunista  (con al miccia che brucia): autori Marx ed Engels con riferimenti al Dada di Tzara: “Sono contro l’azione; per la contraddizione continua e anche per l’affermazione, non sono né favorevole né contrario e non do spiegazioni perché detesto il buonsenso.  Scrivo un manifesto perché non ho nulla da dire… Parlo sempre per me perché non voglio convincere nessuno non costringo nessuno a seguirmi e ciascuno si fa l’arte che gli pare… Si crede forse di aver trovato  una base psichica comune a tutta l’autorità? Come si può far ordine nel caos di questa informe entità variabile: l’uomo?”.

Un interrogativo ancora più stringente dopo la carrellata nei manifesti novecenteschi che l’opera di Rosefeldt, pur se di difficile decifrazione pur nella sua apparente semplicità ha avuto il merito di riproporre. Un merito esteso alla direzione del Palazzo Esposizioni sebbene l’allestimento della forma espositiva non agevola di certo il visitatore comune.  Ma la silloge dei manifesti è preziosa!

“Il corpo della voce”, Carmelo Bene, Cathy Berberian, Demetrio Stratos

Protagonista  è la voce, definita così: “La voce è lo strumento con il quale diamo volume ai nostri pensieri, registra e diffonde le nostre emozioni e ci permette di comunicare con il mondo. L nostra voce parla, ride, piange, urla, canta e si tace… insomma, è il più straordinario strumento di partecipazione alla vita, il più naturale e al tempo stesso misterioso del nostro essere al mondo”.

E sulla voce c’è una prima sezione della mostra dedicata alla foniatria, dei video con sequenze di bocche atteggiate alle più diverse fonazioni fanno entrare nella carnalità vocale, se si può usare un ossimoro, con le sperimentazioni della ricerca vocale, le pratiche vocali diffuse nel mondo e le indagini sulle potenzialità vocali. Le installazioni interattive consentono di rendersi conto di ciò.

Il “clou” è nel trio Cathy Beberian, Demetrio Stratos e Carmelo Bene  perché si passa dalla voce in un’ottica di ordine fisiologico e foniatrico alla voce come strumento di espressione artistica.

Con Cathy Berberian ci si immerge nelle sperimentazioni di musica elettronica degli anni ’50, e ‘60 la sua straordinaria vocalità  ha ispirato artisti quali  Cage e Berio, Maderna e Bussotti. Il suo  “Stripsody”, del 1966, definito un “brillantissimo saggio sull’onomatopea vocale”,  ispirato ai u fumetti comici, anche Umberto Eco si interessò alla”popular culture” della Berberian. Di Demetrio Stratos sono presentate prove coinvolgenti della sua straordinaria potenzialità vocale.

 Ma per noi nulla è più coinvolgente, a livello uditivo, della voce di Carmelo Bene, la cui azione teatrale è stata basata sulle possibilità date dalle straordinarie modulazioni piuttosto che sulla recitazione e lo stesso contenuto. Con i laboratori della Biennale Teatro, a porte chiuse esplorò le possibilità della “parola di smarcarsi dal senso e della voce di farsi puro ascolto”.

La locandina del Teatro delle Arti del 1992 reca citazioni da lui prescelte che riassumono i presupposti della sua sperimentazione vocale nel corpo vivo del teatro: Nietsche:”Ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l’intensità,  la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma, LA MUSICA CHE STA DIETRO LE PAROLE, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione: quindi tutto quanto NON PUO’ ESSERE SCRITTO. Per questo lo scrivere ha così poca importanza”.  Lacan: “IL DISCORSO NON È NELL’ESSERE PARLANTE”. Artaud:

“Un teatro subordinato al testo “è un teatro di idioti, di pazzi, di invertiti, di pedanti, di droghieri, di antipoeti, di positivisti, in una parola di occidentali”.  La voce sovrasta il testo, il tono le parole.   

L’ascolto delle interpretazioni teatrali di Carmelo Bene, che ricordiamo fotografato in scena da Abate, con le memorabili modulazioni della voce dà compitamente il senso della rivoluzione vocale dell’immaginifico artista, che intitolò un suo libro “Sono apparso alla Madonna” per marcare di essere controcorrente, dalle iniziali esibizioni trasgressive nei teatrini romani alle recitazioni nei grandi teatri.

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Il Palazzo Esposizioni è andato oltre l’abituale corredo di incontri e laboratori per i piccoli, questa volta anche per studenti più grandi  e adulti con sollecitazioni canore delle curatrici, e addirittura ogni sabato e domenica “esercizi di riscaldamento vocale di gruppo all’interno della mostra” con insegnanti specializzati del metodo Linklater, il cui motto è “liberare la voce vuol dire liberare la persona”.  

Ma è solo il contorno, abbiamo gli “esercizi di memoria per quattro voci femminili” e la performance “Quattro voci dalla città stanca”, i sei incontri della serie “A voce alta” e l’“Omaggio a Carmelo Bene”  con 6 sue performance teatrali  di cui l’artista è stato regista, interprete e  e voce solista-recitante,  da “Macbeth Horror” a “Hommelette for Hamlet “L’Adelchi”  e “Manfred”, fino a “Quattro diversi modi di morire in versi” e “In-vulnerabilità d’Achille”. Inimitabile!

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Il programma “Vedere la voce”  presenta 10 film:con “ grandi storie cinematografiche che hanno in comune un protagonista sotterraneo: la voce. Una mappatura della comunicazione attraverso esperienze molto diverse tra loro… voci della natura o mediate dalla tecnologia… voci deliranti e sinistre, sovrumane o divine, ricostruiscono un’immagine sonora della nostra presenza nel mondo”.

Anche in questa occasione, come in casi precedenti – citiamo tra i tanti “ Human”  e “Dna”  – il Palazzo Esposizioni svolge una funzione pubblica di approfondimento e divulgazione su temi scientifici. Il lato spettacolare viene curato, e se ne può apprezzare lo sforzo pedagogico: anche se viene meno il Palazzo Esposizioni delle grandi mostre d’arte, soprattutto dopo il divorzio dalle Scuderie del Quirinale cui evidentemente è stata demandata la frontiera artistica. Un peccato!

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Info

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Da martedì a domenica ore 10,00-20,00, venerdì e sabato apertura fino alle 22,30, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 10, ridotto euro 8.  Tel. 06 39967500; www.palazzoesposizioni.it. Su Carmelo Bene cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi.com, “Abate. Le foto a Carmelo Bene al Palazzo Esposizioni” 2 gennaio 2013, e in fotografia.guidaconsumatore.it, “Roma. le foto di Claudio Abate a Carmelo Bene al Palazzo Esposizioni” 3 gennaio 2013 (quest’ultimo sito non è più raggiungibile, le foto saranno trasferite su altro sito, saranno fornite a richiesta).

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione delle mostre al Palazzo Esposizioni, si ringrazia la direzione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Si inizia con la mostra “Manifesto”, in apertura, un quadro d’insieme di 8 interpretazioni di Cate Blanchett; seguono 13 immagini riprese dagli schermi, alternando scene delle singole storie con lprimi piani dell’interprete in diverse incarnazioni; poi mostra “La voce e il corpo”, si inizia con un’immagine della sequenza “Le bocche” di Stratos, poi 2 immagini di Cathy Berberian, quindi un’immagine di Demetrio Stratos, inoltre 3 immagini di Carmelo Bene, la seconda in “Nostra Signora dei Turchi” con Margherita Paratich; in chiusura, una sala con video-audio per i visitatori.

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Cultura d’impresa, l’umanesimo industriale nel convegno di Civita

di Romano Maria Levante

A Roma,  il 24 giugno 2019,  si è tenuto il convegno “Umanesimo industriale: creatività, innovazione e cultura d’impresa” promosso dall’Associazione Economia della Cultura e dall’Associazione Civita nella cui sede  a Piazza Venezia sono intervenuti come relatori  operatori del settore e docenti universitari.  E’ stato svolto il tema generale “Costruire l’immaginario nella competizione globale”, moderatrice Elisa Fulco, Heritage communication consultant. Dopo gli nterventi in programma su questo tema è intervenuta Madel Crasta dell’Associazione per l’Economia della Cultura per introdurre la parte speciale, Il Paese e le sue imprese: il racconto dell’unicità”, relativa all’attività di alcune Fondazioni, la cui trattazione è stata rinviata. Ha sottolineato, tra le altre considerazioni, che il nostro è un  paese con tante identità e c’è  difficoltà a farle coesistere e farne una sintesi, ma devono convivere scienza e cultura,  passato e presente  nelle imprese, e non solo; tecnica e umanesimo sono indispensabili ed è stata istituita un’università in cui sono felicemente abbinati. Riporteremo le principali argomentazioni degli interventi sul tema generale.

Il logo del Convegno

Civita da trent’anni prosegue nell’impegno  di collegare la cultura con le imprese e con l’economia, del resto lo ha nella sua origine – salvare un bene culturale, Civita di Bagnoregio –  e nella sua composizione,  fatta di molte imprese associate con una “mission” culturale.  Le diverse ricerche sulle “Imprese culturali e creative”  hanno scandagliato, e continuano a farlo, questa componente del nostro sistema produttivo più legata alla cultura, mentre con la “Cultura di cittadinanza” e il “Soft Power” ha esplorato temi che stanno a monte e a valle del fatto culturale. Nell’ultimo Rapporto ha analizzato anche il tema “I giovani e la Cultura”  nel mondo dei social del Web. In parallelo a questa attività di ricerca di tipo culturale la promozione di iniziative come le vie Francigene e l’incessante organizzazione di mostre d’arte.  

Il tema del convegno,  storia aziendale e  cultura d’impresa come  “asset” immateriale  

Il convegno attuale è stato presentato da Civita come un modo di  “mettere a fuoco la trasformazione, insieme  culturale e produttiva, che vede il mondo delle imprese italiane  interprete creativo del valore della memoria e di un nuovo umanesimo con, al centro, il rapporto con le persone”.  Le imprese sono impegnate  nel valorizzare la loro storia per trasferire i propri valori all’interno e all’esterno e farne un fattore di sviluppo,  mediante  gli archivi storici e le biblioteche, l’impegno in capo museale le mostre e le produzioni artistiche.

E’ un fenomeno positivo accentuatosi   notevolmente  nella moderna società digitale che offre maggiori opportunità di valorizzare i contenuti immateriali e nello stesso tempo presenta crescenti esigenze e richieste. La ricostruzione della memoria aziendale fa emergere “una storia d’idee, di persone e territori intrecciata all’evoluzione dei processi produttivi, delle tecnologie e della ricerca scientifica: una sintesi fruttuosa che interpreta in pieno il bisogno di riallacciare i rapporti fra la cultura scientifica e quella umanistica”.

Le imprese italiane, in quanto  nella loro attività quotidiana producono e utilizzano una serie di prodotti riferiti alla cultura,  rappresentano un sistema culturale con implicazioni  di tipo storico, sociologico ed economico che concorre, con le Istituzioni, alla creazione della cultura del Paese. 

Pertanto il recupero della loro memoria storica, e la sua valorizzazione, può portare a notevoli risultati: da quelli più strettamente aziendali, legati al marketing nella qualificazione  dei prodotti con il “brand heritage”  e alla migliore consapevolezza del “Know how”  aziendale; a quelli più generali, come la condivisione dei  valori con la società e la valorizzazione del territorio con il turismo industriale promosso anche  dall’interesse suscitato per la propria storia.

.Innocenzo Cipolletta nel ricordare questi temi, ha portato il saluto dell’Associazione Economia della Cultura, di cui  è stato Presidente, e ha presentato l’omonima  rivista –  è uscito il 1° numero del 2019 nelle edizioni del “Mulino” – nella quale la materia viene trattata sistematicamente in modo approfondito.

Ha sottolineato che il rapporto tra imprese e cultura interessa tutto il territorio e le comunità  che vi si trovano e vengono investite dai cambiamenti epocali che sconvolgono l’economia. Ha citato il passaggio traumatico dalla civiltà contadina alla società industriale e quello successivo dalla società industriale alla società dei servizi,  il lavoratore non si rapporta più alle macchine ma alle persone.  Cambiano radicalmente le forme organizzative. Sono fenomeni economici ma anche culturali.

Tra cultura ed economia, ha concluso, non c’è  contraddizione né dipendenza, ma  interdipendenza, quindi relazione reciproca.

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La sala Gianfranco Imperatori prima dell’inizio del Convegno

Cultura d’impresa e territorio, la linea della Confindustria

Importante la presenza della  Confindustra con il Presidente del Gruppo Tecnico Cultura&Sviluppo, Renzo Iorio, secondo il quale  bisogna avere  la consapevolezza che fare impresa con  una visione globale oltre i cancelli dello stabilimento è un elemento chiave  di successo.

L’impresa è legata al territorio e alla comunità  che gli dà vita, quindi  l’etica di impresa va portata  nelle grandi occasioni  culturali, come si sta facendo a Matera, l’attuale capitale europea della cultura; in tale modo tale legame, spesso non riconosciuto, può risultare quanto mai efficace.

Nella competizione globale ci si deve basare sui  fondamentali del nostro paese, che sono forti,  per  costruire  l’immaginario. Con la comunità locale va istituito un rapporto di fiducia che solo comportamenti adeguati possono alimentare.

Il vantaggio competitivo si può creare anche con la qualità della vita che il paese sa esprimere, valorizzando gli elementi immateriali.  Però, a dispetto dei fondamentali, ci troviamo al 12° posto nella classifica dei paesi rispetto al “Soft Power”,  altri sanno comunicare meglio di noi questi valori; eppure le indagini svolte  pongono il nostro paese al primo posto come creatività e capacità inventiva, e come destinazione preferita dei viaggi degli stranieri, e non è solo per la bellezza.

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I relatori, con la moderatrice Elisa Fulco, al centro, durante la relazione del presidente Gruppo Tecnico Cultura&Sviluppo Confindustria, Renzo Iorio, secondo da sin.

La Confindustria  cerca di dare consapevolezza dell’importanza di questo aspetto e dei danni che possono derivare da una percezione distorta della realtà che diventa insoddisfazione. “Occorre lavorare a casa nostra su come siamo e su come rischiamo di diventare perché il vantaggio competitivo è legato al nostro modo di essere,  quindi non deve deteriorarsi”. E questo non riguarda soltanto il turismo, anche se è molto importante;  i nostri fattori competitivi immateriali diventano una vetrina straordinaria per il mercato internazionale, e ciò  comporta  scelte più ampie.

Non bisogna guardare solo al proprio interno di produttori ma al modo di comunicare l’idea di impresa,  mediante la valorizzazione del fascino che ne deriva e non dobbiamo disperdere.  L’imperativo è quello dell’erede consapevole del patrimonio ricevuto che deve lasciare a sua volta in eredità.  I soggetti economici e i cittadini della comunità devono essere uniti nel valorizzare l’immaginario per il vantaggio competitivo del nostro paese.

I Musei aziendali, il valore della longevità d’impresa e il “giudizio di autenticità”

Dalla rivendicazione dell’importanza  di valorizzare la cultura d’impresa alle forme in cui questo avviene. Marco Montemaggi, Consigliere di “Museimprese”,  ha descritto l’organizzazione e l’attività di questo organismo. Fondato nel 2001 da Assolombarda e  Confindustria  per supportare musei e archivi, ha  85 associati e una rete europea, con 25 archivi d’interesse per il MiBAC.  La missione è promuovere la politica culturale dell’impresa, scambi e relazioni, la sua attività è rivolta ai musei e archivi e alle imprese per l’apertura di  strutture artistiche e museali; opera anche con seminari residenziali.

Tra le iniziative e realizzazioni ha citato la Settimana della cultura d’impresa, come cultura del cambiamento, il documentario newmuseum(s), la mostra ”Che storie”  che  a Milano nell’ambito dell’Expo è stata una vetrina per gli associati,  “the great industry game” in  Italia e all’ estero.

Il  patrimonio storico aziendale viene considerato uno strumento al servizio dell’impresa, dimostra come le capacità attuali, pur nei forti mutamenti dovuti all’innovazione,  nascono dalle radici del passato, visto come risorsa e non in senso agiografico.

Appartenenza e identificazione fanno parte di questo modello culturale, tradotto nel museo aziendale che ne dà testimonianza conservando la storia e rappresentandola  come veicolo di valorizzazione.

Il museo dell’azienda  come luogo di presentazione ed evocazione della storia aziendale nella quale si manifesta la cultura d’impresa , fa sentire il cliente parte della storia, trasformandolo  in appassionato, quindi fidelizzato; perciò  va considerato un “asset”  aziendale, strumento di  trasmissione e comunicazione tra azienda e comunità presenti nel territorio.  C’è anche un nome, “heritage marketing”.

Nelle ultime “slide” spiccano le immagini dei musei di imprese celebri, tanti documenti, tante produzioni d’epoca, tante storie. Fino alla frase di Mahler: non si tratta di “culto della cenere, ma di custodia del fuoco”.

La parola agli studiosi, Maria Rosaria Napolitano, Professore di Management all’Università di Napoli Parthenope,  approfondisce il tema del valore della storia aziendale nell’ottica della longevità in rapporto con l’orientamento strategico; in particolare parla delle attività di “heritage marketing” esercitate dalle imprese longeve.

Pone una serie di domande sulle imprese longeve: quali i fattori di longevità? Quale il patrimonio di valori, spesso familiari? Quali le linee strategiche? Quali gli strumenti?  Quale il contenuto della comunicazione?  Ebbene, la risposta è stata una e precisa: è un’opportunità che ancora non viene colta, e lo si vede nelle percentuali per classi di età delle imprese viste sotto questo profilo.

L’ “heritage marketing” è un processo manageriale e sociale con varie fasi: nell’“auditing”  si identificano i fattori,  nel “visiting” si fissano gli obiettivi, nel “managing”  le attività, nel “controllino” le verifiche.

Gli strumenti sono di varia natura, in un mix di narrazione con parole e con immagini di prodotti e brand in luoghi come il museo e in apposite celebrazioni.

La relazione di Chiara Paolino, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a dx

Chiara Paolino, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, si è posto il problema della misurazione di  come  l’impresa esprime la propria cultura chiedendosi se va fatto  rispetto alla prestazione oppure agli “stakeholders”, cioè i portatori di interesse, se deve essere solo una misura quantitativa  e se va considerato anche l’impatto sul sistema culturale e artistico.  

E’ una misura della produzione culturale che nelle imprese di successo fa sorgere l’interrogativo: “sono ricche perché investono in arte e cultura oppure l’inverso”,  cioè  fanno tali  investimenti perché hanno un surplus di risorse?

Quale che sia la risposta, viene sottolineata l’Importanza dell’investimento culturale dell’impresa che emerge dai risultati di un’apposita ricerca sulle imprese italiane, la “corporate collection”. E’ emersa la necessità di una maggiore socializzazione con lo sviluppo di sistemi di gestione della conoscenza assicurando la capacità di supportarli, in una “governance” organizzativa profondamente rinnovata.

Vi è anche un “giudizio di autenticità” che nasce dalla verifica del rapporto integrato tra  “stakeholders” e  valori, “skills” e processi, il tutto storicizzato, che porta a ripartire le imprese in diverse categorie. Importante considerare l’innovazione, con la quale l’impresa impara a fare ciò che prima non faceva, lo vediamo anche in campo artistico dove l’artista apprende pratiche e modalità nuove.

C’è una stretta interazione,  per cui le professioni museali diventano attività d’impresa e viceversa,   parla di “lateral thinking”, pensiero laterale, e del fatto che l’innovazione viene collegata allo “storyrelling” riferendola alle radici della storia aziendale come Montemaggi di “Museimpresa”.

Si  leggono le parole chiave che riassumono  i  motivi anche interiori direttamente toccati:   relazioni fiducia emozioni esperienza estetica storia memoria identità nostalgia identificazione appartenenza ricordi orgoglio autenticità  conservazione restauro valorizzazione.

Per quello che evocano ci sembra possano concludere il nostro resoconto quanto mai sommario dell’esplorazione in un campo nel quale l’ottica aziendale si coniuga con la visione  personale profondamente umana; alla quale tiene in particolare il presidente di Civita Gianni Letta.

Un’altra immagine della sala del Convegno

Info

Convegno nella sede dell’Associazione Civita, Sala Gianfranco Imperatori, Piazza Venezia  11, Roma. Per i precedenti convegni di Civita su temi e iniziative culturali cfr. i nostri articoli in www.arteculturaoggi.com: nel 2019: su “I giovani e la cultura, I ‘Millenials’ nell’XI Rapporto di Civita” 11 e 18  aprile; nel 2018: “WeAct per le Gallerie Nazionali d’Arte Antica” 20 dicembre, sulla “Cultura come diritto di cittadinanza” 20 e 25 ottobre, sulle “Imprese culturali e creative”  14, 18 febbraio, sul “Soft Power”  11 e 15 febbraio, sulla “Via Francigena”  19 luglio; negli anni precedenti: sulla “Via Francigena”, 18 giugno 2017, 29 agosto 2015, 19 luglio 2014, sul salvataggio di “Civita di Bagnoregio”  20 giugno e 9 luglio 2015, sulle “Imprese culturali e creative” 19 settembre 2014, sugli “Itinerari consolari” 16 marzo 2013, sui “Tesori della provincia di Roma” 29 luglio 2013; inoltre, in www.archeorivista.it, sull’ “Archeologia e il suo pubblico”  26 febbraio 2010, e  in cultura.inabruzzo.it, “Appello contro la recessione culturale” 15 luglio 2010,  le “Domus di Palazzo Valentini”  3 dicembre 2009, “Arte, cultura, territorio” 3 novembre 2009,  la “Via Francigena”  5 ottobre 2009, l'”Hotel della cultura” 17 settembre 2009 (i due ultimi siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).  Non si citano i numerosi articoli sulle mostre organizzate da Civita.

Foto

Le immagini del Convegno sono state riprese da Romano Maria Levante nella sala di Civita, si ringrazia l’associazione per l’opportunità offerta.  In apertura, il logo del Convegno; seguono, la sala Gianfranco Imperatori prima dell’inizio del Convegno, e i relatori, con la moderatrice Elisa Fulco, durante la relazione del presidente Gruppo Tecnico Cultura&Sviluppo Confindustria, Renzo Iorio; poi, la relazione di Chiara Paolino, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e un’altra immagine della sala del Convegno; in chiusura, dalla terrazza della sala del Convegno, la vista sul Vittoriano.

Dalla terrazza della sala del Convegno, la vista sul Vittoriano.

Lachapelle, l’artista scenografo con nuove opere, alla galleria Mucciaccia

di Romano Maria Levante

La mostra “David Lachapelle” espone a Roma alla Galleria Mucciaccia, dal 18 aprile al 5 luglio  2019,  35 composizioni spettacolari, in gran parte di notevoli dimensioni,  dell’artista americano che realizza dal vivo scenografie costruite come “set” teatrali, e poi le fotografa in un fotorealismo brillante nella resa visiva, intrigante nel contenuto. La mostra, a ingresso gratuito, è a cura di LaChapelle  Studio e Galleria Mucciaccia, Catalogo della Galleria Mucciaccia.  All’artista è stata dedicata nel 2015  dalla Fondazione Roma la mostra “David Lachapelle, dopo il diluvio”; è in corso  una mostra alla Venaria di Torino, organizzata da Civita Mostre, dal titolo “Atti divini”.   

The New World”, 2017

Le opere più recenti per la prima volta esposte a Roma

L’interesse corre subito alle nuove opere presentate, successive alla mostra del 2015 alla Fondazione Roma. Sono 5 opere del 2017, su temi che approfondiscono ulteriormente quelli cari all’artista. Un tuffo nella natura  e nella spiritualità suscitato dall’ambiente in cui lui si trova fisicamente e traduce in scenografie ispirate e lussureggianti: ”Quando sono alle Hawaii – dichiara – sono isolato  e vivo fuori dal mondo. Essere immerso nella natura  e nelle sue meraviglie mi dona decisamente nuova ispirazione”.

 In “A New World”,   davanti a una tenda rossa tre figure circonfuse da un’aureola di raggi, due con le mani giunte, una di loro in ginocchio con a lato una lampada accesa: è impressionante la forza spirituale che si sprigiona dal raccoglimento in un ambiente naturale suggestivo, con le chiome degli alberi, la cascata, lo specchio d’acqua.  I raggi a mo’ di aureola li vediamo anche in un’opera di vent’anni prima, “Sacred Life”, soggetto due tori nel verde della vegetazione.

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“Behold”, 2017

“Behold”   è un giovane dal viso ispirato, anche lui ha l’aureola di raggi, intorno alla fronte  una corona di fiori, non sembra una corona di spine anche se potrebbe essere l’immagine di un Cristo rivisitato. Tanto più che in “Jesus anb Buddha under a Tree”  Cristo in piedi con l’aureola a raggi ha il viso somigliante a “Behold”, il tutto incastonato in una natura lussureggiante.

Altrettanto senso panico di abbandono alla natura in “Lost and Found”, una scena idilliaca da paradiso terrestre, si poteva intitolare “Adamo ed Eva”, i due giovani nella loro innocente nudità tra i rami dell’albero con le braccia che si protendono nel gesto di porgere e ricevere la fatidica mela, le luci, i riflessi, i colori, danno alla scena una luce non solo esteriore.

C’è luce anche in “Miley Cyrus: Solitary”, ma ha tutt’altro significato, filtra in una stanza dove una giovane donna  nuda in ginocchio si protende veda le due finestre alte e strette in cui passano i raggi luminosi, basta vedere il povero arredamento,  in fondo una rete fissata al muro per dormire, nella parete di destra due piccole mensole, in quella di sinistra un bugliolo. Non ci sono dubbi, è una cella, si potrebbe dire dal paradiso della liberta nella natura all’inferno della prigionia nella cella.

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“Jesus and Buddha Under a Tree”, 2017.

Partendo da queste opere rievochiamo il mondo di questo artista presente  negli ultimi vent’anni in 120 mostre personali e in un numero ancora maggiore di mostre collettive, che ha avuto tanti riconoscimenti. Un artista fuori dal comune, che non è possibile incasellare in un genere, dato che si colloca tra la fotografia,  la pittura e  la scenografia, superandole  in una sintesi personalissima.

Le opere che abbiamo descritto e quelle che citeremo più avanti, infatti, sono  per lo più dei grandi affreschi scenografici ottenuti fotografando una scena  predisposto a tal fine, come in un allestimento teatrale o in un “set” cinematografico, effetti speciali compresi.  Ma come nasce tutto questo?

“Lost and Found”, 2017

Dopo la Cappella Sistina, la svolta nella vita e nell’arte

L’artista divenne già famoso come fotografo impegnato nella moda e nella pubblicità, con testate di punta quali “Vogue” e “Vanity Fair”, sue grandi campagne pubblicitarie e ritratti delle “star”, ebbe come primo committente cui rimase legato Andy Warhol, del quale ricorda la “previsione dei ’15 minuti di  fama’” che può dare una fotografia, prima riservati alle star, ora invece raggiungibili con la fotografia digitale in tutti gli “smartphone” e cellulari provvisti di fotocamera; Ma c’è di più, si impegnò  nei video in campo musicale, in spettacoli teatrali, tra cui “The Red Piano” al Caesars Palace con Elton John, in documentari come “Krumped” cui seguì il film “Rize” nel 2006, diffuso in molti paesi.

Queste esperienze con il denominatore comune dell’effetto spettacolare costituiscono la base professionale e la predisposizione personale alla svolta che lo ha portato alla nuova espressione artistica. Ma quale è stato il motivo per cui ha abbandonato la mondanità e il “glamour”, insieme alla fama già acquisita con ciò che ne deriva?  Una folgorazione come quella di Paolo sulla via di Damasco.

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“Milley Cyrus: Solitary”, 2017

La via di Damasco è stata la Cappella Sistina. Nel 2006, in una visita privata, quindi nel raccoglimento e nl silenzio, mentre contemplava il  Giudizio universale ha avuto un’illuminazione che ha prodotto una svolta nella sua vita. Si è allontanato dal mondo vacuo  e patinato nel quale era immerso ricevendone tante gratificazioni e ha abbracciato contenuti più profondi; per esprimerli ha ideato una forma visiva dalla grande forza evocativa, che nella fotografia trova  il momento conclusivo di un processo creativo ben più complesso. L’ispirazione non momentanea ma meditata prima, la costruzione del “set” che le dà forma e  sostanza poi, la fotografia  alla scena allestita come coronamento dell’intero processo alla fine.

Svolta nella vita e nell’espressione artistica, dunque: “La serie After the Deluge – ha dichiarato l’artista – è stata ispirata da una visita alla Cappella Sistina. Volevo offrire una rivisitazione in chiave contemporanea dell’affresco del Diluvio di Michelangelo, includendo la disfatta dell’umanità a causa dell’avidità; mostrando però, allo stesso tempo, nei personaggi che si spingono a vicenda verso la salvezza, la nostra forza e promessa di solidarietà”.

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“After the Deluge: Cathedral”, 2007

Della serie After the Deluge vediamo esposte 2 opere del 2007: la monumentale “Cathedral”, 180 x 240 cm circa, grandi vetrate e navate invase dall’acqua, nel dissesto degli arredi , le croci a terra mentre il gruppo di fedeli sgomento sembra pregare, c’è anche una figura che ricorda l’immagine di Cristo. L’altra opera Statue”, è  altrettanto monumentale, ma in verticale, due figure angeliche scultoree di stampo classico in un ambiente spoglio pure allagato. Anche in “Awakened”, non esposto, l’acqua è insieme  distruttrice e purificatrice, fonte di  rovina e di rinascita: si può affondare e galleggiare, metafora della fragilità  e della resistenza umana. Un liquido amniotico che può riportare alla purezza della nascita.

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“American Jesus: Hold Me, Carry Me Boldly”, 2009

Religiosità ancora più esplicita in 3 opere del 2009, paradossalmente con protagonista Michael Jackson . Un grande angelo, Archangel Michael: and No Message Could Have Been Any Clearer”  ha il suo volto, con grandi ali bianche, schiaccia con il piede un diavolo rosso abbattuto  a terra in uno sfondo marino, il messaggio è chiaro. Anche in The Beatification: I’ll Never Let You Part for You’rein My Heart” il volto del divo americano che ha il Sacro Cuore sul petto, alla sua sinistra una figura femminile imponente nella sua veste preziosa, lo sfondo  sempre marino. In“American Jesus: Hold me, Carry Me Boldly” il divo pop giace disteso tra le braccia di Cristo in una sorta di “Pietà” alla rovescia, tra il verde degli alberi e una luce accecante sullo sfondo. Uno  strascico della sua “vita” precedente nel mondo dei divi, che, nella nuova vita pervasa di spiritualità e meditazione porta a immagini così insolite e intriganti.

Della precedente mostra al Palazzo Esposizioni ricordiamo la “Pietà”  nella composizione ben nota,  in “Courtney Love”  Cristo  riverso tra le braccia di una donna dai capelli biondi; l’opera è del 2006, l’anno della visita rivelatrice alla Cappella  Sistina.

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“Rape of Africa”, 2009,

Va precisato che il fascino di Cristo lo aveva preso già in precedenza: nel 2003, tre anni prima della Cappella Sistina, la serie Jesus my Homeboy”,  “Il mio Gesù privato ,   grandi composizioni sugli episodi evangelici in cui Gesù ha l’aspetto tramandato dalla tradizione ma in abiti e ambienti moderni, della nostra società dei consumi, come fast food e simili; la sua figura, però, è sempre ieratica, e le composizioni sono investite da una luce soprannaturale. Ricordiamo, dalla mostra precedente, “Gesù nel lavaggio dei piedi della Maddalena”  e “Gesù nella Resurrezione”.

La natura e il consumismo, un abbinamento intrigante

Del  2009 anche “Rape of Africa”, lungo oltre 3 metri, di forte denuncia, dietro le due grandi figure del giovane adone addormentato e della bellezza africana, quasi una coppia reale, tre piccoli che impugnano armi terribili, dal mitra al bazooka, sembra evochi la terribile realtà dei bambini-soldato, c’è  a terra un crocifisso, sullo sfondo un anfiteatro romano. Questa la violenza sull’Africa!

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“Rebirth of Venus”, 2009

Nello stesso anno un’opera molto suggestiva, “Rebirth of Venus”, rivisitazione del capolavoro di Botticelli con riferimenti anche alla “primavera” nella natura lussureggiante oltre che nella grazia della figura femminile con l’aureola a raggi che già conosciamo.

La natura anche attraverso le rigogliose composizioni di Fiori degli anni 2008-11, nature morte in cui figurano gli oggetti più diversi: in “America” ,  intorno a delle grandi rose vediamo un cocomero tagliato a metà, candele accese e aeroplanini, mentre spiccano palloni festosi con la scritta “Good Lack” e “Get Well”; in “Late Summer” il vaso di fiori  è ancora più ricco, oltre alle rose tulipani avvizziti e altre piante in piena fioritura, in primo piano un vassoio di uova e gli oggetti più disparati, compresa una maschera  e una banconota; in “Willing Gossip” , soltanto qualche frutto e un giornale tabloid sulla destra  si aggiungono all’esplosione floreale della composizione.

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“America”, 2008-11

Per interpretarne il significato è bene riferirsi a un’altra sua opera, “Hearth Laughs in Flowers”, non esposta in mostra, il cui titolo rimanda a  una poesia di Emerson, un poeta americano del XV secolo: l’accostamento dei fiori agli oggetti del consumismo, futili e stravaganti, è una metafora della pretesa  di  piegare la natura alle aberrazioni umane, ma la natura ride. Anche qui, come nel “diluvio”, la compresenza degli elementi nichilisti con quelli positivi, ora identificati nei fiori.

La distruzione, dissoluzione e alienazione, con la rigenerazione salvifica

Dopo i fiori vengono l’Apocalisse e il Terremoto,  due motivi che seguono di  alcuni  anni l’altrettanto catastrofico  “diluvio”,  rispondono alla stessa logica di distruzione salvifica perché vengono stimolate reazioni positive.   

In “Showtime  at the Apocalypse” , 2013, lungo quasi 4 metri, non c’è l’azione distruttiva e insieme rigeneratrice dell’acqua, ma a terra i segni della distruzione, con manichini disarticolati,  e una diecina di figure femminili per lo più elegantemente vestite di scuro che esprimono visivamente la loro gioia di vivere: è spettacolare il “set” teatrale elaborato e composito,  c’è anche una sorta di Madonna con bambino esotica in un grande riquadro.

Sismic Shift” , 2012, lungo 4 metri e mezzo, è ancora più dissestato, con  oggetti singolari come il manichino e lo squalo, senza figure umane.

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“Showtime of Apocalypse”, 2013

Le figure umane  dissestate come da un sisma le ricordiamo nella serie  “Still Life”, 2012, non esposta:  non persone  ma teste e corpi di manichini di personaggi famosi distrutti in un “raid” di vandali in un museo delle cere, che l’artista fotografò dal vero, come metafora non solo del disfacimento dell’essere umano, ma della caducità della fama e della celebrità, con l’ambiguità tra la pietà e il senso di compiacimento che si prova dinanzi alla punizione delle fortune sfacciate.

Nello stesso 2012  abbiamo “Gas Shells”, vediamo la stazione di servizio con i suoi distributori di benzina invasa dalla vegetazione, appartiene alla serie Gas Stations, mentre per la serie Land Escape, del 2012,   2 opere, “Emerald City”  che spunta dall’acqua su una tappeto di carbone, e “Luna Park”, il titolo ne sottolinea l’aspetto spettacolare nella sinfonia di luci  delle colonne di distillazione, non mancano le emissioni di gas e le fiammate dell’impianto.

“Landscape Luna Park”, 2013

Non si tratta soltanto di un aspetto figurativo,  evoca il forte impatto della civiltà del petrolio  che ha rivoluzionato  la vita  incidendo sull’economia e sulla società e ha dominato anche i rapporti internazionali, fino alle guerre  per assicurarsi una fonte di energia divenuta indispensabile. Ma il petrolio non viene rappresentato come fattore di sviluppo, gli impianti,  pur nelle loro luci da Luna Park, hanno un che di allucinato, e non evocano la vita, forse perché manca la presenza umana: è un mondo alienante e irreale, con i frutti della tecnica fagocitati dalla vegetazione.  Ecco le sue parole: “La serie Land Scape rappresenta esattamente la mia immagine del futuro, quando la natura si impossesserà nuovamente della terra. Immagino queste stazioni di servizio, che una volta rappresentavano il presente, ritrovate come resti archeologici, circondate dalla natura”.

L’artista questa volta non ha dovuto comporre il suo  “set”  teatrale da fissare nella fotografia  finale come un regista che sistema i soggetti dando a ciascuno la collocazione e le disposizioni più efficaci; ha costruito in modo artigianale modellini mettendo insieme  lattine e  oggetti  di uso comune che rendono le colonne di raffinazione e le altre parti dell’impianto in un fotorealismo magistrale, non si avverte minimamente che c’è un “trucco” di natura cinematografica con modelli in miniatura. Del resto l’autore non lo nasconde ha diffuso fotografie del “backstage”e addirittura un filmato in cui viene seguita l’intera scena della preparazione dei modellini poi fotografati: si vede come cura l’ambientazione del modellino, nei particolari e nelle luci, perché sembri reale, le grandi dimensioni della fotografia finale fanno il resto nel rendere un iperrealismo fotografico brillante e spettacolare.

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“Icarus”, 2012

Ugualmente  ispirate  alla crisi vaticinata del sistema capitalista, e senza figura umana, le serie “Car Crash” e “Negative Cuttencies”, non presenti in mostra, con riferimento ai multipli di  Warhol. La prima sulle auto distrutte, ma mentre Warhol in “Death and Disaster” esprimeva angoscia, qui nella solita ambivalenza c’è anche la suggestione pubblicitaria. Mentre  la seconda è sulle crisi valutarie, siamo nel 2008, all’inizio della grande  crisi per il fallimento della grande banca Lehman Brothers, si è diffuso un senso di grave insicurezza, lo spirito nichilista trova terreno favorevole negli eventi che scuotono il mondo globalizzato; anche qui si differenzia dal grande Andy che in “One dollar bills” esprimeva l’invadenza della moneta moltiplicandola all’infinito, lui non solo non moltiplica il dollaro ma lo oscura.

Il volo di Icaro e dell'”aristocrazia”, le immagini “glamour”

Nel 2012-13 un ritorno alle figure alate del 2009 con “Icarus” , 2012: il protagonista è un giovane in pantaloni con delle ali rudimentali fatte di rami fissati maldestramente con una cinta al torso nudo, caduto in un discarica di computer e altre apparecchiature  elettroniche con tastiere, monitor della nostra società consumistica che viene così denunciata nella rievocazione dell’antico mito anche nell’annullamento della persona fagocitata dalla discarica. 

Alla spettacolarità del mare di oggetti si sostituisce quella della figura alata a terra in un bosco la cui oscurità fa spiccare maggiormente il bianco delle grandi ali aperte e il corpo michelangiolesco del giovane, l titolo è “”What Was Unseen”, come fosse stato invisibile.

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“What Was Unseen”, 2013,

Il volo è non più solo evocato ma rappresentato con gli aeroplani della serie Aristocracy, del 2014: vediamo esposti Private Pirates” e “Lost in the Clouds of Luxury”: in entrambi ardite acrobazie come uccelli imbizzarriti, in un  cielo il cui cromatismo sfumato e soffuso che non troviamo nelle altre sue opere fa pensare ai fumogeni aerei, richiamano anche i cieli di  Turner. Il pensiero torna  all”Aeropittura” del futurismo, mentre ci si chiede quale sia il riferimento all’aristocrazia: il titolo “pirati privati” fa pensare ai passatempi degli aristocratici, banali e insieme seduttivi,  ancora la sua ambivalenza; l’altro titolo riferito alle “nuvole della lussuria” è una metafora dell’artista spericolata come il volo magistralmente raffigurato.

 E le immagini “glamour” e dei Vip? Non abbiamo la serie di ritratti, ma opere che  spaziano dal 2017 al  2000, per risalire poi al 1996 e addirittura al 1984: hanno in comune la piccola dimensione, inconsueta per l’artista, 60 per 50 cm.

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“Aristocracy: Lost in the Clouds of Luxury”, 2014

Ripercorriamo a ritroso questo iter iniziando con “It’s Not About Me, It’s About You” , 2007-2017,  la figura “glamour” è della affascinante ragazza bionda,  si muove in modo leggiadro vestita di rosa,  con nella mano sinistra uno specchio che rivolge verso l’osservatore un improbabile riflesso del suo viso, e nella destra una catena; al suo fianco   un giovane di fattezze hawaiane seduto con le stampella a lato, sullo sfondo il cartello “Super Lotto Plus”, quindi una serie di motivi contrastanti  abbinati come sempre.

Tre immagini ancora con soggetti singoli, molto diverse: in “Awakened: Ruth”, 2007, non più la ragazza bionda affascinante e leggiadra, ma una donna anziana infagottata oltremodo che sembra saltare. Con “Dynamic Nude”, 2001, torna la gioventù, addirittura in un nudo, e la leggiadria, il dinamismo è tale che la ragazza si libra nell’aria aggrappata al lampadario, a terra piatti e piattini, in un interno celeste. Gioventù e leggiadria anche in “Snake Charmer”, 2000, però il costume in due pezzi e i capelli, nonché lo sfondo rosso dove è proiettata la sua ombra, hanno un tono quanto mai inquietante.

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“It’s Not About Me, It’s About You”, 2007-17

Ancora più inquietante “Faye Dunaway: Day of Locuste”, risale al 1986, la diva del cinema distesa sul tetto di un’auto bianca, assediata da una folla di fan che protendono le mani per gli autografi, l’espressione sgomenta del viso dell’attrice e il tono della scena fanno riflettere  sugli eccessi del divismo coniugando le due facce di una pratica così diffusa nella società contemporanea.

La più indietro nel tempo, del 1984,  è Good News for Modern Man 3”, uno scorcio suggestivo del corpo di una donna seduta con le braccia protese – in un bianco e nero prezioso perchè è l’unica sua foto non a colori – sfumato quasi in dissolvenza; sembrava preludere a tutt’altra direzione, come nel fotografo De/ Antonis  passato dalla fotografia di moda alla fotografia astratta, invece si è avuta la teatralizzazione addirittura con la composizione creata artificialmente in appositi “set” e poi fotografata.

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“Awaked: Ruth”, 2007

L’umanità nella visione tormentata e fiduciosa dell’artista

Vogliamo concludere con un’immagine del tutto diversa, naturalmente a colori: tante figure umane, viste  all’interno di un’abitazione a più piani, isolate o a gruppi per lo più nude nell’intimità domestica, riprese in una sorta di “finestra sul cortile”, una  “radiografia” surreale che ci dà lo “spaccato” dell’edificio senza la parete esterna. Si tratta di “Self Portrait as An House”, 2013, non esposto, lo ricordiamo dalla mostra precedente. Dopo i catastrofismi del “Diluvio” e dell’ “Apocalisse”, il disfacimento, l’alienazione di “Gas Stations” e “Land Escape”, l’ambiguità dei “Flowers”, questo ritorno alla dimensione domestica ci sembra beneaugurante dopo tante metafore e visioni preoccupanti.

L’umanità che ci è stata presentata è inquieta  e minacciata, ma non inerte né rassegnata; la visione dell’artista va al di là  dell’alienazione e del pessimismo esistenziale, pur sempre presenti. Del  resto, le sacre rappresentazioni di matrice religiosa, fino alla figura di Cristo  nelle parabole evangeliche,  con  la loro forza evocativa, nella quale il mondo Pop è sempre presente, ci dicono molto sulla sua spiritualità.

E la svolta radicale con l’abbandono delle  fotografie “glamour” ai divi al culmine del successo professionale  è eloquente. Nella visita alla mostra le immagini, nella spettacolarità delle composizioni scenografiche e nelle grandi dimensioni stimolano i sensi dell’osservatore. Ma nello stesso tempo suscitano anche riflessioni e meditazioni. L’artista ne è consapevole, come ha detto chiaramente: “Io credo in un linguaggio visivo tanto potente quanto la parola scritta”. Il suo linguaggio visivo lo è certamente.

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“Faye Dunaway : Day of the Locust”, 1996

Info

 Galleria Mucciaccia, Largo della Fontanella Borghese 89, Roma Da  lunedì a sabato, ore  10.00 – 19.30; domenica chiuso Ingresso gratuito. Tel. 06 69923801, segreteria@galleriamucciaccia.it| www.galleriamucciaccia.com. Catalogo: “David Lachapelle” Galleria Mucciaccia, aprile 2019, pp.142, formato  29 x 25. Cfr. i nostri articoli in www.arteculturaoggi.com: sulla precedente mostra di Lachapelle a Roma nel 2015, “Lachapelle, la fotografia da set teatrale al Palazzo Esposizioni” 12 luglio; sull’arte americana:: nel 2014: “Warhol. L’artista totale del XX secolo, alla Fondazione Roma” 15 settembre e ”Warhol. Tra la quotidianità e il mito, alla Fondazione Roma” 22 settembre; nel 2013: “Empire, l’arte americana oggi al Palazzo Esposizioni” 31 maggio; nel 2012: sul Guggenheim: “Il museo mecenate dell’avanguardia artistica americana” 22 novembre, “Dall’espressionismo astratto alla Pop Art” 29 novembre, “Dal Minimalismo al Fotorealismo” 11 dicembre; infine, per l’artista-fotografo citato nel testo, i due articoli su De Antonis, nel 2016: “Nella fotografia astratta un nuovo realismo” 19 dicembre, e “Dai ritratti classici alla fotografia astratta” 25 dicembre.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla Galleria Mucciaccia, si ringraziano gli organizzatori, con i titolari dei diritti – “LaChapelle Studio” – per l’opportunità offerta. In apertura, “The New World” 2017; seguono, “Behold” 2017, e “Jesus and Buddha Under a Tree” 2017; poi, “Lost and Found” 2017, e “Milley Cyrus: Solitary” 2017; quindi, “After the Deluge: Cathedral” 2007, e “American Jesus: Hold Me, Carry Me Boldly”; inoltre, “Rape of Africa” 2009, e “Rebirth of Venus” 2009; ancora, “America” 2008-11, e “Showtime of Apocalypse” 2013; continua, “Landscape Luna Park” 2013, e “Icarus” 2012; prosegue, “What Was Unseen” 2013, e “Aristocracy: Lost in the Clouds of Luxury” 2014; infine, “It’s Not About Me, It’s About You” 2007-17, “Awaked: Ruth” 2007, e “Faye Dunaway : Day of the Locust” 1996; in chiusura, “Gas Shell” 2012, con “Land Scape Luna Park” e “Land Scape Emerald City” , 2013.

Da sin., “Gas Shell” 2012, “Land Scape Luna Park” e “Land Scape Emerald City”, 2013

Palazzo Barberini, il ‘700 nelle nuove sale recuperate all’arte

di Romano Maria Levante

Dal 12 aprile 2019  al Palazzo Barberini sono aperte al pubblico le 10 sale restituite alla funzione espositiva dal Ministero della Difesa, che le ha detenute per 80 anni, dopo tre anni di restauro, con il nuovo allestimento che nel nuovo spazio di 750 mq ha collocato 78 opere con una nuova illuminazione e una nuova grafica, nuovi pannelli e didascalie, nella valorizzazione degli apparati per la migliore conoscenza del visitatore. Le nuove sale prima dell’allestimento definitivo sono state presentate nella seconda metà del 2018 con la mostra “Eco e Narciso”, opere antiche e contemporanee del Maxxi inserite in dialogo tra loro e con gli ambienti finalmente recuperati.  Il nuovo allestimento è a cura della direttrice Flaminia Gennari Sartori,  con Maurizia Cicconi e Michele Di Monte.

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Francesco Furini, “Giuditta e Oloferne”, 1630-35

Cosa si è guadagnato nel recupero delle sale adibite per 60 anni a Circolo Ufficiali lo si vede nell’allestimento in cui le sale costituiscono un itinerario coerente di arte e di storia; con il rammarico incontenibile che per tanto tempo si è dovuto rinunciare a una destinazione doverosa a causa di una prepotenza ottusa favorita da una  burocrazia altrettanto ottusa.

Lo spettacolo è nelle sale ancor prima che nelle opere esposte nel nuovo allestimento, per ognuna l’origine storica evoca la vita che vi  svolgeva la famiglia Barberini; mentre le opere sono raggruppate secondo una vicinanza tematica, la cronologia in secondo piano.  “Parlano tra loro” ,ma anche “parlano al visitatore” con gli apparati particolarmente esaurienti da non poter essere chiamati “didascalie” ma vere e proprie  schede d’arte.

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Jusepe De Ribera, “San Giacomo Maggiore” 1632-35, a sin. , e Luca Giordano, “Filosofo” 1660, a dx

 Una visita guidata d’eccezione con i curatori consente di esplorare entrambe le dimensioni della mostra – sale e opere –   unite in un mix la cui decifrazione è altrettanto intrigante del legame tra arte antica e arte contemporanea della precedente “Ego e Narciso”.

La “teatralità” nelle prime sale del nuovo allestimento

Nella prima sala dell’ala meridionale, la n. 33, “Sala del trono”,  si trova la vasta anticamera che separava le due ali dell’”appartamento di Sua Eminenza” destinato ai cardinali Barberini,  cioè l’appartamento estivo, orientato ad Est verso  il giardino, e l’appartamento invernale, ad Ovest verso via delle Quattro Fontane.

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Giovanni Battista Caracciolo, “Sant’Onofrio”, 1625

In questa sala, con un lampadario monumentale, spiccano le copie d’epoca, una eseguita da  Carluccio Napoletano (al secolo Carlo Viva)    dell’affresco di Giulio Romano ai Musei Vaticani con la“Battaglia di Costantino e Massenzio”; gli altri due di Giuseppe Belloni,  copie degli originali   commissionati a Giovan Francesco Romanelli con “Le nozze di Peleo e Teti” e “Bacco e Arianna”. realizzate pochi anni  dopo la morte di Romanelli. Si accede al giardino attraverso il Ponte di Lorenzo Bernini .

 La teatralità è il tema della seconda sala, la n. 34, dal titolo “Teatro e pittura”, che evidenzia questo carattere della pittura seicentesca, espresso negli interni mediante il movimenti dei tendaggi, e nelle persone attraverso il linguaggio del corpo alla ricerca del dialogo complice con l’osservatore. Ma c’è un’altra componente, la sensualità, che introduce elementi ambigui ed allusivi in scene spesso arricchite da figure allegoriche e da metafore.

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Hendrick van Somer, “San Girolamo”, 1652

Lo vediamo nelle opere  esposte in questa sala,  “Maria Maddalena”, 1626-27, di Guido Cagnacci, e “Venere che suona l’arpa” 1630,di Giovanni Lanfranco, “Giuditta e Oloferne” 1630-35,  di Francesco Furini, e “Calcagnini” inizi XVI sec., Manifattura veneziana.

Tra Napoli e Roma

Sono questi pittori del centro Italia, a parte l’anonimo veneziano, mentre nella sala successiva , la n. 35, troviamo la “Pittura di Napoli”. Il teatro diventa quello anatomico, con le dissezioni dei corpi esibite anche per i curiosi, e non solo nelle scuole di medicina; in tale clima l’ostentazione del corpo nella pittura non si limita alle forme nobilitate dall’ideale di bellezza, ma ne rappresenta anche la decadenza fisica e ogni tensione che lo trasfigura, data dall’età fino alla morte, e anche dal’ascesi e l’estasi. La  pittura diventa corporea e densa, cerca il coinvolgimento dell’osservatore.

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Mattia Preti:, “La cena del ricco epulone”, 1655-60

Incontriamo grossi calibri come Luca Giordano con “Il filosofo” 1980 e Jusepe de Ribeira con “San Giacomo Maggiore” 1632-35, poi  i santi di Giovanni Battista Caracciolo,“Sant’Onofrio”1625, di Hendrick van Somer, “San Girolamo” 1652, Bernardo Cavallino, “Il commiato di Pietro e Paolo” 1645-50, e la biblica “Cacciata di Eliodoro dal tempio”1725,  di Francesco Solimena.

L a sala n. 36 è quasi monografica, intitolata a “Mattia Preti”, abbiamo scritto “quasi” perché delle 5 opere solo 3 sono di Mattia – “La fuga da Troia” 1635, “Resurrezione di Lazzaro” e “La cena del ricco epulone”1655-60. le prime 2 sono state esposte alla recente mostra, nello stesso Palazzo Barberini, sui fratelli Preti; in entrambe le mostre  l’”Allegoria dei cinque sensi” 1642-46, del fratello Gregorio.  L’unico “estraneo” è Massimo Stanzione, “Compianto del Cristo morto” 1621-27.

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Gian Lorenzo Bernini, “Busto di papa Clemente X Altieri “, 1676-80

 C’è il superamento del caravaggismo, pur presente nelle opere dei due fratelli, al pathos si aggiungono motivi più sottili, ci cerca ancora di più  il coinvolgimento emotivo dell’osservatore alla scena. E questo avviene sia con motivi religiosi che con temi biblici o mitologici,  e non mancano i richiami ai maestri veneti del secolo anteriore, da Tiziano a Tintoretto.

Ed ora Roma, cui sono dedicate  due sale, la prima è la n. 37 intitolata  “Roma 1670-1750”. tra l’ultima parte del ‘600 e la prima metà del ‘700. Un periodo di transizione e per questo una grande varietà di forme espressive con un motivo classico comune: “l’eloquenza retorica delle immagini, sia pure declinata secondo intonazioni variabili”.

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Carlo Maratti, “San Paolo” 1667, a sin., “San Giovanni Evangelista” 1690. a dx

L’energia di Gian Lorenzo Bernini e la solennità di Carlo Maratti, grandi esponenti del Barocco che si avvia a chiudere il suo ciclo, vengono evocati, per il primo dal “Busto di papa Clemente X Altieri” 1676-1680. per il secondo da “San Paolo” 1667 e “San Giovanni Evangelista” 1690.

Il nuovo “secolo dei lumi” trova una primissima testimonianza in “America, Europa, Asia, Africa”1707, di Francesco Trevisani, prima dell’irrompere di Marco Benafial con  4 opere,  alcune intrise di ironia, come “”La famiglia Quarantotti” 1756; oltre a quest’opera,  fuori dai generi consueti troviamo “Santa Margherita da Cortona ritrova il cadavere dell’amante” 1728-32, dal titolo eloquente sul contenuto, e le mitologiche ”Ercole e Onfale” 1735-40,  e ’“Piramo e Tisbe”, i Romeo e Giulietta dell’antichità che abbiamo visto in varie interpretazioni antiche e moderne alla mostra celebrativa del bimillenario di  Ovidio alle Scuderie del Quirinale.

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Marco Benefial, “La famiglia Quarantotti”, 1756

Oltre  che sui dipinti alle pareti, l’attenzione si sofferma sull’affresco del soffitto, di Giuseppe Bartolomeo Chiari, allievo di Carlo Maratti, una “Nascita di Pindaro” all’altezza dei voli pindarici, come omaggio alla vis oratoria e alla forza poetica di Urbano VIII  e dei Barberini nella sala delle Udienze.  I curatori .a questo riguardo parlano di “oratoria visiva”  e citano Quintiliano il quale nell’”Institutio oratoria” scriveva che un dipinto,  “per quanto muto e immobile, penetra  a tal punto nei più intimi sentimenti che sembra a volte superare la forza stessa delle parole”.

Passiamo alla sala n. 40, saltando per un  momento le n. 38 e 39, su cui torneremo,  per proseguire con “La veduta romana”, una sorta di piccola personale su Gaspar Van Wittel di cui sono presentate 8 opere, insieme a  “Capriccio con i più celebri monumenti  e sculture dell’antichità di Roma” 1734, di Giovanni Paolo Panini. 

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Gaspar Van Wittel, “Veduta di Roma dalla Piazza del Quirinale”, a sin.
“Veduta di Roma con Ponte Rotto e Ripa Grande”, a dx, 1684 ,

Van Wittel è olandese e viene in Italia portando il livello più avanzato raggiunto nel suo paese nel campo dell’ottica, sia come facoltà visive  sia come uso di lenti speciali dai microscopi per l’infinitamente piccolo  ai cannocchiali e telescopi per l’infinitamente grande. 

Nelle sue riproduzioni del paesaggio  è come se l’artista si avvalesse di occhiali speciali, tanto che venne chiamato “Gaspare dagli occhiali”. Il suo sigillo sulle vedute romane rimase molto a lungo. ma in cosa consiste questo approccio del tutto particolare?  L’assommarsi della visione cartografica e del rilievo  architettonico allo stile calligrafico e all’espressione della vitalità cittadina che va oltre il fascino monumentale e paesaggistico. Una sorta di ossimoro pittorico, in cui convivono la precisione  e l’accuratezza della veduta con una visione scenografica che unisce alle architetture e rovine antiche aspetti pittoreschi in un realismo misto alla fantasia. Trascendendo così  la rappresentazione realistica.

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Gaspar Van Wittel, altre 4 vedute di Roma, 1684

Il “Grand tour” e  ritratti

A parte l’antichità romana, che era il piatto forte del “viaggio in Italia”, le motivazioni erano più ampie, riguardavano più in generale il “genio italiano”  manifestato anche nella storia e nell’arte, quindi con carattere universale. Ma non venivano trascurati aspetti apparentemente contrastanti con questa visione globale, i caratteri peculiari delle varie località, geografici ed etnici, climatici e ambientali, una sorta del “glocal” dei nostri tempi, globale e locale insieme.

Era una nuova sfida, confrontare il “gusto” italiano con i modelli stranieri,  come fece lo scrittore Karl Philip Moritz dopo aver conosciuto Goethe nel suo viaggio in Italia nel 1786. Ma il significato e il risultato andavano ben oltre, come ricordano i curatori: “Il soggiorno in Italia non è solo la scoperta del paesaggio, dell’antichità, del classico, ma anche di sé stessi e della propria patria d’elezione, perché in fondo – come già sapeva Seneca – il luogo non basta, e per ritrovarsi ‘non occorre che tu sia altrove, ma che tu sia un altro’”.

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Anton von Maron, “Ritratto di Sir Robert Clive” 1766

Anche per questo solo una delle opere esposte nella sala dedicata al “grand tour”  ha carattere paesaggistico: “La cascata di Tivoli” 1769, di Jacob Philipp Hackert”. Le altre sono ritratti – a parte “Giove e Ganimede”  1760, di Anton Raphael Mengs – nevediamo due di Anton von Maron, di  “Sir Robert Clive” 1766, e del “Cardinale Vincenzo Maria Altieri” 1780, oltre a quello  di “Filippo Agricola” 1820, di Emile-Jean Horace Vernet“. Non sono di personaggi, ma di figure simboliche il “Ritratto di giovane donna in veste di baccante” 1801, di Angelica Kauffmann, e il “Busto di gentiluomo” II metà XVIII sec., di Jean-Jacques Caffieri.

Sono  2  tedeschi,  2 francesi, un austriaco e una svizzera. tutti trasferiti  in Italia, tre sono morti a Roma, solo uno all’estero. Non solo “grand tour”, dunque, spesso era una scelta di vita.

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Da sin., Angelica Kauffmann, “Ritratto di giovane donna in veste di baccante” 1801, Emile-Jean Horace Vernet, “Ritratto di Filippo Agricola” 1820, e
Jacob Philipp Hackert, “La cascata di Tivoli” ,1769

Il “viaggio in Italia” poteva avere anche motivazioni pratiche, sempre legate a una positiva peculiarità del nostro paese. Se ne ha testimonianza nella sala n. 38, dedicata a “Pompeo Batoni, Pierre Subleyras”, accostati per un altro intrigante ossimoro. Batoni, al quale fu dedicata una delle prime mostre “tematiche” della nuova direzione, all’insegna del “Gran Signore”,  era divenuto una sorta di “arbiter elegantiarum” esprimendo l’identità sociale dei personaggi ritratti anche attraverso l’estrema cura dei dettagli dell’abbigliamento secondo l’etichetta del tempo.  Siamo a metà del XVIII sec., la pittura di Batoni è al passo con le regole di comportamento e “bon ton”, il “ritratto d’occasione” prende sempre più piede e lui ne è l’interprete insuperato avendo il privilegio di essere il ritrattista della famiglia del Pontefice, della nobiltà e dei gentiluomini. Chiaro che gli aristocratici straneri, in particolare inglesi, facessero la fila per avere un suo dipinto che li ritraesse all’insegna del “buon gusto”!

E’ del 1775  il “Ritratto di Henry Peirse” di Pompeo Batoni,  e oltre al gentiluomo inglese vediamo raffigurati  due italiani, “”Conte Niccolò Soderini”  1765, e Abbondio Rezzonico” 1766; di dieci anni successivo “Agor e l’angelo” 1766, non solo ritratti, dunque.

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Pompeo Batoni, “Ritratto di Abbondio Rezzonico”, 1766

Abbiamo detto che la sala è intestata anche a Pierre Subleyras di cui non viene presentato un ritratto curato nei dettagli dell’abito, ma “Nudo femminile di schiena” 1740, con il  quale, secondo i curatori, l’artista “prova a mettere a nudo il rituale di finzione che detta le regole del gusto nel gioco della pittura”: e lo fa non rispetto a una figura mitologica, come avveniva di regola, ma a una donna qualsiasi, forse vicina a lui, colta in un momento di intimità, cosa che “per un momento lascia lo spettatore da solo, non già davanti al soggetto, così com’è, ma davanti al proprio stesso sguardo”.

 Venezia e i bozzetti

Il “Grand tour” comprendeva Venezia alla quale è dedicata la sala n. 39 con il titolo La veduta veneziana. Vediamo 8 dipinti non su Venezia, ma di 3 artisti di Venezia, uno dei  quali,  Bernardo Bellotto, ritrae “La Piazza del Mercato della città nuova di Dresda” 1747, e “Veduta del castello di Schloshof” 1760-63, in una sorta di “gran tour” all’inverso; mentre di Francesco Guardi,  abbiamo “Capriccio con vedute romane” e finalmente “Veduta di Venezia con san Giorgio visto dalla Giudecca”, entrambi del 1770-80.

Invece “Veduta di Venezia” apre il titolo dei quattro i dipinti di  Giovanni Antonio Canal, detto “Canaletto”, tutti del 1735-40:“Con la Piazzetta” e “Con il Ponte di Rialto”,  Con piazza san Marco e delle procuratie” e “Dal Canal Grande”. Sono spettacolari e  possono dare anche l’idea di un estremo realismo, ma è vero il contrario. Il Canaletto –  così i curatori – “fonde appunto la consumata sapienza della prospettiva scenografica con gli strumenti della nuova scienza ottica e, ovviamente, con la ‘sensibilità’, la facoltà intuitiva di cogliere il bello che è ormai diventata una categoria estetica dominante”. Quindi le immagini sono rese incredibilmente nitide dall’“occhio artificiale” della camera ottica di cui si servono ormai i vedutisti, in una “combinazione, talvolta ‘capricciosa’, di natura e artificio” che diviene molto popolare trasformando le opere in “souvenir”.  Ritroviamo l’artificio ottico dei vedutisti che veniva dall’Olanda, a Roma lo portò “Gaspare degli occhiali”, Canaletto, 45 anni dopo è veneziano,

Tutt’altra cosa i bozzetti, nei quali l’artista delinea il contenuto dell’opera, non  servono al ricordo ex post come i “souvenir” veneziani, ma a presentarla ex ante anche per l’assenso del committente a realizzarla.

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Francesco Bellotto, “Veduta del castello di Schlosshof”, 1760-63

Nella sala n. 42 troviamo la “Donazione Lemme, una ventina di bozzetti donati alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini nel 1998 da Fabrizio e Fiammetta Lemme. Una serie per il ciclo del soffitto della Basilica di San Clemente, autori gli artisti romani Giuseppe Chiari, Sebastiano Conca e Pier Luigi Ghezzi, per i santi carmelitani della Chiesa di san Martino ai Monti da Antonio Cavallucci con 2 bozzetti,per i laterali della cappella in San Marcello al Corso da Domenico Corvi, con 2 bozzetti. Inoltre  abbiamo Mariano Rossi,  con 2 bozzetti di tema religioso, e Stefano Pozzi  con l’”Allegoria dei Quattro elementi” in 4  bozzetti.

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Canaletto, “Veduta di Venezia con il Ponte di Rialto”, 1735-40

Viene riportata la “prescrizione”  scritta da Piero Selvatico nel 1842 nell’“Educazione del pittore storico”, che ne evidenzia le caratteristiche: “Sia, dunque il bozzetto né troppo, né troppo poco studiato. Non lo sia troppo nei particolari, non troppo poco nell’effetto generale”.

Ciò perché il bozzetto non va visto soltanto come un ”memento” all’artista per l’opera definitiva, nel qual caso potrebbe sembrare sorprendente non prendere nota dei particolari;  ma anche – ed è il caso della collezione Lemme –  come presentazione ex ante da cui dipende l’affidamento dell’opera da parte del committente. “Ciò spiega, concludono i curatori, perché spesso i pittori, preoccupati di assicurarsi la commissione, abbiano profuso maggior impegno e maggior cura nell’esecuzione dei modelli che nella realizzazione dell’opera finale”.

Canaletto, “Veduta di Venezia con la Piazzetta”, 1735-40

La conclusione della ricognizione nell’arte del ‘700 del nuovo allestimento delle sale recuperate, con i bozzetti della Fondazione Lemme, ne esprime anche il dinamismo, implicito nel bozzetto come preludio alla realizzazione dell’opera. Viene già annunciato un nuovo allestimento dall’ottobre 2019, di 3 sale. Nella n. 35 sulla “Pittura di Napoli” , dopo il “Filosofo” si avrà l’ “Autoritratto” di Luca Giordano, con 2 opere di Salvator Rosa, “Ritratto della moglie”, “La Poesia, la Musica”, e “San Pietro” di Giuseppe Sammartino;  nella n. 37, “Roma 1670-1750”, 2 opere di Ercole Ferrata, “Putti che sorreggono un medaglione”, e “La Fede con il ritratto di Lella Falconieri”; nella n. 38, “Pompeo Batoni, Pierre Subleyras”, di Batoni,  “Ritratto di Clemente XIII Rezzonico” , di Subleyras,  “Madonna che legge”, dopo il nudo femminile ora esposto; anche la sala n. 40 aggiornata con l’opera di Giovanni Paolo Panini, “Capriccio con la statua equestre di Marco Aurelio”.

Questo l’annuncio, pensiamo che ci saranno anche tante sorprese, la nuova direzione non le farà mancare certamente.   

Donazione Fabrizio e Fiammetta Lemme”, uno scorcio della quadreria di bozzetti di vari artisti del ‘700

Info
Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13, Da martedì a domenica ore 8,30-19,00, la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 6; biglietto valido per 10 giorni nelle due sedi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini; gratuito under 18 anni e particolari categorie.  www.barberinicorsini.org; comunicazione@barberinicorsini.org.  Cfr. i nostri articoli in www.arteculturaoggi. com: sulla mostra di presentazione delle stesse sale, “Eco e Narciso, 1. La mostra nelle sale recuperate: le prime 7, a Palazzo Barberini” 25 settembre, ed “Eco e Narciso, 2. Le altre 6 sale recuperate in mostra, a Palazzo Barberini” 30 settembre 2018; su uno degli artisti in mostra: “Mattia e Gregorio Preti, i due fratelli insieme a Palazzo Barberini” 24 febbraio 2019.

Foto

Le immagini sono state  riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Barberini alla presentazione della mostra, si ringrazia la direzione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Francesco Furini, “Giuditta e Oloferne” 1630-35; seguono, Luca Giordano, “Filosofo (Cratete ?)” 1660 con Jusepe de Ribera, “San Giacomo Maggiore” 1632-35, e Giovanni Battista Caracciolo, “Sant’Onofrio” 1625; poi, Hendrick van Somer, “San Girolamo” 1652, e Mattia Preti, “La cena del ricco epulone” 1655-60; quindi,  Gian Lorenzo Bernini, “Busto di papa Clemente X Altieri” 1676-80 e Carlo Maratti, “San Paolo” 1667 con “San Giovanni Evangelista” 1690; inoltre, Marco Benefial, La famiglia Quarantotti” 1756, e  Gaspar Van Wittel, “Veduta di Roma dalla Piazza del Quirinale”, “Veduta di Roma con Ponte Rotto e Ripa Grande”, 1681; ancora, Gaspar Van Wittel, altre quattro vedute di Roma, e Anton von Maron, “Ritratto di Sir Robert Clive” 1766; prosegue, Angelica Kauffmann, “Ritratto di giovane donna in veste di baccante” 1801, con Emile-Jean Horace Vernet, “Ritratto di Filippo Agricola” 1820e Jacob Philipp Hackert, “La cascata di Tivoli” 1769, e Pompeo Batoni, “Ritratto di Abbondio Rezzonico” 1766; quindi, Pierre Subleyras, “”Nudo femminile di schiena” 1740, e Bernardo Bellotto, “Veduta del castello di Schlosshof” 1760-63; infine, Canaletto, Giovan Antonio Canal, “Veduta di Venezia con il Ponte di Rialto”, e “Veduta di Venezia con la Piazzetta”, 1735-40; in chiusura, “Donazione Fabrizio e Fiammetta Lemme” due scorci della quadreria di bozzetti di vari artisti del ‘700.

Donazione Fabrizio e Fiammetta Lemme”, un altro scorcio della quadreria di bozzetti

Carabinieri, la tutela del patrimonio culturale nel 2018

di Romano Maria Levante

Nella  sede del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di via Anicia a Roma si è svolto, il 17 aprile 2019, il tradizionale resoconto dell’attività svolta nell’anno precedente  con i risultati ottenuti nel recupero delle opere d’arte trafugate e più in generale nell’attività di tutela svolta a largo raggio. E’ intervenuto il ministro per i Beni e le Attività Culturali, Alberto Bonisoli,  con il comandante gen. B. Fabrizio Parrulli e il responsabile del Reparto operativo che è entrato nei dettagli dell’attività illustrando anche le operazioni più eclatanti relative ad una  serie di reperti di grande valore storico e artistico esposti nell’occasione in una sala del Comando.

“Musa Calliope” (a sin.) II sec. d. C, e “Diana Cacciatrice” (a dx) fine XVIII sec. (copia)

Siamo tornati  nella sede del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale per il Bilancio 2018, dopo tanti incontri per la presentazione, oltre che dei bilanci precedenti, dei ritrovamenti e recuperi di importanti opere d’arte. Passano i Ministri  per i Beni e le Attività Culturali, sempre intervenuti nel Bilanci e nei più importanti ritrovamenti, passano anche i Comandanti – ricordiamo nel 2010 il gen. Nistri  divenuto oggi Comandante Generale dell’Arma – ma prosegue  senza sosta la meritoria attività operativa con risultati positivi  per la lunga e valida esperienza maturata che fa dei nostri carabinieri specializzati in questo campo anche degli istruttori per cui è  largamente richiesta dagli altri paesi la partecipazione ai nostri corsi di aggiornamento: nel 2018 sono stati più di 50 gli interventi formativi dall’Europa all’’America del Nord e del Sud, dal Medio ed Estremo Oriente alla Cina; e una quindicina i corsi organizzati in Italia.   

Va aggiunto che da febbraio 2018 due unità di Carabinieri del Comando Tutela sono stanziate in modo stabile, con avvicendamento ogni 4 mesi,   a Baghdad ed Erbil, come supporto all’ufficio dell’UNESCO nella protezione e riordino dei beni cultural dell’Irak, anche attraverso appositi corsi di formazione e una banca dati tipo quella italiana.  Sono i “caschi blu della cultura” istituiti proprio su iniziativa del Ministro Italiano dei Beni e Attività Culturali, che era allora Dario Franceschini

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Rilievo epoca romana

E’ stata realizzata negli anni la “Banca dati dei beni illecitamente sottratti” , quasi sempre risolutiva nell’accertare la presenza nelle aste d’arte internazionali di opere di provenienza furtiva  per procedere al recupero.  L’attività non consiste solo nella pur fondamentale repressione, ma si  opera anche a livello di prevenzione. E non ci si avvale solo degli strumenti a disposizione dell’Arma sul piano investigativo  e di intervento ma si agisce anche sul piano diplomatico in stretto collegamento con gli organi dei ministeri competenti,  oltre al Ministero per i Beni e le Attività Culturali quello per gli Affari Esteri, con le sue  Ambasciate e Consolati e gli addetti alla Sicurezza.

Vicende intriganti da fiction televisiva

Possiamo dire, in modo forse irrituale rispetto all’importanza del tema e al rigore delle azioni, che risulta particolarmente intrigante la dinamica degli avvenimenti, perché evoca “thriller”  con una serie di protagonisti di varia estrazione,  la “suspence” e l’esito finale. Sono veri  e propri “gialli”, spesso originati da  casualità banali che diventano rivelatrici.

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Serie di anfore a figure rosse

Sono  intrecci degni di “fiction” televisive, e a questo riguardo il pensiero torna a una diecina di anni fa allorché nella stessa sede il sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali di allora avanzò la proposta di interessare la Rai a un “serial” su questo tema. Un colonnello del Comando ci  ricordò che c’era stato un “serial” di questo tipo, “Caccia al ladro d’autore”, con Giuliano Gemma protagonista,  appoggiammo  l’idea  tonandoci sopra più volte ma non se ne fece nulla. Ancora una volta la Rai ha perso l’occasione di svolgere effettivamente la funzione di servizio pubblico per la quale riceve  oltre 1,5 miliardi di euro l’anno.

E’ forse l’aspetto più interessante anche di questi incontri, del resto, la lotta tra “guardie” e “ ladri” ha sempre interessato;  e quando dinanzi agli attentati al  patrimonio culturale, che fa parte del nostro DNA collettivo, si riesce a reagire con successo, scatta spontaneo l’entusiasmo, come all’”arrivano i nostri” nei film western.  La diffusione di queste storie, oltre ad appagare le pulsioni positive di ognuno,  è oltretutto  utile perché sapere come vengono trafugati i beni culturali e poi  legalizzati in qualche modo od occultati,  può aiutare l’azione di contrasto. Il canale televisivo sembra essere il più appropriato per la diffusione più vasta, oggi andrebbero aggiunti i “social” .

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Primo piano di un’anfora a figure rosse

 I principali risultati  dell’azione svolta nel l 2018

Cominciamo  con un rapido riepilogo dei risultati i complessivi, precisando come  il Comandante Parrulli  abbia  tenuto a mettere  in evidenza   che “le attività investigative hanno  permesso, nel 2018, di disarticolare numerose associazioni criminali, operanti sia in Italia sia all’estero  soprattutto nel settore dell’archeologia”. E questo ci sembra di particolare importanza, al di là dei dati specifici, perché “disarticolare” vuol dire metterle  nell’impossibilità di agire, così la repressione diventa anche prevenzione per il futuro; sono 5 queste associazioni, di cui 4 operanti in modo truffaldino o nell’archeologia e una nell’antiquariato, composte da 76 persone.

Sino state denunciate circa 1200 persone, di cui 34 arrestate,  i beni  recuperati sono stati oltre 56.000, per un valore di 118 milioni di euro, in linea, aggiungiamo noi, con i 3 milioni di beni recuperati nei 50 anni  di attività del Comando, ricordati dal   ministro Bonisoli  il quale ha sottolineato che al suo insediamento con l’operazione chiamata “Demetra”  furono recuperati 20.000 reperti archeologici siciliani frutto di scavi clandestini, per un valore di 40 milioni di euro.

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Luca e Andrea Della Robbia, “Madonna con Bambino”

La molteplicità dei canali attraverso cui oggi vengono commercializzati i beni culturali ha reso più agevole far passare anche quelli di provenienza illecita, in particolare l’ “e- commerce” e i “social” attraverso il web; ma consente anche forme di controllo da parte dei Carabinieri utilizzando la “Banca dati dei beni illecitamente sottratti” per individuare quelli irregolari pur con le difficoltà dovute alla difficile identificazione in molti casi. Nello scorso anno su circa 24 mila verifiche fotografiche con la banca da sono risultati di provenienza illecita  quasi 7 mila, di cui 4000 beni numismatici, 2000 reperti archeologici e 900 beni archivistici e librari.

A parte i controlli “on lne”  ex post,  è stata svolta un’efficace azione preventiva  monitorando le aree maggiormente a rischio  perché prese di mira in passato, quelle di maggiore afflusso turistico e quelle con vincolo paesistico, in particolare i siti  UNESCO, riguardo ai  beni archeologici, mentre per i beni culturali esposti al pubblico, quindi facilmente asportabili, come i documenti archivistici e i beni librari,  si provvede a  sensibilizzare i rispettivi istituti  perché siano eliminati  i maggiori fattori di rischio  distribuendo agli addetti il  vademecum, “La sicurezza anticrimine nei musei”  predisposto nel 2015. In effetti,  nei musei  un primo effetto positivo si è avuto con la diminuzione dei furti  da 23 a 21, invece nei luoghi di culto, particolarmente esposti, sono aumentati.

Vengono indicate in modo specifico le azioni effettuate  e i risultati ottenuti nei comparti principali, l’archeologia e l’antiquariato, e anche nel contrasto alla contraffazione.

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Opus sectile a mosaico, con serpentino e porfido”, II sec. d. C

Per l’archeologia, l’operazione “Demetra”, di cui il ministro ha citrato i risultati,  ha consentito di porre fuori combattimento “un articolato sodalizio criminale  che, da decenni, operava un indiscriminato saccheggio di aree archeologiche nissene ed agrigentine, destinando i reperti a facoltosi operatori del Nord Italia, consapevoli della provenienza illecita dei beni”: scavi clandestini e “corrieri”  per portarli in Germania,  poi falsari per fittizie attestazioni di provenienza fino all’immissione sul mercato legittimo dell’arte attraverso case d’asta di Monaco di Baviera.

Nell’antiquariato sono proseguiti i controlli sugli esercizi commerciali di settore, ma l’attenzione è stata rivolta soprattutto all’“e- commerce” dove si è riversata gran parte dell’offerta  per i loro minori costi; l’attività investigativa è comunque lo strumento più efficace consentendo di cogliere dei segnali che, seguiti ed approfonditi, portano al risultato.  Che è stato notevole: 12,000 beni recuperati, con un aumento vicino al 60% rispetto all’anno precedente, 530 persone denunciate per ricettazione,  37 opere d’arte recuperate tra cui un dipinto di Guido Reni di grande valore.

La Relazione dà conto delle principali azioni svolte a livello nazionale e in ambito internazionale, precisando anche le collaborazioni fornite da altre istituzioni  in Italia e all’estero.

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“Promissione del Doge Andrea Dandolo e capitolare”, 1262

Le principali operazioni in Italia

Sono una quindicina le operazioni in ambito nazionale riassunte nel Rapporto 2018, è una geografia d’Italia  in cui spicca il centro-sud,  ma è presente in modo rilevante anche il nord.

Particolarmente attivo il contrasto ai falsi, con il sequestro di 302 opere contraffatte di  Guttuso e Fattori, Rotella e Schifano fino a Picasso a gennaio in Campania; di falsi di artisti contemporanei in febbraio in varie regioni del centro-sud, Sicilia compresa;  di falsi di Leonardo da Vinci in aprile nel Veneto e di Cezanne in maggio, di Modigliani in giugno e di Fontana in luglio, tutti e tre nel milanese, di Basquiat in ottobre a Roma e di  De Dominicis in novembre a Roma, Milano e Fabriano

Il contrasto alla sottrazione di  beni archeologici ha avuto un momento importante in febbraio, con il sequestro di oltre 1500 reperti dell’epoca romana, 35 sculture  e più di  2100 monete archeologiche, con altri oggetti ecclesiastici e di mobilio in molte regioni del sud; e in settembre  con il sequestro di 100 beni archeologici di epoca etrusca e romana, più 100 dipinti a Roma.

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Manfredino da Pistoia, “Episodi della vita di Gesù e della Vergine Maria”, sec. XIV

 Sono state denunciate per associazione a delinquere  a maggio 42 persone  in Sardegna,  a novembre 4 persone  a Roma. Milano e Fabriano,  a dicembre 20 persone a Napoli con il recupero, in quest’ultima operazione, di 533 beni per un valore di 8,5 milioni di euro. 

Oltre alle operazioni citate,  con le relative denunce, il sequestro in luglio nel milanese di una scrivania a ribalta con alzata, e denunce in agosto ad Ancona e Rimini, in novembre a Napoli per i furti nel Museo di Villa Livia, all’interno del parco Grifeo.

Sequestri e soprattutto rimpatri di opere nell’attività all’estero

Più di 25 le operazioni nel 2018 in ambito internazionale, attraverso Rogatorie e Ordini europei d’indagine su richiesta del Comando, la collaborazione con le forze di polizia di paesi stranieri, Interpol ed Europol, le autorità giudiziarie estere e la “Law Enforcement Agency”; in molti casi è stata risolutiva  la “diplomazia culturale”  del “Comitato per il recupero e la restituzione dei beni culturali” del MiBAC. Di questa intensa attività citiamo  i risultati.

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Protome gocciolatoio con statua

In gennaio rimpatriati dalla Germania 2 dipinti del XVII sec., valore 100.000 euro,  da  un museo di Copenaghen 155 reperti archeologici dell’VIII-IV sec. a. C., valore 7 milioni di euro, e  da Monaco di Baviera di una statua in marmo di “Afrodite”  del I sec. d.C., valore 350.000 euro.

A marzo sequestrati a Bruxelles 200 reperti archeologici tra l’VIII e il III sec. a. C., valore 900.000 euro, rimpatriati da Londra un dipinto di Reynolds, XVIII sec., e un disegno di Ruggieri, valore 80.000 euro.

Nell’aprile sequestrati in Francia, oltre a Roma e Ancona, circa 800 beni artistici tra 14 dipinti moderni e 62 antichi, 37 reperti archeologici, 622 pietre preziose e 24 monili in oro, valore 8 milioni di euro, inoltre rimpatriati da Basilea una kylix attica a figure rosse del V sec. a. C. e un rilievo ellenistico del II sec. a. C., entrambi con l’immagine di Dioniso, da Lugano 2 anfore a figure nere del VI sec. a. C. e un frammento di “lekano” del VII sec. a. C., valore 700.000 euro.

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“Cinghiale”, Protome gocciolatoio, fine VI sec. a. C.

A luglio la grande operazione “Demetra”, condotta tra  molte città italiane e città britanniche, tedesche e spagnole,  Londra, Monaco di Baviera, Barcellona, Londra,   con il sequestro  di oltre 450 reperti archeologici da scavi clandestini in Sicilia e di 22.000 monete antiche greche e romane, valore 40 milioni; nello stesso mese rimpatriati da Monaco di Baviera e Londra 3 dipinti di  Rubens,  Guercino e D’Antonio, valore 4 milioni di euro.

Siamo a ottobre,  rimpatriati da Bruxelles 100 reperti archeologici tra il VII  e il III sec. a. C., valore 400.000 euro, da Lugano 345 monete greche e romane, 2 fibule, 44 medaglie e un timbro, in bronzo, valore 500.000 euro,  da Monaco di Baviera un dipinto di Pietro di Cosimo, valore 1 milione di euro.

Nel mese di novembre,  rimpatriati da Basilea 4 reperti archeologici, tra cui 2 statue romane, valore 500.000 euro, dagli Stati Uniti  un codice e un foglio in pergamena del XIV sec.,  valore 2 milioni di euro, e numerosi manufatti etruschi, apuli e romani tra l’VIII e il III sec. a. C., valore 3 milioni di euro.

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Statua romana

Infine dicembre, a Emblem, in Belgio, sequestrati oltre 700 reperti archeologici ceramici e miniaturistici, tra il III e il IV sec. a. C., valore 6 milioni di euro.

E importante sottolineare, a conclusione di questa carrellata sull’attività all’estero, che ci sono state anche cerimonie di restituzione a paesi esteri di beni culturali illecitamente sottratti a tali paesi e recuperati dal nostro Comando Tutela. A febbraio restituito presso la residenza dell’ambasciatore belga un dipinto di scuola fiamminga del 1520,  ad aprile nella sede del Comando, restituita all’ambasciatore dell’Iran in Italia una stele funeraria in pietra del VII sec., a giugno, a Palazzo Farnese, restituita all’ambasciatore francese una scultura lignea policroma del XVIII sec., e a Villa Savoia, nella sede della rappresentanza diplomatica egiziana, restituiti all’ambasciatore oltre 190 reperti archeologici egizi di inestimabile valore e 23.000 monete antiche in bronzo e argento.

Si tratta del 2018, quindi non si cita la spettacolare riconsegna, avvenuta nel marzo 2019, al Presidente cinese Xi Jinping, in visita in Italia per la firma del protocollo sulla “Nuova via della Seta”. di circa 800 reperti trafugati in Cina in varie epoche ed esportati illegalmente in Italia, esposti nella sede dell’incontro a Villa Madama e destinati a una mostra in Cina il prossimo anno, nelle celebrazioni del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.

Una restituzione anche dall’estero all’Italia, in ottobre nella sede dell’ambasciata a Villa Wolkonsky il Ministro britannico per le forze armate ha riconsegnato 2 preziosi reperti etruschi rinvenuti nel Regno Unito.     

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Statua di “Giove”, II sec. d. C. con base colonna

L’esposizione nel Comando  di opere recuperate

In conclusione,  diamo conto della parte spettacolare della mattinata, sono state presentate, in una speciale interessante mostra, le acquisizioni più recenti, fino ai primi mesi del 2019, ciascuna con una sua storia. Ne diamo conto sommariamente..

Il recupero più prezioso è la  “Madonna con Bambino”, bassorilievo di Luca e Andrea  della Robbia”, fine ‘400,  rubato nel 1971a Scansano, paese toscano in provincia di Grosseto. Dopo oltre 40 anni, nel 2013,  i carabinieri del  nucleo fiorentino del Comando Tutela riconoscono l’opera nel catalogo di una importante casa d’aste di Londra,  come venduta a una società americana. E’ uno dei modi più frequenti con i quali avvengono le identificazioni, altrettanto abituali sono le fasi successive: scattano le indagini sulla collocazione dell’opera e viene identificato il compratore, un collezionista canadese, il cui acquisto era avvenuto in buona fede. Di qui due linee d’azione:  la prima giudiziaria,  la Procura della Repubblica nel Tribunale di Lucca emette un provvedimento di “confisca per esportazione illecita commessa da ignoti”, tali infatti sono rimasti i responsabili del furto; la seconda diplomatica,  appositi contatti con il possessore dell’opera, per una restituzione spontanea, sostenuta dal provvedimento di confisca, questa effettuata dall’Ambasciata in Canada, con l’esperto Sicurezza, insieme al Consolato di Toronto. Passano ben 6 anni dall’individuazione, ma almeno il 4 aprile 2019 l’opera è rientrata  in Italia.

 Ancora più indietro nel tempo, nel dopoguerra, trafugato l’ “Opus sectile a mosaico, con serpentino e porfido”, del II sec. d. C.,  nel caratteristico marmo lavorato, faceva parte del pavimento di una delle  navi che Caligola teneva nel lago di Nemi per le cerimonie, rinvenuto nella campagna di scavi svolta dallo Stato italiano nel 1928-32, e collocato nel Museo delle navi romane. Sempre il Comando carabinieri lo ha individuato a Detroit da una italiana ivi residente ed è riuscito a farlo sequestrare  dal “District Attorney” di Manhattan portando prove evidenti della  provenienza furtiva. Anche qui, attenzione e competenza, unita a intransigenza e perseveranza fino al  recupero.

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Statua femminile, II sec. a. C.

Risale al 1949 il furto della pagina in pergamena manoscritta e miniata del 1262, concernente la Promissione del Doge Andrea Dandolo e capitolare dei consiglieri ducali” avvenuto nella Sala diplomatica dell’Archivio di Stato di Venezia, una delle forme di sottrazione sulle quali i Carabinieri del Comando invitano alla vigilanza con il vademecum citato all’inizio. Anche qui  l’individuazione è avvenuta  tra i beni messi all’asta da  Christie’s di Londra il 2 giugno 1999, 50 anni dopo il furto, i carabinieri hanno la memoria lunga…. le prove sono state inconfutabili. Il 12 febbraio 2019 la casa d’aste ha restituito la pergamena che vediamo esposta su un leggio.

L’esposizione di questi ritrovamenti  è ben assortita, nei generi oltre che nelle vicende: Vediamo una spettacolare predella, in tempera su tavola a fondo oro, on “Episodi della vita di Gesù e della Vergine Maria”, sec. XIV, attribuita a Manfredino da Pistoia.  Questa volta nulla di romanzesco, l’opera era stata asportata da una casa privata di Varazze nel 1988 ed è stata trovata in possesso di un noto collezionista canadese, solito acquirente in buona fede; è bastata la negoziazione extragiudiziale attraverso l’Ambasciata d’Italia con la collaborazione dell’Ambasciata dei Paesi Bassi il cui ufficiale di collegamento ha contribuito all’individuazione per ottenere che fosse restituita nel febbraio 2019.

Altro   reperto esposto è la raccolta “Aes Grave” , 75 monete archeologiche  in bronzo fuso. Spiccano sul drappo rosso, ma  a parte questo effetto spettacolare  si tratta della  prima  serie coniata dalla zecca di Roma nel III sec. a. C., molto rara   La Soprintendenza della Capitale ha avvertito  la Procura che erano state trovate da un cittadino queste monete di valore straordinario, lo “scopritore”  ha mentito sulle circostanze del rinvenimento per cui gli sono state sequestrate ed è stato deferito per “impossessamento illecito di beni culturali”. Resta il mistero sulla vera origine, ma l’importante  è che siano state recuperate; e se  il  ritrovamento fosse di chi è stato denunciato per aver cercato di appropriarsene sarebbe una lezione perché ne avrebbe avuto il merito, invece deve pagare l’illecito.

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Busto romano, II-III sec. d. C.

Ed ora le sculture recuperate  che fanno mostra di sé nel lungo corridoio nella sede del Comando.  

Delle  6 sculture esposte, 3  provengono da scavi clandestini nell’Etruria meridionale, portate illegalmente in Svizzera. Sono  una “Statua di Giove”, II sec. d, C. in marmo,  una “Statua di donna”, I-II sec. d. C.in pietra,  e un ”Cinghiale”, fine VI sec. a. Cin terracotta, un “protome gocciolatoio” prezioso  esemplare arcaico di arte etrusca,  Torna l’abilità investigativa, viene fermato a Ginevra, nel Porto franco,  un trafficante italiano di beni archeologico conosciuto dagli addetti ai lavori, dalle fotografie che gli vengono sequestrate si possono individuare questi beni per poi risalire a chi li detiene, un operatore svizzero che si deve arrendere dinanzi alle prove della provenienza illecita e non può far altro che restituirle spontaneamente. ’La via extragiudiziale evita lungaggini, nel novembre 2018 tornano in Italia .

Le altre 3  statue, tutte in marmo e acefale a differenze di quelle appena citate, provengono invece da furti, due in luoghi pubblici nel 2010, “Busto romano”, II-III sec. d. C., trafugato dall’Orto botanico di Roma, “Statua di Diana cacciatrice”, copia di Domenico Caveceppi, fine XVIII , asportata dalla fontana ninfeo di Villa Borghes, resa acefala nella dea e nel cane da ignoti nel 1968 e 1978; la terza statua romana, “Musa Calliope”, II sec. d. C., era stata rubata nella casa romana dell’attore-regista  Roberto Benigni. Furono  tanti i furti di quegli anni tra Villa Borghese e Villa Torlonia, Villa Pamphili e residenze private, che la  recrudescenza fece avviare una vasta indagine con intercettazioni e pedinamenti in tutti i sospetti operanti nelle varie fasi dell’illecito nell’arte, tra i presunti mandanti ed esecutori dei furti, i trasportatori e i collocatori sul mercato estero. Risultato, 9 arresti, diecine di denunce, e il sequestro delle  6 statue in Spagna, in una galleria a Barcellona, a seguito dell’intervento della Procura della Repubblica del Tribunale di Roma  con la collaborazione della polizia giudiziaria spagnola. Dopo “la vita è bella”,  per Roberto Benigni un lieto fine.

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Musa Calliope”, II sec. d.C.

Un’idea, soltanto un’idea

Delle principali operazioni svolte con successo, i siti web dei maggiori giornali, e i giornali cartacei locali ne hanno dato conto, spesso con titoli ad effetto, come si vede nel Rapporto che ne dà conto opportunamente riportando i principali articoli pubblicati.  

Questo ci fa venire un’idea: a parte la fiction televisiva in un “serial”  poliziesco sulla “Caccia a l ladro d’autore”, non si potrebbe pubblicare una rubrica fissa che periodicamente desse conto dei furti e dei ritrovamenti e recuperi?  Lo proponemmo nel 2010 al gen. Nistri allora Comandante del nucleo, ma ci limitavamo al sito web specialistico “www.archeorivista.it”  su cui scrivevamo allora.

Ma qualunque sito sarebbe inadeguato  rispetto alla diffusione che andrebbe data a tali notizie.  Allora il pensiero torna ancora alla Rai, aggiungere alla rubrica sui libri una rubrica sui furti e ritrovamenti di opere d’arte. Rientrerebbe a buon diritto nel servizio pubblico che è tenuta ad assicurare e per il quale è remunerata in modo stratosferico, dato che il “canone” attiene solo a questa componente, e non all’intrattenimento da Tv commerciale che costituisce la parte di gran lunga preponderante della sua programmazione. Se poi realizzasse anche la “fiction” di cui abbiamo detto all’inizio farebbe il “plenum”  e saremmo i primi a riconoscerlo. Ma forse non si può avere tutto, però qualcosa sì. 

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“Diana Cacciatrice”, copia Bartolomeo Cavaceppi, fine sec. XVIII

Info

Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, Caserma La Marmora, via Anicia, 14 – Roma. Per i precedenti nostri articoli sui recuperi, cfr. in www.arteculturaoggi.com:  2015: “Carabinieri TPC, recuperati 5000 reperti archeologici” 25 gennaio, “Arte e Stato. Le acquisizioni mirate, a Castel Sant’Angelo” 20 ottobre, “Arte e Stato, La galleria di acquisizioni a Castel Sant’Angelo” 25 ottobre, “Arte e Stato: anche l’arte orientale a Castel Sant’Angelo” 30 ottobre;  2014 , “Caligola, la statua e non solo in mostra al Vittoriano” 8 giugno;  2013: “Archeologia, capolavori recuperati a Castel sant’Angelo” 27 luglio, “Urne etrusche, 24 recuperate con 3000 altri reperti” 21 luglio,  “Arte salvata. La mostra nel 150° dell’Unità d’Italia” 1° giugno. In www.archeorivista.it e www.antika.it, 2012:  “ I Carabinieri del Comando Tutela recuperano 3 statue e 200 reperti archeologici negli USA” 12 gennaio; “Roma. I  Carabinieri del Comando Tutela recuperano 200 reperti” 12 giugno;  2010: “Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale: nel 2010 successi da fiction Tv” 15 febbraio, “Due Vanvitelli e un Dughet recuperati dai Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale” 9 luglio (i due siti web appena citati sull’archeologia non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, sono comunque a disposizione).

Foto

Serie di anfore a figure rosseSerie di anfore a figure rosseLe immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Caserma La Marmora alla presentazione del Bilancio 2018, si ringrazia il Comando Carabinieri, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, “Musa Calliope” (a sin.) II sec. d. C, e “Diana Cacciatrice” (a dx) fine XVIII sec. (copia); seguono, rilievo epoca romana e serie di anfore a figure rosse; poi, primo piano di un’anfora e a figure rosse, e Luca e Andrea Della Robbia, “Madonna con Bambino”; quindi, “Opus sectile a mosaico, con serpentino e porfido”, II sec. d. C, e “Promissione del Doge Andrea Dandolo e capitolare”, pergamena, 1262; inoltre, Manfredino da Pistoia, “Episodi della vita di Gesù e della Vergine Maria”, predella sec. XIV, e Protome gocciolatoio con statua; ancora. “Cinghiale”, Protome gocciolatoio, fine VI sec. a. C., e Statua romana; prosegue, Statua di “Giove”, II sec. d. C. con base colonna, e Statua femminile, II sec. a. C.; infine, Busto romano, II-III sec. d. C, “Musa Calliope”, II sec. d.C., e “Diana Cacciatrice”, copia Bartolomeo Cavaceppi, fine sec. XVIII; in chiusura, “Aes grave”, 75 monete archeologiche in bronzo fuso, III sec. a. C.

“Aes grave”, bronzo fuso, 75 monete archeologiche romane, III sec. a. C.

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Molina, le sue “Figuras” inquietanti, alla Galleria Russo

di Romano Maria Levante

La nostra “Diego Cerero Molina, ‘Figuras’”  presenta, dal 13 giugno al 4 luglio 2019, alla Galleria Russo una trentina di “figure”, ritratti nella caratteristica espressione pittorica dell’artista, curatrice Maria Cecilia Vilches Riopedre che ha curato anche il Catalogo bilingue italiano-inglese della Manfredi Edizioni. La mostra segue, a staffetta, con la stessa curatrice, “Istanbul”, tenuta nella stessa galleria dal 15 aprile al 5 giugno, con opere dello stesso Molino e di altri 8 artisti.

“Figura con lente d’ingrandimento”, 2018

Ci sono tanti tipi di ritratti e di figure – per usare il termine utilizzato dall’artista nei titoli – ma quelle di Molina sono di certo fuori del comune. Proprio per questo motivo è intrigante cercare di interpretarle. La visione d’insieme di questa inconsueta galleria mostra colori neutri però con vibrazioni che nascono da alcune sottolineature cromatiche, soprattutto di particolari somatici che si manifestano con tratti brillanti.

Ma come è discreto il cromatismo di base, così è all’opposto la forma della rappresentazione e il suo contenuto, linee e contorni deformati, figure inquietanti. C’è un qualcosa, anzi molto, di irridente e sarcastico in quei volti, quasi per lanciare una sfida, con atteggiamenti e situazioni fuori da ogni logica. 

“Due figure”, 2018

Chi vuole sfidare l’autore di queste singolari rappresentazioni?   Non crediamo che la sfida sia rivolta all’osservatore, anche se chi guarda si sente comunque impegnato a trovare una chiave interpretativa; è evidente come quelle figure  esprimano un “sentimento” dell’artista verso il mondo in cui vive, in cui viviamo tutti.

La visione caricaturale dell’artista

Cerchiamo, dunque, di penetrare in questo mondo, che nelle opere dell’artista assume aspetti tra l’ironico e l’allucinato, tra  lo scherzo e la tragedia. Ci torna in mente il titolo di un film, “La tragedia di un uomo ridicolo”,  che ci sembra rendere il personaggio presentato dall’artista nelle sue figure accomunate da un qualcosa che si può esprimere con un aggettivo: grottesco, che unisce tragedia e farsa compresenti.

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“Figura con abito blu””, 2018

A questo punto ci chiediamo cosa possa portare l’artista a una simile visione al contempo partecipe e distaccata. Partecipe perché segue il suo personaggio  nelle situazioni più diverse, e spesso improbabili, distaccato perché non si lascia coinvolgere, quasi lo sorprendesse in atteggiamenti riservati entrando nella sua “privacy”.  Con questa interpretazione sembrerebbe contrastare il fatto che alcune immagini ritraggono il protagonista quasi in posa, ma è solo apparente, si vede  nel suo sguardo l’immediatezza con cui assume un atteggiamento appena si vede al centro dell’attenzione.

Nel parlare del “personaggio” abbiamo semplificato la galleria di volti e figure riferendola ad un unico soggetto, la molteplicità ridotta ad unità; in effetti, nelle sue incarnazioni molteplici, pur non riconducibili a un solo personaggio, c’è l’uomo contemporaneo con le sue anomalie, che la quotidianità e l’abitudine porta a sottolineare,  enfatizzate in modo  paradossale e caricaturale.

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“Figura con mucca” , 2016

Si avverte una metafora reiterata, qualche volta enigmatica ma sempre presente, fin nei dettagli. Alla “tragedia di un uomo ridicolo” nel mondo d’oggi si può aggiungere la dissacrazione del ritratto, genere tradizionalmente praticato a fini celebrativi. Qui è una celebrazione all’inverso, si mettono in evidenza deformazioni esteriori che corrispondono ad anomalie  interiori, elevando la caricatura a genere pittorico, ancora di più di quanto ha fatto Baj con i “generaloni”, e altri artisti con i dittatori. In qualche caso viste  in situazioni al limite della presentabilità.

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“Figura con mucca”, 2017

Le figure negli atteggiamenti più stravaganti

Nella galleria di immagini, la mucca che compare in più  dipinti del 2016-18 dal titolo  “Figura con mucca” – ne abbiamo contati quattro – viene presentata come un retaggio dell’infanzia quando, come ha confidato, “le mucche erano gli animali più grossi del campo e sono state al centro della mia attenzione per molto tempo. E poiché ho capito le cose solo dopo averle dipinte, non ho mi smesso di farlo. Ecco perché hanno una presenza così significativa nel mio lavoro”.

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“Figura con mucca” , 2018

Ma cosa ha capito? Forse la metafora cara all’uomo politico Pierluigi Bersani, di non vedere “la mucca nel corridoio”, cioè una presenza tanto ingombrante quanto spesso colpevolmente ignorata. In una “Figura con mucca” addirittura la cavalca, mentre in altre condivide situazioni improbabili, come una piscina circolare in plastica  e un grande tappeto blu a fiori bianchi, in mano un telefono collegato al muso dell’animale, fino alla mucca che protende il muso verso il personaggio, con due ricevitori telefonici tradizionali, uno dorato, l’altro nero, legati al suo capo da un nastro, senza che corrispondano alle orecchie. Stessa collocazione dei due ricevitori in “Figura con telefono”, 2016, quasi per sottolineare la dipendenza che se ne ha nel mondo d’oggi, ma non si tratta di cellulari.

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“Figura con piante”, 2018

Ci riporta al mondo di ieri il  collare elisabettiano che vediamo in “Dae figure” e “Figura con abito blu”, 2018. Il primo vede il protagonista  assiso su una poltrona dorata, con un cane ai piedi, un cono gelato nella mano destra,  e l’improbabile collare su un vestito  moderno, con tanto di giacca, cravatta e scarpe tirate a lucido. E’ stato interpretato come metafora dell’inversione di ruoli tra uomo e animale, essendo il collare più adatto al cane che invece ne è privo; ma allora come spiegare il collare del secondo dipinto nel quale ma non c’è l’animale?  Forse è una metafora del condizionamento subito anche quando si compie un gesto normale, come mangiare un cono gelato, peraltro dissociato  rispetto alla poltrona dorata in cui siede quasi fosse un trono.

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“Figura con le mani aperte”, 2016

Come la “Figura con pianta”, 2018, con il vestito intorno al quale è avvolto un serto vegetale, è evocativa di un altro contrasto tra l’abito cittadino e la pianta che sembra avvinta “come l’edera”. Altrettanto condizionato, anche se in un viluppo di segno opposto,  “Uomo avvolto in fatture”, 2014, i fogli del meccanografico richiamano ciò con cui si è alle prese quotidianamente in un accerchiamento oppressivo.   “Exiguo II”, stesso anno, in cui mostra le tasche vuote, sembra  la logica conseguenza dell’assedio delle fatture che corrispondono ad altrettanti pagamenti. Una variante di questo atteggiamento la vediamo in “Figura con le mani aperte”, 2016, quasi a mostrare che sono vuote come le tasche, sopra la testa una moneta da un euro quasi come aureola di santità; e in Figura con le mani sopra il tavolo”, 2014, quasi una resa inerme con le mani poggiate, ingigantite dal primo piano, il volto aggrondato sembra confermare questa interpretazione.

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“Figura con nastro adesivo sulla bocca”, 2019

Una diversa serie con le scritte, “Figura con nastro adesivo sulla bocca”, 2019, reca sul nastro  le parole “Precauciòn mantener serrado”, un  avvertimento sulla limitazione della libertà espressiva, altro vincolo che opprime l’uomo contemporaneo, e “Figura con orologio da tasca”  con la scritta “Romper en caso de emergencia”, quasi si potesse fermare il tempo rompendo il vetro dell’orologio; mentre nella “Figura con occhiali” , 2016, si legge “I’m only popolar on the Internet”, e in “Figura. Graffiti Area”, 2018, un viso stravolto con le parole “This Face is a designed” come nel titolo, con la precisazione “By Order National Highways Agency”. Affermazioni, quelle scritte sui due ultimi dipinti,  identitarie della condizione vissuta nell’epoca dei “social network”.

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Figura con orologio da tasca”, 2018

Nessuna scritta ma ingrandimenti che enfatizzano e nel contempo deformano le immagini in “Figura con lente d’ingrandimento”, 2018,  occhio e pugno di grandi dimensioni su un corpo schiacciato, come in un’altra “Figura con occhiali”, 2018, in grande evidenza non sono gli occhiali ma due pugni giganteschi, in contrasto con la figura modesta del protagonista anche se appare corrucciato. Mentre una terza “Figura con occhiali”, anteriore nel tempo perché risale al 2012, mostra un viso  con la bocca spalancata forse nella protesta, e in “Burla”, del 2°17, il volto, sempre con occhiali, è atteggiato a delle boccacce con la lingua fuori e le mani che sventolano intorno alle orecchie.

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“Figura – Graffiti Area”, 2018

Le figure negli atteggiamenti consueti

Questo “diapason” irridente lo poniamo a conclusione della parte della galleria espositiva dedicata a figure dagli atteggiamenti più intriganti e dai contorni più deformati e caricaturali. Ma ci sono anche altri atteggiamenti come  in “Figura sulla poltrona”, 2014,  e “Figura con parrucca  blu”, 2015, “Figura nell’acqua”, 2016, e “Figura con camisa rosa”, 2016-17,  sempre il protagonista “sorpreso” in situazioni particolari, in linea con i titoli. Abbiamo anche ritratti con divise particolari, come “Figura con giacca da torero”  e “Tenente colonnello 2”, entrambi del 2016, spiccano nel buio il primo trasandato, il secondo con la giacca bianca piena di medaglie ma non sembra marziale. C’è  anche la serie di ritratti intitolati “Mad”, tra il 2014 e il 2016, il protagonista, dagli occhi stralunati come del resto molti personaggi ripresi dall’artista, ha una giacca a righe bianche  e nere; e il recentissimo “”Figura con Narguile”, 2019, una delle sue tre opere esposte nella mostra in omaggio a “Istanbul”.

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“Mad IX”, 2014

L’assoluta normalità di atteggiamento la troviamo nell’”Autoritratto”  del 2017, il volto quasi di profilo con espressione intensa e lo sguardo lontano, il sigillo della immancabile deformazione nella mano cui si appoggia la testa ingrandita dal primo piano. Ma c’è un’altra immagine altrettanto sobria, “Autoritratto mentre dipingo”, un omaggio a Pablo Picasso perché evoca la celebre pittura sul vetro nella casa di Villauris del grande maestro suo conterraneo. Anche qui, peraltro, la deformazione non manca, ripresa dall’alto la sua figura appare schiacciata.

Questi autoritratti ci riportano all’ultimo e forse principale interrogativo che pongono  le “figure” mostrate dall’artista nelle situazioni più diverse, in atteggiamenti spesso sconcertanti e con  deformazioni dei loro tratti somatici o di alcuni particolari, generalmente le mani. L’interrogativo riguarda l’identità dei personaggi spesso rassomiglianti, e quindi i riferimenti che suggeriscono.

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“Autoritratto mentre dipingo”, 2019

La curatrice Vilches Rioprede ci dà la sua chiave interpretativa: “Diego è giovane, desideroso di imparare ed esplorare. Le sue tele lo aiutano nella comprensione del mondo che lo circonda. Si ritrae molte volte. E’ lui la figura principale, sia essa folle sia sensata”. In effetti, oltre che in questi Autoritratti, è perfettamente riconoscibile in “Due figure”, l’opera più intrigante commentata all’inizio e in altre senza occhiali. Ma forse anche nelle “Figure con occhiali” resta protagonista. D’altra parte, è stato lui stesso a dire, a proposito delle “Figure con mucca”, di insistere sul tema dal momento che “poiché ho capito le cose solo dopo averle dipinte, non ho mi smesso di farlo”. E’ verosimile che lo applichi anche a se stesso, perciò si dipinge nelle situazioni più diverse. Capire il mondo  attraverso la pittura, può essere anche questo l’insegnamento della mostra di Molina.  

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“Figura con Narguile”, 2019

Info

Galleria Russo, via Alibert  20, Roma. Aperta il lunedì dalle ore 16,30 alle 19,30, dal martedì al sabato dalle ore 10 alle 19,30, domenica chiuso. Tel. 06.6789949, 06.60020692 www.galleriaarusso.com,  Catalogo  “”Diego Cerero Molina ‘Figuras'” , a cura di Maria Cecilia Vilches Riopedre, Manfredi Edizioni, giugno 2019, pp. 88, bilingue italiano-inglese, formato 22,5 x 22,5; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Cfr. i nostri articoli, su precedenti mostre tematiche della Galleria Russo con Molina insieme ad altri artisti: in questo sito, su “Istanbul” 15 maggio 2019; in www.arteculturaoggi.com, su “Shakespre in Rome” 25 aprile 2016.

Foto

Le immagini delle opere di Molina sono state riprese da Romano Maria Levante nella galleria Russo alla presentazione della mostra, si ringrazia la proprietà della galleria, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta; sono riportate, apertura e chiusura a parte, in linea di massima nell’ordine in cui sono citate nel testo. In apertura, “Figura con lente d’ingrandimento” 2018; seguono, “Due figure” e “Figura con abito blu”” 2018; poi, “Figura con mucca” 2016 e ““Figura con mucca” 2017; quindi, “Figura con mucca” e “Figura con piante” 2018; inoltre, “Figura con le mani aperte” 2016, e “Figura con nastro adesivo sulla bocca” 2019; ancora, Figura con orologio da tasca” e “Figura – Graffiti Area” 2018; continua, “Mad IX” 2014, e “Autoritratto mentre dipingo” 2019; infine, “Figura con Narguile” 2019 e, in chiusura, un angolo della mostra, di fronte “Figura con le mani aperte” e a sin. “Figura con mucca” 2016, a dx “Mad IX” 2014.

Un angolo della mostra, di fronte “Figura con le mani aperte”
e a sin. “Figura con mucca, 2016, a dx “Mad IX”, 2014

Luciano Radi, 5. Il nostro ricordo

di Romano Maria  Levante

A conclusione del servizio, dopo i 4 articoli nel quinto anniversario della scomparsa di Luciano Radi, non possiamo non  aggiungere una nota personale: riportiamo il nostro ricordo  che fu pubblicato esattamente cinque anni fa sulla “Gazzetta di Foligno” del 15 giugno 2014  insieme al “ricordo delle illustri persone che lo hanno conosciuto, affiancato, amato e ammirato”, nell’omaggio al grande conterraneo  con cui il giornale della sua città volle aprire la prima pagina della seconda domenica di giugno. Non aggiungiamo nulla, le  parole e i sentimenti espressi allora, nell’immediatezza della scomparsa, risuonano ancora nel nostro animo, e lo faranno sempre.

Luciano Radi

Un sodalizio intellettuale

Il mio ricordo di Luciano Radi è strettamente personale, dopo un rapporto affettivo e un sodalizio intellettuale durato quarantacinque anni;  ma la grandezza della sua figura è tale che il ricordo si allarga fino a investire un campo quanto mai vasto, dall’economia alla politica, dalla società alla cultura. Ogni mio colloquio con lui – e in quasi mezzo secolo sono stati innumerevoli – era per me una lezione di vita, mi parlava un osservatore molto attento ai movimenti nella società, impegnato a coglierne i mutamenti profondi sul piano economico e sociale che precedeva quello politico, chiamato a risolvere i problemi evidenziati dall’analisi precisa e documentata. Era una fucina di idee e di iniziative, mi sorprendeva il suo impegno continuo nel cercare le soluzioni partendo dai dati rilevati  con la precisione dello statistico, per interpretarli  da economista e trarne le conseguenze da politico; impegno tradotto, oltre che  nella lunga attività parlamentare, in una pubblicistica vasta e articolata. Le sue anime di statistico, economista e politico alimentavano una ricerca incessante e instancabile, volta a “conoscere per deliberare” o comunque aiutare a deliberare chi ne aveva il compito. Aveva anche l’anima dell’uomo di cultura, che si guarda dentro e sente il bisogno di rendere partecipi delle sue riflessioni  personali, profonde se rivolte ai grandi temi della vita, divertenti allorché si dedicava a temi leggeri, anche qui la sua vasta pubblicistica ne è la migliore testimonianza. E aveva l’anima dell’uomo di fede – il fondamento della sua vita – che si è espressa pubblicamente nell’attenzione alle vite dei santi, cui ha dedicato scritti intensi e devoti. Questa dimensione pubblica del parlamentare e scrittore Radi non sovrasta  la dimensione privata del mio rapporto con l’uomo Luciano. Il sodalizio intellettuale nel condividere con me le sue riflessioni sulla società fa sì che le due dimensioni fossero strettamente intrecciate e in questo esprimeva un’umanità profonda, con  il suo spirito aperto alla curiosità, che faceva mettere in luce particolari destinati a passare inosservati, ma che diventavano paradigmatici nelle sue riflessioni: ne sono testimoni i suoi libri e non solo, ricordo la sua trasmissione radiofonica del mattino che allietava il risveglio. Ma nulla di tutto questo può sovrapporsi nel mio ricordo alle manifestazioni d’affetto di una persona raffinata e gentile, che sapeva esprimere sentimenti personali con la stessa sensibilità con cui esprimeva sentimenti collettivi. Gli uni e gli altri li ha manifestati fino all’ultimo, con l’amabilità e l’affettuosa fiducia con cui mi ha confidato le sue riflessioni anche in tempi recenti, pronto a tradurle ancora una volta in scritti documentati. Grazie, Luciano carissimo, per quanto mi hai dato e per quanto hai dato a tutti con la tua dedizione al bene comune e alla cultura. Sei stato un protagonista del ‘900, ma per me sei e resterai sempre il grande indimenticabile amico di una vita.   

Info

Con il ricordo dell’amico concludiamo la rievocazione, nel quinto anniversario della scomparsa di Luciano Radi, del politico e dello studioso, dell’uomo delle istituzioni e dello scrittore. Cfr. i nostri quattro articoli precedenti, usciti in questo sito: “Luciano Radi ricordato con una sua opera, l’incontro tra ‘Francesco e il Sultano ‘ 800 anni fa” 6 giugno  2019; “Luciano Radi, ‘potere democratico e forze economiche’” 9 giugno;  “Luciano Radi, ‘’i libri dell’anima’, l’umanità e la fede di una ‘personalità limpida’” 11 giugno; “Luciano Radi, protagonista e testimone del nostro tempo” 13 giugno.

Foto

L”immagine in apertura è stata tratta da Twitter, è l’omaggio di Gabriele Benedetti (@gabdetti) a Luciano Radi nel giugno 2015, un anno dopo la scomparsa, con le parole: “Luciano Radi, il volto sereno della politica onesta”. Lo ringraziamo per averci consentito di unire una fotografia che ne mostra l’amabilità e l’umanità, nell’espressione autorevole e dignitosa, come lo ricordiamo sempre e lo sentiamo vicino.

Luciano Radi, 4. Protagonista e testimone del nostro tempo

di Romano Maria Levante

A cinque anni dalla scomparsa di Luciano Radi abbiamo ricordato, dopo una breve introduzione sulla sua figura,  una sua opera sulla vita dei Santi, “Francesco e il Sultano”, presentata a Foligno il 30 maggio 2019 a 800 anni dallo storico incontro; poi una sua opera di politica economica, “Potere democratico e forze economiche”, che  a 50 anni dalla pubblicazione mantiene una viva attualità di analisi e di proposte,  quindi abbiamo ripercorso l’itinerario spirituale dei suoi “libri dell’anima”, da “Nati due volte” e “Sotto la brace” a “Non sono solo”, fino alla “trilogia dell’anima”, “Anime e voci”, Luci del tramonto”,  “I giorni del silenzio”, l’ultimo a quattro anni dalla  morte. Completiamo questo  ricordo con il profilo del politico  e dello studioso, dell’’intellettuale e dell’uomo di fede, che ha saputo tradurre il frutto della sua attività nelle istituzioni e delle sue ricerche culturali in testimonianze  preziose data l’attualità del suo pensiero rispetto ai problemi di oggi e di sempre. Tale profilo è contenuto nello scritto, distribuito all’incontro di Foligno citato nel primo servizio: Romano Maria Levante,  “Luciano Radi. Protagonista  e testimone del nostro tempo”, come estratto dalla pubblicazione nel  “Bollettino Storico della Città di Foligno XXXVIII-XLII (2015-2019)”. Lo riproduciamo integralmente con l’aggiunta di fotografie  che  mostrano Luciano Radi in alcuni  momenti della  sua lunga vita politica, le poche che abbiamo trovato per la sua riservatezza; sono intervallate da immagini della sua Foligno, che ha rappresentato in Parlamento per trentacinque anni. In tal modo cerchiamo di far rivivere le due vite, nelle istituzioni e nella sua terra, di una “personalità limpida”, come lo ha definito Pierferdinando Casini alla sua scomparsa; tanto apprezzata per la sua azione instancabile e illuminata nelle istituzioni nazionali e locali da rappresentare un esempio, e anche una fonte di insegnamenti con i suoi molteplici scritti istruttivi e profondamente  umani.

Luciano Radi

La figura di Luciano Radi  è tale da superare  alcuni luoghi comuni, da quello contro i “professionisti della  politica”  a quello speculare al contrario sulla  “politica come servizio” per ciò stesso esclusivo. E’ stato un politico a tutto tondo, ma non un professionista della politica, avendo  avuto un proprio rilevante profilo professionale; e il suo servizio politico per il bene pubblico non è stato esclusivo, tanto ampia e variegata risulta la gamma degli interessi coltivati assiduamente fino all’ultimo.

Ripercorrendo idealmente un’esistenza vissuta in modo intenso su questi versanti diversi ma collegati, si possono trarre preziosi insegnamenti sui valori che la classe politica dovrebbe perseguire sotto la spinta delle sollecitazioni provenienti dal proprio retroterra culturale e umano.

Ed è questa la lezione imperitura soprattutto  per le giovani generazioni che viene da un politico di razza che ha saputo coniugare diverse vite all’insegna di un’alta qualità intellettuale e culturale.

Con Scelba, Fanfani e Rumor

L’unicità della sua  figura di politico e uomo di cultura

Come osservatore attento della realtà del suo paese e della sua terra ne traeva alimento non soltanto per la sua azione politica ma anche per le sue narrazioni ricolme di umanità e di saggezza. La competenza tecnica di economista e di statistico gli consentiva di far seguire all’osservazione l’analisi, cosicché dopo l’interpretazione veniva la proposta, poi l’azione, ciò che si attende da un politico vero.  E quanto più la riflessione era approfondita, spaziando sul versante storico e culturale, tanto più diventava convincente la traduzione in comportamenti politici conseguenti.

In questa contaminazione di visioni diverse e convergenti sta la straordinaria specificità, si dovrebbe dire anzi l’unicità della sua figura di politico e di uomo di cultura: chi può vantare nove legislature, per oltre 35 anni di vita parlamentare, e al contempo più di 35 pubblicazioni, dalla politica economica alla narrativa, dalla storia alla sociologia, ai bozzetti di costume?  E se si aggiungono le originali grafiche artistiche e le conversazioni mattutine alla radio il quadro è ancora più ricco.

Foligno, un lato di Piazza della Repubblica

Ala base di questa visione e azione poliedrica c’è stata una curiosità insaziabile, l’attenzione ai particolari apparentemente secondari della realtà osservata, che diventavano paradigmi; e soprattutto un animo  aperto alla comprensione di ciò che si muove nella società, l’identificazione nei bisogni dei più deboli,  uno spirito con forti radici nella religiosità della sua terra, l’Umbria di san Francesco, che è stato per lui un alimento inesauribile nell’intero corso della sua vita.  

Neppure questo basterebbe per spiegare il  fervore instancabile delle sue iniziative culturali e umane se non  fosse accompagnato da una vitalità straordinaria che lo portava a cogliere gli spunti anche occasionali per costruirvi sopra una riflessione sempre più profonda; non solo, .ma si aggiungeva il desiderio, altrettanto irrefrenabile, di renderne partecipi gli altri, di qui la sua produzione editoriale quanto mai feconda  sui più diversi campi nei quali si spostava la sua attenzione: dai grandi temi politico-sociali e storici alle osservazioni più minute e ai quadretti  bozzettistici, dai ritratti di personaggi alle vite dei santi, fino alle riflessioni personali più intime e raccolte, in qualche caso sofferte, una continua apertura di sé a chi voleva condividerne le scoperte e le emozioni, anzi a chi vuole farlo anche ora perché mantengono una validità e una freschezza sorprendenti.

Con Fanfani, in visita a Dottori

Il tutto con un’amabilità personale perfino disarmante in un portamento di per sé autorevole che ispirava rispetto ma non soggezione. Giulio Andreotti, nell’introduzione al libro “Gli scarabocchi dell’onorevole”, ha parlato dell’”amicizia per un collega del quale ammiro particolarmente la dedizione al lavoro, la serenità di spirito, la comunicativa umana”, aggiungendo che “la calma, tutta umbra, di Luciano Radi, contribuisce a distendere il nostro complesso mondo di lavoro”.

Non si tratta soltanto di temperamento, bensì dell’istintiva apertura al dialogo,  con una capacità di ascolto e di comprensione delle ragioni degli altri che, pur nella saldezza dei suoi convincimenti, lo portava alla riflessione, consapevole che con il confronto si possono cogliere spunti meritevoli di essere approfonditi per allargare la propria visione e quindi arricchirla e perfezionarla. E soprattutto,  lo ripetiamo, l’attitudine a ricevere nuove sollecitazioni per ulteriori analisi e riflessioni da condividere per farne partecipi quanti potessero trarne elementi positivi anche per sé stessi.

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Un altro lato di Piazza della Repubblica

Ed è in questa apertura, anche del proprio più intimo e riposto sentire, l’unicità di una figura che ha dato tanto agli altri fino all’ultimo, pur nello strettissimo legame con la propria famiglia: la moglie Lucia per la quale vale quanto mai la constatazione che “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, la figlia Chiara, i nipoti Tommaso e Sebastiano, il genero Alfredo de Poi, politico e dirigente con inclinazioni poetiche  e artistiche prematuramente scomparso, per non parlare dei fratelli Lamberto e Leonello direttore di banca a lui particolarmente vicino. E non si può dimenticare Luciano Nieri, l’assistente di una vita, fedele e premuroso quanto bravo ed efficiente.

Una vita nella politica, un impegno continuo e una testimonianza preziosa

In Parlamento ininterrottamente dalla III all’XI legislatura, vale a dire dal 1958 al 1994, con 405 progetti di legge presentati, 104 atti di indirizzo e controllo, 256 interventi, 2 incarichi parlamentari  e 8 incarichi di governo, come autorevole esponente della Democrazia cristiana, ha segnato con la sua iniziativa politica  tanti momenti cruciali nella storia del Paese, e li ha raccontati fornendo una testimonianza preziosa che li documenta direttamente e fedelmente.

Con Forlani, Malfatti, Spitella e De Poi

A partire dalla  corrente “Nuove Cronache” , che portava nella vita del partito, intorno ad Amintore Fanfani, le spinte innovative della omonima rivista, in contrasto con la linea conservatrice.Per questo la corrente fanfaniana “Iniziativa democratica” si scisse nei due gruppi, “Nuove Cronache” e “Dorotei”, il promo si proponeva di superare la pur feconda stagione del centrismo per una maggiore sensibilità e apertura ai temi sociali che premevano nella società e Luciano Radi ne fu tra i più attivi esponenti.  Ed ebbe un ruolo fondamentale nella svolta del partito, altro che “radi, storti e malfatti” come venivano scherzosamente sottolineati i nomi dei componenti più noti!

E’ stata questa l’ispirazione costante del suo pensiero politico, nata dal contatto diretto nella sua terra con realtà scottanti come quella dei contadini, che ha conosciuto da vicino e a cui ha dedicato il suo secondo libro nel 1962, I mezzadri: le lotte contadine nell’Italia centrale  dall’Umbria al 1960. Che fosse molto di più di un saggio di politica economica ma esprimesse la propria partecipazione personale a un cambiamento epocale lo dimostra il fatto che otto anni dopo, nel 1970, è tornato sul tema da un angolo di visuale diverso, nella sua poliedrica visione della realtà, con Nati due volte, non più analisi socio-economiche ma un insieme di bozzetti sulla “vita tormentata e dura delle popolazioni contadine dell’Umbria”, che Carlo Carretto ha definito “un impressionante documento capace di far nascere romanzi e destare inchieste  su una realtà che anche se non esiste più nel suo complesso, travolta dalle  trasformazioni veloci del nostro tempo, è ancora attaccata a brandelli alle nostre carni e ci fa soffrire quasi come se fossimo attori e responsabili”. Lui stesso parla di “sofferta esperienza personale”, che lo ha egnato per sempre.

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Il lato di Piazza della Repubblica con il palazzo del Comune

Così il primo incarico parlamentare, affidatogli dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, fu di responsabile dell’ufficio “Aree depresse” e  il suo primo impegno di governo fu di Sottosegretario all’agricoltura. Ma la sua  presenza nelle istituzioni viene molto prima del suo ingresso in Parlamento nel 1958 a 36 anni. Inizia come dirigente di partito nella sua città, Foligno, con l’elezione a 24 anni, nel 1946, nel Consiglio comunale. E poi, sempre in sede locale, negli anni ’60 è stato presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto professionale di Foligno che divenne tra i più importanti d’Italia e presidente dell’ospedale san Giovanni Battista.

Non solo politica, dunque, ma impegno nei campi in cui poteva svolgere un servizio utile alla sua terra a cui è rimasto sempre legato quando  la politica lo ha portato ad operare nella capitale. La sua  docenza di economia e statistica all’Università di Camerino gli ha assicurato una vita professionale oltre la politica ma in costante sinergia con il suo impegno nelle istituzioni, perché sull’economia si basa la gran parte delle decisioni che incidono sulla vita delle persone mentre la statistica fornisce ulteriori strumenti tecnici per l’analisi dei fenomeni e dei movimenti nella società.

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Con Gava e Scalfaro

La sua ampia produzione pubblicistica nel campo della politica economica e sociale dimostra come sia riuscito a mettere a frutto tale positiva convergenza per cogliere i movimenti sottesi nella società con i sensori dati dalla scienza economica e statistica oltre che dalla sensibilità politica per definire interventi appropriati: Il motto einaudiano “conoscere per deliberare” ispirava la sua azione,  né approfondimenti fini a sè stessi né improvvisazioni del momento, attento com’era a distinguere i semplici atteggiamenti, che potevano essere transitori, dalle modifiche dei modelli di comportamento  che invece erano persistenti e andavano affrontate in modo adeguato.

Nella sua formazione troviamo il ruolo pedagogico di sacerdoti come Don Consalvo Battenti, suo parroco dal 1932 al 1941, poi di don Guglielmo Spuntarelli, dal 1941 al 1953. Don Dante Cesarini ricorda questo suo giudizio verso di loro: “Mentre Don Consalvo aveva rappresentato il parroco di alta dignità intellettuale e di estrema severità, il nuovo arrivato portava nel lavoro sacerdotale uno stile diverso: cordiale, bonario, fratello tra i fratelli, non capo ma umile servitore della comunità”.  Ne troviamo evidenti riflessi nel suo libro “Un grappolo di tonache”, del 1981, gustosi,  eloquenti bozzetti, in  qualche caso impertinenti, da don Obeso a don Marzio a don Giulio.

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Il palazzo del Comune con l’alta torre al centro

A questo riguardo Manlio Marini – sindaco di Foligno nel 2006 nel 60° anniversario dell’ingresso nelle istituzioni locali di Radi – ricorda, come prova della sua versatilità, la sua  bravura di attore dilettante nella filodrammatica del San Carlo, in ruoli leggeri, e la sua risposta alla signora che gli chiedeva “Ma perché lei che è così bravo nel fare l’attore comico si è invece dato alla politica?”, fu “Ma perché, forse i politici non fanno ridere?”: espressione eloquente del suo spirito alieno da enfatizzazioni di un ruolo che poteva anche essere dissacrato per restare con i piedi per terra. Lui stesso ricorderà, in un suo scritto, con una certa soddisfazione, questa  giovanile “vis comica”.

Riguardo ai Vescovi della sua diocesi, giudizi rispettosi quanto acuti: di Stefano Corbini, vescovo fino al 1946,  apprezzava “la paternità bonaria, sempre pronta alla battuta ironica”, di Siro Silvestri, dal 1955 al 1975, “rimanemmo imbarazzati, incuteva soggezione, sembrava stabilire , senza volerlo, una invalicabile distanza da noi fedeli”. Ma se questa fu l’impressione iniziale alla vista di “un  personaggio tanto diverso, alto, diritto, distinto”, ogni timore di ingerenza di chi nello stesso 1955 era diventato segretario provinciale della Democrazia Cristiana, svanì decisamente: “Mai il Vescovo osò interferire e mettere in discussione la mia autonoma responsabilità di cristiano impegnato in politica”. L’ultimo vescovo, Giovanni Benedetti, dal 1976 al 1992, ricorda sempre don Cesarini, “dava molta importanza ai laici cattolici impegnati in politica e, in generale, nella vita sociale”, per cui  gli incontri e la collaborazione furono intensi e fecondi.  La religione poteva entrare in campo nelle questioni di “alto valore etico”, mentre la dottrina sociale della Chiesa poteva dare un indirizzo in campo economico;  ma al pari di altre sollecitazioni culturali, l’azione politica era del tutto separata dalla credenza religiosa pur se ispirata ai suoi valori nell’indipendenza più assoluta .

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Con Fanfani e Pertini a una cerimonia sulla CEE

Dopo l’esperienza di governo nel Ministero dell’agricoltura, da sottosegretario alle Partecipazioni statali dal 1968 al 1970  l’ottica si allarga, nella prospettiva della grande concentrazione industriale dei grandi gruppi come l’Iri, l’Eni e l’Efim,  in settori chiave per lo sviluppo industriale e la crescita economica del Paese. Ma la sua visione pone sempre al centro la persona umana, investita dei profondi cambiamenti in atto, ora nell’industria come prima nell’agricoltura con la crisi della mezzadria.

E come dedicò ai mezzadri l’analisi approfondita che abbiamo ricordato, così fece a livello più generale con il libro Potere democratico e forze economiche in cui forniva “Idee per una moderna politica economica nazionale”  partendo dall’analisi delle ”attuali strutture del potere economico e politico” per delineare le “possibili modifiche all’assetto istituzionale, considerando la partecipazione dei gruppi sociali e l’organizzazione della classe politica nei partiti”, il tutto in considerazione della “posizione dell’uomo nella società contemporanea”, visto “come individuo, come cittadino  e come lavoratore”, rispetto  alle “esigenze autentiche dell’uomo”. Il libro è del 1969, ma sono temi che restano attuali come  lo sono le proposte avanzate a largo raggio.

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La facciata di Palazzo Trinci con il Museo, in fondo a piazza della Repubblica

Seguirono incarichi di governo sempre più prestigiosi, sottosegretario ai ministeri della  Difesa e degli Esteri, poi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Arnaldo Forlani, di cui era definito “il braccio destro”. Forlani aveva preso la guida della corrente “Nuove Cronache”, con lui c’era una stretta  comunanza non solo nell’impostazione ma anche nell’azione politica. Ha scritto che “Forlani ha la virtù della prudenza, della pazienza, della moderazione, e l’autocontrollo  e l’arte di scegliere i tempi giusti”; e come persona “ha una solida formazione cristiana, ha il culto della famiglia, considera la libertà un valore irrinunciabile, la condizione per realizzare una sicura e progressiva elevazione umana”. Fu tuttavia il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, del Partito Repubblicano Italiano, a farlo Ministro per i rapporti con il Parlamento, dove poté far valere la propria collaudata esperienza parlamentare oltre alla sensibilità politica e alla considerazione di cui godeva. Per queste sue doti ha ricoperto il ruolo delicato di Questore della Camera.

E’ stato anche presidente della Commissione bicamerale di vigilanza sulla Rai, tra il 1992 e il 1994, promuovendo importanti innovazioni; tale nomina è legata alla sua competenza nel settore, l’anno prima aveva pubblicato il libro La grande maestra, la tv tra politica e società, era responsabile dei problemi radiotelevisivi per il partito. Tra gli altri incarichi che ha avuto nella DC  ricordiamo che nel 1980 è stato Direttore dell’organo ufficiale, il quotidiano “Il Popolo”.

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Con Pertini all’inaugurazione della mostra per il centenario di Garibaldi

Piuttosto che rievocare le iniziative politiche, tante in una vita parlamentare così lunga e intensa,  ci piace tornare sulla visione di osservatore dall’interno della vita dei partiti oltre che delle istituzioni, di cui, come sempre, rende partecipi i suoi lettori. Ricordiamo La talpa rossa,  del 1979, sulla penetrazione sotterranea del Partito comunista nel corpo del paese, al di là del suo ruolo di maggiore partito di opposizione, ritenuto per ciò stesso al di fuori delle stanze del potere. Ma non era così per il potere reale, nel quale l’egemonia gramsciana veniva messa in atto con spregiudicatezza e abilità. Nella sua gustosa presentazione Leone Piccioni citava le varie accezioni della “talpa”, dal piccolo animale al grande escavatore di gallerie fino alla spia; la copertina del libro, un riquadro giallo e rosso e il formato tascabile facevano pensare a un libro giallo, ci si divertiva a immaginare la sorpresa dell’acquirente alla scoperta che invece era un libro di politica, riemergeva lo spirito comico del giovane attore dilettante nella filodrammatica di Foligno.

Ma nell’analisi politica era estremamente serio e documentato, anche sulla base delle proprie esperienze dirette.  Lo sottolinea Gaetano Quagliariello nell’introduzione a La DC da De Gasperi a Fanfani, il libro con cui  nel 2005 lui ha ricostruito in dettaglio una vicenda politica di profondi cambiamenti, fondamentali per gli sviluppi futuri: “La tecnica utilizzata dall’autore è quella del graffito. Egli, infatti, su una ricostruzione storica fatta per lo più utilizzando fonti bibliografiche edite, apre di tanto in tanto squarci di ricordi personali che servono a puntellare la tesi sostenuta. Sono queste le parti più interessanti del volume, al punto da spingere il lettore a rammaricarsi che le proporzioni tra storia e memoria non risultino invertite. Sono anche le parti che fanno di questo libro un contributo originale”. Fonti precise e testimonianza diretta, dunque,  sono i requisiti di un approccio rigoroso anche alla politica, in genere oggetto di valutazioni approssimative ed estemporanee, ma non per un docente e studioso come lui, osservatore attento della politica e della società.

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Palazzo Trinci, il cortile interno con a dx la scala d’ingresso al Museo

Così  per gli altri libri di analisi socio-politica, dal primo che risale al 1957, anteriore all’ingresso in Parlamento, La crisi della pianificazione rigida e centralizzata, al libro che ha seguito “I mezzadri” e “Potere democratico e forze economiche” approfondendo ulteriormente quest’ultimo tema,  Partiti e classi in Italia del 1975, seguito dal citato “La talpa rossa” e da altri come Il voto dei giovani del 1977, e due analisi dei risultati elettorali del suo partito, Riflessioni su una sconfitta e Riflessioni su una vittoria. Non è soltanto socio-politica ma socio-culturale e di costume,  la visione di “La grande maestra: la tv tra politica e società”  del 1991, anche questo già citato, un’analisi dall’interno del “grande fratello”. Vi abbiamo trovato, tra l’altro, che protettrice della Televisione è Santa Chiara perché,  impossibilitata ad assistere alla messa di Natale celebrata da Francesco,  ne ebbe la visione miracolosa sulle pareti della stanza dove giaceva a letto ammalata, un piccolo scampolo di un libro di notevole interesse.  

Sempre in campo politico abbiamo anche ritratti di personaggi molto diversi: Tambroni, trent’anni dopo, del 1990,  il trentennio è dall’agitata breve stagione della sua presidenza del Consiglio, Gli anni giovanili di Giorgio La Pira, del 2001, il “sindaco santo” negli anni della sua formazione, fino a  Gerardo Bruni e la questione cattolica, del 2005, dalla persona al grande tema.  Non manca la rievocazione a livello locale: Foligno 1946. Ricordo di Italo Fittaioli e Benedetto Pasquini in occasione del sessantesimo della prima elezione democratica al Consiglio comunale, 2006.

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Con la presidente della Camera Nilde Iotti nella cerimonia del “ventaglio”

Il suo sguardo è anche andato oltre l’ambito nazionale con La macchina planetaria, del 2000,  “Quali regole per la corsa alla globalizzazione” è il sottotitolo:  fu tra i primi ad analizzare gli effetti positivi ma anche i rischi conseguenti  a un processo inevitabile ma da controllare. parlava della  “difficile conciliazione tra azione del mercato e valori individuali e collettivi”, spiegava “come superare i fattori di debolezza e le distorsioni a livello internazionale”, avendo attenzione all’“instabilità finanziaria”  e alla “grande questione dello sviluppo sostenibile” avvalendosi delle “opportunità offerte dalle nuove tecnologie” dinanzi ai “complessi problemi di inflazione, disoccupazione, crisi valutarie”. Con realismo indicava “le soluzioni più probabili e quelle auspicabili”, non nascondendosi le difficoltà di introdurre “un sistema globale di regole e decisioni politiche”.

Le sue conclusioni suonano profetiche: “ Nell’attesa  che ciò avvenga non è da escludere che si aggravi lo squilibrio tra sfera politica e sfera economica, e che il capitale internazionale continui a sfuggire a un incisivo controllo”. Con l’avvertimento finale: “Se il sistema capitalistico non si orienterà in questa nuova direzione, mettendo alla prova, ancora una volta, la sua capacità di adattamento e non favorirà il processo di coordinamento a livello globale, rischierà di generare pericolosi e sempre nuovi rischi di disintegrazione a livello planetario”. I rigurgiti protezionistici in corso nelle maggiori economie, USA in testa, da un lato, l’insostenibile degrado economico che genera correnti migratorie inarrestabili dall’altro, mostrano come fosse lungimirante tale avvertimento.

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Museo, un lato affrescato della Sala degli Imperatori

Questo studio approfondito è stato preceduto nel 1998 da Il futuro è tra noi. Anche qui il sottotitolo “Dalla sfida globale al dialogo interreligioso” è eloquente, si tratta di valutazioni iniziali degli aspetti economici e sociali  della globalizzazione con le conseguenze in campo religioso.  

La  narrativa, con l’introspezione più intima e accorata

Dalla vita politica siamo passati logicamente alla testimonianza dello studioso che dall’analisi dei fenomeni trae proposte per l’azione concreta. Un osservatore attento che già a 26 anni, nel 1948, pubblicava Il pendolo composto e le sue leggi, ristampato in anastatica nel 2010.

Ma la sua poliedricità va ben oltre, incontriamo la ricostruzione storica 20 giugno 1859: l’insurrezione e il sacrificio di Perugia, 1998, e Il mantello di Garibaldi, 1911;   la serie di vite di Santi aperta da Chiara di Assisi, del 1994, a lui particolarmente cara, seguita da Angela da Foligno nel 1996 e da Santa Veronica Giuliani nel 1997,  San Nicola da Tolentino  e Margherita da Cortona nel 2004,  fino a Francesco e il Sultano nel 2006; nel 1999 aveva curato San Francesco e gli animali nel quale sono riportati episodi tratti dalla vita del santo secondo il Celano e san Bonaventura che “fanno comprendere come sarà l’armonia rigenerata dall’Amore” in tutto il creato. Diario di un cane del 1993 – commentato da Carlo Bo e Sergio Quinzio –  e Memorie di una lumaca del 2002, esprimono l’umanizzazione degli animali, creature di Dio che comunicano con noi: “Gli uomini e gli animali  si scambiano messaggi, si trasmettono sentimenti ed emozioni”.

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Con una delegazione tedesca da Questore della Camera

Sulla religiosità della sua regione abbiamo Umbria santa, del 2001, inoltre nel già citato “Angela da Foligno” descrive, oltre alla vita della santa, “l’Umbria mistica del XIII secolo”.

Fin qui sono evidenti i collegamenti con il suo retroterra culturale e ideologico, anzi ideale, se pensiamo a queste ultime espressioni della sua fervente  religiosità in uno spirito libero e aperto. Come sono evidenti nella più fortunata delle sue pubblicazioni, Buongiorno onorevole, del 1973, 4 edizioni, seguita, nel 1996, da Buonanotte, onorevole, tra loro, nel 1978, Gli scarabocchi dell’onorevole,” Cento appunti grafici di Luciano Radi”:una scherzosa “trilogia”, cui si aggiunge Il taccuino dell’onorevole del 1985, notazioni penetranti da osservatore, anzi testimone  attento..

La “trilogia dell’onorevole” inizia con i bozzetti di vita del parlamentare, nei quali descrive in modo gustoso i colleghi deputati, anche i più autorevoli, nonché altri soggetti protagonisti di episodi insoliti, termina con situazioni ben diverse 23 anni dopo, in mezzo una sorta di trasposizione grafica di queste sensazioni, come afferma Antonello Trombadori, dicendo che “appartengono all’area tipica dei disegni degli ‘scrittori’”  e cita quelli di Goethe e Belli, Pascarella, Cecchi e Pasolini, con la particolarità che nei ritratti scarabocchiati, “sia nell’ossequio che nella confidenza formicola sempre la medesima ironia folignate, pacata, ma, se è necessario, senza far male, pungente”. Le punture colpiscono “i monsignori” e “gli onorevoli colleghi”, “monache e frati” e “gli animali”, “i mezzadri” e “i barboni”, fino a “i carabinieri”. Un vero “en plein”!

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Un altro lato affrescato della Sala degli Imperatori

Ed ora cambia tutto, passiamo agli scritti più intimi e personali, in cui l’osservatore attento della realtà esterna guarda invece se stesso, si scruta dentro e si analizza, torna sulla propria vita senza temere le inevitabili reazioni emotive.  Del resto, Sotto la brace del novembre 1999, reca l’epigrafe tratta dagli “Epigrammi” di Marziale, ”Saper rivivere con piacere il passato è vivere due volte”- Forse perché è la vigilia del nuovo millennio ci riesce benissimo, rievoca l’infanzia con “il mistero della stanza proibita” e “il primo giorno di scuola”, e poi le immagini di vita contadina come la “vendemmia con parto”,  “la raccolta delle olive” e la “maialatura”, “la villeggiatura” e “le mie cotte”; poi, andando avanti nel tempo, il clima muta, la cartolina-precetto del richiamo alle armi nella “Caserma Castro Pretorio” e quindi “la clandestinità”,  con ampi squarci di religiosità e di vita familiare, fino alla conclusione: “La nostra vita appare capricciosa, con le sue contraddizioni, i suoi tradimenti, le sue incertezze. Ci sembra di precipitare, ma poi un soffio ci solleva fino alle vette più alte”.  Come le “foglie esposte al vento che Altro governa. All’innalzamento può seguire il precipitare improvviso sul prato delle erbe morte per ridare vigore alla vita”.

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Alla visita del presidente del Senato australiano

Abbiamo parlato di “trilogia dell’onorevole”, concludiamo con la “trilogia dell’anima” in cui questa visione viene approfondita in un processo interiore sempre più intenso, passando da  “Anime e voci”  a “Luci del tramonto”, e infine  a “I giorni del silenzio”.

Ma prima c’è  Non sono solo, del 1984, presentato come il taccuino di un vecchio sacerdote che gli ha dato “un vero godimento spirituale” per cui ha voluto trasmetterlo con la pubblicazione, c’è comunque una totale coincidenza con i suoi sentimenti che abbiamo già trovato espressi, come quello sull’amore: “ Il nostro fine è amare, amare l’Amore. Il tumulto delle nostre esplosioni interne, che è la ragione della nostra avventura umana, ha una risultante positiva solo se irradia amore. Ognuno di noi è un piccolo sole”.  E ancora: “Se ti trovi dunque chiuso in te stesso, costretto ad attraversare la notte dell’incomunicabilità, non disperare, ma attendi che il sole risorga”.  Fino alla conclusione: “Il figlio dell’Amore, credente o non credente, non muore, vive in eterno”.

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Una sala del Museo, rilievo scultoreo e pittura

Ed ora la trilogia, con i racconti di Anime e voci del 1900, in cui c’è il pensiero dominante della morte partendo dalla solitudine della vecchiaia, che fa dire a Leone Piccioni: “Forse c’è in Radi una minore serenità forse dovuta  ai fatti della vita, ma per noi lettori quanto successo a Radi è un bene, perché, appunto, la sua pagina ha preso un altro spessore, una diversa profondità, uno struggente attaccamento al paesaggio, una dimensione poetica più intensa”.

Nel  2005, con“Luci del tramonto”, 15 anni dopo secondo  lo stesso Piccioni, “Radi guarda alla vita e alla morte con più distacco ma certi dubbi  risorgono e Radi non li nasconde anche se li risolve in una rinnovata fede”.  Si tratta di 52 riflessioni in cui sono racchiusi i suoi pensieri dinanzi alle sollecitazioni di una quotidianità con “l’impressione di vivere una vita aggiunta” nella quale, mentre “il corpo perde elasticità ed efficienza e si trasforma in un cumulo di acciacchi, l’anima che ne è prigioniera, scalpita per conquistare  l’arcano. Le energie spirituali assumono una nuova vitalità, la Fede penetra come non mai tutte le apparenze, attraversa il muro del dubbio, appare una vittoria della volontà”.  E in primo piano torna l’amore: “L’amore è un mistero che nessuno riuscirà mai a svelare; lo cerco, lo possiedo, ma non so  proprio cosa sia… Ma noi uomini sentiamo che tutti i suoi gradi non sono sufficienti per saziarci; che siamo chiamati ad un amore più alto, a partecipare all’amore increato. Un amore che inizia quaggiù e si compie al di là del tempo”. Per concludere: “La vita non è il dipanarsi di un rimpianto. ‘Il tempo che passa è Dio che viene’”.

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Un altro momento di vita parlamentare

La “trilogia dell’anima”, vent’anni dopo “Anime e voci”, si conclude nel 2010 con I giorni del silenzio, il più accorato e insieme il più sereno, basato sulla premessa che “l’anima ha bisogno del silenzio, del raccoglimento, per ritrovare se stessa dopo la dispersione provocata dal dinamismo, spesso convulso ma inevitabile, che caratterizza i giorni nostri. Ma ha anche bisogno di essere sottoposta a un esame severo, al fine di verificare la concordanza del suo operato con i principi delle fede e dell’amore, con quel patto sancito con l’Assoluto  al quale non una sola volta ci si accorge di aver derogato”. Per questa meditazione si è deciso a bussare alle porte del convento di Ravo  chiedendo di trascorrervi alcuni giorni per “rinfrescarsi spiritualmente”. Ebbene, il racconto di questi inusuali esercizi spirituali, è avvincente quanto istruttivo per ciò che ha appreso dalle meditazioni al suo interno e a contatto con la natura e dai colloqui con padre Jacopo, che sull’essere superiore gli dice: “Più l’anima è sgombra da superbia intellettuale e meglio può avvertire la Sua presenza. Le parole e la cultura vengono dopo, prima c’è l’amore. Ogni espressione di amore rivela la presenza del Signore, è la Sua epifania”. Nei “giorni del silenzio” riesce a superare le angosce, a rinnovare le speranze che sembravano svanite, a sentire di nuovo l’amore vero, non quello fallace che ci rende “vittime di una fata morgana nello sconfinato deserto dell’anima nostra”.  Così può esclamare: “Mi sembrò che una ignota mano avesse aperto una breccia nel muro della mia inquietudine”. Tante sono le espressioni quanto mai intense che punteggiano le sue meditazioni. Ma ci piace citare la conclusione, una sorta di “addio monti…”: “Lasciavo alle mie spalle le belle colline: i grappoli pendevano turgidi dai tralci, gli ulivi facevano danzare le loro chiome d’argento. Le messi esprimevano nella loro ricchezza la promessa di una nuova primavera.  Il pensiero volava ancora ai fugaci giorni del mio ritiro. Sia pur teso, avvertivo di aver ritrovato me stesso.

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Due opere simbolo di fede del Museo, Crocifissione e Madonna della Misericordia

Così lo giudica Attilio Turrioni: “Un libro di rara composizione che, mentre puntualizza momenti significativi del cammino umano e spirituale dell’autore, sollecita  nel lettore una risposta personale altrettanto perentoria di fronte ai problemi dell’esistenza, alle ragioni ultime della fede, all’esperienza storica che ciascuno è chiamato a percorrere hic et nunc nel rapporto con gli altri, nel contributo, offerto o omesso, alla costruzione di una società più umana”.

Il suo messaggio  politico e umano

A questa finalità superiore, del resto, è stata rivolta anche l’attività politica di una vita nelle istituzioni, alimentata dal profondo senso religioso che pervade le sue intense pagine di introspezione.  La costruzione di una società più umana può avvenire, come scrive in “La talpa rossa”, in opposizione all’ideologia marxista basata su una “egemonia totalizzante”: “L’unico moto autenticamente rivoluzionario è suscitato dalla libertà. La libertà è la forza sempre nuova che, con la scienza e la tecnica e la coscienza della crescente complessità delle relazioni sociali, trasforma la società fondata sul potere  come dominio in una società consapevole fondata sul potere come servizio, come funzione dirigente”. Non si tratta di un processo automatico e semplice, va costruito: “Ciò implica, come si è osservato, coordinamento e finalizzazione dei comportamenti, dei programmi, delle iniziative. Ma lo stesso coordinamento e la stessa finalizzazione hanno un limite nell’autonomia e nella libertà stessa. Come la libertà ha un limite nel coordinamento per perseguire un fine di interesse generale, è un delicato, difficile equilibrio che è facile compromettere”. 

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La cordialità dei suoi incontri ufficiali in Parlamento

Quindi va preservato da ogni possibile forzatura e manomissione, ieri dall’egemonia totalizzante marxista, oggi – aggiungiamo noi – dalle altre possibili minacce sempre incombenti: “Per questo la collettività e i singoli cittadini non possono fare a meno di un preciso sistema di garanzie, ed una delle conquiste fondamentali dell’esperienza liberaldemocratica è lo Stato di diritto al quale non possiamo rinunciare e che la nostra Costituzione ha definito in un complesso sistema di autonomie, di articolazione e divisione di poteri, anche per salvaguardare la società civile da possibili arbitri della società politica”. 

E’ anche questo il messaggio che lascia, con quello di natura spirituale, entrambi convergenti sulla “costruzione di una società più umana”: si tratta dell’obiettivo primario sorretto da una forte tensione morale cui ha mirato l’impegno instancabile di tutta la sua vita.

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Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Forlani, la presentazione

Info

Romano Maria Levante, “Luciano Radi, protagonista e testimone del nostro tempo”, Estratto dal ”Bollettino Storico della Città di Foligno XXXVIII-XLII (2015-2019)”, pp. 12, in corso di pubblicazione. L’estratto è stato distribuito a tutti i partecipanti all’incontro svoltosi il 30 aprile 2019 a Foligno, nel Palazzo  Giusti Orfini, per celebrare “Luciano Radi studioso. A cinque anni dalla scomparsa”. Su tale incontro, nel quale è stato anche presentato un suo libro, e sugli altri aspetti della pubblicistica di Radi, v. i  nostri articoli in questo sito: “Luciano Radi ricordato con una sua opera, l’incontro tra ‘Francesco e il Sultano 800 anni fa” 6 giugno  2009; “Luciano Radi, ‘potere democratico e forze economiche’” 9 giugno;  “Luciano Radi, ‘’i libri dell’anima’, l’umanità e la fede di una ‘personalità limpida’” 11 giugno. Chiuderà la nostra personale celebrazione dei cinque anni dalla scomparsa, “Luciano Radi, il mio ricordo” 15 giugno.

Foto

Sono alternate immagini della vita politica di Luciano Radi e immagini di Foligno, la sua città. Le prime sono tratte dai siti web di pubblico dominio che verranno di seguito indicati, le seconde sono state riprese a Foligno da Romano Maria Levante il 30 maggio 2019, prima dell’incontro celebrativo. Si ringraziano i titolari dei siti web per l’opportunità offerta, precisando che non vi è alcun intento pubblicitario né tanto meno economico nell’inserimento di immagini a solo scopo illustrativo, ci si dichiara pronti a eliminare immediatamente, su semplice richiesta, quelle per i quali i titolari non gradiscano la pubblicazione. Ecco i siti delle immagini d’epoca con Luciano Radi: Foto n. 1,  apertura , umbriadomani.it;  foto n. 2 e 8 digitalsturzo.it; foto n. 4  futur.ism.it;  foto n. 6 centrostudivanoni.org; foto n. 10, 12, 14, 18, 22 tuttoggi.it; foto n. 16 corriereumbria.corriere.it; foto n. 20 spellooggi.it; foto n. 21 umbriadomani.it. La foto n. 22, in chiusura, è stata presa dall’ultima pagina dell’Estratto citato; tutte le altre sono di Romano Maria Levante. In apertura, “Luciano Radi; seguono, “Con Scelba, Fanfani e Rumor” e “Foligno, un lato di Piazza della Repubblica”; poi, “Con Fanfani, in visita a Dottori”, e “Un altro lato di Piazza della Repubblica”; quindi, “Con Forlani e Malfatti, Spitella e De Poi”, e  “Il lato di Piazza della Repubblica con il palazzo del Comune”; inoltre, “Con  Gava e Scalfaro”, e “Il palazzo del Comune con l’alta torre al centro”; ancora, “Con Fanfani e Pertini”, e “La facciata di Palazzo Trinci con il Museo, in fondo a Piazza della Repubblica“; seguono, “Con Pertini all’inaugurazione della mostra per il centenario di Garibaldi”, e “Palazzo Trinci, il cortile interno  con a dx la scala d’ingresso al Museo”;  poi, “Con la presidente della Camera  Nilde Iotti nella cerimonia del “ventaglio”, e  “Museo, un lato affrescato della Sala degli Imperatori”; quindi, “Con una delegazione tedesca da Questore della Camera”, e  Un altro lato affrescato della Sala degli Imperatori”; inoltre, “Alla visita del presidente australiano” e  “Una sala del Museo, rilievo scultoreo e pittura”; ancora, “Un momento di vita parlamentare” e “Due opere simbolo di fede del Museo, Crocifissione  e Madonna della Misericordia”; infine, “La cordialità dei suoi incontri ufficiali in Parlamento” e “Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Forlani, la presentazione” ; in chiusura, l’immagine posta  al termine dell’estratto del “Bollettino” di cui si è riportato  il testo,  “Luciano Radi (Foligno 19-9-1922  – Foligno 1-6-2014), Lucia Radi Antiseri (Spello 29-11-1921- Foligno 27-2-2006). 

Luciano Radi (Foligno 19-9-1922  – Foligno 1-6-2014)
Lucia Radi Antiseri (Spello 29-11-1921- Foligno 27-2-2006)

Luciano Radi, 3. I libri dell’anima, l’umanità e la fede di una personalità limpida

di Romano Maria Levante

Nel quinto anniversario della scomparsa di Luciano Radi , abbiamo  ricordato in precedenza la sua  figura e  rievocato il libro “Francesco e il Sultano”  a 800 anni dallo storico incontro avvenuto nel 1219, come esempio dei suoi libri sui santi, e il libro “Potere democratico e forze economiche”, a 50 anni dalla  pubblicazione, particolarmente significativo dei suoi libri di politica e di politica  economica, per la sua attualità sebbene il quadro sia radicalmente mutato. Questa volta, nel concludere la nostra rievocazione delle sue opere, piuttosto che concentrarci su una di esse abbiamo voluto fare una carrellata della sua narrativa con quelli che  definiamo “libri dell’anima”, perché contengono introspezioni e riflessioni colme di umanità,  il cui valore resta perenne e universale. Nella loro successione cronologica seguono i moti dell’anima dell’autore nelle varie fasi della sua vita.  Fanno parte del filone “narrativa” nel quale sono compresi anche “Diario di un cane” e Memorie di una lumaca”, il cui contenuto va ben oltre i titoli apparentemente disimpegnati. 

Ricordi  personali fonte di profonde riflessioni

Iniziamo con “Nati due volte”, siamo nel 1970, con  bozzetti di vita quotidiana ispirati dai suoi ricordi ripercorre la vita tormentata dei contadini della sua regione, l’Umbria, nel periodo critico in cui si è avuta la pratica scomparsa della civiltà contadina. Già nei suoi libri politici sui “Mezzadri” aveva affrontato questo evento epocale, in questo libro di narrativa invece si cala tra quella gente, come uno di loro, seguendone da vicino la vita che deve cambiare radicalmente, per questo sono “nati due volte”.  Le definisce “pagine scritte senza alcuna pretesa letteraria, umile e devoto omaggio agli uomini incontrati lungo la strada di una sofferta esperienza personale”.

Ma Carlo Carretto lo corregge, per lui è “un documento, un impressionante documento capace di far nascere  romanzi e destare inchieste su una realtà che anche se non esiste più nel suo complesso, travolta dalle veloci trasformazioni del nostro tempo, è ancora attaccata a brandelli sulle nostre carni e ci fa soffrire come se fossimo attori e responsabili… chi volesse e sapesse potrebbe  trovarvi materiali per romanzi ambientali come ?Il Gattopardo’ e ‘Il mulino del Po’ capaci di portarci di peso in un’epoca passata eppure presente in ciascuno di noi. Mutatis mutandis è una visione che si potrebbe applicare a molti altri cambiamenti epocali, vissuti e sofferti. Carretto vi trova anche un motivo preciso che dà al libro un valore attuale, pur se riguarda eventi superarti. Mostra l’incapacità dell’uomo a risolvere i suoi più vitali problemi: “Tutti hanno tradito queste povere popolazioni: lo Stato con le tasse e la sua lontananza, i padroni con la loro cocciutaggine avara e la Chiesa con il suo immobilismo…che sarebbe costato facilitare la vita a questa popolazioni di montagna prima che giungessero al limite  della loro sopportazione?”. E, per finire: “Le generazioni passate non hanno saputo risolvere i problemi della povera gente. Ma le nostre ci riescono?”.

Il pensiero va alla rigorosa analisi politico-economica del l libro “Potere democratico e forze economiche”  pubblicato nel giugno 1969, quindi poco prima di “Nati due volte”: lo abbiamo rievocato di recente,  denuncia i guasti provocati dal consumismo cui le comunità sono soggette per l’azione interessata delle forze economiche  che appaiono dominanti, mentre lo Stato dovrebbe far prevalere i consumi pubblici per soddisfare  esigenze collettive e i bisogni individuali più autentici.  

Nella stessa logica della rievocazione dei tempi passati, questa volta in un’ottica prettamente personale, “Sotto la brace”, del 1999, introdotto dall’epigramma o di Marziale “saper vivere con piacere il passato è vivere due volte” .  Queste due vite diventano paradossalmente contemporanee, perché vengono evocate dalle fotografie pescate nella scatola posta in un angolo della biblioteca: “Metterci dentro le mani,  confida, non mi capita di frequente, ma talvolta la tentazione di tuffarmi nel passato mi prende irresistibile. Nel vedermi nello stesso istante giovane e vecchio, sorridente e pensieroso, con l’abito della prima comunione e quello del matrimonio, mi fa rivivere velocemente, come in un frullatore, i nomi, i sapori, gli odori, le emozioni, le angosce della mia vita.

E in che modo li rivive?  Rievocandoli come se li sentisse nel momento in cui li fa riemergere dalla memoria, e proprio per questo provando di nuovo i sentimenti di allora. Ma soprattutto riflettendo, perché il confronto della realtà di ieri che torna nel ricordo,  con la realtà di oggi presenta in modo prepotente il mistero della vita, che  Radi  vede nel segno della speranza.

Dal “primo giorno di scuola” a “un incontro” con un compagno di allora dal “viso segnato da rughe  invecchiato da grosse verruche”,  la “stanza proibita” dell’infanzia e il funerale dell’”ultimo amico”,   “i vicoli”  e la “paura del temporale”,  la “vendemmia con parto” e  “la raccolta delle olive”,  i vicoli” e “la vecchia ciminiera”, “la settimana santa” e  “ letizia francescana”, “le mie cotte” da adolescente e  “ritorno a Varco”,  “la caserma Castro Pretorio“ e “la clandestinità” dopo l’8 settembre 1943,  le suore “cappellone” e “il matto di Foligno”, “un uomo solo” e “la coppia misteriosa”., e altro ancora. Si  conclude la carrellata nei tanti momenti della vita con la meditazione finale, “cadono le foglie”. 

Come aveva descritto con cura le situazioni e i personaggi confusamente tornati alla ribalta della memoria, così si concentra sulle foglie del suo giardino: “Osservo  foglie rotonde, oblunghe, ellittiche,  cuneiformi, lanceolate, : una fantasia inesauribile”.  Di qui una notazione che colpisce per la sua semplicità non scontata: “La natura, contrariamente a quanto facciamo noi, all’approssimarsi del freddo si spoglia e gli alberi perdono rapidamente i loro multicolori mantelli”. Con questo effetto su chi li guarda: “Gli alberi nudi mettono nell’anima un senso di malinconia”. Segue “lo spogliarello” degli alberi con attenzione crescente, osserva la caduta della foglia che “segue i capricci del vento: sale, sale, poi precipita improvvisamente per riprendersi e volteggiare più in alto”.   La logica del ricercatore lo porta a queste considerazioni  meditate: “Siamo anche noi foglie in balia del vento? Nessuno può prevedere l’itinerario che sarà chiamato a percorrere. La nostra vita appare capricciosa, con le sue contraddizioni e suoi tradimenti, le sue incertezze. Ci sembra di precipitare, ma poi un soffio ci solleva fino alle vette più alte”. Un vento “che Altro governa”.

Dalla finzione narrativa del taccuino di  un sacerdote la risposta ai misteri della vita

E qui ci piace rievocare “Non sono solo”,  del 1983, presentato dall’autore come il taccuino  di un sacerdote umbro che nella vecchiaia aveva voluto scrivere le riflessioni della sua vita pastorale. Negli ultimi anni “era riuscito a scendere nella profondità del suo io, alla ricerca della radice del suo essere, a scavare nel suo spirito per ascoltare la voce della storia dell’intera umanità che è dentro ciascuno di noi. Il Signore gli aveva finalmente rivelato il suo segreto”.

Nelle finzione letteraria Radi  si immagina vicino “a varcare il muro di cinta della propria esistenza”, e per questo ripensa all’itinerario  “per rivisitarlo con la mente e il cuore”, in modo meditato e sofferto, mentre  nello scorrere le fotografie  con i ricordi  “sotto la brace” c’erano pulsioni ma non interrogativi assillanti come quelli del nuovo libro.

Si interroga sul senso della vita e della morte, sui senso del dolore e dell’amore, per giungere alle domande fondamentali: “ Chi è l’uomo e chi è Dio?.  Siamo soli nel nostro cammino e che senso ha la realtà intorno a noi?  Ha scritto mons. Ferdinando Castelli su “Civiltà Cattolica: “In realtà il prete di Radi, nel suo lavoro di scavo alla luce della fede, non soltanto incontra e scopre se stesso,  ma aiuta tutti noi a incontrarci e scoprirci nella  nostra verità fondamentale. Si trasforma in tal modo in simbolo di umanità, indicatore di strade, dispensatore di verità essenziali”.

Quali sono queste verità?  Per  rispondere alla domanda “chi sono?”,  “scende nella profondità del suo io, alla ricerca delle radici del suo essere, a scavare nel suo spirito per ascoltare la  voce dell’intera umanità che è dentro ciascuno di noi”. La risposta è questa: “Quando scavi per ritrovare il tuo io, in fondo al pozzo  del tuo essere trovi, senza volerlo, Dio”.. Ma viene dopo aver provato il brivido del vuoto, superato quando è dato di vedere la luce divina.  A questo conduce anche la natura: “Il silenzio della terra è pieno di parole non dette e ciò che non è espresso agisce con forza rivelatrice della certezza dell’invisibile”.

Soltanto nascondendosi dietro il vecchio prete Radi ha potuto aprire completamente il suo animo di credente. E può abbozzare anche un  itinerario ascetico , la “nudità spirituale”  che si raggiunge liberandosi da tutto ciò che è zavorra e impedimento, come l’orgoglio  e la cupidigia del potere,  dei sensi e del piacere;  ma qui, commentiamo noi, siamo ai confini della santità, del resto sentiamo san Francesco come presenza invisibile quanto salvifica. .

 L’invocazione “Dio è amore, Dio è amore”,  che il vecchio  parroco declama ”come un ritornello” – commenta mons. Castelli – ”gli rinverdisce l’anima, gli rischiara la mente, gli trasfigura i giorni”. E allontana  ogni paura, anche la paura della morte.  “Siamo stati creati a immagine di Dio, perché in noi egli si specchia,  abita in noi. Ed  è vero per  un cristiano, ma anche per un buddista, un mussulmano, un miscredente”.  E’ un pensiero profondamente umano che supera i confini della religione,  e gli fa esclamare “non sono solo”, nessuno deve sentirsi solo.

Mons Castelli ne ricava “un messaggio per l’uomo d’oggi”, questo: “La solitudine e la vecchiaia possono, volendolo, trasformarsi in una vera ricchezza. Ci permettono di ritrovare noi stessi   e scoprire mondi inesplorati, di comprendere e trascendere la realtà materiale e guardare al di la delle cose”.  Non si cancella il carattere drammatico dell’esistenza, ma ci si apre alla speranza, anzi alla fiducia  proprio perché non ci si deve sentire soli, non si è soli.  La nostra salvezza non dipende neppure dalle nostre opere, ma dal nostro essere, identificato nelle parole: “chi sono”.

Il  libro, conclude il monsignore,  “fa amare la vita” perché mostra “che anche un  tramonto può trasformarsi in un’alba. Il prete che si avvia all’eternità  rappresenta ognuno di noi. Tutti, come lui, pellegrini che ci lasciamo alle spalle un mondo che deperisce.  Dove siamo diretti, su quali sentieri avviati per non smarrirci nel buio? E’ possibile trasformare le ombre in luci, la tomba in  culla? La risposta d che ci dà (il prete di) Radi ci fa amare la vita. E ci riconcilia con la morte, anche”

Se questa è il significato profondo del libro, che mons. Castelli da par suo pone  in evidenza, la forma narrativa da cui emerge è quanto mai semplice e accessibile, sono 70 brevi quadretti di vita filtrati dai ricordi del sacerdote, con tante descrizioni deliziose,  come quella degli uccellini; di quando in quando si inseriscono i temi più elevati di cui abbiamo parlato.  Allora il vecchio sacerdote si rivolge direttamente all’essere superiore in un dialogo intenso, ma nel momento conclusivo della vita le sue parole sono quelle di ogni essere umano: “Si può credere o non credere, ma ciò che non si può è sottrarsi a questo passaggio. Chi crede ha il dono di assaporare subito la letizia dell’Assoluto, chi è convinto di non credere, invece vedrà, quando avrà chiuso l’uscio alle sue spalle. Il figlio dell’Amore, credente o non credente, non muore, vive in eterno”.

La “trilogia dell’anima”

Pochi  anni dopo, nel 1990. il primo libro di quella che abbiamo definito “la trilogia dell’anima”,  ”Anime e voci”,  alla base di tutto i ricordi personali:come in “Nati due volte” e “Sotto la brace”, tante storie di  persone che ha incontrato sin dalla fanciullezza, l’ambiente è quello paesano in cui si è formato, decritto con la particolare maestria dell’autore che riesce a comporre bozzetti deliziosi.

Si affollano i ricordi,  il lavoro in uno zuccherificio che spandeva un odore dolciastro  nella vecchia Foligno e la solitudine del pensionato nella casa di riposo alleviata dalla presenza del cappellano, la corrispondenza tra due preti, il vecchio e il giovane, tra preoccupazioni e speranze, e la fede  intemerata di un vecchio contadino. Bozzetti di vita ai quali l’ambiente e la natura forniscono una cornice suggestiva, mentre le voci scuotono l’anima. Qualche scampolo: “Il latrato dei cani mi faceva vibrare l’anima come la voce di chi era rimasto al buio nei campi. Dentro sentivo turgida la vita. Ora sono sazio di anni, morso dalla nostalgia… Ho sempre fretta ma non so dove sto andando. La vita mi fugge tra le dita”. Una profonda umanità pervade gli incontri non solo con le persone, ma con quanto le circonda,  e  circonda l’autore, al quale la rievocazione del tempo che fu infonde malinconia, perché “non c’è il cielo, non ci sono i fiori, i sassi lisci e rotondi della mia strada”.

Non solo malinconia, ma spiritualità, senso religioso ma non confessionale, anche quando c’è l’incontro con dei sacerdoti, sullo sfondo c’è sempre l’amore che per Radi è il valore centrale della vita. Diventa chiesa ogni casa, diventa campanile ogni camino se vi arde l’amore.

Così lo ha giudicato un commentatore, Davide Piserà: “’Anime e voci’ è un libro che vi entrerà nel cuore; metterà in dubbio le vostre credenze e rispolvererà un po’ di umanità sopita nel vostro animo; quando avrete letto l’ultima pagina vi sentirete persi perché vi mancherà già parecchio”.

E’ mancato pure a Radi che non poteva fermarsi nella sua introspezione intima e accorata, tanto che cinque anni dopo ha colmato il vuoto con il secondo libro della “trilogia dell’anima”, il cui titolo è già un programma, “Luci del tramonto”, siamo giunti al 1995.

Anche qui i ricordi del passato sono l’alimento delle meditazioni sul presente con l’aggiunta del ripiegamento interiore che avviene nell’età avanzata allorché il presente ha più valore del futuro e si sente la presenza di Dio, mentre  il senso della morte è addolcito dalla fede in una nuova vita. La felicità non deriva dagli eventi esterni ma dalla spiritualità che si raggiunge all’interno dell’anima.

La memoria assume un ruolo importante nel dare testimonianza del passato, perché ci si aggrappa ai ricordi.  Invece lo scorrere agitato della vita tende a far concentrare sulle cose concrete piuttosto che sulle emozioni legate a ciò che è percepibile ma non afferrabile.  Il passato oggi sembra avere meno valore di ieri, mentre anche i singoli momenti tendono ad essere annullati nelle giornate convulse.

Il consumismo esasperato, al centro del libro di politica economica del 1969 “Potere democratico e forze economiche”,  torna anche in questa introspezione rivelandosi comunque incapace a dare una vera soddisfazione proprio allorché sembrerebbe soddisfare bisogni che sono solo fittizi perché indotti e non genuinamente sentiti dai consumatori, cui servirebbero di più i beni collettivi.

Stando così le cose,  Radi  si chiede: “Mi domando perché abbiamo dentro di noi tanta fame di infinito, perché non siamo soddisfatti e ci consideriamo prigionieri di una capsula lanciata nel tempo”. La risposta che si dà  riporta all’assunto iniziale, sulla felicità che non viene dall’esterno di noi anche se siamo capaci di far tesoro delle esperienze, cosa che  di solito non avviene. Quando siamo presi dall’insoddisfazione nell’incapacità di comprendere il senso della vita, “rivolgendo lo sguardo altrove, notiamo quasi con invidia che chi coltiva un barlume di fede, non difficilmente sa scorgere il bene anche negli anfratti del male, dove esso sa celarsi come un seme nella fessura della terra arida”.  Il richiamo alla natura non è episodico, Radi compie tanti accostamenti, come la capacità di adattamento dell’albero e l’amore che anima la fatica delle cicale, sempre nel misterioso itinerario nascita-vita-morte che hanno in comune con l’essere umano, in cui tutto ha un valore.

Ma risulta essenziale la consapevolezza di ciò che siamo nell’intimità dello spirito, la capacità di capire che  ci illudiamo se pensiamo di “avere il controllo della situazione, fissare i tempi e i modi del nostro futuro, presumere di poter dare una risposta ad ogni interrogativo”. D’altro canto, se avessimo queste capacità e non vi fossero misteri verrebbero meno tanti stimoli della vita, anzi “gli errori commessi aiutano a vivere” e “l’insoddisfazione genera le energie necessarie per risollevarsi”. Questo non vuol dire che la memoria è sempre salvifica, anzi spesso lascia delle ferite che non si rimarginano; soprattutto quando non riusciamo a resistere alle lusinghe del “male” ma anche in questo caso la memoria ci aiuta a restare “desti: “l’indifferenza porta alla perdizione, la sofferenza al pentimento e alla redenzione”..

Non si deve perdere la fiducia anche nei momenti più bui, “se imparassimo a distaccarci dalle cose che ci tengono prigionieri scopriremmo di essere capaci  di volare verso orizzonti  più vasti”;  per fare questo dobbiamo restare legati alle nostre radici, senza mai fuggire da noi stessi. Una intensa vita interiore ci preserva dalla noia, da cui tanti giovani sono oppressi vedendo intorno a loro “il nulla”;  gli amori, gli affetti, le emozioni rimaste nella memoria  salvano dalla disperazione. Finché il tempo li fa tacere, perché “’Altro’ deve parlare”. A quel punto “non rimane che spegnere la lampada  del leggio e chiudere la porta”. In questo saluto alla vita non c’è timore e  neppure rassegnazione,  tutt’altro. Maria  Giulia Giulino  conclude  il suo commento: con “un’esortazione, estrapolata dalle righe delle Luci, da rivolgere a chi legge e a chi ha posto nel proprio cuore un posto per scampare dalla propria prigione. ‘Sii come l’uccello che, pur sentendo tremare il ramo continua a cantare sapendo di avere le ali’”.  

Nel libro appena commentato c’è l’elogio del silenzio come presupposto necessario per quel raccoglimento e  ripiegamento interiore da cui nasce la meditazione che dà serenità e fiducia.

Quindici anni dopo, nel 2010, il silenzio non è più evocato ma vissuto, il raccoglimento non più auspicato ma voluto e raggiunto. Radi  scrive “I giorni del silenzio” come diario di un’esperienza vissuta nel ritiro in un convento per isolarsi dal mondo alla ricerca del raccoglimento dato dal silenzio in un ambiente molto particolare, dove soprattutto si vive il contatto con la vita semplice e la natura, oltre che con sé stessi.

E’ il convento di Rovo, dove si ritira per qualche giorno per fuggire dalla quotidianità convulsa spinto dal “desiderio di ascoltare la voce dello spirito, di ritrovare nell’interiorità il senso vero della vita”.  Il diario di quelle giornate si sviluppa nei tipici bozzetti dell’autore, brevi e densi di contenuto, nei quali l’immersione nella natura insieme alla vita semplice dei frati che si trova a condividere crea il terreno propizio per far rinascere la spiritualità e la fede che si erano assopite.   Su trenta bozzetti soltanto in cinque troviamo le esortazioni di Padre Jacopo, negli altri le sollecitazioni spirituali vengono dalle cose semplici che lo circondano, il bosco con i suoi piccoli abitanti, ritroviamo anche la lumaca e il cane, non quelli delle memorie e del diario – i due libri loro dedicati –  ma sempre ispiratori di pensieri distesi.

Delle suggestive descrizioni dell’ambiente eccone alcune che mostrano l’attenzione alle piccole cose. 

All’esterno: “In mezzo al vialetto vidi un grumo di formiche nere che trascinava la carcassa di un calabrone. La processione, dietro quei miseri resti,  aveva più che l’aria di un rito funebre  quella di un corteo festante e godereccio. Mentre  osservavo le formiche nella loro avida fatica, le api delle arnie del convento mi danzavano intorno  per poi volare sul ciuffo di margherite bianche  e gialle  poco distante da me. L’aria rarefatta e calda saliva  richiamando quella più pesante e il movimento faceva tremolare  le immagini, sollevava le foglie cadute, trascinandole in un vortice che  mulinava oltre il muro. Vidi il guscio di una lumaca, lo raccolsi e lo avvicinai all’orecchio credendo di udire le voci dell’orto come nelle conchiglie si odono quelle del  mare”. Nel quadro successivo: “Al di là delle querce e dei lecci splendevano i colori dell’arcobaleno. Qualche ora prima un temporale aveva colpito le colture, fatto strage dei frutti: l’uva martoriata, le mele ammaccate e le prugne cadute  sulla terra intrisa d’acqua. Solo le lumache [ancora loro! N.d.R.] erano contente, strisciavano sull’erba alzando le loro antenne”.

E all’interno: “Tutto era lindo e ordinato, gli ambienti, nella loro nudità, avevano un’anima, rivelavano uno stile di vita… lo spazio era freddo, esprimeva con forza una fede esigente”.  Vive questo stile anche lui, nella sua cella,  assistendo alla messa e visitando la biblioteca, nel giardino e “alla fonte dei frati”, incontrando gente semplice, come il vecchio il quale gli  dice che Dio non ha mai “avuto bisogno di cercarlo”  perché è “vissuto in un mondo che  vive  alla sua presenza, che non lo mette in dubbio . Il mio Dio ha il volto delle, stagioni, il volto dei chicchi  pregni di vita del mio grano”  Non così per l’autore,  “il mio è un Dio che non ha volto. E’ una Presenza misteriosa nell’anima”, perciò deve cercarlo, il vecchio lo esorta a dargli un volto, perché si trova dovunque: “dietro la maschera di ogni uomo si cela il Signore”.

Di questo gli parla anche Padre Jacopo in modo diverso: “E’ il Signore a cercarci”, e precisa: “Non siamo noi a stabilire quando e dove incontrarlo. Noi dobbiamo coltivare il desiderio. Nella vita spirituale l’attesa, spesso lunga e tormentata, è ineludibile. Un colpo di fulmine della Grazia è raro. Ma talvolta, quando ci sembra di essere nella solitudine più gelida, l’incontro con il Signore è dietro l’angolo”.

La solitudine ha due facce, può essere invidiata, come da lui e da Padre Jacopo, mentre per il pastore che incontrano “l’inferno è la solitudine infinita”, “il Dio che cerchiamo sono gli altri, perché sono gli altri a comunicarci l’amore”.  E questo fa dire al Padre:  “Credevi di essere solo, invece lo Spirito è sceso in te e si è manifestato nella tua anima. Chi ama non è solo: chi ama ha la pienezza che sazia”.

In chiesa lo ripeterà all’ospite in ritiro: “Le parole  e la cultura vengono dopo, prima c’è l’amore. Ogni espressione di amore rivela la presenza del Signore, la sua epifania”,  al di là delle  fedi religiose: “I simboli sono differenti, ma lo Spirito dell’amore  è sempre lo stesso, uno, infinito… io credo che le religioni siano un multiforme cammino dell’uomo verso Dio”. Ma non è facile amare: “Qualche volta riteniamo di amare e l’illusione è così forte da trasalire nella gioia di una falsa estasi… quando ci sembra di ghermire la felicità, improvvisamente  scopriamo di essere soli. E’ difficile imparare ad amare, ma non temere”. E spiega perché: “Va’ tranquillo, fratello mio, Il Signore è con te”.

Finisce così il singolare ritiro spirituale con pochi colloqui  e tanta immersione nella natura, ecco le parole conclusive, un “addio monti…”  che segna il ritorno alla vita di sempre: “Lasciavo alle mie spalle le belle colline: i grappoli pendevano turgidi dai tralci, gli ulivi facevano danzare le loro chiome d’argento, le messi esprimevano nella loro ricchezza la promessa di una nuova primavera. Il pensiero  volava ancora ai fugaci giorni del mio ritiro. Sia pur teso, avvertivo di aver ritrovato me stesso”.

E termina anche la nostra carrellata nei “libri dell’anima” con il pensiero rivolto all’autore, scomparso quattro anni dopo “I giorni del silenzio”. Ricorderemo sempre Luciano Radi, per la spiritualità che ha saputo far emergere dall’aridità della politica, praticata da protagonista  e testimone autorevole: è un  fiore che spunta dalla roccia, anzi una fioritura coprendo queste sue opere un ampio itinerario di vita. I suoi libri  trasmettono al cuore di tutti il messaggio prezioso di una “personalità limpida” – come lo ha definito Pierferdinando Casini alla notizia della sua scomparsa – che  lascia  insegnamenti preziosi e attuali in diversi campi, in una tensione morale continua alimentata da una profonda umanità.

Luciano Radi (secondo da sin.) alla presentazione di un suo libro a Foligno

Info

Luciano Radi:  “Nati due volte”, A.v.e., dicembre 1970. pp. 102;  “Sotto la brace”, Edizioni Ares, novembre 1999, pp. 136;  “Non sono solo”, Rusconi, dicembre 1983, pp. 122;  “Anime  e voci”, Rusconi, 1990,  pp. 110;  “Le luci del tramonto”, Rubbettino, gennaio 2005, pp. 69; “I giorni del silenzio”, Minerva Editrice Assisi, 2010,  pp. 87. Sono tratte da tali volumi le citazioni del testo, a parte quelle di alcuni commentatori prese da fonti diverse.  Sono di narrativa anche”Diario di un cane”, Bompiani, giugno 1993, pp, 121, e “Memorie di una lumaca”, Rubbettino, settembre 2002, pp. 194, in qualche modo avvicinabili a questo filone; mentre i libri sugli “onorevoli colleghi”, in quanto legati alla politica li abbiamo citati nel servizio precedente, insieme ai libri più propriamente in materia politica e politica-economica;  e quelli sulle vite dei santi nel primo servizio sulla manifestazione di Foligno per “San Francesco e il Sultano”.  I due precedenti articoli sono stati pubblicati in questo sito il  6 giugno 2019, “Luciano Radi ricordato con una sua opera, l’incontro tra Francesco e il Sultano 800 anni fa”, e l’8 giugno “Luciano Radi, potere democratico e forze economiche, ieri e oggi”; i tre ultimi articoli usciranno il 13 giugno, “Luciano Radi, protagonista e testimone del nostro tempo”. e il 15 giugno, “Luciano Radi, il mio ricordo”.

Foto

Le copertine dei libri commentati sono nell’ordine in cui vengono citati nel testo. In apertura, “Nati due volte”, 1970; seguono, “Sotto la brace”, 1999 e “Non sono solo”, 1983; poi la “trilogia dell’anima”, “Anime e voci”, 1990, “Luci del tramonto”, 2005, e “I giorni del silenzio””, 2010; infine, Luciano Radi ( secondo da sin.) alla presentazione di un suo libro a Foligno; in chiusura, un’immagine di Luciano Radi. Le ultime due immagini sono state tratte dai siti web di pubblico dominio, rispettivamente spoletoonline.com e perugiatoday.it, si ringraziano i titolari dei siti.

Luciano Radi

Luciano Radi, 2. Potere democratico e forze economiche, ieri e oggi

di Romano Maria Levante

Nel quinto anniversario della scomparsa di Luciano Radi la manifestazione  di Foligno del 30 maggio sulla sua figura e sul suo libro “Francesco e il Sultano” ad 800 anni dallo storico incontro, ha consentito di delineare qualche tratto del suo modo, documentato e insieme appassionato, di trattare le vite dei Santi, uno dei filoni della sua vasta produzione pubblicistica, con 8 opere, oltre che di ricordarlo come “protagonista e testimone del nostro tempo”. Nel rendere conto della manifestazione abbiamo preannunciato che avremmo celebrato un altro anniversario, i 50 anni dalla pubblicazione del suo “Potere democratico e forze economiche”, uscito nel giugno 1969. Lo facciamo ora per la sua attualità anche in tempi così  mutati.

Copertina del libro

Il libro appartiene al filone legato alla politica in generale, dalla quale Radi trae  ispirazione in diverse  direzioni tra loro collegate: politica economica e  Partiti, personaggi politici e scherzosi bozzetti  sugli “onorevoli colleghi”.

Radi era diventato sottosegretario alle Partecipazioni statali e, nella sua responsabilità istituzionale e sensibilità civile, sentì di dover approfondire i temi legati al confronto tra le forze politiche, espressione della vita democratica, e i grandi gruppi che influenzano l’andamento del sistema economico spesso in contrasto con le esigenze più sentite da parte della comunità.

Luciano Radi è stato sempre aperto alle novità e intento a scoprire i movimenti più nascosti della società per prevenire gli sviluppi  con un’adeguata azione politica.  Come esponente della corrente “Nuove Cronache” aveva contribuito a innestare nella tradizionale politica centrista della DC luna maggiore apertura ai temi sociali  assecondando la spinta che veniva dalla società in profonda trasformazione.  Aveva già pubblicato uno studio approfondito sulla questione mezzadrile, particolarmente avvertita nella sua Umbria, ed ora si trovava ad affrontare il confronto con i potenti gruppi economici, in un clima reso incandescente dalla contestazione re giovanile, Così nacque “Potere democratico e forze economiche”, uno dei 9 libri in tema politico, cui vanno aggiunti  4 libri dedicati a grandi personaggi  sempre della politica.

L’esigenza di un rinnovamento nelle scelte di politica economica

Perché riteniamo che “Potere democratico e forze economiche” sia di grande attualità anche oggi? Lo vediamo dalle accese critiche all’Europa per aver trascurato la questione sociale ed essersi immiserita in un ruolo burocratico e anche oppressivo; e lo vediamo dai tentativi di dare delle risposte all’interno alla questione sociale con misure discusse come il reddito di cittadinanza e la fornitura di materiali di consumo alle giovani madri per alleggerire il peso economico della natalità e rilanciarla; lo vediamo dai timori che suscitano le azioni dei grandi gruppi internazionali; lo vediamo dallo strapotere dei mercati ;  lo vediamo dalla pretesa di una crescita senza fine dei consumi  alla cui stagnazione si  attribuisce la crisi. Tutto questo  avviene, però,  in modo parcellizzato e confuso, senza una visione d’insieme del modello di società cui tendere e degli interventi da operare per muoversi nella direzione ritenuta idonea alle esigenze del paese.  

Ebbene, il libro di Luciano Radi presenta invece un quadro organico di come si dovrebbe procedere  e molte delle sue indicazioni di merito, e non solo di metodo, sono illuminanti e istruttive. Lui coglieva “i fermenti di profondo rinnovamento che agitano la società contemporanea”, e non si può dire che oggi non ci siano, la rivoluzione digitale, la robotica sempre più invasiva  sono soltanto alcuni fermenti, e che fermenti!  Inoltre la globalizzazione ha reso ben più invasiva di allora la pressione sulla vita della comunità nazionale.  Se allora, come scriveva Radi, l’impegno per far fronte  ai radicali mutamenti nella società, non  doveva risultare “da ‘improvvisazioni sul tema’ di cui la grande complessità della materia farebbe rapidamente giustizia”, questo è ancor più validi oggi, quando la  complessità si è moltiplicata.

Le sue “idee per una moderna politica economica nazionale” prendono l’avvio dalla constatazione che  l’impostazione tradizionale della politica economica  è inadeguata rispetto alle nuove esigenze ed ai fermenti della società e alla modificazioni strutturali del sistema economico. Oggi non sono qulle  di 50 anni fa con il passaggio dall’economia agricola a quella industriale, ma “mutati mutandis”, la società postindustriale con la rivoluzione epocale in tanti campi la rende ancora più inadeguata.

Allora “i grandi problemi aperti dalla società” riguardavano “i rapporti tra classe politica e classe economica, le grandi scelte della società e la loro attuazione nella condotta pratica ei gruppi sociali, i rapporti – nell’ambito de sistema produttivo – tra grande e piccola impresa”. La stessa vita democratica ne è fortemente influenzata.

 Radi poneva come primo problema quello dei rapporti tra potere politico e potere economico , dovuto al fatto che “le grandi concentrazioni economiche riescono ad eludere le scelte del potere politico in quanto quest’ultimo non dispone di strumenti adeguati a controllare che l’evoluzione del sistema economico avvenga secondo le linee direttrici determinate  dalla classe politica”.   Oggi a questo problema si è aggiunto quello posto dalle istituzioni europee, portatrici di interessi spesso antagonisti rispetto ai nostri per la concorrenza tra Stati , che di fatto possono commissariare la nostra economia e la nostra politica. Anche qui si reagisce in modo scomposto ed episodico, senza una riflessione di fondo che vada al di là delel opportunità contingenti.

Naturalmente, nei tempi così mutati non si può riproporre una nuova programmazione  economica, dopo la sostanziale inefficacia dei tentativi esperiti in un’epoca con meno variabili fuori  controllo di quella attuale. Però non si possono lasciare senza risposta interrogativi che risuonano sempre più forti.

 Abbiamo accennato al problema dei consumi interni , che si vorrebbero in costante crescita per alimentare la produzione;  oggi si  evoca l’economia keynesiana sul finanziamento in deficit per mettere in moro il moltiplicatore del reddito e l’acceleratore degli  investimenti, e far ripartire il sistema che continua a manifestare una notevole capacità di accumulazione, con un risparmio privato quattro volte il famigerato debito pubblico. Ma non si considera che nelle economie opulente come la nostra, pur nelel sue notevoli disparità reddituali, i consumi  sono saturi.

 “Il tema di fondo su cui la nostra società dovrà decisamente impegnarsi nel futuro riguarda la correzione degli eccessi della società consumistica  e l’orientamento dello sviluppo del Paese verso le più autentiche finalità che una comunità sana ed ordinata non può certo trascurare”. E questo non mediante improponibili interventi autoritari ma modificando la scala di valori e incidendo sula destinazione del processo di accumulazione che già vediamo restio a indirizzare sui consumi privati: “La correzione deve partire dal processo di accumulazione , che va sempre più inteso come una funzione pubblica, quindi finalizzato agli obiettivi che la società si propone”. In effetti oggi l’accumulazione non è distorta, va correttamente indirizzata non in modo dirigistico ma rendendo vantaggioso l’impiego per finalità pubbliche e sociali. E deve riguardare i consumi indotti, che non corrispondono a bisogni ma alla manipolazione dei produttori.

Ne deriva è un’affermazione di Radi  che diventa di grande attualità, anche in senso divisivo: “ La correzione deve riguardare anche i consumi”, dato che le scelte dei consumatori non sono  frutto di scelte individuali coerenti, ma di tale manipolazione: “Il consumatore, in effetti, è travolto da una spirale dei consumi” che riguarda sol,o in parte “il soddisfacimento di autentici bisogni, dato che per lo più sono il riflesso della scala di valori  che presiede alla nostra società consumistica. L’effetto imitazione porta comprendere nei bilanci familiari voci sempre nuove cui hanno avuto accesso altre categorie sociali; e quanto più si è manifestata la mobilità per le categorie suddette, tanto più tumultuoso è risltato tale processo”.

Pensiamo alla levata di scudi in atto sul ventilato aumento dell’Iva sui consumi, per le clausole di salvaguardia, mentre escludendo quelli necessari potrebbe essere un modo di correggere il consumismo esasperato destinando tali risorse a impieghi più utili alla società, ma nessuno ha il coraggio di parlarne, salvo un timido accenno del ministro Tria, subito  rientrato.  . Quali impieghi?

E qui  Radi getta il suo asso, “il soddisfacimento dei bisogni collettivi”, che dovrebbe essere una risposta al “rincorrersi dei bisogni indotti”: “Le carenze nei servizi sociali –  dalla sicurezza sociale alla scuola, all’abitazione, al sistema ospedaliero, alla sistemazione delle infrastrutture urbane ed extraurbane, alla razionalizzazione dello sviluppo urbanistico e dell’assetto territoriale, alla sistemazione del suolo – nonché gli squilibri esistenti nello sviluppo economico sono gravi lacune che soltanto il disordinato sviluppo della società consumistica ha potuto determinare”. Il vice presidente del Consiglio Salvini nei suoi recenti interventi ha sostenuto l’esigenza indifferibile di procedere in questa direzione, sia pure in modo che è sembrato apodittico e privo di una motivazione coerente in un quadro organico di risorse e impieghi. Se manca il quadro di compatibilità si presta ad essere contrastata come idea velleitaria e propagandistica.

Il libro invece  affronta il tema della distribuzione delle risorse perché è avvenuta “senza alcun rispetto per le opzioni prioritarie della collettività ma tenendo conto soltanto delle tendenze meno genuine  e più condizionate di un certo processo di sviluppo dominato dalla produzione”.  E va anche oltre: “La società del benessere è divenuta la società del consumo individuale, che è tanto più lontana dal benessere autentico quanto più priva i cittadini di quelle condizioni di civiltà e di progresso – che si riassumono nelle dotazioni sociali che danno sicurezza al cittadino ed ordine al progredire della società – e di quella autonomia dal mondo della produzione , la quale rappresenta la sola garanzia contro il pericolo dell’alienazione che minaccia le grandi società industriali”.  Contrastare tutto questo vuol dire “correggere gli eccessi della società consumistica e promuovere il generale sviluppo della società”. E lo si può fare . senza eccessi dirigisti in una società come la nostra, anzi è proprio della democrazia far prevalere i diritti collettivi sugli interessi di pochi, facendo prevalere il potere democratico sulle manipolazioni delle forze economiche. 

“Ed è questo il compito che la classe politica deve assumere senza cedimenti né compromessi,  consapevole che dovrà incidere sugli interessi che alla società consumistica sono legati ma nello stesso tempo con la convinzione di avere dalla sua parte la maggioranza del Paese”.  Il sistema democratico, in sostanza, affida “agli organi rappresentativi le opzioni di fondo”,  ma deve dare loro anche gli strumenti necessari.

Si potrebbe obiettare che destinando prioritariamente le risorse agli impieghi sociali si compromette l’efficienza del sistema.  Radi ha subito la risposta: “L’efficienza viene potenziata con una più razionale strutturazione delle attività economiche e con un più equilibrato assetto territoriale, come con le altre realizzazioni di ordine sociale”. Non è questione di numeri e numeretti, va riconsiderato interamente l’assetto economico e sociale per un vero cambiamento, già evocato 50 anni fa in termini così attuali, .e lo si può fare:

“Il mondo della produzione dovrà essere portato ad orientarsi verso quei settori più legati ai bisogni primari della società che sono definiti dalle opzioni di fondo del Paese. L’attività in tali settori dovrà  essere caratterizzata dallo stesso grado di efficienza  raggiunto nelle attività volte al soddisfacimento dei bisogni individuali, in quanto anche in questo caso vi sarà la verifica continua e stimolante della concorrenza estera, nonché dells competizione interna”.

La valorizzazione del “primato dei consumi collettivi” rispetto a quelli individuali indotti dalla produzione  determinerà  una “profonda razionalizzazione del comportamento del consumatore” che va difeso dalle suggestioni consumistiche rispettandone la libertà di scelta, ma facendone una scelta informata.

A questo punto Radi pone il problema della “portata comunitaria delle scelte” rispetto all’idea europea, facendone addirittura il motore del rilancio di un’adesione popolare già allora affievolita: “L’idea ispiratrice centrale che potrebbe rappresentare  la fiaccola di un nuovo e avanzato movimento europeo  potrbbe essere proprio questa visione degli alti fini di civiltà che i paesi membri [allora erano sei] devono sentirsi impegnati rifuggendo dai falsi miti della società consumistica”. Non è un “vaste programme” alla De Gaulle, non lo era ieri, pur se non ha avuto seguito, non lo è oggi, anzi può essere la soluzione per la crisi di ideali e il distacco dalla società civile portata dalla visione miope e ottusa  dei burocrati europei, legata ai “numeretti2 del deficit e dei parametri, e non alla realtà economica e sociale che giustamente va in direzione opposta.

 Radi così conclude: “L’intero discorso sulla politica economica potrà diventare così da nazionale , europeo; e porre le basi concrete e nel contempo permeate dei più elevati ideali, di quella idea europea che fino ad ora non ha ricevuto nuova linfa, dopo i romantici fervori degli anni cinquanta”, Sono parole di cinquant’anni fa, Il presidente Conte e il ministro Tria potrebbero farle proprie negli imminenti contatti con la Commissione europea, dando una prospettiva nuova alle istituzioni europee profondamente rinnovate dopo le recenti elezioni, che dovranno dare un seguito alle spinte al cambiamento dall’opinione pubblica europea.

Ostacoli e difficoltà sulla strada del rinnovamento

Non è un processo indolore, l’autore non si nasconde le difficoltà. L’incessante evoluzione tecnologica, se è fonte di incremento di produttività può avere anche “un significato regressivo sullo sviluppo civile della società, qualora non venga opportunamente inquadrato in un più vasto  contesto di obiettivi  e di vincoli”. Ne parlava Radi  50 anni fa, il tema è attualissimo oggi, ad esempio con la robotizzazione che può ridurre drasticamente la domanda di lavoro richiedendo misure compensative, lo sostiene De Masi che a questo fenomeno riferisce un eventuale reddito di cittadinanza strutturale e allargato.

D’altra parte il cittadino è inerme dinanzi a tali eventi perché come consumatore non ha autonomia nelle sue scelte indotte da quelle dei produttori, a loro volta condizionate dalla competizione oggi a livello globale. Il circuito “produzione-consumi indotti”  riguarda il consumismo individuale del tutto sganciato dalla razionalità relativa ai bisogni autentici,  per cui il consumatore sacrifica “implicitamente, e spesso inconsapevolmente, bisogni più profondi che non possono emergere a livello individuale  in quanto riguardano la comunità nel suo insieme”.

  A ciò si aggiunga che  a dominare non sono neppure i “mercati”  nell’accezione di Adam Smith con una “mano invisibile” con una propria razionalità intrinseca; ma gruppi oligopolistici dominati da tecnostrutture , come le definì Galbraith, “le cui finalità  divergono inevitabilmente sia da quelle dei singoli consumatori che da quelle della collettività”.  Ad entrambi i livelli “le dotazioni di servizi sociali occupano uno dei primi posti nella graduatoria dei bisogni che una società non può soddisfare”.; si pensi che la carenza di strutture di assistenza alla maternità determina addirittura  il drastico calo della natalità che affligge il nostro paese con diminuzione della popolazione e quindi della sua stessa proiezione nel futuro, eppure non si provvede. A ciò si aggiungono “le dotazioni infrastrutturali e e quanto altro attiene alal vita intesa nel suo contenuto più autentico ed essenziale, quale è possibile definire una volta distaccati dai miti persistenti e in continuo  rincorrersi che propone la civiltà industriale”. 

Le forze politiche, che dovrebbero operare assicurando questi servizi e queste dotazioni indispensabili  nell’interesse della collettività, sono bloccate dal contrasto con il  potere economico che le sovrasta per cui devono trascurare il soddisfacimento di quei bisogni che “costituiscono precise necessità della comunità nel suo complesso. Sono bisogni che rappresentano l’autentico contenuto di una convivenza civile e ordinata: e costituiscono il vero contraltare delle suggestioni alienanti che provengono dalla società del benessere”.

A questo punto Radi denuncia l’arretratezza dell’organizzazione politica, nella sua staticità e inadeguatezza,  rispetto alle trasformazioni economiche e sociali, e si riferiva a  una politica organizzata in partiti con programmi e ideologie radicate su dei principi,, mentre oggi prevalgono le forme volatili di aggregazione spesso intorno a leadership effimere. E “la crisi degli organismi rappresentativi” che si è aggravata con un Parlamento sempre più svuotato , mentre  deve essere  “adeguatamente rivalutato rappresentando la più autentica garanzia di vita democratica”.

 In effetti l’uomo come cittadino è privo di partecipazione effettiva ieri e ancora di più oggi che è venuta meno la possibilità di far sentire la sua voce nelle strutture dei partiti politici e delle forze sindacali, già radi ne denunciava la crisi 50 anni fa. Oggi  si sono rarefatte non solo nella sostanza ma anche nella mera apparenza,  fino ad evaporare del tutto  in forme definite liquide, ma ci sembrano piuttosto gassose.

Se il potere sovrano teoricamente è stato trasferito al popolo, la solenne proclamazione in tale senso da parte della Costituzione “trova di regola un limite – osserva Radi – nell’effettività di tale trasferimento… il divario esistente tra democrazia formale e democrazia sostanziale segna la misura dell’opera di costituzione di uno Stato effettivamente democratico”.

La crescita culturale fa sì che cresca la consapevolezza di questi condizionamenti sopportati dall’uomo come cittadino senza adeguata partecipazione e senza possibilità di soddisfare i bisogni più autentici, e come lavoratore  subordinato alle esigenze della produzione fino a calpestare i suoi diritti e la sua dignità. 

Questo faceva sperare Radi anche se le sue speranze non sono state esaudite finora: “E’ solamente per l’attuale migliorata preparazione culturale che la comunità può darsi un assetto  politico autenticamente democratico. L’arricchimento culturale della comunità e il maggior impegno sul piano politico che ne deriva rende il processo suddetto irreversibile.

Esso si alimenta costantemente con i nuovo apporti che provengono dalle forze emergenti nel paese:in particolare l’impulso dei giovani, quali forze vive che la cultura rende maggiormente consapevoli ed impegnate, determina  una accelerazione del processo suddetto anche al di là dei tempi che regolano tali fenomeni”. Scriveva nel 1969, sull’onda della contestazione studentesca  del 1968 che aveva portato alla ribalta i giovani con il loro protagonismo pur tra tante contraddizioni. 

Attribuiva la contestazione verso il  sistema all’impossibilità di trasmettere  e far valere le esigenze più sentite, che la crescita culturale poneva all’attenzione di tutti. Forse quella del ’68 fu una spinta eccessiva, se si è avuto un contraccolpo così forte nella totale astrazione dalla politica, le riflessioni fatte nel 50° anniversario del 1968, lo hanno registrato,  e lo slogan “68, la battaglia continua”, cui si è intitolata una mostra rievocativa alla Galleria  Nazionale d’Arte Moderna di Roma resta vuoto di contenuti.

La situazione di oggi è l’opposto con il ripiegamento dei giovani sul personale e la totale indifferenza rispetto ai grandi problemi, né possiamo considerare una ripresa il movimento ambientalista dei  ragazzini mobilitati intorno a “Greta”, che sembra una parodia di una consapevolezza motivata e matura.

Gli strumenti, la classe politica, l’assetto istituzionale

L’ultima parte del libro  riguarda proposte concrete che evocano un fatto molto recente, il tentativo di ammodernare l’assetto  istituzionale con le modifiche costituzionali bocciate dal referendum con il 60% di voti contrari. Ma le sue proposte si inserivano in un quadro organico e coerente a tutti i livelli, non erano i parziali e per molti versi contraddittori e del tutto insufficienti  interventi che sono stati respinti.

Radi parte dal superamento delle rigidità nell’organizzazione statuale “con una maggiore articolazione dei gruppi, e deve promuoversi una maggiore partecipazione dei cittadini  per dare alla vita democratica un contenuto effettivo  e concreto. In tale azione è necessario dar prova di coraggio e decisione  per fornire un autentico contenuto rivoluzionario ”ad iniziative riformistiche prese nell’ambito del sistema”. E precisa: “Il contenuto rivoluzionario riguarda la scala di valori che presiedono alle attuali scelte della società, scala di valori che deve essere rovesciata perché profondamente distorta”.

Nell’organizzazione dello Stato deve essere assicurato “un effettivo pluralismo, che sia pluralismo di gruppi e nel contempo pluralismo di poteri e di funzioni. In questo senso vanno esaltate al massimo le autonomie locali, quali forme di espressione di quel pluralismo di poteri che riflette la molteplicità di esigenze e di istanze emergenti da una società articolata e composita”. Risuonano molto attuali dinanzi alle istanze di maggiore decentramento di poteri e funzioni ad alcune regioni che ne hanno fatto richiesta, ma senza inserire questo intervento in un quadro organico – come quello delineato dal libro – sono inevitabili gli scontri e le polemiche a cui stiamo assistendo tar le stesse forze della maggioranza di governo.

Radi a questo collega “le autonomie funzionali di altri gruppi in cui si compongono le esigenze della collettività e che non possono essere rappresentate da organismi statali”. Una rete di questi gruppi potrebbe svolgere un ruolo fondamentale garantendo un costante collegamento con le funzioni statuali, perché potrebbe favorire “la rispondenza ai bisogni effettivi  della comunità che trovano appunto nei corpi intermedi la sede più genuina ove manifestarsi”, che non è di certo la struttura monolitica dello Stato centrale.

Naturalmente questi organismi intermedi devono assicurare la partecipazione dei cittadini; e delle loro istanze vanno portate avanti quelle che non si esauriscono in  interessi particolaristici ma concorrono ad un autentico progresso civile e umano  dell’intera collettività  verso le sue finalità superiori. Appositi organismi di consultazione potranno garantire il contatto continuo tra rappresentanti e rappresentati.

Anche gli enti locali possono essere riformati in questa direzione, con una sburocratizzazione  e la creazione di contatti diretti con la base attraverso adeguati organismi assembleari. Ciè sarebbe ancora più importante oggi che si è perduta la volontà di partecipazione, mentre va rilanciata dando forme e strutture adeguate.

La classe politica deve assumere “una nuova funzione nel contesto delle scelte di fondo della società, che sono scelte collettive in relazione  ad istanze comuni a tutti, anche se profondamente diverse dalle scelte che operano i singoli nell’attuale contesto socioeconomico che si è visto essere profondamente distorto”. Non deve assolutamente assumere una “funzione educativa del cittadino”, sarebbe in contrasto con l’essenza stessa della vita democratica, “ma non può abdicare alla sua primaria funzione di salvaguardare i valori della civile convivenza da ogni attentato, sia esso palese od occulto”. Come quello dei pifferai del consumismo.

“In definitiva, il primo  problema è quello di assicurare autentici contenuti umani e civile all’uomo come lavoratore e come cittadino, perché la sua vita possa essere rispondente ai contenuti culturali e alle esigenze spirituali che la sua stessa inalienabile natura postula. Inoltre – ed è questo un aspetto consequenziale delle medesima realtà –  bisogna garantire l’uomo come consumatore in modo che vengano soddisfatti i suoi più sentiti bisogni e che le sue scelte non siano distorte da suggestioni più o meno palesi  che privano di una effettiva libertà rendendolo strumento inconsapevole di un sistema che non è a dimensione di uomo”. L’insistente ritornello che “non lo permettono i mercati” – e non permetterebbe di soddisfare esigenze pressanti della comunità – al quale non si dà una risposta adeguata,  mostra come queste affermazioni di 50 anni fa oggi siano ancora più valide  e suonino come forte ammonizione, anzi come una premonizione. Come lo è quest’ultima affermazione: “E’ sul contesto istituzionale che bisogna operare per rendere effettive le riforme specifiche che verrebbero invece svuotate da ogni portata concreta qualora avulse dal quadro di fondo che si è delineato”.

Ed è quello che manca del tutto oggi, come se Radi lo avesse previsto mettendo in guardia sin da allora. Gli interventi parziali  privi del quadro di fondo che ne assicura la coerenza e insieme la necessità hanno poco respiro, come si vede tutti i giorni. Ma si potrà mai avere un disegno organico per soddisfare i bisogni più autentici della comunità?   La fine delle ideologie ha tolto  ogni possibile riferimento ad impostazioni di carattere generale, per quanto vaghe e generiche, nulla è stato sostituito, neppure un sano pragmatismo però inserito in un  quadro coerente di obiettivi e strategie, interventi e risorse, per le  ineludibili finalità collettive.

Nel quinto anniversario della scomparsa Luciano Radi  ci ammonisce con la sua analisi premonitrice di 50 anni fa. Una guida per i governanti ma soprattutto un richiamo perché siano soddisfatti  i bisogni più autentici della comunità nazionale con una rivoluzione copernicana che potrebbe rilanciare anche l’ideale europeo.  Ci sembra che ce ne sia proprio bisogno, dati i tempi che stiamo attraversando.

Info

Luciano Radi, “Potere democratico e forse economiche”, Edizioni Cinque Lune, collana “Economia e Diritto”, giugno 1969, pp. 98, ”; dal libro sono tratte le citazioni del testo. Sui temi  politico-economici ha pubblicato   anche: “La risi della pianificazione rigida e centralizzata”, 1957 e “I mezzadri:  le lotte contadine nell’Italia centrale dall’Unità al 1960”, 1962, “Partiti e classi in Italia”,  1975, “La grande maestra, la tv tra politica e società”, 1991, “La macchina planetaria, quali regole per la corsa alla globalizzazione”, 2000. Sui Partiti, “Il voto dei giovani”, 1977  “La talpa rossa”, 1979 , fino a “Riflessioni su una sconfitta”  e  il successivo “Riflessioni su una vittoria”. Sui personaggi politici: nazionali, “Tambroni, trent’anni dopo”, 1990, e “Gli anni giovanili di Giorgio La Pira”, 2001, “La Dc da De Gasperi a Fanfani”  e “Gerardo Bruni e la questione finocattolica”, 2005;  locali, “Foligno 1946. Ricordo di Italo Fiattaioli e Benedetto Pasquini in occasione del sessantennio della prima elezione democratica al Consiglio Comunale”, 2006; storici, “Il mantello di Garibaldi”“, 2011. Sugli “onorevoli colleghi” e non solo: .”Buongiorno onorevole”, 1973, e “Gli scarabocchi dell’onorevole”, 1978, “Il taccuino dell’onorevole”,  1985, e “Buonanotte,  onorevole”, 1996, fino a “Un grappolo di tonache”, 1981. Cfr. il nostro articolo uscito in questo sito il 6 gennaio,  “Luciano Radi, ricordato con una sua opera, l’incontro tra Francesco e il Sultano 800 anni fa” dove sono citati  i suoi libri su tema religioso, e i servizi che usciranno l’11  giugno, “Luciano Radi e i “‘libri dell’anima’ , l’umanità e la fede di una ‘personalità limpida’”  con  i suoi libri di introspezione e riflessione personale, e il 13 giugno,”Luciano Radi, protagonista e testimone del nostro tempo” sulla sua figura, fino al 15 giugno “Luciano Radi, il mio ricordo”.

Foto

In apertura, la copertina del libro di Luciano Radi, “Potere democratico e forze economiche”, 1969; in chiusura, un’immagine di Luciano Radi (da spellooggi.it, si ringraziano i titolari del sito).

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